Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: _Frame_    26/05/2019    4 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
---
[On going: dicembre 1941]
---
[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

198. Il miracolo del proiettile e Leccarsi le ferite

 

 

Russia distese il braccio e accostò la bocca del fucile al petto di Romano. Il suo viso insanguinato si distese, rilassato e senza emozione, ma dagli occhi trasudò una profonda rassegnazione. “Addio, Romano.” Spinse l’indice sul grilletto e lo sparo esplose.

Romano incassò la spinta del proiettile, venne sbalzato indietro, e cadde con quell’espressione smarrita stampata sul volto, come se la sua mente si fosse staccata, come se i suoi occhi già grigi e annebbiati fossero rivolti altrove, fuori dalla trincea, lontano dal campo di battaglia.

Quel lampo si specchiò negli occhi sbarrati di Germania, nel suo viso ancora scosso dallo scoppio dello sparo, dall’eco che gli ronzava nelle orecchie, allungandosi in un fischio sordo. Germania stesso incassò quel bruciante pugno di piombo che gli sfondò le costole fino a raggiungere il cuore, facendogli provare un dolore che non pativa dalla Battaglia di Kiev, da quando le grida disperate di Italia gli avevano lacerato l’anima.

Romano crollò di schiena, perse un rigetto di sangue dal petto, ricadde sulla spalla, batté la guancia sul braccio rovesciato mentre l’altro si accasciò sul torso ferito, la mano bianca a ciondolare come un fiore appassito. I suoi occhi chiusi non emisero un battito. Le poche tracce di neve sporca che si erano frantumate sotto la sua caduta si sciolsero sotto la chiazza di sangue sempre più larga.

Russia calò il fucile fumante e passò una manica sul viso, sulla maschera di sangue e neve sciolta che nascondeva la sua espressione di nuovo rosea e soddisfatta. “Uno è andato.” Guardò Germania da dietro il braccio ancora accostato alla guancia. Gli occhi carichi di una cattiveria cruda. “Quanto credi che ci vorrà perché anche Italia faccia la stessa fine?” Compì un passo e calpestò la neve rossa del sangue di Romano. “Quanto tempo credi che servirà all’altra metà d’Italia per farsi risucchiare dall’energia morente del fratello e per perdere la forza e la voglia di rimanere in vita?”

Dentro Germania si spalancò di nuovo l’immagine di Italia trafitto e giacente immobile, con il capo girato e gli occhi chiusi, morto come suo fratello. È colpa mia. Tornarono il grido di dolore di Italia, gli occhi colmi di terrore, il pianto che gli aveva rigato le guance, l’amara consapevolezza della sua colpa. Italia è di nuovo in pericolo di vita. Ed è solo colpa mia.

Russia tornò a girare lo sguardo. “Dici che sia già morto?” Accostò la punta del piede a una gamba di Romano e gli diede un colpetto. Il corpo di Romano non reagì e Russia sorrise, gli occhi di nuovo su Germania. “Italia ora starà morendo lontano da te, Germania. Italia sta morendo e tu non puoi farci niente.”

Il rosso del sangue di cui la neve era tinta sotto il corpo ferito di Romano si riflesse negli occhi di Germania, bruciò l’azzurro delle sue iridi. Quella superficie di ghiaccio limpido si sgretolò ed esplose sotto la vampata di rabbia fiammeggiante che aveva cominciato a raggomitolarsi e a bruciare nel suo cuore nel momento in cui si era ritrovato debole e impotente davanti al rapimento di Italia, quando non aveva potuto far altro che rimanere con lo sguardo alzato e allucinato invece che uccidere Russia come avrebbe voluto. Il flusso di rabbia liquida e infuocata pulsò attraverso il petto, batté contro i proiettili incastrati nella schiena, contrasse le ferite della baionetta che Russia gli aveva affondato nel ventre e sopra la clavicola, e s’innalzò attorno a lui in un’ombra nera che cancellò ogni pensiero dalla sua testa, lasciandovi solo immagini che grondavano sangue.

Germania fu contro Russia prima ancora di accorgersene, lo aggredì scagliandolo contro una parete della trincea, lo immobilizzò piantandogli la mano sotto la gola nuda, affondò le unghie nelle cicatrici fino a fargli sanguinare il collo già attraversato dai tagli bianchi, e gli stette addosso con il suo fiato rovente, con i suoi occhi che erano chiodi di ghiaccio. Una delle due pistole gli pesava ancora nella mano libera, ma Germania ignorò il richiamo della sua voce metallica. Non voleva sparargli, voleva percepire la sensazione del sangue fra le dita, dei respiri sibilanti sotto la pressione delle unghie, della pelle che si schiudeva permettendogli di piantare la mano ancora più a fondo.

Russia sorrise. Nemmeno una traccia di agonia nei suoi occhi racchiusi fra le ciglia insanguinate. “Cosa aspetti, Germania?” Spinse la nuca all’indietro. “Mi hai proprio sotto le mani. Sparami.”

Germania strinse i denti, la sua bocca vibrò assieme al suo respiro contenuto. “No.” La sua voce s’inspessì, più roca ed estranea, come un eco di quel battito furioso che gli picchiava sulle tempie. “Non così facilmente. Non ti meriti una morte così pietosa.” Schiacciò la presa fino a far schioccare le falangi, fino a percepire gli spasmi della gola lacerata battergli sotto le dita grondanti di sangue. “Voglio sentire il tuo ultimo respiro corrermi sotto le dita, voglio vedere l’agonia impressa sulla tua faccia, voglio che tu ti renda conto di star morendo per mano di un nemico.”

Russia rise dall’ombra. “Non mi ucciderai mai, Germania.” Ingoiò un respiro più rauco e la presa granitica di Germania gli scavò nella carne, le sue unghie entrarono più a fondo e gli diedero l’impressione di avere un masso incastrato in fondo alla lingua. Ma continuava a respirare. “Nessuno di voi può uccidermi.” I primi rivoli di sangue scivolarono dagli angoli delle labbra, si unirono sotto il mento, gocciolarono sul polso di Germania. “Non si può uccidere una nazione come me, una nazione che viene mantenuta in vita grazie al legame con altri paesi e altri popoli. E finché io sarò vivo, tu non arriverai mai a Mosca. E se tu non arriverai mai a Mosca, non rivedrai mai più Italia.” Si aggrappò con una mano alla nuca di Germania, gli serrò le dita alle radici dei capelli, e accostò la guancia alla sua per sibilargli all’orecchio. “Italia morirà da solo.” Lo solleticò con un sorriso. “Lo ucciderò esattamente come ho appena fatto con Romano pur di non permetterti di riprendertelo.”

Germania contrasse la mano con cui lo aveva immobilizzato, gli spinse la pistola alla tempia, e pigiò l’indice sul grilletto.

Russia diede un colpo di polso al suo braccio, cacciò via lo sparo che gli esplose sopra l’orecchio, solo sfiorandogli i capelli, agguantò la pistola al volo e sparò due volte al petto di Germania, facendolo sbalzare indietro come era successo con Romano. Sgusciò contro il suo fianco tremante di dolore, volò fra le macerie che riempivano la trincea, e si spinse fuori, passando dall’ombra delle pareti di terra all’ombra delle strutture di cemento armato.

Germania aprì la mano sul petto sanguinante, respirò a denti stretti, stritolato anche dal dolore proveniente dalle ferite alla pancia e alla schiena, e in quello stordente lampo nero visualizzò Russia che fuggiva per la seconda volta lasciandosi dietro una scia di sangue. No! Nonostante il respiro corto e il sangue sempre più copioso raccolto ai suoi piedi, una nuova vampata di energia soffiò via il torpore dei muscoli. Non mi scapperà di nuovo!

Si gettò anche lui con uno slancio contro la cima della parete, tirato verso il basso dal peso dell’MP40 che, ancora carico, gli giaceva sulla schiena ferita, e si tirò fuori dalla trincea. Aveva la pistola ancora stretta nella mano insanguinata. Distese il braccio indebolito dalla ferita alla spalla e sparò tre volte alla sagoma sfocata di Russia.

Questa volta lo scosse un primo cedimento. Russia scivolò sulle ginocchia, piegò un gomito a terra, ricadendo in avanti con le spalle, e rabbrividì arricciando una smorfia di dolore, la smorfia di un bambino che si è sbucciato le ginocchia sulla ghiaia. Attorno a lui si spanse la larga ombra di sangue disciolto dal suo corpo massacrato.

Germania rimase fulminato da una scossa di speranza. Sta cedendo. Lo sto riducendo al limite, nemmeno lui può resistere per sempre. Piantò una suola a terra, strusciò il piede, e ripartì alla carica. Ora devo solo insistere.

Russia lo schivò con uno scatto che lo riportò in piedi, colpì le gambe di Germania, per farlo cadere al posto suo, e fu scosso da una breve risata di vittoria. “Te la immagini la faccia di Italia ora che morirà lontano da te, dalla nazione che aveva giurato di proteggerlo?” insistette. “Secondo te come sarà?” Scivolò indietro ed estrasse la baionetta che aveva staccato dal fucile e con cui lo aveva già ferito due volte. “Sarà triste, o deluso? Morirà piangendo, magari. Morirà e il suo ultimo pensiero sarai tu. Tu che sei rimasto a guardare quando aveva più bisogno di te.”

Germania compì un altro slancio, gli scagliò addosso l’abbaglio nero della pistola.

Russia sollevò la baionetta e schivò il colpo fendendo l’aria con una scia d’argento. “Oppure morirà in silenzio?” gli domandò ancora. “Si spegnerà lentamente, senza più nemmeno la speranza di vederti arrivare, solo con la triste consapevolezza che tu l’hai abbandonato per sempre.” Arretrò e sbatté la schiena contro le casse di esplosivo affianco alla struttura di cemento, le stesse da cui Germania aveva attinto per disintegrare la barriera di macerie e raggiungerlo mentre stava combattendo solo contro Romano. Russia mollò la lancia della baionetta e acchiappò due cariche.  “Che finale tragico, non è vero?”

Gli spari di Germania gli esplosero contro e Russia gli lanciò addosso i panetti delle cariche.

La nube nera della doppia esplosione fu un breve drappo di tregua fra loro due, un eco rantolante dopo gli schiocchi secchi degli spari.

Russia attese che il fumo si diradasse, che i suoi occhi potessero di nuovo posarsi su quelli di Germania. “Come farai a convivere con un peso del genere per tutto il resto della tua vita?”

Germania strinse le palpebre, allontanò quelle parole che facevano più male di tutti i proiettili ingoiati dal suo corpo. Non è vero. Non è vero, sta mentendo. “Italia è vivo!” gridò. “I tuoi sotterfugi con me non funzioneranno mai, perché so che Italia è ancora vivo!”

“E anche se lo fosse?” Russia infilò il braccio dietro la schiena, da dove prima aveva sfilato la baionetta, ed estrasse la pistola dal fodero sotto l’orlo della giacca. “Poi cosa speri di fare con lui?” Puntò l’arma su Germania. “Di andare a salvarlo? Di portarlo via dalla tana dell’orso?” Sparò una serie di colpi che Germania schivò, ma le sue parole d’accusa continuarono a grandinargli addosso. “E se fosse lui quello a non voler tornare assieme a te? Tu hai permesso che lo rapissi, hai lasciato che io uccidessi Romano, e Italia non ti vorrà mai più al suo fianco dopo quello che hai lasciato capitare a lui e a suo fratello. Non vorrà mai più vedere la tua faccia.”

Germania ricadde sul fianco, battendo l’anca contro l’MP40. Si sfilò la mitragliatrice leggera dalla schiena e fece fuoco contro le casse d’esplosivo accatastate sulla parete di cemento.

La bolla esplosiva che ruggì attraverso l’aria fu pari a quella provocata dalle cannonate incrociate. Travolse uno spigolo del deposito di cemento, si disciolse in una larga e densa colonna nera, raccolse la frana di detriti sgretolati sotto lo schiaffo di fuoco, e la lingua della frana si rovesciò fra Russia e Germania, tornando a dividerli tramite un muro di fumo e calore.

Russia ne uscì a passo duro e incalzante, la pistola in una mano e la baionetta nell’altra. I suoi occhi gelidi perforarono lo strato di fumo e trapassarono lo sguardo di Germania. “Anche se arrivassi a Mosca, come farai ad affrontare Italia dopo tutto quello che gli hai fatto? Presentandoti da lui con le mani macchiate del sangue di suo fratello?” Un’ombra nera gli incupì il volto insanguinato. “Assassino,” lo accusò. Quella parola fu più violenta e dolorosa di tutti i colpi di baionetta che aveva affondato nel corpo del suo nemico. “Sei solo un assassino che non è in grado di prendersi cura delle nazioni di cui dovrebbe essere responsabile. Tu non meriti degli alleati, non meriti di incarnare un paese come il tuo.” Si armò di un fine sorriso di sfida. “Non meriti di essere un discendente dell’impero fondato da tuo fratello.”

Il volto di Germania impallidì di colpo, raggelando e sgranando gli occhi come se Russia gli avesse scaricato uno schiaffo sulla guancia. Si lasciò travolgere di nuovo dal desiderio viscerale di sentirlo spirare sotto la presa delle sue dita contratte e insanguinate, e lo aggredì a mani nude.

La baionetta di Russia disegnò un altro arco sfrecciante dal basso verso l’alto e trapassò il braccio di Germania. La punta aguzza e gocciolante di sangue a dividere i loro sguardi.

“Italia sarà disgustato da te,” commentò ancora Russia. “Preferirà vederti morto piuttosto che averti di nuovo al suo fianco.” Strinse la presa sull’impugnatura e spinse la baionetta ancora più a fondo. Uno schizzo di sangue accompagnò il movimento e gli bagnò le guance. “Rinuncia!”

Germania usò la mano libera per aggrapparsi all’estremità superiore della baionetta affondata dentro il suo braccio e tenne salda la presa, senza far trasparire nemmeno un fremito di dolore. “Mai!”

“Rinuncia, Germania!” Russia ruotò la lama e la spinse più in alto, fino a che il cri-crack! dell’osso scheggiato si unì allo squish! della carne lacera. “Rassegnati all’idea che ormai non esiste più alcuna motivazione per te e Italia di tornare assieme. Rassegnati all’idea che non ti perdonerà mai di aver lasciato morire suo fratello!”

Tutto il dolore che Germania aveva sigillato nel suo cuore dopo Kiev tornò a traboccare, sciolse la sua espressione granitica, lo rese consapevole del flusso di sangue che grondava dal suo corpo, delle ferite che avevano scavato dentro di lui, del suo fiato sempre più corto e dei suoi muscoli sempre più pesanti e affaticati.

Russia gli sfilò la baionetta dal braccio, la impennò tracciando una scia di sangue, e puntò l’estremità aguzza fra la spalla e la clavicola di Germania, pronto ad affondare di nuovo il colpo.

Germania gli agguantò il polso, bloccò il fendente, ficcò due dita dentro una delle ferite che i proiettili avevano scavato nel corpo di Russia, trasmettendogli una ghiacciata scarica di dolore, e lo spinse a terra. La baionetta fu sua. Germania gli cadde sopra bloccandogli i fianchi fra le ginocchia, ripeté il gesto che Russia stessa aveva levato sopra di lui, mirando la punta della baionetta sul suo petto, e affondò la pugnalata.

Russia respirava ancora. Il sangue spanto dalla ferita al petto si estese divorando la stoffa della giacca, fino a bagnargli la mano che teneva stretta dove la lama affondava, dove gli spasmi lo scuotevano con più insistenza, cercando di strappargli gli ultimi battiti dal cuore mancato di striscio.

Anche Germania sudava sangue. Sangue dal suo corpo, dai suoi capelli, dai suoi occhi e dal suo respiro. Teneva lo sguardo fermo su Russia come sperando che sarebbe stato quello a infliggergli il colpo di grazia.

Russia intercettò quel desiderio nel suo sguardo, ne fu felice. “Finalmente, Germania.” Gli sorrise. “Finalmente stai cominciando a emergere.” La tensione sulle sue spalle si distese, una gonfia bolla di condensa si squagliò fra le labbra bianche come la neve su cui era disteso. “Finalmente stai cominciando a buttare fuori tutta quella rabbia cieca che ti sta divorando e di cui non sei mai riuscito a sbarazzarti.”

Germania dovette prendere fiato. Non si sentiva più la faccia, le labbra si appendevano alla poca aria che riusciva a guadagnare fra un boccheggio e l’altro, e i suoi occhi non batterono ciglio per non addensare la patina nera che gli offuscava lo sguardo. “Libera Italia.” Le braccia tremarono e lui dovette schiacciare la presa sulla baionetta per non farsela sfuggire dalle dita. “Libera Italia e io rispetterò i patti. Ucraina è nelle retrovie, non è a Berlino. Libera Italia e io accetterò di riconsegnartela.”

Russia scosse lentamente il capo. “Non si è mai trattato di questo,” soffiò. “Non si è mai trattato del baratto, e tu lo sai.” Sovrappose la mano insanguinata alla sua e lo tenne legato a lui, gli impedì di sottrarsi. “Tu non rivedrai mai più Italia.”

Germania rispose con un ringhio di ferocia. “E allora tu non rivedrai mai più tua sorella. La ucciderò subito dopo aver ucciso te. Arriverò a Mosca anche senza di lei, anche se si dovesse trattare di raggiungere la capitale a piedi, senza il mio esercito.”

“E cosa credi che otterrai dopo? Una volta conquistata la mia capitale e la mia intera nazione, di cos’altro avrai bisogno per sentirti finalmente soddisfatto?” Gli occhi di Russia luccicavano ancora di vita, di pena e compassione. “Del mondo intero? E anche se riuscissi a conquistare l’intero pianeta, poi cosa ne faresti?”

Germania schiuse le labbra e si soffocò con quel breve spasmo di fiato, senza sapere cosa rispondere. La mente bianca.

Russia fece scivolare la mano insanguinata da quella di Germania, distese il braccio, e gli posò un’impronta rossa sulla guancia. “Perché hai infranto la nostra alleanza, Germania?” Apparve più fragile e vulnerabile con in bocca quella domanda che con in corpo tutti i proiettili che lo avevano trapassato. “Perché hai aggredito la mia nazione?”

Tornò lo sguardo apprensivo di Ucraina, la stessa mano calda sul suo viso, le stesse parole cariche di dolore. “Quando ti guardo negli occhi, riconosco lo stesso dolore e gli stessi tormenti di mio fratello. Lo stesso bisogno di essere compresi, e la stessa necessità di aggrapparsi all’anima di qualcun altro per non sentirsi perso, per non sprofondare nella solitudine. Lo stesso sguardo di chi non crede che ci sia più nulla di buono da salvaguardare nel mondo, nulla per cui valga la pena vivere se non quel massacrante bisogno di conquiste che non riesce comunque ad appagare il vostro tormento, a darvi pace. Riconosco la luce di chi è perso e di chi sta vagando nel buio usando la forza per aprirsi una strada di cui comunque non conosce la direzione. Ma non è in questo modo che ti salverai dall’oscurità, Germania.”

“Se ora tu mi ucciderai, Germania,” disse ancora Russia, “quali credi che saranno le conseguenze? Vuoi farmi morire così, lontano da Mosca, lontano dalla mia gente, dalle mie sorelle, senza nemmeno avermi dato l’occasione di dire addio a Ucraina?” I suoi occhi bordati di sangue s’inumidirono e traballarono, fragili come la neve che si stava sciogliendo sotto il suo flusso di sangue. “Vuoi davvero renderti complice di una crudeltà simile? Come puoi essere così senza cuore?”

Germania non distaccò lo sguardo, non mostrò nemmeno un brivido di timore o esitazione davanti a quelle accuse. “Io non sono senza cuore.” Lo aveva sentito ruggire di rabbia, spezzarsi di dolore, continuare a battere nonostante le ferite sul suo corpo. Il suo cuore non era un’illusione. “Io non sono come te. Io do valore ai miei alleati e ai loro legami, tu invece li tratti come pedine inanimate, pretendendo che ti rimangano fedeli fino alla morte, senza dare loro nulla in cambio. Tu non sei capace di provare alcun sentimento nei loro confronti. Sei tu quello senza cuore.” Più faceva pressione con la baionetta conficcata fra le sue costole, senza riuscire a raggiungere l’ultimo respiro di Russia, più se ne convinceva.

“E tu ti credi tanto diverso da me?” Russia lasciò ricadere il braccio. “È inutile che provi a essere ciò che non sei, Germania, ed è inutile che ti aggrappi a Italia sperando che sia lui a trasformarti in qualcosa che non riuscirai mai a diventare. Noi due siamo uguali. Tu, io, e anche tuo fratello. Siamo tutte nazioni potenti e dominatrici che abbiamo inconsciamente stretto un patto con il nostro destino per essere diventati ciò che siamo. Rinunciare alla nostra umanità è stato il prezzo che ci ha permesso di elevarci in cima al mondo.” Nonostante tutte le bugie e gli inganni, ora i suoi occhi erano carichi di una cruda verità condivisa da entrambi i loro animi. “Il motivo per il quale stai soffrendo non è perché ti ho portato via Italia, ma perché il tuo animo ora non sa più quale lato assecondare, se quello umano o quello da nazione. Dovresti arrenderti all’evidenza che tu rinunceresti persino a Italia pur di ottenere quello che vuoi per il tuo paese, come hai fatto a Kiev. Non c’è niente di male in questo. Siamo nazioni, dopotutto, l’egoismo fa parte della nostra natura.” Tornò a sorridergli. Il sorriso più tiepido e comprensivo di chi condivideva lo stesso dolore. “Sii più egoista e meno ipocrita con te stesso. È questo il segreto per sopravvivere alla crudeltà di questo mondo, credimi. Non c’è niente di nobile nell’essere una nazione umana. Non c’è niente di nobile nella compassione o nella sconfitta, nell’aver scelto i sentimenti anziché la vittoria. Cerca di rendertene conto prima che sia troppo tardi.”

“Non...” Quelle parole rimbombarono nella testa di Germania, non gli diedero tregua come se si fosse trattato di una serie di spilli conficcati nel cranio. Più egoista e meno ipocrita, il segreto per sopravvivere alla crudeltà di questo mondo, nessuna nobiltà nella compassione e nella sconfitta. “Non provare a manipolarmi.” Germania corrugò la fronte, soffiò un sospiro più lungo, e fulminò Russia da dietro la condensa e lo strato di sangue che ancora gli gocciolava dai capelli. “Con me non funziona, e le tue parole sono solo dettate dalla paura della sconfitta. Sai di non avere più alcuno scampo e stai solo cercando di farmi desistere. Non ho intenzione di sottomettermi alle parole di una nazione morente come te.”

“E cosa intendi fare, allora?” L’espressione di Russia si rasserenò. “Uccidermi?” Il peso del suo corpo si accasciò, il petto contratto smise di fare resistenza alla pressione della baionetta, il viso ricadde di lato premendo la guancia sulla neve, e il suo sguardo si fece più distante. “Coraggio, allora, uccidimi. È finalmente arrivato per te il momento di scegliere fra la guerra e Italia.”

Germania allentò le dita sulla presa, fece scivolare di lato un ginocchio, per non schiacciargli l’anca, ed esitò. “Cosa stai dicendo?”

I violacei occhi di Russia tornarono sottili e affilati, brillarono di furbizia. “Sei proprio sicuro che Italia sia a Mosca?”

Quello sguardo, quella frase, quel fiato bianco che continuava a vibrare fra le sue labbra ancora aggrappate alla vita, furono un ennesimo affondo di baionetta nel ventre di Germania.

Russia si aggrappò a un suo braccio, risollevò le spalle – il viso di nuovo indolore come quando si trovavano nella trincea –, e gli si avvicinò. “Io sono l’unico che sa dove si trova Italia. È inutile che ci prendiamo in giro. Fin da quando ci siamo scontrati a Kiev sapevamo che sarebbe finita così. Nessuno ha mai avuto intenzione di cedere l’ostaggio, nessuno dei due ha mai avuto intenzione di accettare lo scambio. Entrambi abbiamo sempre voluto la stessa cosa: vincere la battaglia senza mollare la presa sul prigioniero. Per questo tu non raggiungerai mai Italia. Uccidimi, e non arriverai mai da lui. Finirà per soccombere, da solo, imprigionato, lontano dalla sua nazione, lontano da suo fratello che ora potrebbe essere già morto. Sarà come togliere l’acqua a una pianta che è stata sradicata da terra, vedrai.”

Germania si convinse di continuare a respirare, di tenere la mente staccata da quelle immagini, di rimanere intero. “Stai mentendo.”

“E sei disposto a scommetterci?” La presa di Russia sul suo braccio rimase salda. “Proprio adesso Romano è in fin di vita. Forse è già morto, considerando che gli ho sparato al cuore. E secondo te Italia riuscirà a sopravvivere, dopo una ferita del genere inflitta al suo stesso fratello? Per loro non valgono le nostre stesse leggi di sopravvivenza, dovresti saperlo. Romano morirà e Italia se ne andrà con lui. Ma tu avrai ottenuto la mia nazione, avrai guadagnato la tua vittoria.” Russia flesse le sopracciglia e sul suo volto tornò a dipingersi quell’espressione avvilita che gli aveva già mostrato quando gli aveva posato la mano sulla guancia. “Allora perché non stai esultando, se è questo che vuoi? Forse perché ne sei consapevole? Sei consapevole che, anche se tu tornassi da Italia, e anche se Italia riuscisse a sopravvivere a Romano, tu avresti mai il coraggio e la dignità di abbracciarlo con le stesse mani che hanno lasciato morire suo fratello?”

“Io non...”

“Come ti giustificherai davanti al fatto che mi hai permesso di uccidere metà del suo paese, metà del suo cuore?” Russia non gli diede tregua. “Italia non ti perdonerà mai, e tu non riuscirai mai a perdonare te stesso. Sarai tu la causa della sua sofferenza più grande, non io. Anche se otterrai l’Unione Sovietica, sei davvero disposto a sopravvivere con questo peso? È ora che tu lo capisca, Germania. È ora che tu lo capisca e che accetti la realtà dei fatti. Cos’è più importante per te? La guerra o Italia?” Si strinse nelle spalle. Ora era lui quello a dare l’impressione di essersi arreso. “Forse è solo in questo modo che troverai finalmente un po’ di pace.”

Le labbra di Germania rimasero schiuse, fredde e secche, la sua mente ronzante di confusione, il suo cuore dolorante per il conflitto che gli stava straziando l’animo, e il suo sguardo si abbassò per la prima volta, incapace di sostenere gli occhi disumani di Russia che parevano leggergli dentro.

Qualcosa franò dalla lingua di detriti che si era sbriciolata dopo l’esplosione che aveva travolto la facciata dell’edificio in cemento, poche macerie cozzarono fra loro e rotolarono dentro la trincea, riversandosi fra le pareti dove Romano giaceva ancora incosciente.

Nel cuore di Germania riapparve quel guizzo, quel piccolo tuffo di paura che gli fece rizzare lo sguardo appannato da sangue e sudore. Invocò il suo nome come una dura preghiera. “Romano.” Si rialzò, abbandonò Russia nella neve zuppa del sangue di entrambi, lo lasciò sofferente, rannicchiato e con ancora la baionetta piantata nel petto, e si tuffò verso la trincea. “Romano!”

Si tenne aggrappato con una mano al bordo, fece sdrucciolare i piedi, atterrò senza nemmeno soffrire per la botta di pressione sulle ferite ancora aperte, e riattraversò lo spazio dove avevano combattuto come conigli nelle tane.

Lo trovò nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato. Steso a terra, immobile, il capo girato su un lato, un braccio accasciato sul petto e l’altro ribaltato contro la parete.

Quell’immagine fu un altro sparo nel petto. Lo stesso terrore raggelante, la stessa mano artigliata a tenergli il fiato fermo in gola. Oh, no. Germania gli corse incontro. “Romano, resisti.” Si gettò a terra, lo raccolse ed ebbe la stessa sensazione di star stringendo Italia. “Romano.” Perdeva anche lui sangue dalla ferita sul petto, l’unica. Germania lo scosse. “Romano, apri gli occhi.” Parlava a fatica e respirare era sempre più doloroso, due dei proiettili dovevano avergli perforato i polmoni. “Apri gli occhi e guardarmi!” gridò, in preda a una furia cieca. “Ascolta la mia voce!” Cominciò a tremare mentre il suo incubo, l’immagine di Italia riverso e senza vita, gli giaceva fra le braccia. Strinse le mani su di lui e rievocò un ricordo dell’inverno scorso. La sua mano sul petto nudo di Italia, sulla cicatrice bianca che gli attraversava il cuore, la stessa sensazione di aver fallito, di non essere stato in grado di proteggerlo. “Apri gli occhi.”

“Anche se arrivassi a Mosca...” Le parole di Russia s’infilarono nei suoi pensieri come una lama. “Come farai ad affrontare Italia dopo tutto quello che gli hai fatto? Presentandoti da lui con le mani macchiate del sangue di suo fratello?”

“Apri gli occhi, Romano.” Germania strinse la presa delle braccia e gli premette la fronte sulla spalla. “Non morire.”

Il corpo di Romano si contrasse in uno spasmo, gli uscì un rantolio dalle labbra che brontolò accanto alla guancia di Germania. “Sta’ un po’ zitto e non mi gridare nelle orecchie, cazzo.”

Germania scattò, “Romano?”, strinse inconsciamente la presa e pregò di non aver udito male.

Romano gli artigliò una spalla, si risollevò, tornò ad accasciarsi fra le sue braccia, ma riaprì gli occhi. “Che...” Guadagnò un affanno, si portò la mano al petto. “Che cosa...” Strizzò le dita e contrasse una smorfia di dolore, si guardò attorno. “Sono già morto? Sono all’Inferno?” I suoi occhi ancora annebbiati tornarono a posarsi su Germania. Un angolo delle sue labbra s’incrinò per il disgusto. “Ma ci sei solo tu? Dove diavolo è Spagna?”

Germania sgranò gli occhi, il peso sul petto si sciolse e un alone di tepore gli formicolò attraverso le guance. “Sei vivo.” E se Romano è vivo allora significa che Italia è fuori pericolo. “Sei ancora vivo,” ripeté, più incredulo di prima. Ma come può essere? Io ho visto chiaramente il sangue che... “Dove ti ha ferito?” Raggiunse la sua giacca insanguinata, tastò il tessuto nel punto carbonizzato dalla bruciatura del proiettile, e lo sbottonò. “Il proiettile è ancora dentro? Devi stenderti subito e devi respirare piano, non fare sforzi, se stai perdendo troppo sangue rischi di...”

Romano si tirò indietro e gli spinse un calcio sul petto. “E non mi spogliare, stronzo pervertito!”

“Stai fermo e non gridare, o il proiettile si muoverà.”

“Ma io non...” Romano si tastò il petto, sotto il cuore, spostò il tocco più a sinistra e incontrò la stoffa lacerata della giacca, la sensazione umida e calda del sangue, e quella più soffice della sua pelle. Non c’era alcuna pressione a battergli sulle costole, nessun dolore insistente alternato ai respiri, nulla che impedisse al suo cuore di battere. “Non sento dove...”

Germania gli sbottonò anche la camicia e lo lasciò a petto nudo, coperto solo dal sangue. “Fermo.” Usò una sua manica per ripulirlo lungo la slabbratura della ferita.

Romano strinse un gemito fra i denti e gli acchiappò il polso. “E fai piano, cazzo, fa male.”

“Scusa.” Germania gli premette sopra una manciata di neve, facendolo rabbrividire, strofinò ancora e gli fece girare il fianco. “Questa...” Tenne le dita distanti dalla ferita. Una ferita che gli trapassava il fianco come una semplice coltellata inflitta di striscio. “È una ferita di striscio. Non c’è foro d’entrata.”

Romano richiuse un lembo della giacca per coprirsi e si guardò attorno, sconcertato tanto quanto lui. “M-ma allora dov’è finito il proiettile?”

“Ti ha solo sfiorato.” Ma ho visto chiaramente il fucile premuto al suo petto, all’altezza del cuore. “Com’è possibile?”

“Eppure non ho altre ferite,” confermò Romano. “Ne sono sicuro.” Tornò a spremere il tocco lungo la giacca, all’altezza del cuore, ficcò la mano nella tasca esterna e la infilò anche in quella interna. “Dove merda può...” Una consistenza dura e spigolosa lo fece esitare. Un momento. Strinse ancora, racchiuse quel piccolo oggetto grande poco meno di una noce e lo fece scivolare dentro il palmo. Questo è... Estrasse il pugno, lo tenne fermo davanti allo sguardo sgranato senza ancora il coraggio di aprirlo.

Germania inarcò un sopracciglio. “Romano? Cosa c’è?”

Le dita di Romano si schiusero e qualcosa luccicò, giacente sul palmo. Una pallottola deformata in punta, simile a un molare cariato, nera sui bordi, come se fosse esplosa contro una superficie troppo dura da scalfire. Gli rimase stampata in faccia quell’espressione spaurita ma meno incredula. “Era sopra il mio cuore quando Russia mi ha sparato. Ha deviato il proiettile, ha impedito che finisse per colpirmi il cuore.”

Germania continuò a non capire. “Cos’è?”

Romano si morse il labbro e incrinò un sorriso amaro. “La pallottola che hanno tirato fuori da Veneziano durante la campagna dei Balcani, quando Grecia gli ha sparato e quando voi non eravate ancora scesi a salvarci. Quello che lo ha colpito al cuore.” Tornò a stringere il proiettile ancora tiepido, lo tenne accostato al petto, nel punto dove si trovava quando lo sparo di Russia gli aveva sbattuto sopra, e riprovò la paura di quel giorno ormai così lontano. “Ha deviato il proiettile di Russia. Mi ha salvato la vita.”

Germania aprì entrambe le mani sulla fronte, fece ricadere il capo in avanti e barcollò con le spalle, abbandonandosi a uno struggente senso di sollievo che gli risucchiò ogni energia dal corpo. “Meno male.” Allora anche Italia è salvo. A Romano non è successo nulla. Nulla che possa riversarsi su di lui. Il flusso d’adrenalina cominciava a scemare, le ferite pulsavano con più insistenza, il dolore ramificava dai muscoli fin dentro le ossa, le forze scorrevano via assieme al gocciolare del sangue sempre più copioso, nuvole di fiato sempre più pallide e sottili soffiavano fra le labbra screpolate e vibranti, e il battito del cuore pulsava distante come un eco.

Romano percorse il fisico di Germania, si sentì sbiancare. Ma quanto si sono massacrati? “E le tue ferite?” Gli fece un cenno col mento. “Quante volte ti ha colpito? Vi siete massacrati come bestie.”

Germania scosse il capo, la luce negli occhi sempre più fioca. “Niente...” Un affanno lo fece rabbrividire. “Niente che non possa guarire in un paio di giorni. Per di più...” Si aggrappò a una delle ferite alla spalla e si lasciò cadere con la schiena alla parete. Chiuse gli occhi, i respiri rallentarono ma si fecero più regolari. “La mia nazione è sana e intatta al contrario di quella di Russia. Recuperò più facilmente rispetto a lui.”

“Lo spero proprio,” sbuffò Romano. “Ci manca solo che...”

Rombi provenienti dalla superficie scossero le pareti della trincea, fecero rotolare qualche ultimo detrito di cemento sulle loro spalle, poche briciole di terra franarono in mezzo a loro, e catturarono i loro sguardi verso il cielo.

Romano rinfilò il proiettile deformato in tasca, richiuse la giacca, frizionò la mano sulla ferita aperta, e scattò in piedi. “Che sta succedendo?”

Germania tese l’orecchio, riconobbe quei feroci ruggiti metallici a lui familiari come le fusa di un gatto, e trasse un ansito di sollievo. “I panzer,” realizzò. “Siamo riusciti a sfondare le linee difensive, siamo alla fine del campo di battaglia e i russi sono costretti ad arretrare. Borodino ormai è vinta.”

“V-vuoi dire che...”

“Che la battaglia è finita.” Germania piegò un braccio sulla parete, tenne la mano stretta alla spalla, e anche lui forzò i muscoli delle gambe per rialzarsi. Un ginocchio cedette, le sue spalle ricaddero in avanti, ma Romano lo strinse per la giacca e lo aiutò a reggersi sulle sue gambe. Germania si passò le dita fra i capelli insanguinati. “Abbiamo vinto,” annunciò. “E che la strada per Mosca è aperta.”

Romano si lasciò scivolare quell’aspra parola fra le labbra. “Mosca...” Si levò verso bianche e luminose nuvole di speranza, ma un fulmine lo fece di nuovo precipitare nell’incubo. “Un momento: Russia!” Si aggrappò al bordo della trincea per poter guardare fuori. “Dove hai lasciato il bastardo? Lo hai ammazzato?”

“No.” Germania non ebbe bisogno di sbirciare per capirlo. “Russia è ancora vivo.”

Romano mollò la presa, si lasciò ricadere sulle suole, corrugò la fronte e mollò un pugno alla parete. “Ci è sfuggito di nuovo.” Compì un passo indietro, soggiogato dal ricordo di Russia che avanzava verso di lui nonostante i lampi dei proiettili scoppiati uno dopo l’altro contro il suo corpo. “Che razza di mostro. Quante volte bisogna ucciderlo prima che crepi definitivamente?”

“Non si può.” La voce rauca e stremata di Germania assunse una piega di rassegnazione. Nonostante la vittoria, dal suo cuore non era palpitato nemmeno un singhiozzo di gioia. “Non si può uccidere Russia. Sono...” Scosse il capo. “Sono stato un pazzo a pensare di poterci riuscire.”

Romano spalancò la bocca e sgranò gli occhi, rimanendo di sale. “Ma cosa stai dicendo? Tutto questo disastro per...”

“Ho sempre sbagliato approccio, è questa la verità.” Germania raccolse le forze per una spinta e si trascinò fuori dalla trincea, rimanendo però seduto sul bordo, le gambe a ciondoloni e lo sguardo basso e buio. “Ho sbagliato nel vederlo come una singola nazione. Ho sbagliato di poter vincere la guerra uccidendo il suo corpo.”

Romano sbuffò e lo seguì fuori dalla trincea aggrappandosi a una trave di legno. “Be’, non mi sembri particolarmente preoccupato.”

“Perché non ha più importanza, ormai.” Germania rivolse lo sguardo all’orizzonte grigio, al cielo che si stava scurendo, alla nebbiolina bianca sollevata dalla neve attraversata dal suo esercito. Il suolo tremava di timore per la prima volta. “Siamo più vicini a Mosca di quanto non lo siamo mai stati, e la presa della capitale è prossima. Anche Russia ha i giorni contati.”

“Quindi...” Un bocciolo di speranza fiorì nel petto di Romano, cancellò il dolore della ferita. “Credi che stia tornando a Mosca con la coda fra le gambe?”

“Me lo auguro,” rispose Germania. “Mi auguro che capisca che non potrà riprendere a combattere in quelle condizioni, e che l’unico modo per avere salva la vita è tornare nella sua capitale.”

Le labbra di Romano rimasero schiuse. Lui si lasciò trascinare da quel pensiero, dal profumo di vittoria sempre più vivo. “A Mosca.” Ma una scossa di dubbio lo pervase. “E se invece stesse andando a uccidere Veneziano? Ormai il bastardo sa che non abbiamo intenzione di ridargli Ucraina, e Veneziano è un ostaggio che non gli serve più.” Scosse ripetutamente il capo, sfilò la mano dalla ferita al petto, se la passò fra i capelli e sfregò la nuca. “Merda,” ringhiò, di nuovo in preda al nervosismo. “Non avremmo dovuto lasciarlo andare via, anche a costo di incatenarlo.”

“Non lo ucciderà.” Negli occhi distanti di Germania, rivolti alla strada che si spalancava verso Mosca, verso la vittoria, brillò una luce più limpida ma avvilita. “E forse per Italia è davvero più sicuro rimanere in una città protetta e barricata come Mosca, lontano dai campi di battaglia. Almeno per adesso.”

Romano lo guardò di sbieco, tornò a percorrerlo come aveva fatto per esaminargli le ferite, e si soffermò sull’aura nera caduta su di lui, opaca e pesante. Le accuse di Russia gli rimbalzarono contro, come evocate da quella oscura nebbiolina di pensieri. “Ormai Italia non sa cosa farsene del vostro legame, non vuole avere più niente a che fare con uno come te che l’ha abbandonato invece che proteggerlo.”

“Ehi, non...” Romano flesse il capo di lato e si strinse le braccia al petto. “Non avrai creduto alle parole del bastardo, vero?”

“E le tue?” Germania si girò a guardarlo. “Alle tue avrei dovuto credere? Eri sincero quando mi hai difeso?”

“Mi scoccia ammetterlo, ma sì, lo ero.” Romano gli mostrò i palmi e allontanò gli occhi, quasi giustificandosi. “Senti, io non ho idea del perché mio fratello ti consideri così importante e perché, nonostante tutto quello che gli hai fatto passare e che gli stai ancora facendo passare, lui provi questo desiderio morboso di starti appiccicato. Ma Veneziano è felice con te, tu gli dai qualcosa che io non capisco e che sono in grado di dargli. Non credere che non me ne accorga.”

“Romano...”

“Non sarà di certo qualche mese passato accanto a Russia a distruggere tutto quello che c’è stato fra voi due, no? Non saranno quattro parole di Russia, anche se convincenti, a fargli completamente il lavaggio del cervello nei confronti di quello che ha sempre provato per te.”

Germania insistette con quel suo sguardo inquisitorio, con quella ruga scettica. “Perché non hai dato retta a Russia? Quando ti ha proposto di seguirlo a Mosca...” Dovette tornare a stringere una mano sul ventre per contenere il dolore delle ferite, ma il suo sguardo non cedette. “Pensavo non ci avresti riflettuto due volte pur di tornare vicino a Italia.”

“Oh.” Romano arricciò un angolo della bocca, parlò più piano. “Ci hai sentiti.”

“Sì.”

“E secondo te avrei dovuto accettare?”

“Ti avrebbe condotto a Mosca,” rispose Germania. “Ti avrebbe ricondotto da Italia, come volevi tu. E tu mi hai detto prima che saresti stato disposto a tutto pur di tornare con tuo fratello.” Si aiutò con una mano per scivolargli più vicino. “Perché non hai accettato? Perché non mi hai tradito? Pensavo che l’alleanza con la mia nazione non contasse nulla per te.”

“Ma conta per Veneziano. E Veneziano non mi avrebbe mai perdonato una decisione simile.” Romano strizzò le dita sulle braccia incrociate. I suoi occhi tornarono fieri e combattenti come quando stavano lottando contro Russia. “Ormai ci sono dentro anch’io, fino al collo, e non ho altra scelta se non fidarmi di te per arrivare alla fine di questa dannata guerra, perciò...” Sciolse il nodo delle braccia, schiacciò i pugni ai fianchi, si lasciò scuotere le spalle da un brivido, e prese un lungo respiro dalle narici. “Perciò finisci quello che hai cominciato,” esclamò, “e non osare tirarti indietro lasciandoci tutti infoiati nella merda.” Spinse un pugno contro quello insanguinato di Germania, incastrò le punte delle dita fra le sue e lo costrinse a schiudere la mano. “Porta questo esercito fino a Mosca e non rinunciarci per delle stupide paranoie prima di aver vinto la battaglia e prima di aver liberato mio fratello.” Gli lasciò cadere un oggetto sul palmo. Un oggetto sottile e pungente, un filo freddo che si sciolse fra le sue dita come una lacrima d’argento caduta dai quattro bracci del ciondolo. La croce di ferro. “Salvalo, crucco.” Romano lasciò cadere il capo fra le spalle. Nascose quell’espressione bagnata di dolore e nera di frustrazione. “Riportalo a casa.”

Germania chiuse la presa sulla croce di ferro, ma non così forte da sentire la pressione pungente dei bracci aguzzi sulla sua pelle. Racchiuse la collana al sicuro proprio come se si fosse trattato di reggere fra le dita quel prezioso e fragile pezzo di cuore che Russia gli aveva strappato. Annuì, di nuovo fiducioso. “Hai la mia parola.” Non si era mai sentito così grato di avere Romano al suo fianco.

Poco distanti da loro, i carri tedeschi avanzavano e la fanteria che li fiancheggiava terminò la carica con un ultimo slancio sul territorio conquistato. Borodino cadde in mano tedesca.

 

.

 

Prussia correva in testa. Ampie falcate sempre più affrettate e sempre più brucianti per il desiderio di raggiungere la base dell’esplosione innalzata dalla combinazione di cannonate. Gettò un rapido sguardo da sopra la spalla, attraverso il fiato condensato che passava rauco attraverso la gola bruciante. Austria e Ungheria tenevano il passo, lo seguivano correndo e pestando le suole nelle sue impronte. Spostò lo sguardo al cielo, contro la colonna di fumo nero che si stava diradando e inclinando sotto i fischi del vento. Si sta abbassando. Chissà a che punto saranno gli altri?

Rumore di passi in corsa di fronte a lui, sempre più vicini, e una sagoma sbucò fra il biancore della neve e al grigio delle nuvole.

Prussia fece scattare la mano verso la pistola infoderata, silurato da una scossa di timore che gli fece rizzare la guardia, ma poi riconobbe le ciocche castane scosse dal vento, gli occhi verdi che lo cercavano con ansia, le guance paonazze di fatica. Eccoli! Tirò su il braccio e lo sventolò verso Spagna. “Ehiii, siamo quiii!”

Spagna compì uno slancio più ampio e ricambiò il gesto, sventolando con più insistenza. “Prussia!” Inciampò fra la neve più fresca e gli cadde fra le braccia. Dovettero aggrapparsi a vicenda per non finire entrambi a terra, per recuperare gli affanni della corsa, per permettere alle ginocchia di smettere di tremare.

Prussia gli diede una debole pacca sulla schiena. “Abbiamo...” Strinse un braccio per non farselo scivolare dalla presa. “Visto l’esplosione. Vi stavamo venendo incontro.”

“Sì,” ansimò Spagna, standogli avvinghiato. “La trappola ha funzionato, ma Russia è scappato lo stesso.”

“Ma West?” Prussia strinse Spagna per le spalle e lo guardò dritto negli occhi. Il suo cuore fremette d’impazienza. “Lui cosa...”

“Appunto,” precisò Spagna. “Germania e Romano hanno deciso di inseguirlo. Noi stavamo tornando indietro a soccorrere voi.” Guardò oltre la spalla di Prussia, sbirciando Austria e Ungheria che li avevano raggiunti, scossi dal fiatone, e gli sorse un dubbio. “Ma dov’è Bielorussia? L’avete sconfitta?”

“Ovvio. Cioè...” Prussia gli staccò la presa dalle spalle, sventolò le mani e guardò altrove. “Diciamo più o meno.”

Spagna sbiancò, sfondato da una botta di panico e sconcerto. “Cosa vuol dire più o meno?”

“Che ci è sfuggita ma che comunque non ci darà problemi.”

“Ma se vi è sfuggita allora starà andando ad aiutare Russia.”

“Non guardarmi come se fosse colpa mia.” Prussia tornò a puntargli gli occhi addosso, a digrignare con voce ancora più aspra. “Ammazzare Russia era compito vostro.”

Ungheria scosse il capo e si mise in mezzo ai due prima che scoppiasse la litigata. “E se andassimo ad aiutarli ora? Dato che siamo di nuovo tutti assieme potremmo...” I suoi occhi si spostarono lì attorno, si fecero più sottili. “Un attimo.” Li aveva raggiunti solo Spagna... “Non manca qualcuno?”

“Noi!”

Romania e Bulgaria li raggiunsero fra nuvolette di sbuffi bianchi sbocciate davanti ai loro visi sudati e segnati dalla fatica. Romania si fermò per primo, si strinse il fianco sinistro da cui si sciolse qualche rivolo di sangue, e spinse la fronte contro la spalla per non dare a vedere la smorfia di dolore. Bulgaria arrestò la corsa poco più indietro. Le braccia avvinghiate al petto come se stesse nascondendo un fagotto di stracci.

Prussia sospirò. Meno male. “Bene,” disse. “Almeno siamo tutti interi. Feriti?”

Romania alzò la mano insanguinata con cui si era retto il fianco. “Io.” Le palpebre sotto gli occhi cominciavano a sciuparsi, ad annerirsi.

“Fammi vedere.” Prussia gli scostò il braccio, trovò la ferita in mezzo alla stoffa lacerata, e gli riabbassò la giacca. “Niente di grave. Fatti medicare prima che s’infetti, però.”

“Sì.”

“In quanto a noi,” continuò Prussia, “direi che la decisione più saggia sia di assecondare il piano di West e di...” I suoi occhi si soffermarono fra le braccia di Bulgaria, dove il fagotto di stoffa assunse una forma più definita, dove un paio di codini dondolavano sopra le orecchie di un visetto che pareva addormentato in quella nicchia d’ombra. Gli rivolse la punta dell’indice. “E quello da dove sbuca?”

Bulgaria strinse le braccia, gli protesse la testolina, compì un passo indietro e si difese con un’occhiata bruciante di ostilità.

Romania distese un braccio e si portò fra lui e Prussia. “Russia lo stava facendo combattere. Noi ce lo siamo ripreso e ora lo riportiamo a casa. Nella sua vera casa, dove non rischierà di finire ammazzato.”

Prussia sentì il sangue salirgli alla testa. “Siete impazziti o cosa?” Pestò un passo che spinse Romania ad arretrare. “Moldavia non è un paese sotto la nostra giurisdizione, non possiamo appropriarci di lui come se si trattasse di...”

“Ma lo abbiamo comunque invaso con l’inizio della campagna,” esclamò Romania. “E quando vinceremo diventerà comunque un paese dell’Asse. Stiamo solo anticipando i tempi.”

Prussia scosse il capo, non volle sentire ragioni. “Ora la Moldavia si trova in un semplice stato d’assedio, ma ufficialmente fa ancora parte dell’Unione Sovietica, e questa non sarebbe una riconquista, ma sarebbe un sequestro, esattamente com’è successo con Ucraina.”

Lontani dagli sguardi di tutti, sfiorati solo dal tocco di Bulgaria che li proteggeva, i codini di Moldavia ebbero un guizzo.

Romania sollevò il mento e s’impuntò contro Prussia con il suo sguardo truce. Sollevò leggermente il labbro per mettere in risalto le punte minacciose dei canini. “E anche se fosse? Sempre meglio di...”

Il corpicino raggomitolato di Moldavia rimbalzò via dalle braccia di Bulgaria, atterrò in mezzo a tutti, compì un salto all’indietro, e strinse i pugnetti sui fianchi per difendersi. Tornò l’espressione da diavoletto con cui aveva combattuto, anche se più affaticata, gli occhietti rossi e i dentini acuminati attraverso cui soffiavano i respiri aspri e ritmici.

Ungheria fermò un ansito posandosi la mano sulle labbra e si accostò alla spalla di Austria. Gli diede un colpetto al braccio. “E adesso che si fa?”

Prussia si portò davanti a loro in un riflesso istintivo, proteggendoli dalla rabbia di quello scricciolo che ringhiava come un gattino strappato al ventre della mamma. Fece schioccare la lingua, represse uno spasmo d’impazienza. “Ci mancava solo questa.”

Romania e Bulgaria incrociarono uno sguardo complice, Bulgaria fece un cenno col capo e Romania annuì. Fu lui ad avvicinarsi al fratellino, dimenticandosi della sua ferita, di ogni suo dolore. “Moldavia.” Tese il braccio, aprì la mano ancora sporca di sangue. “Moldavia, torna a casa con noi. Non dobbiamo più combattere, te lo giuro. Se vieni con noi non dovremo più farci la guerra e tutto tornerà come prima.”

Moldavia lo guardò con la stessa rabbia con cui gli aveva ringhiato addosso quando si erano sfidati fra i lampi delle mitragliate. “Perché non lo avete fatto prima, allora? Quando...” I suoi occhi vacillarono. Per la prima volta li scosse un abbaglio di autentico dolore. “Quando ero da solo, quando piangevo, quando ero triste, quando mi mancavate, perché non siete tornati a prendermi?”

“Moldavia...”

“Mi volete di nuovo a casa con voi solo perché adesso vi serve la mia nazione! Avete appena detto che mi avete invaso, che mi conquisterete ancora, e mi...” Arretrò di un passetto. Nonostante il ringhio a vibrare fra i dentini aguzzi, la sua voce traballò più per lo spavento che per la rabbia. “Voi non mi trattate come la vostra famiglia, voi mi trattate come terra!”

Bulgaria trasalì. C-ci ha sentiti?

Romania rimase a bocca aperta, incapace di trarre un singolo respiro. Ma dove diavolo ha imparato a parlare in quel modo? Che stia crescendo anche lui, anche se non ce ne rendiamo conto?

“Voi non siete più la mia famiglia.” Moldavia tirò su col nasino. Compì un altro passetto indietro e tornò a rizzare attorno a lui quell’infiammata aura difensiva. “Russia è la mia famiglia. E io voglio stare con lui.”

Un pesante tuffo di dolore fece sanguinare il cuore di Romania. Non può pensarlo sul serio.

Attorno a loro s’innalzarono i rombi distanti delle formazioni di panzer che avanzavano macinando gli ultimi tratti di terra, i respiri dell’ultima fatica di quella battaglia che stava volgendo al termine.

Moldavia si girò, i suoi codini ebbero un altro scatto, come piccole antenne che captano il segnale di pericolo, e lui tornò a posare quegli occhi estranei su suo fratello, su quella che una volta chiamava ‘famiglia’. “Io devo stare con i miei alleati.” Compì un balzo, sollevò uno schizzo di neve e terra sotto la spinta dei piedini, e sfrecciò via, rapido come un leprotto, svanendo dalla vista di tutti.

Bulgaria lo inseguì per primo. “Sta scappando!”

“Fermo.” Prussia gli agguantò il polso e lo trattenne. “Ha fatto la sua scelta, ormai dovrebbe esservi chiaro.”

“M-ma...” Bulgaria stritolò il pugno e tutto il suo corpo tremò, debole e schiacciato dal senso di perdita sempre più pesante sul suo cuore. “Lo abbiamo perso.” La rabbia si sciolse, gli depose un velo di disperazione fra le palpebre. “Lo abbiamo perso per sempre?”

Romania deglutì, sperando di sciacquarsi la bocca dal senso di amarezza sorto dalle accuse del fratellino, da quella botta allo stomaco che gli aveva fatto venire la nausea. Lo abbiamo trattato come terra invece che come la nostra famiglia. Allora è questo il vero significato. Trattarlo da nazione non significa combattere fino alla morte durante una battaglia o sottrarsi territorio a vicenda, ma significa permettergli di compiere le sue scelte, indipendentemente dalla nostra volontà. Significa permettergli di essere padrone del suo destino. Chiuse gli occhi, reclinò il capo all’indietro, e soffiò un sospiro al cielo. Serviva davvero una guerra del genere per farcene rendere conto?

“Consolatevi.” Prussia mollò il polso di Bulgaria, si diede una sistemata alla giacca. “La guerra non durerà in eterno. Quando sarà finita, Moldavia tornerà per forza nella cerchia dei nostri territori, e quel punto non ci sarà nulla che potrà tenervi separati.”

Romania scosse il capo facendo ciondolare le ciocche di capelli sulle spalle, soggiogato dalla rassegnazione. “Non sono più sicuro che sia davvero quello che voglio, a questo punto.”

Bulgaria prese a rosicchiarsi le unghie, inarcò un sopracciglio. “Oppure potremmo essere noi quelli a finire fra le mani di Russia a guerra conclusa.”

“Questo è da escludere categoricamente.”

Tutti si voltarono verso la voce piombata fra loro più improvvisamente della carica dei panzer.

Sia Germania che Romano avevano i vestiti lerci di sangue, ma camminavano sui loro piedi – Germania cedeva solo un po’ quando poggiava la gamba destra –, ed erano circondati dal lento soffiare dei loro respiri ancora intatti.

Germania diede un colpo di spalla per sistemare il peso dell’MP40 che gli cadeva sulla spalla e congelò tutti con l’assoluta freddezza dei suoi occhi, due spicchi azzurri e glaciali in mezzo al rosso del sangue. “Borodino è vinta, l’accerchiamento è completato, e il campo di battaglia è conquistato, compresa la stazione ferroviaria. Russia non avrà più alcun modo di riprendersi dopo questa sconfitta.”

Prussia ansimò di sorpresa e di sollievo, “West!”, gli occhi si addolcirono e luccicarono di emozione.

“Romano!” Spagna gli corse incontro e lo inghiottì in un abbraccio disperato. “Ah, Dios gracias, stai bene. Sei...” Tastò la sensazione umida e tiepida di cui era infradiciata la sua giacca, e il suo sollievo si congelò. “S-sei ferito?” Gli percorse le braccia, le spalle, e di nuovo scese lungo il torso. “Dove ti ha colpito? Sanguini ancora? Come...”

“Sto bene,” borbottò Romano. “Non farne un dannato dramma, mi ha preso solo di striscio.”

“Di...” Spagna rimase pallido. “Di striscio?” Non lo rassicurò per niente.

Il volto di Austria divenne grigio di sconcerto, i suoi occhi lucidi d’incredulità dietro le lenti incrostate di neve ghiacciata. “Ma allora vi siete davvero battuti da soli contro Russia.”

“Ma se loro sono qui e sono vivi...” Nei verdi occhi di Ungheria brillò un barlume di speranza. “Significa che Russia è...”

“Russia è vivo.” Germania guadagnò un respiro profondo per compensare la sensazione disarmante dell’adrenalina che scemava, rendendo i suoi muscoli molli e il suo fiato pesante. “Russia è vivo ma non lo rimarrà a lungo, perché la strada per Mosca è aperta e a noi non rimane altro che l’ultimo slancio prima di riuscire ad accerchiare la capitale e a espugnarne le mura.”

Romania si portò una mano alla bocca. Si sentì risucchiare nella neve, in quel cielo grigio dove le nubi si addensavano. “La strada per Mosca è aperta,” ripeté. “E ce l’abbiamo fatta solo in una manciata di settimane da quando abbiamo dato inizio alla Tifone. Incredibile.”

“Già,” fece Bulgaria. “Siamo così vicini che non sembra nemmeno vero.”

Germania si affrettò a non illuderli. “Proprio per questo non è ancora il momento di adagiarsi sugli allori. Mosca è vicina, ma anche l’inverno lo è. Quindi i miei ordini sono di riprendere l’avanzata con la stessa velocità, di non rallentare per alcun motivo, e di incoraggiare i soldati a tenere duro ancora per qualche settimana.” Camminò a passo pesante e sicuro in mezzo a loro, senza nemmeno rendersi conto di star seminando una fila di impronte di sangue. La sua mente era altrove, lontana persino dal dolore. “C’è solo un ultimo sforzo che ci separa da Mosca, signori. E farà bene a essere quello definitivo.”

L’aria si caricò di un’energia elettrica e rovente che fece rizzare la pelle d’oca a tutti. Volarono sguardi ancora perplessi, qualcuno si strofinò il braccio, qualcun altro spostò il peso da un piede all’altro facendo scricchiolare la neve, ma alla fine acconsentirono. “Sissignore.”

Germania fece sfilare lo sguardo su tutti – Romania che si reggeva il fianco ferito, Bulgaria che si era portato al suo fianco per evitare che cadesse, Spagna ancora aggrappato a Romano che aveva smesso di sanguinare, Ungheria solo un po’ ammaccata, il viso stanco e i capelli in disordine, Austria che continuava a massaggiarsi le mani bendate – e ammorbidì il tono di voce. “Ora andate a farvi medicare. Non trascurate nemmeno la più piccola ferita.”

Di nuovo tutti annuirono. “Sissignore.” Si congedarono. Romania dovette poggiarsi a Bulgaria per tenere il passo senza zoppicare, Ungheria diede la mano ad Austria, Spagna passò una strofinata fra i capelli di Romano, scoprendo il pallore sciupato del suo viso. Solo Prussia non si mosse, tenendo quello sguardo contemplativo fermo su Germania.

Germania gli scoccò una dubbiosa occhiata di striscio. “Che ti prende?”

Gli occhi di Prussia tornarono a luccicare di commozione, le sue labbra tremolarono, e un lieve rossore gli tinse le guance. “Il mio fratellino.” Andò a inghiottirlo in un abbraccio, gli diede una pacca sulla spalla, e Germania raggelò per la scossa di dolore alle ferite. Prussia sembrò non badarci, non accennò a diminuire la stretta. “Il mio fratellino si è battuto e ha sconfitto Russia. Ho sempre saputo che ce l’avresti fatta, l’ho sempre saputo.” Sollevò uno sguardo bacchettone e gli premette l’indice sulla punta del naso. “Però ora non metterti in testa di diventare più forte del Sottoscritto, eh? Nessuno è più forte del tuo fratellone.”

Il cuore di Germania perse un battito. Nelle sue orecchie tornò a stridere quel fischio, quel rumore bianco attraverso cui sorsero solo le parole con cui Russia lo aveva ferito mentre stavano combattendo. “Non meriti di essere un discendente dell’impero fondato da tuo fratello.”

La spinta conquistatrice che era riuscito a evocare scemò. L’amarezza del dubbio tornò a precipitargli addosso come una doccia fredda, lo fece rabbrividire fra le dure braccia di suo fratello. Mosca è alle porte, Russia è quasi sconfitto, e l’intera mia nazione si sta dimostrando all’altezza dell’obiettivo. Inspirò profondamente, ma il nodo in fondo alla gola non svanì. Allora cos’è questo peso di cui non riesco a disfarmi? Infilò la mano in tasca, in cerca della croce di ferro, e si aggrappò alla scossetta tiepida trasmessa dal metallo. La strategia di Russia è sempre stata questa: mescolare la verità con le bugie per confondermi e per abbattere ogni mia barriera. Ma quanto di quello che mi ha detto sarà vero? Quali sono le verità e quali sono le bugie? Rigirò la croce, intrecciò la catenina alle dita, strinse più forte, ma non riuscì a raggiungere quel flebile battito che avrebbe dovuto infondergli coraggio.

Chiuse gli occhi e si aggrappò agli ultimi ricordi di Italia, al calore del suo abbraccio, alla dolcezza del suo profumo, alla morbidezza del suo tocco, alla luminosità del suo sorriso allegro. Italia, resisti. Resisti solo per poco. Lo giurò a se stesso: non sarebbe arretrato nemmeno di un passo senza prima aver liberato Italia, anche a costo di pagare il baratto con la sua stessa vita. Stiamo arrivando a prenderti.

 

.

 

Russia impugnò saldamente, con entrambe le mani, l’estremità della sua stessa baionetta piantata fra le ossa spezzate della gabbia toracica. Strascinò un ultimo pietoso passo fra la neve e la terra ribaltata, cadde sul fianco, si rotolò sulla schiena, e strinse un gemito agonizzante fra i denti stretti.

Stritolò la presa delle dita attorno all’estremità della baionetta, inspirò un singhiozzo di fiato, espirò, strizzò gli occhi per non dover affacciarsi a quell’immagine, gonfiò i muscoli brucianti delle braccia, e sradicò la lancia dalle ossa. La lama uscì, Russia inarcò le spalle per assecondare quel dolore che veniva risucchiato fuori dal suo corpo, e finì inondato dagli spruzzi di sangue zampillati sul petto e fra le dita. La punta uscì, accompagnata da un ultimo rigetto di sangue nero, e Russia la scagliò lontana.

Premette la mano sul petto, sull’unica ferita che doleva veramente, lancinante come se gli stesse risucchiando i battiti dal cuore. Mi ha quasi colpito il cuore. Lasciò scivolare la mano e ricadde con il capo a terra, abbandonandosi alla sensazione della chiazza di sangue che si allargava sotto di lui. Questa volta, nemmeno il contatto con la neve riuscì a rinvigorirlo. Sono stato fortunato, solo un paio di centimetri e forse avrei potuto sul serio ritrovarmi in un mare di guai, nemmeno io sarei stato in grado di sopravvivere a una ferita del genere. Ma adesso...

Fece strisciare una mano fino alla gola scoperta, dove si era spogliato della sua vulnerabilità, dove l’impronta delle unghie Germania bruciava come un collare di spine. È finita? Soffiò un sospiro tremante, batté piano le palpebre e si lasciò attraversare da due lacrime di sangue. È davvero finita qui? Da adesso in poi non ci sarà più nulla che potrà arrestare la loro avanzata, non ci sarà più nulla che potrà impedirgli di raggiungere Mosca. Dove troverò mai la forza di continuare a combattere?

Il rombo di un motore gli si avvicinò, il suono dei cingoli che sbriciolavano la terra gli vibrò sotto la guancia e l’orecchio, e una voce ruppe la bolla di stordimento che gli si era gonfiata attorno alla testa. “Eccolo, l’ho trovato! È lui!” La voce disperata di Bielorussia. “È ancora vivo!” Due sordi tonfi sulla superficie metallica, il suo tono più brusco e rognoso. “Ferma questo catorcio, devo scendere.”

“Bielorussia, aspe...”

“Fratellone!” Passi in corsa si sovrapposero alla frenata del carro prima ancora che il motore si spegnesse.

Russia schiuse le palpebre, trovò la forza di sollevarsi sul gomito, rialzò le spalle dalla chiazza di sangue, e prese fiato. L’immagine offuscata di Bielorussia gli stava venendo incontro. “Bielorussia...”

Bielorussia si tuffò su di lui, gli allacciò le braccia al collo, si aggrappò alle sue spalle, e il suo respiro, ancora vibrante per la fatica della corsa ma scosso da un fremito di sollievo, gli solleticò la guancia.

Russia le strinse una spalla, e per una volta non ebbe fretta di staccarsela di dosso. “Stai bene?”

Bielorussia annuì senza staccare il viso dal suo petto, incurante del sangue che le aveva già sporcato i capelli.

“E gli altri...”

Lettonia balzò fuori per primo dal portellone del carro che Bielorussia aveva lasciato aperto. Anche lui corse loro incontro. “Oh, no,” pigolò. “Siamo arrivati troppo tardi.”

Estonia lo superò. “È ferito gravemente, signore?” Anche la sua voce tremava in preda all’ansia. “Riesce ad alzarsi?”

“Forse sarebbe meglio chiamare un medico prima di farlo muovere.”

“No,” mormorò Russia. “No, posso farcela.” Aspettò che tutti gli si radunassero attorno, con mani e ginocchia affondate nella neve imbrattata di sangue, e li contò. Bielorussia, Estonia, Lettonia... “Dov’è Lituania?” Lo colse lo stesso brivido di esitazione che aveva provato nel momento in cui lo aveva affidato agli altri, quando aveva lasciato scivolare il suo corpo martoriato nella pancia del carro.

“S-sono qui.” Due mani sottili e sporche di sangue si aggrapparono allo sportello d’uscita del carro, le spalle di Lituania ricaddero in avanti, i lembi della sciarpa insanguinata gli ciondolarono sul petto, e i capelli fluirono lungo le guance, coprendo la sua espressione pallida e ansimante. Lituania voltò lo sguardo. Gli spicchi dei suoi occhi annebbiati, celati dalla caduta dei capelli pregni di sangue, volsero a Russia, s’incastrarono ai suoi come tessere perfettamente combacianti.

Russia distese il braccio e lo chiamò a sé, aspettando fino a che anche lui non si ritrovò a crollare in ginocchio, sorretto fra i fianchi dei suoi compagni. Lo strinse come aveva fatto con Bielorussia. “Stai bene.” Gli carezzò la nuca. Allargò le braccia e catturò anche gli altri nell’abbraccio, lasciando che fosse la loro forza a sostenerlo. “State tutti bene,” sussurrò ancora. “Siamo di nuovo assieme.”

“Sì,” piagnucolò Lettonia. “Ma ci hanno portato via Moldavia.”

Bielorussia gli sbraitò contro. “Colpa vostra che non siete riusciti a tenerlo d’occhio, pezzi d’incapaci.”

Anche Estonia percepì il peso di quella mancanza. “Non è giusto,” sospirò, avvilito. “Prima Ucraina e adesso anche lui. Perdiamo pezzi a ogni battaglia che passa.”

“È perché Germania lo sta capendo,” disse Russia. “Sta capendo che la nostra forza si trova nell’unione, e vuole sgretolare il nostro legame pezzo per pezzo.” Sfilò il braccio da dietro la schiena di Lituania e si fissò la mano aperta, tremante e bagnata di sangue. Cosa mi è successo? Non gli apparve più come quella mano larga, granitica e micidiale con la quale aveva stritolato attorno a sé tutte le nazioni dell’Unione Sovietica, proteggendo il loro legame da guerre e da invasioni. Da quando sono diventato così debole? Da quando ho perso la capacità di proteggerli tutti come dovrei? Ma Germania si sbaglia...

“Tu non sei capace di provare alcun sentimento nei loro confronti,” lo ferì di nuovo la voce di Germania. “Sei tu quello senza cuore.”

Russia tornò a stringersi agli altri, ad annegare nel senso di sicurezza e di affetto trasmesso dal loro abbraccio. Non è vero che io non tengo a loro, non è vero che sarei disposto a usarli come oggetti.

Qualcosa gli punzecchiò la manica, dando piccoli strattoncini verso il basso. “Fratellone?” La vocina di Moldavia li sorprese come il cinguettio di una rondine d’inverno.

Moldavia lasciò la manica di Russia, tenne la testolina sollevata, e i suoi occhioni tristi luccicarono nonostante il visetto malconcio e sporco di terra. “Abbiamo vinto, fratellone?”

Un’altra ondata di sollievo alleviò il dolore di Russia. “Moldavia.”

Le voci e le esclamazioni di tutti si sovrapposero. “Moldavia!”, “Moldavia, stai bene?”, “Ti hanno ferito?”, “Aspetta, non stringerlo così forte, potrebbe soffocare”, “Stupido sgorbietto, ti pare il modo di sparire? La prossima volta ti lasciamo qui!”.

Moldavia si aggrappò fra le braccia di tutti, sgusciò fino al petto di Russia e si rintanò contro di lui. “Fratellone.” Tutta la tensione, tutta la paura che aveva nascosto mentre combatteva, tutto lo sforzo che gli era costato nel far del male a suo fratello, si sciolsero in un singhiozzante pianto liberatorio.

Russia gli carezzò la testolina, passò le dita fra i codini sgualciti, comprese il suo dolore. “Va tutto bene.” Non seppe nemmeno lui chi stesse consolando: se Moldavia o se stesso. “Non devi piangere, non devi essere triste. Finché siamo assieme, andrà tutto bene.” Sì, è così che deve essere. Non voglio più provare il dolore di dovermi separarmi da qualcuno di loro, non darò più occasione a Germania di separarci. Se dovranno ucciderci, allora ci uccideranno tutti assieme.

 

♦♦♦

 

Russia finì di distribuire la polvere cicatrizzante sulla gola ferita di Lituania, gli scostò una ciocca di capelli per evitare che tornasse ad appiccicarsi nei residui di sangue, e gli fece sollevare la nuca dalla branda per cominciare a srotolare la garza attorno al suo collo, ai tremori del suo respiro. Fissò il bendaggio, gli passò una soffice carezza lungo il tessuto, desiderando accollarsi quel dolore che ora condividevano. Incrociò il triste pallore del suo sguardo, lo consolò con un sorriso altrettanto stanco. “Guarirai.” Fece scendere il tocco lungo la guancia, tenne le nocche accostate alla curva del suo viso, gli strofinò una leggera carezza con il pollice. “Guarirai presto, vedrai, non rimarrà nemmeno un segno.”

Lituania si portò una mano alla gola bendata, strofinò il punto dove le bende prudevano, e lasciò ricadere il capo sulla giacca appallottolata sotto la guancia. Annuì con un cenno debole. “Sì, signore.” Richiuse gli occhi, cullato dal suo respiro esausto, ancora tormentato dai dolori, e si lasciò racchiudere dall’aria umida che regnava fra le pareti isolanti della tenda da campo dove si addensava l’odore pungente di disinfettante, di panni fradici di sangue, di neve sciolta, e di fango ghiacciato sotto le suole degli stivali.

Dall’altro capo della tenda, la voce del comandante che dettava i bollettini a Estonia si fece più nitida. “... è su Orel che la resistenza è più accanita, nonostante i tedeschi siano già riusciti a conquistare la città, quindi la situazione a sud è tanto critica quanto quella qua al centro dell’attacco, ed è chiaro che ormai ci troviamo di fronte a un tentativo di accerchiamento della capitale. Dopo l’attacco a Borodino...” Sfogliò un altro bollettino, lo lesse con una smorfia, di controvoglia. “La Linea di Mozhaisk è definitivamente infranta.”

Estonia, seduto anche lui su una branda, la stessa dove avevano messo Moldavia a dormire infagottato fra le loro giacche pulite, strinse le mani intrecciate sopra le ginocchia e guardò in basso. “Questo vuol dire che la rotabile che conduce a Mosca ormai è in mano tedesca.”

“Sissignore,” confermò il comandante. “Lo STAVKA sta facendo tutto ciò che è in nostro potere per ricostruire il Fronte Occidentale, stiamo facendo arrivare in fretta le riserve e i rinforzi sia dalla capitale sia dalle altre zone dell’attacco, e...”

“E a Mosca?” Russia si rialzò dalla branda di Lituania, li raggiunse assieme alla fredda oscurità della sua ombra. “Qual è la situazione a Mosca?”

Il comandante scavò ancora fra i bollettini, si strofinò una mano dietro l’orecchio, mentre i suoi occhi continuavano a scorrere fra le righe, e la sua espressione si fece sempre più pessimista. “Si stanno purtroppo già verificando i primi episodi di panico collettivo, i primi disordini nelle strade, sia per i trasporti che per il razionamento del cibo. E fra la popolazione girano già pericolose voci che i tedeschi sono alle porte.”

Estonia strinse i pugni, i suoi occhi vacillarono da dietro le lenti. “P-panico a Mosca?” Andò in cerca di Russia, di una soluzione, con quel suo sguardo smarrito e implorante. “S-signore, cosa...” Si rosicchiò l’unghia dell’indice. “Cosa dobbiamo fare, ora? Dobbiamo far dichiarare lo stato d’emergenza?”

Le pareti di tela della tenda s’innalzarono, divennero scure, inghiottirono tutta la luce, tutto l’umido calore sbocciato dai loro fiati affaticati. Russia si ritrovò solo in quell’ambiente freddo, smarrito, con la testa che sembrava piena d’acqua. Persa. I suoi occhi s’infossarono nel panico, i muscoli tremarono, il senso di nausea tornò a sorgere, a martellargli la bocca dello stomaco. La battaglia è persa. Non sono stato in grado di riprendermi Ucraina e ora non c’è nulla che possa impedire ai tedeschi di avvicinarsi a Mosca, tanto più che il morale dei miei soldati e della mia gente è sempre più basso.

Spostò lo sguardo alle sue spalle, sulle ombre che scorrevano attraverso le pareti della tenda come una pellicola. Si era alzato il vento. L’aria soffiava fischi acuti e ululanti, gonfiava i lembi di tessuto e tornava ad appiattirli. Aria fredda e puntinata di neve, ma non abbastanza prepotente da poter bloccare l’esercito nemico.

Ho fatto male a lasciare Italia da solo a Mosca, pensò Russia, con rimorso. Se si sta davvero scatenando il panico, allora rischio di perderlo, rischio che lui approfitti della confusione per scappare, rischio che me lo portino via. Si strinse nelle spalle, il capo basso, quella desolazione a schiacciarlo e a cancellare ogni speranza dai suoi occhi velati di pianto. Cosa ne sarà di me? Cosa ne sarà di me se verrò di nuovo abbandonato? È proprio vero che sono destinato alla solitudine?

“Signore?” Estonia si rialzò dal bordo della branda. “Signore, cosa...” Tentò un timido approccio, un piccolo passo più vicino a lui. “Cosa dobbiamo fare?”

Russia allontanò lo sguardo. Non volle farsi vedere così fragile e vulnerabile, così schiacciato dal senso di pericolo. “Voglio tornare a Mosca.” Si passò una mano sugli occhi, tenne la manica accostata al viso. “Voglio tornare a casa.”

Estonia si morse il labbro e scambiò un’occhiata con il comandante che si strinse nelle spalle, impotente. Guardò la branda di Lituania, quella di Moldavia, e anche lo spacco della tenda dove sibilava il vento ghiacciato, dove Bielorussia e Lettonia si erano infilati per uscire a occuparsi degli altri soldati. Non ci voleva. Fece correre una nervosa manata fra i capelli, si strofinò la nuca per scacciare i brividi di paura. Le condizioni di Russia sono nettamente peggiorate. Se continuerà così, non sarà mai in grado nemmeno di continuare a coordinare il contrattato, figuriamoci di difendere l’intera Mosca. Ma noi come potremmo mai aiutarlo di ritrovare le forze? Se sta davvero rinunciando ai campi di battaglia per poter tornare indietro a leccarsi le ferite, al sicuro, allora vuol dire che siamo davvero tutti nei guai. Soffiò un sospiro pesante, abbandonò il capo ciondolante fra le spalle. E che non c’è più nulla che può salvarci.

Fuori dalla tenda, l’inverno risposava ancora sotto i primi strati di neve fragile e farinosa, l’aria troppo umida e solleticata dagli ultimi raggi di sole autunnale impediva al ghiaccio di inspessirsi, e il fango regnava sovrano, divorando con avidità uomini e mezzi nelle viscere delle strade.

Il Generale Inverno risposava e attendeva, impaziente di sgusciare fuori dalla sua tana e di soffiare il suo bianco alito di morte su tutta l’Unione Sovietica.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: _Frame_