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Autore: MaryFangirl    23/05/2019    2 recensioni
Bastò davvero poco, e all'improvviso tutto ciò che Hanamichi riuscì a vedere e pensare, fu Kaede Rukawa. [...] Kaede si sarebbe reso presto conto che non sarebbe più riuscito a togliersi Hanamichi dalla testa.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Sabato 25 luglio.
 
Kaede e Hanamichi trascorsero un pomeriggio molto simile al precedente; l'unica eccezione fu che non giocarono nell'acqua come matti, perché quella mattina Hanamichi si era svegliato accusando un po' di mal di schiena, ricevendo minacce da parte della dottoressa che non l'avrebbe più fatto scorrazzare liberamente sulla spiaggia se non si fosse deciso a starsene buono.
Kaede si sentì di nuovo un pizzico in colpa, il giorno prima avrebbe dovuto fermare i giochi invece di partecipare come un moccioso, anche se Hanamichi fu lesto a precederlo confermandogli che si era divertito e che quello che sentiva era solo un dolorino, non la fine del mondo.
Kaede però lo ammonì, ricordandogli che non c'era poi così tanto tempo prima che rientrasse in squadra, per cui doveva seguire le indicazioni dei medici senza fare di testa sua, perché da do'aho qual era avrebbe finito per combinare qualche idiozia – per quello si beccò uno scontato 'Stupida volpe, smetti di dare del do'aho al tensai!'-.
La cosa positiva fu che, con Hanamichi che si sforzava di stare calmo, pena il dover rinunciare ai suoi pomeriggi spensierati in spiaggia dovendo rimanere in clinica, o peggio, potendo uscire ma con un supervisore, Kaede poté entrare in mare con tutta tranquillità, avanzando con tale lentezza da mettere la pazienza dell'altro a dura prova, avendo voglia di tirarlo in acqua anche solo per vedere la sua perfetta capigliatura scompigliarsi, nonché il suo volto sempre imperturbabile sfigurarsi per lo stupore.
Kaede intuì i suoi pensieri e lo minacciò di morte con lo sguardo, alimentando solo il divertimento di Hanamichi, che fu tuttavia magnanimo e attese circa un secolo che Kaede finalmente si inoltrasse in acqua fino alle spalle.
Quando furono abbastanza zuppi e con le dita raggrinzite come spugne, uscirono e andarono a stendersi, dopo che la conversazione si era fatta ancora più sciolta delle volte precedenti, accontentandosi anche del silenzio che non era più imbarazzante e né l'uno né l'altro si arrovellava per trovare una qualsiasi cosa da dire; il moto ondoso del mare e le risate a distanza degli altri bagnanti erano rilassanti e Hanamichi comprendeva che per uno come Kaede, tutte le parole che si erano scambiati in pochi giorni avrebbero potuto bastare per il resto della sua vita. Per una volta, sentiva che non era necessario sparare una sciocchezza qualsiasi.
Anche la fine della giornata fu simile alle altre: Kaede si alzò e piegò le sue cose dilatando il più possibile i minuti rimanenti, poi si salutarono con un cenno della mano e Hanamichi lo osservò sparire all'orizzonte, cercando stupidamente di non perderlo mai di vista.
Hanamichi si grattò dietro la testa e sospirò profondamente, era ingenuo e un po' tonto, ma anche lui ci era arrivato. Riconosceva i sintomi di una cotta quando ne era colpito, perché erano sensazioni che aveva conosciuto parecchie volte. Naturalmente, però, in quel caso era ancora più confuso: Kaede era un ragazzo, tanto per cominciare, e non era da poco scoprire di essere attratto da un uomo quando per tutta l'infanzia e l'adolescenza si erano provate simili emozioni solo per le ragazze. A rincarare la dose di smarrimento c'era l'inconfutabile verità che Kaede fosse il suo rivale, quello su cui aveva inveito per mesi, attaccandolo per ogni cosa che faceva, odiandolo per il suo successo sia tra le ragazze che tra i ragazzi, rifiutandosi categoricamente di essere sincero anche con se stesso nell'ammettere che era dannatamente bravo nello sport che aveva imparato ad amare e che capiva perché tutti si incantavano a guardarlo. Ma la sua mente non poté fare a meno di mettere in parallelo quello che era stato il suo percorso nel basket e quello che stava affrontando con Kaede.
Per giorni aveva odiato quello sport, non sopportando nemmeno di sentirlo nominare, pur non sapendo effettivamente niente delle regole, di come si giocasse per davvero. Aveva cominciato ad approcciarsi ad esso soltanto per fare colpo su una ragazza che non se l'era mai filato né aveva mai capito cosa provasse per lei, lo aveva preso sotto gamba ritenendolo una scemenza da bambini, poi anche quando aveva deciso di tentarci seriamente, lo aveva sottovalutato pensando di poter fare tutto subito senza partire dalle basi che gli avevano rotto i coglioni per giorni, arrivando a non dormire a causa del rumore della palla che rimbalzava che gli infestava costantemente le orecchie, tra le prese in giro degli altri giocatori esperti e quelle del pubblico che lo vedeva solo come una scimmia dalla testa rossa...era stata dura farsi accettare, farsi riconoscere come un giocatore di basket in tutto e per tutto, e questo era accaduto soltanto quando lui si era impegnato seriamente smettendo di fare lo stupido – nel limite del possibile. Uno sport che aveva cominciato come uno scherzo – e al tempo in cui aveva visto Haruko la prima volta, probabilmente avrebbe partecipato a un qualsiasi sport di cui lei avesse espresso il gradimento – gli era entrato dentro, come una fiamma viva che bruciava alimentata dal desiderio che aveva di migliorare, di giocare, di emergere.
Si sconvolse nel constatare sempre più fermamente che il rapporto che aveva col basket era paragonabile a quello che stava sviluppando con Kaede...più lentamente, dai contorni un po' più offuscati, ma era lo stesso. Aveva odiato Kaede Rukawa ancora prima di vederlo coi propri occhi, alla scoperta che la ragazza che gli piaceva andava in brodo di giuggiole solo a pensare a 'quell'altro'. Il loro primo incontro era stato segnato da una manica di botte tremenda, aveva cominciato lui a colpire l'altro senza rimorsi, eppure Kaede era rimasto in piedi, a differenza di molti altri che avrebbero perso i sensi con molto meno. Quando poi aveva scoperto che era anche la stella nascente del basket allo Shohoku, era stato peggio che sventolare un mantello rosso davanti a un toro. Col passare del tempo, era rimasta la consuetudine di dare addosso a Kaede anche senza un reale motivo, bastava che respirasse perché Hanamichi cogliesse la palla al balzo per gettarsi su di lui, per eliminare l'espressione sempre uguale del suo volto, per metterlo in cattiva luce davanti agli altri, semplicemente per attirare la sua attenzione...ma senza che ci fosse astio vero e proprio. Era divertente, anzi, ed era anche apprezzabile che Kaede fosse tra i pochi a saper rispondere ai suoi pugni con altrettanta forza, senza svenire dopo una sua testata.
Adesso, però, mentre Hanamichi osservava Kaede allontanarsi, capiva perché si sentiva triste, pensando che non l'avrebbe rivisto per un'altra settimana. Capiva perché gli veniva in mente il paragone tra Kaede con il basket.
Perché ricordava che a un certo punto aveva smesso di considerare il basket come uno sciocco passatempo, una delle tante attività extrascolastiche che era auspicabile frequentare per ogni studente del liceo.
Gli era piaciuto. Imprevedibilmente, gli era piaciuto. Si era sentito frustrato nel dover osservare gli altri che giocavano fluidamente mentre lui era costretto in un angolo a palleggiare per tempi lunghissimi, sotto la ferrea vigilanza di Ayako che gli stava addosso come un mastino; si era sentito frustrato nel non essere messo nella formazione titolare, ignorando che era logico che fosse così per un pivello che aveva iniziato a giocare da neanche una settimana; si era sentito prudere le mani per la voglia che aveva di entrare in campo e dimostrare a tutti che avrebbero dovuto rimangiarsi le risate di scherno per via dei suoi capelli, e che avrebbero invece dovuto ammutolirsi subito prima di esplodere in un boato che avrebbe decantato il suo nome.
Si era innamorato del basket senza volerlo, senza accorgersi dell'azione salvifica che quello sport aveva avuto su di lui, che per anni si era limitato a brancolare in giro incutendo timore agli altri, scoppiando come un petardo alla minima occhiata ritenuta irrispettosa, incurante di qualsiasi cosa dicessero gli adulti e gli altri compagni di scuola, rigidi nella loro quotidianità, a storcere il naso di fronte alla minima diversità, come soldatini caricati a molla che potevano muoversi solo con certi gesti, senza osare andare fuori dal tracciato. Non aveva mai sopportato i paletti, quelli che gli dicevano di tingersi i capelli di nero perché i giapponesi dovevano per forza avere i capelli neri, quelli che gli dicevano di non tenere sempre le sopracciglia così aggrottate perché faceva paura, quelli che gli dicevano come mangiare, come trascorrere il pomeriggio, come starnutire, come pulirsi il culo.
Il basket non era stato meno difficoltoso: tutte quelle regole, tutte quelle fondamenta da imparare, tutti quegli inchini di fronte ad avversari, compagni più grandi, allenatori, arbitri, e ancora le tecniche, i trucchetti, le finte, la difesa...una rottura di scatole, per diverso tempo si chiedeva chi glielo facesse fare. Haruko? Tutto quello che aveva fatto, sudando, morendo di fatica, tornando a casa quasi strisciando per il dolore ai muscoli, sopportando pugni e sventagliate, effettuando 20.000 tiri a canestro, alzandosi alle sei del mattino per esercitarsi prima di un'altra lunghissima e barbosissima giornata di scuola, tollerando tutti quelli che lo sfottevano, le figure di merda, le sedute di studio per cercare freneticamente di avere la sufficienza in tutte le materie, lo aveva davvero fatto per ottenere un po' di attenzioni da parte di una ragazzina?
No, avrebbe mollato molto prima. Si sarebbe trovato un'altra ragazza carina da corteggiare come ce n'erano sicuramente a iosa in quella scuola e al di fuori di essa.
Aveva fatto tutto perché il basket era diventata una passione di cui non aveva più potuto fare a meno.
Con una tristezza profonda e amara nel cuore dopo una sconfitta, con la gioia più grande per una vittoria, con una felicità inspiegabile ogni volta che la squadra segnava un punto o proteggeva il canestro grazie a lui...con una sensazione di impotenza e smarrimento completi quando la schiena gli aveva inviato staffilate di dolore, e il terrore all'idea di dover rinunciare così presto a qualcosa che l'aveva fatto innamorare, sebbene non avesse mai cercato quell'amore.
E Kaede era stato un pilastro del suo cambiamento: era colui con il quale misurarsi, quello da battere, quello con cui confrontarsi. Ma c'era di più: Kaede, come lui anche se in altra maniera, era un diverso. Con i suoi atteggiamenti scostanti, i suoi silenzi e le sue occhiate fredde. Il suo dormire ovunque e sempre, infischiandosene di professori e compagni, la sua ambizione che non guardava in faccia nessuno, il suo fregarsene di tizie che lo spogliavano con gli occhi e di tizi che invece lo detestavano perché a lui non importava un cazzo di essere simpatico a chicchessia. Era un diverso tanto quanto lo era Hanamichi con i suoi scatti di rabbia e le sue urla. Erano entrambi vulcani, l'uno di tipologia esplosiva, che eruttava bombe di lava dalla tremenda violenza istantanea, l'altro di tipologia effusiva, che emetteva colate fluide tuttavia non meno incandescenti. Ma forse adesso la lava di entrambi si stava raffreddando, e gli aspetti positivi del loro fuoco si stavano palesando. Perché i vulcani, pur distruttivi, violenti e critici, avevano anche una funzione fondamentale: erano stati essenziali per la formazione del pianeta. Quindi forse, anche Hanamichi e Kaede si stavano adoperando a creare un piccolo mondo, dopo tanti scontri e frantumazioni.
Mentre Hanamichi osservava Kaede allontanarsi, sentiva lo stesso pizzicotto al cuore di quando non veniva fatto entrare in campo, o di quando sbagliava un passaggio importante.
Si era innamorato del basket e si stava innamorando di Kaede Rukawa. Il vulcano si stava assopendo, lasciando intravedere il magnifico paesaggio di cui non doveva essere il distruttore, ma il fautore, l'elemento che, in una cartolina, spiccava per la sua inconsueta e magnetica bellezza.
 
 
Domenica 26 luglio.
 
Hanamichi era nervoso.
In quella domenica sera, davanti al telefono di colore grigio che probabilmente risaliva a diversi decenni prima – aveva ancora il sistema a rotella! - e con in mano il bigliettino stropicciato che Kaede gli aveva consegnato, era divorato dall'indecisione.
Apriva e chiudeva il foglietto spiegazzato. Non ne aveva bisogno perché aveva già imparato il numero a memoria. Una smorfia si dipinse sul suo viso, era disperato da fare schifo. Pensava che lo sarebbe apparso solo di più se l'avesse già chiamato, avendolo visto solo il pomeriggio precedente. Si agitò, cercando di lottare contro la voglia che aveva di sollevare la cornetta. Non aveva idea di cosa poter dire, e il pensiero di stare a sentire i reciproci respiri lo riempiva d'imbarazzo, perché stare in silenzio insieme sulla spiaggia col mare a fare da colonna sonora era un conto, ma al telefono, cosa poteva dire a Kaede Rukawa, che non sembrasse stupido e fuori luogo? Ecco perché non andava d'accordo con quell'aggeggio. Riceveva e faceva chiamate, parlava con sua madre e sua zia, con Yohei e gli altri che in sottofondo urlavano parolacce e battute pessime, aveva persino parlato un paio di volte con Haruko, sentendosi contento che lei avesse pensato a lui, ma senza lo sfarfallio allo stomaco che provava invece ora, in piedi come uno stoccafisso davanti al telefono appoggiato su un mobiletto in corridoio, appena fuori dalla sua stanza. Non era così fortunato da avere il telefono privato, pertanto il timore era anche quello di dire cose che qualcuno che non doveva essere sentito.
Avvicinò e allontanò la mano della cornetta almeno tre volte prima di decidersi, con stizza, il tensai non poteva farsi impaurire per così poco. All'idea di chiamare Kaede Rukawa!
Avrebbe potuto chiedere dell'amichevole che era stata giocata quel pomeriggio, di come procedeva lo studio, dei suoi compagni di squadra...facendosi coraggio e ritenendo di avere sufficienti argomentazioni perché il silenzio non piombasse come un irritante mantello, compose il numero, controllando sul foglietto, ci mancava solo che lo sbagliasse.
Uno squillo. Due squilli. Tre squilli.
Avrebbe aspettato al massimo fino a otto squilli, non di più.
Quattro squilli. Ci fu risposta.
“Sìììì?”
Hanamichi ritenne che quella voce fosse strana e corrugò la fronte.
“Kaede?”
“Chi parla?”
“Sono io”
La voce, un po' intontita e strascicata, chiese: “Io, chi?”
Hanamichi si scaldò, era impossibile che non l'avesse riconosciuto. Ma magari aveva appena svegliato la volpe dopo un lungo sonno, per cui respirò profondamente.
“Hanamichi”
“Ah. E chi è Hanamichi?”
“Mi prendi in giro?” Hanamichi ringhiò, costringendosi a non alzare il tono. Lui faceva la fatica di chiamarlo, quell'altro a quanto pare non stava neanche poi così in pensiero visto che dormiva tranquillamente come un neonato, e doveva anche sorbirsi umorismo da quattro soldi?
“Cerchi Kaede Rukawa?”
“Certo che...senti, ma ci sei o ci fai?!”
Gli replicò una specie di risatina nasale che Hanamichi non riconobbe come quella di Kaede. Non che ridesse tanto, certo, ma le pochissime volte che l'aveva fatto, era più argentina, contagiosa, tanto da far pensare ad Hanamichi che, se l'avesse visto ridere nei mesi precedenti, probabilmente si sarebbe invaghito di lui da un pezzo. O forse l'aveva fatto proprio per il suo costante broncio.
-Basta con queste pippe mentali!-
“Scusa, ma in questo momento il tuo amico è sotto la doccia”
“E con chi ho il dispiacere di parlare?!” sbottò Hanamichi, poco contento che un altro ragazzo avesse risposto al cellulare personale di Kaede.
“Che gentilezza; comunque sono il compagno di stanza di Kaede, Minato Kusao, onorato!”
Addirittura lo chiamava per nome. Hanamichi digrignò i denti, stupendo se stesso: aveva capito da un tempo davvero limitato di avere una cottarella per il numero undici dello Shohoku, e già era geloso come un uomo delle caverne. Non poteva credere di essersi fatto tanti contorcimenti mentali per poi dover parlare con quel 'simpaticissimo' tipo.
Conoscendo Kaede, poi, come minimo si era addormentato sotto la doccia, non usciva mai prima di una mezz'ora anche negli spogliatoi alla fine degli allenamenti, e lui non poteva stare lì tanto tempo, prima o poi un infermiere sarebbe passato e gli avrebbe detto di andare nella sua stanza a stendersi.
Si sentiva abbattuto e seccato, perché non sapeva se sarebbe riuscito di nuovo a radunare il fegato per chiamarlo. Avrebbe voluto sentire la voce di Kaede...
“Va bene, quando finisce puoi dirgli che ho chiamato?”
“Ma certo...Hanamichi.”
Hanamichi, non volendo sentire nient'altro da quella voce che sembrava quella di uno che aveva bevuto troppo, riattaccò senza salutare, infischiandosene di risultare un perfetto maleducato. Era incazzato, si sarebbe volentieri sfogato con una bella scazzottata; ma anche per quella, avrebbe dovuto attendere la settimana successiva.
Si passò una mano del viso, chiedendosi come avrebbe fatto ad arrivare al primo weekend di agosto senza dare di matto, con il martello elettrico che piantava il viso di Kaede Rukawa sempre più insistentemente nel suo cervello. Il vulcano Hanamichi stava pericolosamente ribollendo.
  
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