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Autore: LeanhaunSidhe    26/05/2019    11 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Quando seppe che a convocarla era stato Imuen, Seleina si stupì parecchio. Aveva sempre avuto mezza giornata libera per allenarsi come preferiva e mezza sull'arena. Sapeva che in quei giorni stavano organizzando la visita al Santuario e, che Zalaia fosse davanti alla tenda di Imuen era perfettamente plausibile. Si domandava però, a che pro, convocare anche lei. Era migliorata ma sarebbe stato un po' patetico portarsi dietro una recluta che aveva sì e no raggiunto da una settimana un livello di lotta a mala pena passabile. Imuen le corse incontro e la arpionò non appena individuò il suo odore sulla soglia. La fece sedere al fianco di una femmina altissima che la squadrò, in un mezzo secondo, con una certa aria di sufficienza. Seleina cercò di non farci caso ma il fatto che riuscì ad interpretare le sue emozioni senza troppa difficoltà le fece capire al volo che c'era qualcosa di oltermodo singolare nella sua genetica. I capelli troppo scuri, i lineamenti troppo delicati. Non ne aveva vista quasi nessuna con labbra tanto carnose. Le ricordavano umani delle terre del sud. Vista la distanza per cui viaggiavano i Dunedain, tutto poteva essere. Decisamente, capiva che era meglio tacere. Sul viso di quella ragazza, che ad occhio aveva pochi anni più di lei, c'era un'espressione altera, di una solennità imposta e che stonava. Era un muro tirato su sicuramente per allontanare le persone. Per proteggere se stessa o forse qualcuno che amava? Vide come osservava di tanto in tanto il cucciolo di Imuen e percepì la dolcezza estrema che aveva nei suoi confronti. Nascondeva un'indole di una bontà innata, sotto quelle mani piene di calli e bruciature, strette sopra le ginocchia.

Senza ombra di dubbio una persona interessante.

Quelli che aveva dall'altra parte, invece, erano tutta un'altra storia. Figli di Haldir, in tutto e per tutto. Nei gesti, nelle emozioni, nelle parole che non avevano. Le sorrisero insieme, stupiti. Non c'era alcuna sorta di filtro nei loro cuori ed esternavano con un candore pazzesco la loro contentezza di ritrovare un'altra della loro razza.

Se non altro ridevano. Si trovò a pensare Seleina, facendo un istintivo confronto col suo maestro. Li vide sistemare le spade alla vita e ne contò due per ciascuno. Solo osservandoli bene si vedeva che lentamente, andava scemando la loro sincronia in ogni azione. Evidentemente, si stavano riabituando ad essere due individui diversi, non solo due membri dello stesso branco. Come lei, anche loro avevano le braccia coperte di cicatrici e notarono subito la sua curiosità, afferrando anche lei per un braccio, costringendola a mostrare le proprie. A quella breve distanza, riconobbe il loro odore, non era la prima volta che li incontrava. Tremando, inziando a ricordare, portò invece le mani aperte al centro del loro petto, una per ognuno, in una manifestazione istintiva che per loro tre era del tutto naturale ma che lasciò per qualche secondo interdetti gli altri presenti.

Poi, tracciò il percorso preciso di due solchi profondi, speculari, sulle loro braccia. Il tremore divenne singhiozzò. Li abbracciò di scatto, con slancio. Singhiozzò forte. Strappò una lacrima nascosta anche a loro, mentre li ringraziava e benediceva i loro nomi. Perchè non aveva mai conosciuto prima il loro aspetto umano, ma sapeva benissimo che nella loro forma di lupi avevano difeso tante volte i villaggi di Asgard mentre lei era troppo piccola per capire cosa fossero i perduti, stava male ed era troppo fragile per convincere suo padre. Loro erano già due ed un branco. Aveva riconosciuto la cicatrice, seppure l'avesse vista infierire loro dai perduti solo nei suoi incubi di bambina. Sapeva quanto dolore era costato ai due ragazzi che le sorridevano davanti. Quelle tremende cicatrici ne erano la prova.

Imuen non lo avrebbe mai dato a vedere ma anche lui si era commosso. Nell'agire di quei tre aveva ritrovato l'essenza più autentica del suo gemello, che era appena entrato e sembrava aver ignorato del tutto la cosa. Da quanto Haldir non godeva anche lui di un po' della pace che poteva venire dal benessere dei suoi figli?

Zalaia, invece, capiva solo che Seleina non era avvinghiata non ad uno bensì ad altri due maschi. Aveva appena aperto bocca. Imuen gli tirò una gomitata al fianco e gli sibilò di non azzardarsi ad emettere nemmeno un suono.

 

Contro le sue più rosee aspettative, Imuen si trovò costretto ad ammettere che forse, se si fossero presentati in quel gruppo assortito ad Athene, forse la dea non si sarebbe rivoltata contro di loro. Temeva di poter presentare solo Zalaia come un guerriero degno ma anche i suoi figli che Haldir aveva scelto, guardati sotto la giusta angolazione, non erano affatto male. Soprattutto, non si aspettava che si iniziasse a ricomporre anche un po' del tessuto dei domatori delle anime dei viventi. Gona e Tabe erano un branco errante, solo loro due, da secoli, tanto che qualche lingua lunga li chiamava addirittura coppia. Lui non si era mai pronunciato, non gli importava. Aver visto però il peso che Seleina aveva dato alle loro passate azioni, lo aveva fatto ricredere sulle avventure ed il dolore che quei due dovevano aver affrontato insieme, in solitudine rispetto a tutto il clan. Era palese che ora il branco aveva un terzo elemento. In quel senso, le dinamiche della casta guerriera passavano in second'ordine. In ogni caso, per Seleina era una grossa occasione. Quei due erano senza dubbio eccentrici ma erano anche due guerrieri abilissimi, della vecchia guardia di Haldir. L'ipotesi che potesse avvicinarsi al livello di lotta di Zalaia sarebbe potuta diventare realtà, se la piccola giocava bene le sue carte. Brunilde, invece, si era ritagliata da sempre un ruolo solo suo, con le sue capacità di creare e riparare armi. In cuor suo, Imuen iniziava davvero a credere che, se Athena fosse stata di parola coi suoi cavalieri d'oro, quella sarebbe stata davvero l'epoca in cui tutto avrebbe potuto essere risolto.

 

 

Due settimane passarono in fretta e partire con un drappello poco numeroso non è mai problematico. Quella volta, però, si sarebbero presentati tutti insieme ai piedi delle dodici case. Non appena le stelle sbiadirono nella volta celeste per far posto al sole, Imuen ed Haldir rilasciarono quel tanto del loro cosmo che bastava per manifestarsi. Apparirono in cielo tutti insieme, nella loro forma animale. Imuen ed Haldir correvano pari, davanti; Zalaia e gli altri quattro di Haldir sulla stessa fila, dietro di loro. Mu aveva già avuto modo di assistere ad una scena simile quando i Dunedain erano rientrati insieme dal loro attacco finito male. Era l'unico a non essere troppo sorpreso. Aveva riconosciuto subito i gemelli. Sugli altri, però, non riusciva a pronunciarsi. Aveva capito che erano piuttosto giovani. Uno, addirittura, aveva un pelo fulvo che non gli era mai capitato di vedere. Un altro, invece, era piuttosto piccolo rispetto agli altri. Magari era una femmina. Quando la luce li avvolse e tramutarono nelle loro forme umane, si stupì di trovare non una femmina ma addirittura due. Una era alta quanto Aldebaran e fu certo di non averne mai conosciute così. L'altra, invece, con sua somma sorpresa, la conosceva eccome. Kiki gli aveva detto che Seleina aveva raggiunto il settimo senso ma non credeva che Haldir ritenesse addirittura necessaria la sua presenza in quella circonstanza.. Mu si fece loro incontro. Seleina, soprattutto, gli sembrava diversa. Fisicamente non c'erano stati grandi mutamenti. Tuttavia, i ragazzi che le camminavano al fianco lo colpirono. Somigliavano tantissimo a lei e si capiva ad occhio che erano un gruppo affiatato. Traspariva dagli sguardi e dai leggeri gesti che si scambiavano, difficili da scorgere per chi non sa cogliere i particolari. Mu non aveva dubbi che tutti e tre comunicavano senza parole. Del resto, erano o no figli di Haldir? A differenza del loro progenitore, tuttavia, avevano un'espressione distesa, a tratti vivace, segno di un'intelligenza particolare. Al fianco portavano due spade, esattamente come il loro signore. Mu notò, non seppe dire se con gioia o dispiacere, che Seleina recava con sè le stesse armi. Anche lei sembrava serena, benchè mostrasse anche quella dolcezza con cui lo aveva guidato per le strade di Asgard, la prima volta che si erano incontrati, e lui ancora non sapeva chi lei fosse. Aveva di fronte una donna completa, conscia di chi fosse, che attirava lo sguardo come il luccicare di una pietra rara.

Con l'armatura d'oro, il primo custode si fece loro incontro. Si inchinò per un attimo ai gemelli e poi fece strada verso la casa successiva.

Haldir avrebbe scommesso che, alla tredicesima, sarebbero arrivati scortati da tutti e tredici i cavalieri d'oro. Pensavano forse di mettergli paura costringendoli inferiorità numerica? Il domatore delle anime viventi aveva spostato la mano verso una spada, carezzandone l'elsa. Seleina e gli altri due si scambiarono un'occhiata fugace, prima di proseguire. Mu teneva sotto stretto controllo Haldir in particolare. Studiava la sua disposizione d'animo scrutando quei tre. C'era un filo che univa i loro cuori ed era una cartina al tornasole su cosa il gigante bianco pensasse. Aveva imposto un passo marziale ma non troppo veloce per la risalita lungo i dodici templi e più o meno tutti i Dunedain cominciarono a mostrare segni di impazienza. Probabilmente il caldo del sole che stava iniziando a salire a picco non era propriamente di loro gradimento. La gigantessa fu una tra le prime ad appropriarsi di uno sprazzo d'ombra all'entrata della casa del toro, tirando un breve sospiro per la lieve frescura che vi penetrava. Aldebaran si fece loro incontro gioviale, come si trattasse di un qualsiasi gradito visitatore. Le presentazioni erano state veloci. Soprattutto aveva apprezzato la stretta di mano decisa della ragazza più alta. C'era qualcosa, nel suo modo diretto di mostrarsi alle persone, che gli piaceva davvero. Per il momento, non era necessario che sapesse di essere stato ricambiato ed in maniera ben più definita. Brunilde gli lanciò una fugace occhiata, poco prima che sparisse dal suo campo visivo. Quando però capì che anche lui avrebbe fatto parte della scorta fino alla dea, tutto era, fuorchè preoccupata dell'inferiorità numerica.

L'unica altra casa in cui accadde forse qualcosa degno di nota, fu la quarta, dove Zalaia fu braccato stretto dal suo diretto superiore e si cucì la bocca per principio, deciso ad uscire il prima possibile da un posto che, già prima di entrarci, detestava.

Sarebbe stato naturale che Cancer si unisse alla schiera al loro fianco, vista la natura simile dei loro poteri. Invece, Death Mask preferì di getto accostarsi alla principessina, che quel ragazzo che gli somigliava e avrebbe preferito sbranarlo, aveva un non so che istintivamente gli suggeriva di darsi alla macchia.

Con quel passo, arrivarono alla tredicesima nel giro di un'ora. Più che stremati dal caldo, i loro ospiti sembravano seccati. L'unica che pareva tranquilla era la principessina, ma lei il numero delle scale già lo conosceva. Arrivati alla sala del trono, i dodici cavalieri d'oro, che li avevano seguiti e praticamente scortati per tutto il tragitto, si disposero a cerchio, circondando la loro dea ed il gran Sacerdote, che gli sedeva al fianco. Imuen sembrava aver sorvolato apertamente sul comitato d'accoglienza ma Haldir pareva dell'avviso contrario. Non nascose di trovare ridicole certe precauzioni, quando avevano dimostrato già altre volte di poter penetrare a piacimento le loro difese.

Athena in persona si era alzata dal suo trono e, nella tensione generale dei suoi cavalieri, aveva raggiunto Haldir e gli aveva allungato la mano, in un chiaro invito a stringerla, come saluto.

"E' un onore incontrarti da sveglia."

Haldir gradì la presa di posizione di quella dea coraggiosa e le strinse la mano, abbandonando definitivamente l'elsa della spada. L'aveva sentita priva di paura ma non aveva mai gradito molto il fatto che mandasse avanti semplici esseri umani, lei che era una creatura superiore, ad ogni guerra sacra. Poi, aveva compreso che lei proteggeva gli uomini e la maggior parte di essa era infinitamente più debole dei Dunedain. Morta lei, il genere umano avrebbe perso per sempre una guida. In un certo senso era una scelta obbligata servirsi di quei cavalieri. Anche se lui avrebbe preso per le corna Hades una volta per tutte e da solo. Ma lui non era un dio e la faccenda non gli importava.

"Onore mio, signora della saggezza e della guerra."

Aveva poi girato passato in rassegna tutti i presenti, alla chiara ricerca di qualcuno che conosceva e non trovava. Era certo di averne percepito l'odore.

"E il vostro guerriero migliore dove l'avete nascosto?"

"Kiki veste ora un'armatura d'argento e come tale non fa parte della schiera dorata. Avrete modo di salutarlo più tardi, al banchetto che seguirà questo sunagein."

Nel rispondergli, la reincarnazione della dea gli aveva indicato diversi scranni liberi davanti a sè, sulla stessa tavola circolare attorno a cui si sarebbero seduti tutti gli altri.

I più giovani del gruppo si guardarono scettici, tra loro. Zalaia, in particolare, aveva sussurrato qualcosa all'orecchio del suo maestro.

"Scherzano, vero? I nostri non accetteranno mai il loro cibo."

A denti stretti, Imuen gli aveva fatto cenno di tacere di nuovo. Per una volta si sarebbero dovuti adattare a mangiare carne cotta.

Ad un estremo del tavolo circolare vennero fatti accomodare tutti i Dunedain, i più potenti al centro. I ragazzi di Haldir sembrarono dapprima guardare le sedie senza capire cosa fossero e copiarono Seleina in modo automatico, come spaesati.

Shion li aveva esaminati uno ad uno e non aveva avuto modo di capire molto di loro, eccezion fatta per l'indole, che gli sembrava fondamentalmente buona. Si chiese se Kiki, in qualche modo, avesse comunicato con Seleina. La ragazza sembrava essere del tutto distante dalle sue emozioni come da quelle di chiunque altro in quella sala. Ed aveva anche imparato ad alzare barriere mentali, perchè nella sua testa non riusciva più ad entrare in alcun modo, nella sua, come in quella di chiunque altro di quel gruppo stranamente assortito. Avevano predisposto degli scranni abbastanza alti ma era come ficcarci Aldebaran dentro. Come li mettevi li mettevi: ci stavano scomodi. Erano buffe le due ragazze, vicine, artigli e zanne a parte. Sembravano di due razze diverse se affiancate, vista la differenza della stazza. La principessina di Asgard in particolare pareva fin troppo umana.Aveva cercato con lo sguardo Mu, non troppo felice di vedere la sua attenzione focalizzata su quella della figlia di Cristal. Probabilmente condivideva la sua impressione, che non fosse li per meriti in battaglia, quanto piuttosto per un certo ruolo di mediazione, non sapeva ancora se tran Dunedain e cavalieri di Athena o solo tra i Dunedain stessi.

Presto, però fu la dea a prendere parola e ad attirare su di sè l'interesse di tutti. Si fece silenzio tra i cavalieri d'oro come tra i loro ospiti. Un incontro con entrambi i gemelli che domano le anime, nel santuario di Athena, come in quello di ogni altra divinità, non si era mai visto.

"Sono felice che siamo tutti qui, riuniti, e che abbiamo l'occasione di ringraziarvi di persona. Perchè al di là del pericolo che si profila, è un dono inaspettato e troppo prezioso quello che ci avete elargito."

Spiegò per prima la reincarnazione della dea, allargando le braccia ad indicare tutti i suoi paladini che vestivano le armature dorate, sottintendendo anche Kanon, assente in quel frangente.

Imuen scrutò Milo e Ioria, indicandoli apertamente e chiedendo i loro nomi.

"Ricordo bene che siete riusciti a colpirmi, insieme. Sarebbe divertente misurarmi ancora con voi."

Data l'indole sanguigna, entrambi accettarono l'offerta di buon grado.

Haldir, più spiccio nei modi, aveva invece fretta di arrivare al sodo.

"Il vostro cavaliere d'Ariete vi ha anche spiegato che non si tratta di un dono gratuito, dea della guerra."

Athena aveva acconsentito. Quel punto era fin troppo palese. I Dunedain si sarebbero occupati dei perduti di Asgard, a loro sarebbe spettata la rogna fuori da quei confini.

"Sarebbe il caso che ci spiegaste che tipo di avversari ci troveremo ad affrontare allora, e soprattutto il loro numero esatto."

Shion non era abituato, esattamente come Haldir, a girare tanto attorno alle questioni.

"Il vostro ragazzo, Kiki, vi ha raccontato dell'ultimo scontro che ha avuto coi perduti. Il mio sigillo si va esaurendo. Torneranno quelli che erano. Non saranno più mere ombre ma esseri di carne. Anche il loro potere aumenterà a dismisura. Torneranno ad essere, in potenza, i figli che ho forgiato. Ma le loro anime, le avete viste."

Era la prima volta che Haldir tradiva un sentimento, mentre parlava. Si era rivolto a Mu.

"Tu hai provato in parte cosa sentono. Tuo fratello ha intravisto cosa sono. Quelle non sono le anime dei miei figli. Non lo sono più."

La barriera che avvolgeva la mente di Haldir, per una frazione di secondo era caduta. Di nuovo, Mu provò per lui una pena profonda, perchè quel guerriero parlava davvero come se avesse perso non solo degli amici ma davvero qualcuno con cui condivideva ogni cosa. Se lui aveva con i figli che aveva perduto lo stesso vincolo che Seleina aveva con quei due ragazzi che le somigliavano, allora era anche comprensibile perchè fosse così cupo. Cosa si provava quando il dolore di perdere una persona cara si moltiplica a dismisura? Anche Shion, in un certo senso, aveva compreso.

"Di quanti guerrieri parliamo, sire Haldir?"

Lo interrogò, ricordando l'appellativo con cui lo nominavano i suoi.

"Solo Haldir. All'inizio circa cento. Il problema grosso è dato da quelli che si sono aggiunti poi."

Shion corse con la mente al rischio corso da Mu e comprese. Non sapevano esattamente quante volte i sigilli ai perduti fossero stati rimessi, ma doveva trattarsi di parecchie.

"Non sappiamo esattamente quanti sono. Certamente sono aumentati ogni volta che la mia magia si rompeva. La prigionia del mio gemello ha decretato la fine della nostra razza. Noi Dunedain esistevamo solo liberi."

Imuen si era morso il labbro. Quel punto avrebbero dovuto chiarirlo prima tra loro, non in piazza in mezzo ad estranei. Haldir, però, era di altro avviso. Lo aveva ricambiato come se non ci fosse stato nulla da chiarire ed aveva alzato la voce.

"I tuoi simili, Athena, sono stati la rovina dei miei! La loro invidia e paura ci ha rovinati. Se tutto questo avrà fine, ti giuro che ti porterò in dono la testa di Ade, di Poseidone, o di qualsiasi altra divinità si opporrà al tuo passo. Solo questo voglio. Lavare le mie lame col loro sangue!"

Atena stessa aveva sempre pensato di sigillare ma mai di uccidere, perchè era estraneo alla sua natura, perchè credeva che non potesse essere fatto. In realtà, parte del timore che le divinità nutrivano nei confronti dei Dunedain erano dovute anche alle loro capacità di poterli distruggere. Imuen, del resto, non era stato imprigionato anche per quello? Rendere inoffensivo il gemello doveva essere l'altro passo ma Haldir era stato più scaltro e non aveva mai dimenticato.

La dea, tuttavia, sembrava titubante.

"Credi davvero che ai tuoi fratelli importi degli umani, che tu difendi ed ami? Per loro, i primi a morire dobbiamo essere io ed Imuen. Tu dopo di noi. Non ti faranno sconti. Lo vedi ad ogni guerra sacra. Non sei stufa di mandare a morire i tuoi paladini come carne da macello? Quanti sacrifici vuoi ancora chiedere alle persone che ami? Perchè io lo so, che tu li ami."

La voce di Haldir era calda, vibrante, viva. Il gigante bianco aveva posato le mani aperte sul tavolo e per un momento temettero che il legno non regesse il suo peso. O forse era l'imponenza della sua figura.

A Imuen sembrarono essere passate ere da che l'aveva sentito tanto coinvolto. Era tornato per un attimo il condottiero che aveva guidato un esercito per cercare di liberarlo, non la maschera apatica che a cui si era abituato negli ultimi secoli. Aveva riconosciuto il suo gemello. Imuen si era alzato al fianco di Haldir. Erano pari in altezza.

"Atena, tu c'eri quando mi hanno condotto via in catene. Tu sai della schiavitù che hanno gettato sui miei figli. Sai a cosa i tuoi simili ci costringevano: eravamo solo burattini. Divinità che non avevano i poteri di Hades ci manovravano come marionette, per obbligarci ai loro voleri scellerati. Non mentire. Anche tu ne eri sdegnata, amica mia."

Consci di avere l'attenzione di tutti i presenti, Haldir incalzò ancora.

"Voi tutti: dimenticate da cosa vi abbiamo liberati? Non era certo un sereno oblio quello a cui vi obbligavano. Non sareste felici, liberarvi di Hades una volta per tutti: nessuno dei vostri figli dovrebbe più conoscere il dolore di dover allenarsi per guadagnarsi l'investitura."

Haldir si placò all'improvviso, il viso girato verso la principessina: dal disappunto di lei, intuì di aver toccato il tasto sbagliato per convincerli. C'erano pur sempre questioni che riguardavano ogni razza per conto proprio. Come ottenere l'investitura per un cavaliere di Athena, evidentemente, doveva riguardare solo loro. Anche se, onestamente, a giudicare da come li sentiva scossi, ne aveva convinti parecchi.

"Per tornare alla tua domanda, Shion."

E già era tanto che non lo aveva chiamato umano o, per essere precisi, lemuriano.

"Non ho idea di quanti siano attualmente i perduti. So solo che sono troppi. Traggono energia divorando esseri umani di livello basso, non dotati di cosmo, per capirci. Ma se riescono a catturare anche solo uno col vostro potenziale, state certi che non solo sarete cibo ma finirete per diventare come loro. Negli anni ho perso altri dei miei figli in questo modo e temo che ci siano anche diversi cavalieri, tuoi o di altre divinità, insieme a loro. Quando si ha fame come ne hanno loro, si divora tutto."

Shion, con lui, non poteva optare per nessun tipo di richiamo all'etichetta, per cui controbattè e basta.

"Quindi, Haldir, è perchè sono aumentati di numero, mentre voi siete diminuiti parecchio, che non riuscite più ad apporre i sigilli da soli."

Semplicemente, il gigante bianco, confermò. Pattuirono anche di mostrare quanto potevano delle tecniche di attacco dei nemici che sarebbero stati costretti ad affrontare, per provare ad approntare insieme un piano di difesa.

Era la prima volta che dei Dunedain entravano nel santuario di una divinità. Ciò che gli olimpici bramavano con le catene, la dea della guerra lo stava ottenendo con l'amore più scontato, che aveva imparato dall'umanità.

   
 
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