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Autore: MackenziePhoenix94    24/05/2019    0 recensioni
PREQUEL DI 'LIKE A PRAYER'.
“Non stiamo parlando di pazzia, ma c’è il serio rischio che quel seme possa depositarsi e germogliare, signora, se non interveniamo in tempo. La società rischierebbe di doversi occupare, un giorno, di un soggetto pericoloso. Anche lei sa che è meglio prevenire che curare… Non sarà un percorso semplice o indolore, ma è necessario. Assolutamente necessario”.
Tutti sanno chi è Theodore ‘T-Bag’ Bagwell, e quali sono i crimini che lo hanno portato a scontare due ergastoli nel penitenziario di Fox River; ma nessuno, neppure Nicole Baker, conosce la storia che si cela dietro l’uomo ribattezzato dalla stampa: ‘Il Mostro Dell’Alabama’.
Perché alcune storie, come i segreti, anche se logorano interiormente, sono più semplici da custodire che da confessare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: T-Bag
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Occuparsi di un famigliare tossicodipendente è un processo lungo ed estenuante, sia dal punto di vista fisico che mentale: si ha a che fare con una persona che può avere violenti scatti d’ira durante una crisi d’astinenza e che può ricadere nelle vecchie abitudini in qualunque momento, anche dopo anni ed anni di disintossicazione; una persona che deve essere accudita e seguita con costanza, che non deve mai essere abbandonata, soprattutto nei momenti più bui e difficili, in cui non si vede una via d’uscita.

Ci sono momenti in cui vorrei abbandonare tutto e andarmene per sempre da Conecuh County, soprattutto quando James diventa tanto violento da essere un pericoloso sia per me che per sé stesso, ma non arrivo mai al punto di preparare le valigie ed andarmene come lui ha fatto, e tutto questo per un semplice motivo: mi sento responsabile della sua tossicodipendenza.

Anche se mia zia continua a ripetermi il contrario, che non devo darmi la responsabilità di colpe che non ho, so che la verità è un’altra: la colpa è mia, perché nulla di simile sarebbe successo se non mi avessero arrestato e spedito a Donaldson.

Trascorro quattro interi anni della mia vita dedicandoli esclusivamente a mio cugino, senza pensare un solo istante a vivere la mia vita o a svagarmi: gli unici ‘lussi’ che mi permetto, sono di scrivere una lettera al mese a David, ancora rinchiuso a Donaldson, e di prendere la patente.

La corrispondenza dura quasi due anni prima d’interrompersi bruscamente, senza alcun motivo apparente, e le opzioni possono essere solo due: o il mio unico amico è stato rilasciato, oppure si è beccato una coltellata durante un altro regolamento di conti.

“Teddy, dovresti riposarti, non credi?” mi domanda zia Margaret, dopo l’ennesimo giorno trascorso interamente in casa ed in compagnia di James “potresti uscire a bere una birra in un pub. Da quanto tempo non fai qualcosa di simile?”

“Sto benissimo, non ho bisogno di andare a bere qualcosa”

“Hai paura di lasciare da solo tuo cugino? Teddy, resterò io in casa con lui, non gli accadrà nulla. Ormai Jimmy ha risolto tutti i problemi che aveva con la droga, e questo grazie al tuo aiuto. Meriti di trascorrere una serata tranquilla”

“Non ne ho bisogno, davvero”.

Provo a declinare più volte la proposta di Meg, ma continua ad insistere; e quando si aggiunge anche James, sono quasi costretto a indossare una giacca, salire in macchina e raggiungere il primo pub della città.

Mi siedo davanti al bancone, ordino una birra e poi mi passo entrambe le mani sul viso, lasciandole lì, finché non sento una voce provenire a poca distanza.

“Ehi!”.

Lo sgabello accanto al mio non è più vuoto, ma bensì occupato da una ragazza giovane e carina, di diciotto o forse diciannove anni: indossa una gonna frusciante, una canottiera bianca ed i lunghi capelli biondi le scendono sulla schiena, fermandosi a pochi centimetri dai fianchi.

Non l’ho mai vista prima, ma qualcosa in lei, forse il biondo della chioma o l’azzurro degli occhi, mi fa subito pensare ad Ava.

“Ehi…” mormoro, rispondendo al saluto “posso fare qualcosa per te?”

“Si, potresti iniziare con l’offrirmi da bere. Che cosa hai ordinato? Una birra? Vorrei lo stesso”.

La sua sfacciataggine riesce a strapparmi un sorriso, e così decido di assecondarla e di chiedere al barista un’altra birra chiara, che arriva dopo una manciata di secondi, mentre cerco di scoprire qualcosa di più sulla sconosciuta.

“Perché una ragazza giovane e carina come te si trova in un posto simile?”

“Ho avuto un piccolo litigio con le mie amiche e mi sono ritrovata da sola, in mezzo alla strada. Ho provato a fare l’autostop ma nessuno si è fermato, così ho cercato un locale e sono finita qui. Credevo di trovare un telefono pubblico, ma sono stata sfortunata. A quanto pare sono capitata nell’unico pub in cui non c’è”

“Dove abiti?” le chiedo, allora, e quando mi dà il suo indirizzo, sollevo il sopracciglio destro “lo conosco, non è molto lontano da qui. Se vuoi, posso darti un passaggio”

“I miei genitori mi hanno sempre detto che non bisogna mai accettare passaggi dagli sconosciuti”

“Aspetta… Non vuoi accettare un passaggio da me, ma prima hai provato a fare l’autostop in strada? Questa è un’enorme contraddizione che non ha alcun senso, lo sai?”

“Lo so” risponde lei, scoppiando a ridere, ricordandomi sempre di più la ragazza che si è presa gioco di me “infatti stavo scherzando. Accetto molto volentieri il tuo passaggio…”

“Theodore”

“Annabelle” dice, presentandosi a sua volta.

Annuisco in silenzio, mandando giù gli ultimi sorsi di birra rimasti nel boccale, ma il suo nome non mi dice nulla: anche se abita a poca distanza dalla casa di mia zia, questa è la prima volta che mi trovo faccia a faccia con lei.

Pago il conto, saliamo in macchina e quando siamo ormai a metà strada, le rivolgo nuovamente la parola, facendo una battuta.

“Dato che ti sto offrendo un passaggio, hai già pensato ad un modo per pagarmi?” domando, scoppiando poi a ridere “sto scherzando, sto scherzando. Non sono un maniaco”

“Purtroppo non ho soldi con me, un bacio può bastare?”.

Le sue parole mi colgono così impreparato che sono costretto a parcheggiare la macchina vicino al ciglio della strada; mi volto a fissarla, cercando di cogliere la minima traccia di ilarità nel suo volto, ma sembra essere estremamente seria.

Dopo la brutta esperienza con Ava, non nutro alcuna fiducia nei confronti del sesso opposto.

“Mi stai prendendo per il culo?”

“No, sono seria. Secondo te perché ho occupato lo sgabello vicino al tuo? Eri il ragazzo più carino dentro quel locale”

“Non sono così giovane come pensi, Annabelle, ho trent’anni e tu devi averne meno di venti… Questa conversazione non dovrebbe neppure avere luogo”.

Le mie proteste vengono ignorate ancora una volta: prima che possa fare qualunque cosa, mi ritrovo Annabelle seduta a cavalcioni su di me, con le sue labbra premute con forza sulle mie; un brivido caldo mi percorre tutta la schiena e per qualche istante mi lascio andare a quel contatto intimo, prima di scostarla in modo brusco, perché nella mia mente rivivo ogni istante trascorso in compagnia di Ava, soprattutto la sera dello scherzo.

“Ma che cazzo stai facendo?” urla lei, massaggiandosi la nuca con la mano sinistra, mentre prendo coscienza di ciò che ho appena fatto; provo a scusarmi, ma Annabelle non è intenzionata ad ascoltarmi: scende dalla macchina ed io faccio lo stesso, raggiungendola dopo qualche passo.

“Scusami per la reazione che ho avuto, non era mia intenzione, posso spiegarti tutto” balbetto, afferrandola per un polso.

“Lasciami andare, non m’interessa ascoltare le tue parole! Mi hai sbattuta contro la portiera della macchina! Fanculo!” mi ringhia contro, guardandomi con un’espressione disgustata, riesce a liberarsi dalla mia presa e riprende a camminare, allontanandosi con passo veloce.

Non so con esattezza che cosa mi succede, ma le sue parole e la sua espressione fanno scattare una molla, uno strano ingranaggio, dentro la mia testa.

Esattamente come è accaduto quando ho rivisto Ava.

Esattamente come è accaduto durante il regolamento di conti a Donaldson.

La raggiungo e la costringo a voltarsi nuovamente, a guardarmi in faccia, vedo le sue labbra socchiudersi per pronunciare chissà quali ingiurie nei miei confronti, ma non le lascio il tempo materiale per farlo; da una tasca dei pantaloni prendo il cacciavite che porto sempre con me e lo conficco nel suo petto, proprio dove c’è la scollatura della canottiera.

Non so per quante volte ripeto quest’operazione, ma quando riesco finalmente a fermarmi e lascio la presa sul suo braccio, il suo corpo cade a terra e giace immobile sull’asfalto; la stoffa della gonna e della canottiera, ormai, sono quasi completamente zuppe di sangue.

“Cazzo…” mormoro, riprendendo fiato, rendendomi conto della gravità della mia azione; mi guardo attorno, e dal momento che la strada sembra essere completamente deserta, sollevo il corpo e lo nascondo nel bagagliaio della mia vettura, prima di occupare il posto del guidatore e tornare a casa.



 
Non posso occuparmi di un cadavere da solo e così, senza fare rumore, raggiungo la camera mia e di James, e lo sveglio, chiamandolo più volte per nome; quando riesco a fargli sollevare le palpebre gli dico, senza tanti giri di parole, che ho fatto una cazzata e che ho bisogno del suo aiuto per rimediare il prima possibile, prima che sia troppo tardi.

“Il mio aiuto? Perché? Che cosa significa che hai fatto una cazzata?”

“Lo vedrai con i tuoi occhi. Vestiti, non abbiamo molto tempo”

“D’accordo… D’accordo” borbotta lui, liquidandomi, agitando una mano.

Quando è pronto lo trascino nel garage, e prima di sollevare lo sportello del bagagliaio lo guardo, chiedendogli se è davvero pronto a quello che sta per vedere; James mi risponde con una scrollata di spalle, ma quando vede il contenuto del bagagliaio sono costretto a tappargli la bocca.

“Zitto! Non gridare, altrimenti zia Margaret ti sentirà! Questo deve essere un segreto tra noi due! Se mi prometti che non griderai, ti lascerò andare, va bene? Hai capito le mie parole?” mormoro, e quando lui annuisce con la testa, tolgo la mano sinistra dalla sua bocca.

“Cazzo, cazzo, cazzo…” inizia ad imprecare, riuscendo a malapena a guardare il corpo della ragazza bionda “tu l’hai… L’hai…”

“Uccisa? Si, l’ho uccisa”

“E come cazzo è successo?”

“Te lo spiegherò più tardi, dopo che mi avrai aiutato a nascondere il suo cadavere in un posto dove nessuno potrà trovarlo”

“E come pensi di fare? Dove vuoi nasconderlo? Cazzo, non stiamo parlando un sacco pieno di spazzatura, Teddy! Stiamo parlando del corpo senza vita di una ragazzina! Verranno a cercarla! I suoi genitori chiameranno la polizia!” mormora James, lasciandosi scappare un gemito; è disperato, ma cerco di non farmi contagiare dal suo stato d’animo, altrimenti sarebbe la fine per entrambi.

“Ecco perché dobbiamo nasconderla in un posto dove nessuno potrà trovarla” rispondo, passandomi le mani tra i capelli; mi tormento la punta della lingua con i denti e, finalmente, riesco a trovare una possibile soluzione al nostro problema “dobbiamo seppellirla sotto le assi del vecchio fienile. Nessuno lo utilizza da anni e nessuno verrà mai a svolgere ricerche in quel luogo, Jimmy”.

Mio cugino annuisce, senza protestare o tirarsi indietro, così prendiamo alcune pale, che sistemiamo sui sedili posteriori, saliamo in macchina e raggiungiamo il vecchio fienile con i fari spenti, in modo da passare inosservati.

Scendo per primo, controllo che la strada sia completamente deserta, e solo a quel punto dico a mio cugino di fare lo stesso e di aprire la porta della struttura; si rifiuta categoricamente di toccare il cadavere di Annabelle, e così è mio compito trasportarlo dentro, mentre lui si occupa di fare lo stesso con le pale e la torcia che ho preso dal capanno degli attrezzi di zia Margaret.

“E adesso? Che cosa facciamo? Impiegheremo ore a scavare una buca abbastanza profonda per nasconderla. Finiremo quando sarà ormai mattina”

“Finché resti lì a blaterare parole senza senso, è molto probabile che accada. Stai zitto e aiutami a sollevare queste assi” rispondo, stringendo i denti, e rivolgendo uno sguardo furioso a James; gli voglio bene, lo adoro, ma deve imparare che ci sono momenti in cui le parole sono solo fiato sprecato.

Con difficoltà, riusciamo a togliere alcune assi dal pavimento, quel tanto che basta per scavare una buca abbastanza larga e profonda in grado di contenere un corpo, senza rovinarle; prendiamo in mano le pale ed iniziamo a smuovere la terra nel più totale silenzio.

L’unico rumore che riempie l’aria è quello del fiato che esce dalle nostre bocche.

Qualche minuto più tardi, Jimmy fa una piccola pausa, passandosi la mano destra sulla fronte, ed il suo sguardo cade in automatico sul corpo, abbandonato a poca distanza da noi.

“Vuoi seppellirla così?” mi chiede poi, incrociando le braccia.

“Ho preso un sacco della spazzatura. In questo modo, l’odore di decomposizione dovrebbe essere più attutito, ed al resto ci penseranno la terra e i vermi”

“Ma come fai a parlare tranquillamente di queste cose? Ti rendi conto che non si tratta di uno scherzo? Ti rendi conto che quello è davvero il cadavere di una ragazza? Tu hai ucciso una ragazza, Teddy, e adesso la stiamo seppellendo come se fosse spazzatura! Se questa volta vieni arrestato, trascorrerai il resto della tua vita dietro le sbarre di una cella! Come è successo?”

“Non lo so!” esclamo, riprendendo a scavare “non lo so come è potuto succedere, d’accordo? Ho perso il controllo! Ho incontrato Annabelle in un locale, mi ha chiesto se potevo offrirle una birra e mi ha raccontato che aveva bisogno di un passaggio per tornare a casa, perché aveva litigato con le amiche e l’avevano abbandonata in mezzo alla strada. In macchina ci ha provato con me, l’ho rifiutata e quando lei ha insistito, l’ho spinta contro la portiera. Ho provato a chiederle scusa, sono sceso per raggiungerla, ma Annabelle non ha voluto ascoltarmi. Ho… Ho perso la testa… Nella mia mente ho rivisto tutto quello che Ava mi aveva fatto e…”

“Credevo che in prigione ti avessero aiutato a risolvere questo problema… Non c’era uno psicologo con cui parlare?”

“Puoi stare zitto e aiutarmi con la buca?” rispondo in modo brusco, riducendolo nuovamente al silenzio.

Impieghiamo diverso tempo per scavare una buca sufficientemente profonda, ma infilare un corpo intero dentro il sacco per la spazzatura si rivela essere un compito così complicato che, alla fine, mi limito a coprirlo prima di fare lo stesso con la terra.

Quando terminiamo anche questo, lungo, compito sistemiamo le assi di legno, incastrandole nei buchi vuoti; indietreggio di un passo ed inclino la testa verso sinistra, per osservare con maggior attenzione l’opera finale: è quasi impossibile distinguere le assi spostate da quelle che sono ancora saldamente ancorate tra loro, così do una pacca sulla schiena a James ed usciamo dal fienile, risalendo velocemente in macchina.

Lui si rilassa contro lo schienale del sedile e chiude gli occhi, convinto che la lunga notte sia giunta finalmente al termine, ma non è così, perché dobbiamo ancora occuparci del bagagliaio: non appena parcheggio la vettura dentro al garage, infatti, sollevo lo sportello e con il fascio di luce della pila illumino alcune macchie che devono sparire il prima possibile, o potrebbero incastrarmi.

“Non credi che sia meglio, per te, prendere appuntamento da uno psicologo?” mi chiede Jimmy, strofinando un panno di stoffa contro una delle tante macchie di sangue raffermo “possiamo consultare un elenco telefonico e provare a fare qualche chiamata… Così, per provare”

“Perché mi stai dicendo questo?”

“Perché mi hai aiutato ad uscire dalla tossicodipendenza, anche se ne porto ancora i segni. Adesso sei tu ad avere bisogno di qualcuno a tuo fianco”

“Non voglio parlare con uno psicologo. L’unico con cui ho avuto a che fare mi ha ritratto come un pazzo destinato a trascorrere il resto della propria vita in prigione” mormoro, cancellando una macchia e passando alla successiva.

Un velo di sudore si forma sulla mia fronte mentre ripenso a ciò che quell’uomo ha detto a mia zia, e che io ho origliato alla porta, quasi sedici anni fa.

 
Suo nipote soffre di un disturbo cognitivo. Questo significa che non riesce a percepire ciò che accade nello stesso modo di tutte le altre persone. I discorsi che fa… Le azioni che compie… Questo attaccamento morboso che ha nei confronti della madre… Sono sintomi piuttosto inquietanti che, se non curati in tempo, possono svilupparsi e diventare qualcosa di più pericoloso.
Theodore potrebbe diventare un pericolo non solo per sé stesso, ma soprattutto per gli altri. Per le persone che lo circondano, per le persone che incontra… Il suo disturbo deve essere curato il prima possibile, in una clinica specializzata.
Non stiamo parlando di pazzia, ma c’è il serio rischio che quel seme possa depositarsi e germogliare, signora, se non interveniamo in tempo. La società rischierebbe di doversi occupare, un giorno, di un soggetto pericoloso. Anche lei sa che è sempre meglio prevenire che curare… Non sarà un percorso semplice o indolore, ma è necessario. Assolutamente necessario.

 
Sono costretto a fermarmi per un istante e ad appoggiarmi alla macchina per non cadere a terra; la testa mi gira e sbatto più volte le palpebre per scacciare alcune macchie grigie che sono comparse nel mio campo visivo.

Mai come ora le parole di quell’uomo mi suonano sinistre, come una profezia.

“Teddy? Stai bene?”.

La voce preoccupata di James mi riporta alla realtà, ed annuisco per tranquillizzarlo.

“Si, si… Sto bene. Sono semplicemente stanco perché è stata una lunga notte. Ti prometto che già da domani cercherò uno specialista” mormoro, nascondendo il mio turbamento dietro un sorriso che riesce a contagiare il viso di mio cugino.

Continuiamo ad occuparci del bagagliaio fino a mattina, e siamo così concentrati che non ci accorgiamo dell’arrivo di Margaret, ancora in camicia da notte e vestaglia.
“Ragazzi, che diavolo state facendo in garage a quest’ora?” domanda, legandosi i capelli in un nodo dietro la nuca, appoggiando poi le mani sui fianchi “che cosa state facendo alla macchina?”

“Pulizie generali” rispondo con prontezza, chiudendo lo sportello “ormai sembrava una discarica. James si è offerto di aiutarmi e adesso è come nuova, giusto?”

“Si, giusto” mi da corda mio cugino, infilando le mani nelle tasche della felpa che indossa “non riuscivamo a dormire a causa del caldo, e così abbiamo deciso di occuparci della macchina di Teddy. Ieri, mentre andava a bere qualcosa, non ha visto una pozza di fango. La fiancata sinistra e il bagagliaio erano un disastro, posso confermarlo”

“Ragazzi, a volte riuscite davvero a sorprendermi” commenta Meg, con un sorriso, credendo alle nostre bugie “venite, la colazione è quasi pronta”

“Arriviamo subito” dico, sorridendo a mia volta, ma quando Margaret esce, torno subito serio e mi giro, di scatto, verso Jimmy “forza, terminiamo di ripulire quelle maledette macchie”.



 
La notizia della scomparsa di Annabelle si sparge velocemente in tutta Conecuh County, ma nonostante il cospicuo intervento di forze dell’ordine, quest’ultime brancolano nel buio.

Qualcuno ipotizza un rapimento, altri qualcosa di più grave, ma non c’è una prova concreta che forma una pista da seguire perché, a quanto pare, non esiste un solo testimone oculare.

Semplicemente sembra che la ragazza sia sparita nel nulla.

“Molto probabilmente avrà deciso di scappare di casa con il ragazzo, e l’uscita con le amiche era solo una scusa per non creare sospetti” commenta mia zia una sera, non particolarmente colpita dall’accaduto “sono in molte a fare così, anche io alla sua età ero una ragazza ribelle. Promettetemi, però, di fare attenzione quando uscite, ragazzi. Di questi tempi non si sa mai quali persone s’incontrano per strada”.
 
   
 
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