Anime & Manga > Magi: The Labyrinth of Magic
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Autore: Hoshi_10000    27/05/2019    1 recensioni
Ogni scelta ha un prezzo, questo chiunque lo sa, ma quale può essere il prezzo per vivere nel segreto? Quali saranno le condizioni per continuare a vivere normalmente, quando un imprevisto entra nella tua vita? E Sinbad e Ja’far saranno pronti a pagare il prezzo delle loro decisioni?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Judal, Sinbad
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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(inevitabili?) CAMBIAMENTI



Dal 26 dicembre, giorno della nascita del piccolo Robin, cambiarono un mucchio di cose.
Riflettendo a mente lucida, anche Ja’far si convinse che comunque due mesi d’anticipo erano tanti, così quella sera Sinbad chiese udienza alla donna che aveva visitato Judal, e dopo averla fatta accompagnare nelle sue stanze da Sharrkan le mostrò il bambino, chiedendole un parere professionale.
La maga osservò a lungo il piccolo, confermando che per quanto fosse nato prematuro non mostrava di avere problemi, per cui consigliò di tenerlo al caldo e non farlo uscire per almeno due settimane, poi magari di richiamarla per controllare, e assicurarsi che mangiasse, soprattutto.
Il tutto senza mai chiedere chi fosse la madre, e perché non avessero chiamato per farsi assistere nel parto. Se sospettasse di Ja’far o meno era un mistero, ma nel dubbio per tutta la visita i capelli del piccolo apparirono blu come quelli del padre, grazie al consueto aiuto della magia di Judal.
Si decise che le cene, diventate ormai un momento di ritrovo e condivisione per tutto il gruppo, sarebbero calate ad una la settimana, in un giorno variabile.
Una delle stanze del secondo piano, quella più vicina alle scale, venne adibita a nursery e arredata in meno di 12 ore dai generali che corsero come pazzi per tutta Sindria per comprare tutto ciò che poteva servire.
Ja’far prese ufficialmente due settimane di ferie.
E si decise che in capo a metà gennaio Robin sarebbe stato presentato al popolo come principe di Sindria e figlio biologico di Sinbad, con madre ignota.
Tante piccole cose che prima erano normali, divennero un miraggio.
Per quanto il piccolo fosse un angelo che dormiva praticamente tutto il tempo (tanto che per scherzare Sinbad un giorno chiese a Masrur se non ci fosse il suo zampino), i nuovi genitori divennero ansiosi.
Nonostante Robin dormisse sempre, tranne quando desiderava mangiare o un essere cambiato, i neo genitori accusarono comunque il colpo, e nel timore che non mangiasse abbastanza era Ja’far che si alzava ogni tre ore per svegliare il piccolo ed allattarlo, con Sinbad che a distanza di mezz’ora saliva a controllare se ci fosse bisogno di cambiarlo.
Ma le cose non erano così male, fintanto che il popolo non sapeva del piccolo Ja’far poteva tenerlo stretto a sé tutto il tempo che desiderava, ringraziando continuamente gli dei per un dono così bello.
Iniziò perfino a litigare con Sinbad perché “voleva un animale domestico”.
-Abbiamo Judal, che ha che non va?- chiese posando affettuosamente una mano sul capo del ragazzo, seduto sul divano intento a leggere, talmente concentrato che neppure alzò lo sguardo.
-È dimostrato che crescere con un animale previene il rischio di allergie!- ribatté Ja’far irritato dall’ennesimo rifiuto di Sinbad.
-Oh e quindi secondo te dovremmo metterci in casa un animale di cui non sappiamo nulla, che potrebbe far ammalare nostro figlio o addirittura attaccarlo?-
Ja’far sbuffò spazientito. -Basta scegliere accuratamente.-
Per quanto ne discutessero da una settimana, erano in stallo.
 

E Judal in tutto ciò?
Beh, lui divenne trasparente. Dal momento stesso in cui aveva passato Robin a Sinbad, si era eclissato.
Non aveva seguito Sinbad nel salotto per festeggiare con gli altri, aveva salito le scale andando a coricarsi nel letto della stanza degli ospiti che avevano usato prima Kikiriku ed i fratelli, dormendo fino a metà pomeriggio, quando aveva sceso le scale con passo stanco per andare a girare il materasso della camera padronale con un “poi sarà da cambiare, ma intanto basterà girarlo” e cambiare le coperte.
Aveva svolto i lavori in silenzio, aiutato da Sinbad, con sguardo perso nel vuoto. Completato il lavoro, in un momento di distrazione generale aveva raccolto le proprie cose e le aveva spostate al piano superiore, nell’ampia stanza degli ospiti dove aveva dormito.
Attorno alle sette era sceso in cucina preparando un pasto “da ospedale” come si era lamentato Sinbad mangiando le patate lesse ed il riso in bianco, poi preso un libro si era seduto sul divano a leggere fino all’arrivo della maga, quando era sparito altrove, e non era andato a dormire con loro.
Nei giorni successivi questo suo distacco continuò: fisicamente era nel lussuoso appartamento, ma con la mente era distante, passava ore seduto sul divano leggendo con estrema lentezza, e a parte preparare i pasti e fare una breve passeggiata nei giardini del castello il primo pomeriggio, non faceva nulla.
A Sinbad ci vollero tre giorni per accorgersi dell’improvviso distacco di Judal, ma lo catalogò come “sindrome del primogenito spodestato”, per cui iniziò a sedergli accanto quando poteva, lasciandogli tempo per ambientarsi.
Fu Ja’far a lanciare l’allarme, quando dieci giorni dopo il parto trovò delle pesche ammuffite in cucina: Judal che lasciava marcire una pesca? Qualcosa non andava. Ma un’intera cassetta?
Se non ci fosse stato Robin probabilmente si sarebbe buttato anima e copro contro Judal, interrogandolo per ore cercando di estorcergli la verità, e invece fu più moderato. Avvertì immediatamente tutti i generali, che sentiti i sospetti di Ja’far, pensandoci a mente fredda, aggiunsero altri particolari inquietanti.
Dal giorno del parto non era sceso una sola volta da Pisti per fare quattro chiacchere.
Tre giorni dopo aveva passato un’ ora in caserma ad osservare le reclute allenarsi sotto la guida di Spartos.
Quando aveva incontrato Sharrkan per i corridoi una settimana prima lo aveva cortesemente salutato senza guardarlo con la solita faccia saputa.
Aveva prestato a Yamuraiha alcuni libri di incantesimi a cui era talmente legato che li aveva portati con sé da Kou.
In città alcuni giorni prima Masrur l’aveva visto concedere ad un bambino di tormentarlo per dieci minuti nel tentativo di scoprire il segreto dei suoi occhi rossi, e mai una volta gli aveva risposto male, anzi quando la madre tornò a prenderlo ringraziandolo per averglielo guardato abbracciò il marmocchio in segno di saluto.
E Dracoon e Hinahoho lo avevano visto più volte salire su alcune navi e appoggiare i gomiti sulla ringhiera a respirare la brezza marina, guardando l’orizzonte.
 

Qualcosa non andava. E non era scemo, pareva difficile che fosse l’arrivo di Robin ad averlo distrutto visto quant’era stato contento quando appena nato Ja’far lo aveva affidato a lui anziché a Yamuraiha.
Ma allora, cosa lo induceva a questo distacco dalla realtà e allontanamento da tutti?
Cosa lo spingeva in quella sorta di nera depressione?
Era un mistero, ma, decisero tutti insieme, lo avrebbero risolto.
 


 
******************
Dopo la discussione coi generali, Ja’far diede inizio all’offensiva.
-Che ne diresti di organizzare una cena per stasera?-
-Non c’è troppo poco preavviso?- domandò guardandolo con delle occhiaie più marcate del solito e gli occhi spenti, senza eccessivo interesse.
-Ma no, ho chiesto un po’ oggi e-
-Va bene- lo interruppe -ditemi cosa volete mangiare che vado a prendere gli ingredienti.-
-Perché non scegli tu?-
Scosse le spalle con ovvietà, riabbassando lo sguardo sul libro. -Perché l’ho sempre fatto, mi pare giusto che anche voi possiate esprimere la vostra opinione.-
Non era facile parlarci, ma Ja’far non desistette. -Credo che nella dispensa del palazzo ci sia un po’ di carne di mostro marino avanzata, è da tanto che non ne mangiamo.-
-Non ne ho mai preparato, posso provarci ma non posso garantire che venga bene.-
Dov’era il Judal che si accendeva come un fiammifero per una sfida?
-Direi che va benone, ma mi sembri stanco. Perché non vieni a riposare con me? Robin ha appena mangiato, non si sveglierà per almeno un ora quindi-
Judal chiuse il libro e si stropicciò gli occhi. Eureka!
-Grazie, ma non fa niente, devo fare qualche ricerca.-
… forse no. –Dai, la fai dopo, vieni a riposare un po’.-
Scosse le spalle. -Non voglio servire qualcosa di immangiabile.-
Non riusciva a farsi guardare. -Ah, non volevo metterti in difficoltà, andrà bene qualsiasi cosa, davvero!-
-Tranquillo, nessun problema. Vado a cercare qualche ricetta e poi passo a prendere gli ingredienti.- disse passandogli accanto diretto verso la porta, il tono piatto, il passo stanco e svogliato.
-Ci vediamo fra un po’.-
Judal mugugnò. Non era mai stato tanto distante, neppure quando agli inizi si odiavano.
Che cos’era cambiato ora?
 
 


******************
La cena fu pesante. I generali si erano accordati perché con naturalezza un po’ a turno cercassero di fare conversazione con Judal, ma si rivelò impossibile.
Non sentiva le domande, rispondeva a monosillabi, rifiutava gli inviti… era impossibile comunicare, quella sera parlò più Masrur di lui!
Ci fu un secondo, quando Kikiriku andò a chiedergli di giocare con loro a Taboo, in cui tutti i generali si convinsero che avrebbe accettato, che c’era ancora una speranza e invece Judal si alzò, dichiarando di essere troppo stanco per giocare, scusandosi con tutti, salì le scale e andò a letto.
Come si consola una persona triste? E se questa non fosse triste ma arrabbiata? Come si calma un arrabbiato? E se non fosse arrabbiato ma abbattuto?
Come potevano aiutarlo, se non sapevano dov’era il problema?
Sembrava quasi Judal fosse in depressione post-partum, solo che la madre era Ja’far.
 
 


******************
Due giorni dopo Ja’far si rifiutò di allattare Robin. La ginecologa aveva confermato che stava bene, per cui decise che, per quanto meschino fosse, avrebbe usato il suo povero figlioletto per smuovere Judal.
Il suo corpo, abituato a svegliarsi regolarmente ogni tre ore, lo costrinse ad alzarsi un paio di volte in piena notte, ma si rifiutò di salire le scale, in attesa.
E alle 8, dopo un digiuno di una decina di ore, Robin si svegliò, iniziando a strillare. Ja’far fu certo di aver vinto: a Judal piaceva dormire, da che aveva cessato di vomitare ogni mattina non si svegliava mai prima delle dieci e mezza, quindi era solo questione di tempo prima che, spazientito, prendesse il piccolo e lo portasse giù.
Certo, essendo un mago avrebbe potuto silenziare la propria stanza e continuare a dormire, ma non era cattivo, non avrebbe sopportato sapere un bambino solo e piangente senza nessuno ad occuparsi di lui, per cui presto o tardi si sarebbe alzato per andare dal piccolo a controllare.
Faceva male sentire Robin strillare così, ma si sforzò di non farci caso, premendosi un cuscino sulle orecchie.
Contò 407 secondi prima che la porta si aprisse, e si girò, certo di trovarsi davanti Judal con in braccio…
… nulla. Non aveva in braccio nulla.
Perché era semplicemente sceso a cercarlo? Perché non aveva portato giù lui il bambino?
Scostò le coperte e si alzò stizzito, oltrepassando Judal con rabbia, diretto dal figlio. Ma era giunta l’ora di parlare.
Così, non sarebbero andati avanti.
 
 


******************
-Che hai?-
-Nulla.- Non sollevò neppure lo sguardo dal libro. Botanica. L’unico motivo per cui a Judal poteva interessare la botanica, se si escludevano i peschi, era “ha i rami sufficientemente robusti perché io possa dormirci sopra?”.
Ja’far sospirò. Davvero, sperava di non dover arrivare a tanto. Strappò il libro dalle mani di Judal, che non si arrabbiò neppure. -Che cos’è successo?-
-Di che parli?-
Davvero credeva fosse scemo a tal punto?
-Ah non saprei. Fammici pensare.- si era ripromesso di mantenere la calma e non arrabbiarsi, ma fallì. -Dunque, dopo tutta la fatica che hai fatto per trasferirti in camera con me e Sinbad ora improvvisamente ti sposti nella camera degli ospiti. Dal nulla diventi ancor meno loquace di Masrur, cominciando ad ignorare anche Pisti, quando prima le facevi da ombra oversize, perdi ogni minimo interesse per la cucina e lasci marcire delle pesche!- elencò, poi cambiò tono. -Non saprei, davvero, dimmi tu. E non provare a negare quant’ho detto!-
Obbediente agli ordini di Ja’far, non negò. Per la verità, non disse nulla e basta.
-Senti- rinunciò Ja’far dopo un po’ che stava in piedi di fronte a lui in attesa di una risposta -se ti sei cacciato in qualche guaio o che, capita. Giuro, parlacene, e troveremo un modo per aiutarti. Ma non puoi continuare così. Andiamo, se non con me, parlane almeno con Sinbad, o Pisti, o Yamuraiha, chi cavolo vuoi, ma parla!-
Ja’far sollevò la testa, osservando Sinbad, appena rientrato dall’ufficio, annuire, e riportò lo sguardo su Judal, che dopo altri cinque munti di silenzio si passò le mani a palmo pieno sul viso, prendendo fiato per parlare.
-Non sono in grado. L’ho capito quando mi hai dato il piccolo in braccio. Non sarei mai in grado di occuparmi di un altro essere vivente. So cucinare, so rassettare, so le basi di medicina, ma non sono in grado di occuparmi di un bambino.-
Teneva le mani sul viso, rendendo impossibile guardarlo negli occhi, e sembrava stare veramente male.
Sinbad sorrise, mentre Ja’far inspirò e prese la parola.
-Judal, il semplice fatto che tu sia preoccupato di non farcela dimostra che sarai un genitore fantastico. E poi hai tempo, sei solo al quinto mese.- cercò di consolarlo Ja’far poggiandogli una mano sul ginocchio, osservando Sinbad sedersi dall’altro lato di Judal e rincarare la dose.
-E poi non sarai solo: hai visto tu stesso, ci sono almeno una decina di candidati pronti a fare da baby-sitter, quando vorrai staccare un paio d’ore basta che lasci il piccolo a qualcuno.- Sinbad avvolse un braccio alle spalle di Judal che per tutta risposta si alzò, andando a guardare fuori dalla finestra.
Sinbad e Ja’far si guardarono stupiti: doveva essere davvero sconvolto.
-Senti, puoi sempre fare pratica con Robin, non dico che non morda, ma non ha i denti, non ti farà male.- cercò di rassicurarlo Ja’far, restando sul divano a debita distanza.
-Non posso.-
-Judal, che ti prende?- domandò Sinbad facendo per alzarsi e andare da lui, ma Ja’far lo trattenne. Forse si sbagliava, ma sentiva che Judal stava per dirgli tutto, e non voleva che Sinbad lo innervosisse in qualche modo.
-Sarebbe crudele.- disse continuando il discorso, continuando a guardare il cielo, e Ja’far fece segno a Sin di tacere, in attesa del finale.
-Non voglio che si abitui, non resterò qui per sempre.-
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Il mondo sembrò fermarsi per un secondo, e poi cadere nel vuoto.
-Che stai dicendo?- chiese Ja’far con voce nervosa, torturandosi le mani.
-Non sono in grado di accudire un bambino, non ho mai avuto intenzione di farlo. Pensavo che avrei sempre potuto farlo nascere e poi venire a trovarlo ogni tanto, ma quando ho preso in braccio Robin, ho capito che non sarebbe stato giusto. Non si è madri quando fa comodo, lo si è 365 o 366 giorni l’anno, 7 giorni su 7, 24 ore su 24. Non posso decidere di andare e venire quando mi fa comodo, obbligando così un bambino ad assecondare i miei capricci, sarebbe crudele.-
Prese fiato. Sinbad e Ja’far lo guardarono inspirare e seppero che non era finita. Quando lo videro aprir bocca, capirono, prima ancora che parlasse, che ciò che stava per dire Judal li avrebbe mandati in pezzi, e Ja’far strinse la mano di Sinbad.
-Prendetevene cura voi. Non dite neppure a lui chi è sua madre, gli farebbe solo venire dei complessi. Non mentitegli dicendo che la mamma era troppo impegnata, quando sarà abbastanza grande e vorrà davvero capire, ditegli tutto, ma non indorate la pillola. “Purtroppo tua madre, il magi di Kou, un omega, non era in grado di occuparsi di te, non voleva prendersi la responsabilità, così ti ha abbandonato”.- cercò di prendere aria. Aveva gli occhi terribilmente rossi.
-Non è giusto chiedervelo però- disse iniziando a piangere, tirando su col naso, cercando di mantenere la voce ferma -vorrei lo cresceste voi. Sarebbe amato, e avrebbe dei fratelli con cui giocare, un regno pacifico in cui crescere. È più di quanto non possa dargli io.-
Singhiozzò un paio di volte, senza neppure provare a trattenersi. -Subito dopo il parto tornerò a Kou.- annunciò infine, e piangendo silenziosamente lasciò la stanza.
Non era questo che Ja’far voleva sentire. Non dopo tutto ciò che era successo.
Eppure, non mosse un passo quando lo vide allontanarsi, limitandosi ad annuire col capo lasciando la presa sulla mano di Sinbad.
Se era questo ciò che voleva, lo avrebbero fatto.
 









Note d’autore:
dopo questo capitolo proprio non posso usare il consueto titoletto scemo.
Dunque, con questo anche la seconda parte della storia è chiusa, e temo che qualcuno di voi possa dover correre a bere un paio di faldoni d’acqua per reintegrare i liquidi persi, mentre io ho non ho ancora trovato una tuta anti-proiettile… ma a parte le lacrime che ci ho versato l’ho amato, e sono piuttosto certa che nessuno di voi si aspettasse una cosa del genere, e mi piace l’idea di avervi stupito…
Hoshi
   
 
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