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Autore: Violet Sparks    28/05/2019    26 recensioni
Di come Tony Stark debba assolutamente rivedere la propria politica sulla privacy altrui.
E di come Peter Parker ne paghi le conseguenze, nel miglior modo possibile.
[ATTENZIONE, LA FANFICTION CONTIENE LEGGERI RIFERIMENTI A ENDGAME]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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French Kiss
 
 
 

“Peter, che diavolo stai facendo?”
L’urlo che uscì dalla bocca del ragazzino fu talmente forte che Tony Stark se lo sentì rimbombare nel casco e mise in allarme i sensori di tutta l’armatura.
Pericolo.
Pericolo.
Pericolo.
“Ok, Friday smettila! Smettila! Non c’è nessun pericolo!” imprecò, mentre armeggiava con alcuni comandi sul braccio.
Divenne una scena tragicomica: Tony ci mise quella che gli sembrò un’eternità a fermare la propria tuta -che, nel frattempo, aveva mandato un messaggio a Happy, attivato la modalità razzo, caricato i missili e messo in atto un suo check-up completo- mentre dall’altra parte della stanza, Peter Parker si massaggiava la fronte che aveva sbattuto contro il lampadario, quando dallo spavento i suoi sensi di ragno lo avevano portato ad eseguire una capriola perfetta, lanciandolo lontano dal letto e… beh, facendogli prendere un capocciata.
“Signor Stark! Che ci fa lei qui?” lo sentì chiedere, sconvolto, la voce più alta di un’ottava.
Tony (che in quel lasso di tempo, così rosso in viso e con le mani un po' malferme, era riuscito soltanto a mandare l’emoji di un cactus a Steve Rogers e Nick Fury) risolse per spegnere completamente l’armatura e uscire da lì dentro, mettendo su la faccia da poker più strafottente che riusciva a recitare.
Si schiarì la voce, tolse con qualche colpetto della polvere inesistente dal suo maglioncino nero di Armani e “Sono venuto a vedere se eri ancora vivo, ragazzo.” disse, cercando di apparire quanto più professionale potesse, “Non stavi rispondendo alle chiamate.”
“Io… ho lasciato il telefono a caricare… ero occupato…”
“Ho notato.”
Peter guaì come un cucciolo bastonato.
Di solito, quando veniva a trovarlo di persona, quasi si metteva a fargli le feste, trotterellandogli intorno in maniera fastidiosa e bombardandolo di domande e racconti delle proprie strambe avventure: “signor Stark, lo sa che ho sventato una rapina? Signor Stark, lo sa che ho preso A al compito di matematica? Signor Stark, lo sa che ho provato a toccare il fondo dell’oceano Pacifico e per poco non mi sono ammazzato?”.
Adesso invece, il ragazzino stentava a guardarlo negli occhi, il suo volto era paonazzo dalla vergogna e non accennava ad allontanarsi dalla parete opposta alla sua, a cui pareva essersi quasi aggrappato.
Ok, errore suo, forse doveva togliersi quella brutta abitudine di presentarsi alla finestra delle persone senza prima avvisare.
 
Il punto era che, Tony aveva fatto a Peter cinque chiamate quel pomeriggio e lui non aveva risposto neanche ad una.
Sapeva per certo che non aveva altre lezioni dopo pranzo, che non era stato messo in punizione e che non aveva appuntamento né con Ned né con MJ -il perché fosse a conoscenza di tutte quelle informazioni era un dettaglio irrilevante, che forse aveva a che fare con quello che Natasha definiva “un piccolo problema di manie di controllo” - per cui la prima cosa che gli era venuta in mente, conoscendolo, era che si fosse cacciato nei guai.
Per questo, Tony aveva lasciato la conferenza telematica a cui stava partecipando con altri importanti dirigenti, senza dare nessuna spiegazione, dopodiché aveva indossato la sua fiammeggiante armatura ed era corso tra le strade di New York, alla ricerca di Spiderman.
Stranamente, la scansione a tappeto che aveva operato sull’intera città, non aveva rilevato alcuna traccia di Peter Parker, cosa che -potendo- lo aveva allarmato ancora di più. Si chiedeva perché, se fosse stato in pericolo, il costume che gli aveva regalato non lo avesse avvertito immediatamente. Già lo vedeva nelle mani di qualche scienziato in grado di manomettergli i sensori di emergenza o svenuto dietro un cassonetto, dopo che lo stupido aveva cercato di salvare una vecchietta e non aveva fatto in tempo ad indossare le sue protezioni o peggio, da solo contro l’ennesima minaccia aliena che lui non era riuscito né a prevedere né a fermare.
Quest’ultimo pensiero gli aveva dato la nausea.
Tony non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, piuttosto si sarebbe fatto picchiare, prendere a pugni, ma la sola idea di vedere ancora Peter Parker morente, il suo visetto da bambino sporco di polvere e sangue, i suoi occhi di solito così profondi, spegnersi e diventare vacui, lo terrorizzava come poche cose al mondo, lo gettava in uno stato di angoscia e disperazione talmente profondi che lui stesso se ne vergognava.
Erano passati sette anni -sette lunghissimi e difficili anni- ma lui non aveva dimenticato.
Non avrebbe mai potuto dimenticare.
Come ultima spiaggia, si era quindi diretto verso l’appartamento del ragazzo, il cuore che gli martellava talmente forte da rimbombargli nel cervello e un velo di sudore freddo ad imperlargli la fronte.
Grazie a Dio, non appena ebbe individuato la sua finestra fra le mille tutte uguali del palazzo, lo aveva scorto lì, steso sul suo letto, probabilmente addormentato.
Tony non sapeva se aveva più voglia di abbracciarlo o di tirargli qualcosa addosso. Intanto s’era dato mentalmente dello stupido, perché alla sua età non poteva perdere la testa in quel modo ogni volta che c’era Parker di mezzo, doveva imparare a fidarsi di lui e soprattutto doveva smetterla di considerarlo morto come prima opzione, appena ci fosse stato un problema.
Per caso, aveva notato che la finestra era aperta, così, senza alcuna ragione apparente, si era avvicinato ancora, cercando di fare meno rumore possibile.
Si chiedeva se fosse il caso di svegliarlo per dirgliene quattro o rimandare la ramanzina ad un altro momento. Una parte di lui, quella più istintiva, avrebbe scelto la prima opzione soltanto per il gusto di vedere i suoi occhi neri, già grandi, farsi quasi immensi mentre si indispettiva per le dure parole che intendeva riservargli, per non parlare di quel broncetto da bambino che non riusciva a trattenere e che a Tony faceva sempre, irrimediabilmente, sorridere.
Ma no, aveva poi riflettuto, non avrebbe avuto senso disturbarlo.
Peter aveva già una vita così difficile per un adolescente della sua età: la mattina scuola, il pomeriggio compiti, la sera a combattere il crimine. Era normale che fosse stanco, Tony a diciotto anni non era mai stato come lui, anzi – a dirla tutta- era una grandissima testa di cazzo.
Si uccideva di canne e vodka scadente, era già andato a letto coi tre quarti delle stagiste di suo padre, lavorava solo quando aveva genio di farlo e certe volte era riuscito a dormire anche sedici ore di fila. Non era mai tornato a casa con lividi che non derivassero da una rissa che lui stesso si era premurato di scatenare. Non aveva mai rischiato di prendersi una pallottola o una coltellata per salvare una ragazza accerchiata da cinque uomini in un vicolo né un bambino che era stato rapito per chiederne il riscatto.
E aveva anche il coraggio di dare a Peter dell’irresponsabile…
Ancora sospeso a mezz’aria, l’uomo stava quindi per lasciar perdere, stava per riaccendere i razzi e andarsene con una semplice scrollata di spalle, quando, ad un tratto, aveva cominciato ad udire dei suoni.
Un mugolio sommesso.
Un ansito che lo aveva colpito dritto nello stomaco.
Un sospiro spezzato.
Incuriosito, Tony allora si era avvicinato nuovamente alla finestra e, questa volta, aveva cercato di scrutare bene al suo interno.
Peter… Peter non stava dormendo.
Era disteso sul letto, girato dal lato opposto, ma a ben vedere le sue gambe si stavano muovendo, strusciando piano tra di loro e contro le lenzuola pastello. Ogni tanto il suo busto si inarcava, scosso da un tremolio quasi impercettibile e i muscoli delle sue braccia erano evidentemente duri, in tensione, come nell’atto di afferrare qualcosa. La maglietta larga che portava addosso, gli si era arricciata all’altezza dei fianchi, lasciandogli scoperte le fossette di Venere, i suoi capelli scuri erano sparati in tutte le direzioni e un laptop acceso, anche se con la luminosità al minimo, era rivolto verso il suo viso, appoggiato sul comodino.
A quel punto, Tony Stark aveva riflettuto a fondo sulla possibilità di levare le tende, davvero.
Aveva seriamente preso in considerazione l’idea di lasciare al ragazzino la dovuta privacy e rimanere (per sempre) col dubbio su che cosa diavolo stesse facendo: non erano fatti suoi, d’altronde. Era preoccupato che Peter fosse ancora vivo e lo era, se n’era appena accertato, basta. Punto. Come il ragazzo stesse spendendo il suo tempo libero e perché non fosse corso alla cornetta non appena aveva ricevuto la prima chiamata, non doveva in alcun modo interessargli.
Arrivederci e grazie.
Peccato però, che tali validi, razionali e consigliabili pensieri, nella mente di Tony Stark fossero durati poco meno di un secondo.
Perché quello successivo, il suo corpo aveva preso a muoversi automaticamente e con un balzo s’era ritrovato sul pavimento ingombro di vestiti della camera da letto di Peter Parker. 
Era stato allora che aveva capito sul serio cosa stesse succedendo, in quel minuscolo arco di tempo subito prima che i sensi di ragno del ragazzino si attivassero per spingerlo lontano dal pericolo e quell’urlo davvero, davvero poco virile si liberasse dalla sua bocca.
Aveva beccato Peter Parker a limonare.
A limonare col suo cuscino, per l’esattezza.
 
Adesso non sapeva davvero chi dei due potesse essere più in imbarazzo.
Il ragazzino continuava a guardarlo a stento, la testa bassa incastrata nelle spalle, come a volerci sparire in mezzo, le guance talmente paonazze da sembrare marchiate col fuoco. Era vestito per casa, molto semplicemente: pantaloni della tuta neri, stretti alle caviglie e una maglia che di sicuro doveva aver visto giorni migliori, rossa e leggera, slabbrata all’altezza del collo.
I suoi capelli castani erano tutti arruffati, liberi dal gel con cui era solito sistemarli.
Una parte di Tony pensò che avrebbe tanto desiderato passarci le dita in mezzo.
“Perché mi stava cercando, signor Stark? Ci sono problemi?” balbettò quindi il giovane, nell’evidente tentativo di deviare il discorso.
L’uomo si schiarì la voce, si grattò la fronte.
Dio, Peter aveva perfino un principio di erezione…
“No, no assolutamente.” si affrettò a dire “Era che, Happy ha detto di non averti sentito per tutta la settimana e tu di solito lo tartassi di messaggi. Poi ti ho chiamato io e non hai risposto al cellulare per cui…”
“Oh! Non me ne sono reso conto!” ribatté subito l’altro, desolato “È che… sono stato un po' occupato, in questo periodo… credo di essermene dimenticato.”
“Certo, lo capisco, è ovvio. Starai preparando gli esami, immagino.”
“Sì, io…” a quel punto il ragazzino sospirò, mostrandosi, se possibile, ancora più depresso di prima “Non volevo farla preoccupare, signore, mi dispiace.”
“Non fa niente, l’importante è che sei tutto intero.”
Finalmente Peter alzò gli occhi neri su di lui, accennando perfino un piccolo sorriso.
Tony non riuscì a non sollevare, di rimando, almeno uno dei due angoli della bocca.
Poi lo vide scattare come una molla.
“Oh Dio! Le chiedo scusa, signor Stark! La casa è un disastro! Zia May è fuori con le amiche per il weekend e mi aveva detto di non mettere confusione, ma avevo intenzione di pulire poco prima che fosse tornata! Davvero! Scusi! Oh Dio! Rimedio subito! Lo giuro! Rimedio all’istante!” gridò tutto d’un fiato, dopodiché quasi si lanciò sul pavimento a raccattare quanti più panni potesse, con l’intento di gettarli in malo modo nell’armadio.
In effetti, sembrava fosse scoppiata una bomba in quella camera: tra vestiti buttati qua e là e vecchi cartoni della pizza, era difficile ormai scorgere le piastrelle del pavimento. Sparse per le superfici c’erano almeno quattro diverse tazze di caffè sporche, sul cassettone svettavano pile e pile traballanti di giochi per la PlayStation e la scrivania era una catastrofe, piena zeppa di scartoffie, tra pagine di quaderno, libri, disegni e post-it colorati.
Tony osservò per un po' l’adolescente continuare a farneticare frasi sconnesse e arrabattarsi nel suo stesso disordine, tuttavia, prima che la cosa gli causasse un bel mal di testa, optò per distogliere l’attenzione e concentrarsi su qualcos’altro.
Alla fine, avrebbe anche potuto dirgli di non disturbarsi, perché non aveva intenzione di fermarsi ancora a lungo, il problema però era che Tony era davvero un sadico bastardo alle volte, e a dirla tutta, lo divertiva un casino vedere Parker impanicarsi in quella maniera.
Si avvicinò quindi alla scrivania, senza particolare interesse, sorridendo davanti ai vari scarabocchi di ragni fatti a penna che gli capitarono tra le mani.
C’era di tutto: compiti di algebra, saggi brevi, schemi di storia, cartine di geografia.
Fu scavando più a fondo però, che una serie di buste da lettera attirò la sua attenzione.
Le estrasse e lesse sul retro i vari mittenti.
Ok, forse doveva rivedere la propria politica sulla privacy degli altri.
“Ehi! Sono lettere dei college queste?” chiese, appena prima di aprirle senza nemmeno chiedere il permesso e cominciare a leggerne il contenuto. “Uao! Sei stato ammesso praticamente ovunque, ragazzo! E con una borsa di studio! Congratulazioni!” continuò, incapace di nascondere il proprio entusiasmo. Ma come poteva? La Columbia, la Brown, la MIT! Peter aveva l’imbarazzo della scelta, c’era un grande futuro ad attenderlo.
Eppure, “Oh sì, quelle…” fu la laconica risposta dell’altro, mentre continuava a sistemare alla bell’e meglio la cameretta “Mi erano già arrivate le email.”
Tony lo guardò stralunato.
“Sono college ottimi, lo sai vero?”
“Sì, certo.”
“Sai anche quanto è difficile venire accettati? E con una borsa di studio poi!”
“Immagino di sì.”
“E allora cosa ti prende? Dovresti essere lì fuori a festeggiare coi tuoi amici.”
“Lo so, va bene? Lo so! Zia May organizzerà sicuramente qualcosa non appena gliel’avrò detto!” sbottò a quel punto Peter, evidentemente spazientito.
Era la prima volta che assumeva un atteggiamento del genere verso Tony e se ne dovette accorgere egli stesso, perché non smise di allisciare le lenzuola del letto, nervoso, anche quando ormai era palese fossero divenute perfette.
Di nuovo, Peter stava sfuggendo gli occhi inquisitori di Tony e l’uomo non faceva fatica a immaginare il perché: quel ragazzino era così ingenuo e spontaneo alle volte, che ogni singola emozione o pensiero si facevano quasi tangibili attraverso il suo volto.
Non riusciva a nascondere niente, era come un nervo scoperto, l’elettricità di un filo rotto costantemente nuda ed esposta, eppure la cosa sorprendente era che ciò non lo rendeva affatto fragile, anzi alle volte pareva conferirgli forza, splendore, la potenza di una freccia sparata nel vento.
Come a dire: eccomi, sono questo, questo è il mio cuore, questa è la mia anima, adesso che ne vuoi fare?
Quando era così, a Tony faceva invidia e forse anche un po' paura.
Lui era un uomo troppo debole per mostrarsi vulnerabile.
Per proteggere il suo cuore, tanti anni fa, s’era dovuto costruire 80 chili di armatura.
“È questo il motivo per cui sei così assente ultimamente? Non sai quale college scegliere?” insistette ancora il più grande.
“Sì, immagino di sì…”
“Ho ancora molti amici all’MIT, potrei farti fare un giretto se sei indeciso.”
“No… non si disturbi signor Stark, davvero. Ne parlerò con mia zia.”
“Dannazione! Vuoi lasciar perdere quelle caspita di coperte e guardarmi!”
Peter sussultò.
Sollevò le mani dal letto quasi avessero preso fuoco, di nuovo si strinse nelle spalle, come a farsi piccolino, poi con un sospiro affranto, arreso, finalmente si decise ad obbedire, voltandosi verso di lui.
I suoi occhi, neri e profondi, erano inquieti.
“Che succede? Parla.” affermò Tony e per confermare il fatto che non se ne sarebbe andato di lì senza uno straccio di spiegazione, trascinò una sedia sul pavimento e vi si accomodò. Il ragazzo si lasciò cadere, a sua volta, seduto sul letto.
Buffo, pensò l’uomo, quelle posizioni gli ricordavano il loro primo incontro.
“Il fatto è che, io non sono pronto per andare al college, signor Stark.” ammise infine Peter “Non credo di esserlo.” Sembrava veramente affranto, la sua espressione era cupa e una ruga lunga e profonda gli solcava la fronte, come una cicatrice fisica del cruccio che lo stava divorando all’interno.
Tony incrociò le braccia muscolose al petto.  
“Beh sì, immagino sia un bel cambiamento.” rifletté, ad alta voce “Potresti doverti trasferire, lasciare i tuoi amici e tua zia. Le lezioni ti porteranno via più tempo, non sarà facile conciliare tutto questo con la tua vita da Spiderman.” continuò, cercando di analizzare la situazione da ogni angolazione possibile, come faceva con Friday davanti all’avaria di un circuito elettrico.
La verità però, era che non riusciva veramente a mettersi nei panni del ragazzo: Tony era stato ammesso alla MIT a soli quindici anni, all’epoca vedeva i suoi genitori al massimo durante le feste comandate. Non aveva amici, non aveva responsabilità impellenti, per lui l’università era stata solamente l’ennesimo traguardo da esporre ad una collezione già ampia di successi, non aveva mai avuto dubbi nemmeno sul fatto che si sarebbe laureato nel giro di due anni.
Per Peter doveva essere diverso ovviamente.
Lui aveva degli amici fidati, una famiglia un po' scarna, ma presente.
Uno scopo.
Non doveva essere facile affrontare un cambiamento tanto radicale.
Per cui “Comunque, sono sicuro che te la caverai, ragazzo. Non devi preoccuparti.” riprese Tony, cercando di apparire serio e fiducioso, anche se i discorsi alla ‘I believe in you’ non erano proprio il suo forte, di solito preferiva lasciarli al Capitano “I tuoi cari staranno bene, li vedrai più spesso di quello che credi. E alla fine tu non sei tanto male. Sei mediamente intelligente, abbastanza capace, sai fare le capriole! Sopravviverai.”
Dall’altra parte, Peter annuì poco convinto, forse indeciso se considerare le parole dell’uomo un complimento o meno. Torse le sue lunghe dita nodose tra di loro, prendendo a fissarle con insistenza, in una sequenza nervosa che era solito riprodurre quando non sapeva che decisione prendere ed era spaesato.
Fece per aprire la bocca e cominciare a parlare esattamente tre volte, ma per altrettante cambiò idea, tornando indietro.
Alla quarta, finalmente, si convinse e Tony gliene fu grato, perché stava per perdere la pazienza.
“Grazie, signor Stark, significa molto per me.” disse. “Ma non è proprio di questo che stavo parlando…”
“E di cosa allora?”
Peter deglutì.
“Ecco, io… io credo di essere rimasto indietro, signore. Rimasto indietro rispetto agli altri, ai miei coetanei. Con Spiderman e quei cinque anni di nulla, sa, non è stato facile. Io mi sono perso delle cose, delle esperienze.”
Tony assottigliò lo sguardo, inclinò leggermente il capo verso destra, senza riuscire a nascondere la propria confusione.
“Esperienze di che tipo? Vuoi ubriacarti in discoteca? Farti una canna?”
“No! No! Non vado dietro a queste cose!” si affrettò subito a rimarcare il ragazzo “Intendo esperienze più umane, più… intime…”
A quel punto, la mente di Tony – che era veramente eccelsa, in certe occasioni- finalmente mise insieme i pezzi, le parole del ragazzo e la stramba scena a cui aveva assistito in precedenza, fece due più due e un’illuminazione lo folgorò, mettendo in ordine ogni tassello.
“Tu hai paura di arrivare vergine al college! Sul serio, è questo il problema?” esclamò.
Peter Parker sbarrò gli occhi, prima sbiancò, poi divenne rosso ciliegia, infine assunse una tonalità tendente all’arancione.
“No! Non è questo! Cioè sì, ok! Però… no!” farfugliò ad alta voce “Ma perché diavolo sto dicendo queste cose a lei?”
“È per questo che ti stavi masturbando prima? Stavi raccogliendo informazioni dai porno?”
“OH MIO DIO! Non mi stavo masturbando!”
“Sì invece! Tutto quell’inarcare la schiena, strusciare le gambe, il computer acceso…”
“No! Non era un porno!”
Ok, effettivamente Tony si stava divertendo un mondo.
Era esilarante vedere Peter così in difficoltà, tutto balbettante e intimidito.
Un po' gli faceva pena, ma non riusciva a smettere di torturarlo.
“Guarda che non ci sarebbe niente di male: è una cosa normale. Io a diciotto anni ero uno dei più grandi estimatori di Playboy.” continuò l’uomo, con un sorrisetto mellifluo.
Peter sbuffò, dopodiché afferrò il computer che aveva riposto, sollevò lo schermo e lo girò per mostrarlo all’altro, alzando la luminosità al massimo.
Tony cercò almeno di non scoppiare a ridere, ma proprio non ce la fece a mantenere l’espressione sbigottita che gli si stampò sulla faccia.
‘Imparare a baciare: consigli per ragazzi e ragazze.’
Quindi era questo che stava facendo prima? Non si stava toccando o altro, stava soltanto testando un tutorial sui baci alla francese col suo fedele cuscino, ma allora…
“Tu non hai mai baciato nessuno, Peter?”
“No, non ho ancora dato il primo bacio.”
Tony sorrise appena e si morse un labbro.
Dio, Peter era… unico.
La notte affrontava criminali terribili, sette anni fa s’era lanciato contro Thanos, cercando perfino di sfilargli il guanto dell’Infinito e poi magari non aveva mai avuto il coraggio di chiedere a una coetanea di uscire, di farsi toccare da qualcuno, di farsi regalare piacere.
L’uomo deglutì, la sua testa stava cominciando a correre dove non avrebbe dovuto.
Peter nel frattempo aveva chiuso il portatile e si era portato le ginocchia al petto, per nasconderci dietro la fronte.
“Beh, alla fine non è questo gran problema” riprese l’uomo, cercando di togliere il poverino dall’imbarazzo “Il bacio… arriverà!”
“Signor Stark, non serve, davvero! Ho già voglia di sotterrarmi così…”
“Sei Spiderman! Non è possibile che tu abbia tutti questi problemi a trovare qualcuno.”
“Nessuno sa che lo sono, signore.”
“Ah giusto. Ed è un bene che sia così, sì.” rifletté Tony “Ma ci sono tante ragazze nella tua scuola, no? Non te ne piace nessuna?”
“Signor Stark, non credo di voler affrontare questo argomento con lei.”
“Hai anche un bel fisico! Sono abbastanza sicuro che tu abbia una striscia di addominali in più del normale, sai?”
“È complimento?”
“Ma a te piacciono le ragazze?”
Peter guaì sconfortato.
Si passò una mano tra i capelli, ormai stava sudando freddo.
“Sì, credo” sussurrò, mentre si mordicchiava nervosamente il labbro inferiore “Mi piacciono le ragazze… e anche un uomo, a dirla tutta … ma vabbè…”
Alla parola uomo, senza alcun motivo preciso, Tony si irrigidì.
“Se ti riferisci a Steve Rogers, sappi che l’attrazione per il suo fondoschiena è una fase che attraversiamo tutti, nessuno escluso” scherzò, anche se la cosa, in realtà, gli causò un fastidioso pizzicore nelle viscere.
Peter accennò un sorriso, ma scosse la testa.
“No, non parlo di lui, signore.”
“Meglio per te, perché Barnes è un tipetto possessivo.”
A quel punto, il ragazzino riuscì persino a ridere, una risata brevissima che però a Tony piacque ascoltare.
Un po' meno rigido, riapparve da dietro al suo nascondiglio di ginocchia, puntò le mani sul materasso e si raddrizzò.
Il suo sguardo aveva acquistato una improvvisa risolutezza, la luce della determinazione “Signor Stark, la ringrazio, ma non c’è bisogno che si preoccupi per me, davvero.” disse “Stasera c’è una festa per quelli dell’ultimo anno ed io… ho intenzione di risolvere il problema! Tutti e due, se ci riesco.”
La fitta che avvertì Tony allo stomaco, questa volta, fu talmente forte che gli venne da tossire.
“Bene. Mi sembra perfetto.” disse, incerto.
“Berrò qualcosa, mi troverò qualcuno e… succederà.” continuò l’adolescente, come se stesse ripassando un progetto di scuola. “Ovviamente non voglio ubriacarmi! E vorrei che nemmeno l’altra persona fosse troppo ubriaca. Berrò solamente qualche bicchiere e… mi lancerò nella mischia.”
“Sì, è così che funziona.”
Peter annuì con veemenza, ma da ogni singolo poro della sua pelle era evidente che non fosse affatto convinto di quello che stava dicendo.
Tony non sapeva che fare: lo aveva messo in imbarazzo abbastanza con tutte quelle domande inopportune, se ne rendeva conto. La verità era che non avrebbe dovuto essere lì, non avrebbe mai dovuto nemmeno piombargli in camera in quella maniera.
La vita privata del ragazzo non era affare suo, Peter aveva diciotto anni, non cinque, era perfettamente in grado di prendere delle decisioni oculate. Alle volte, Tony si chiedeva se la maniacale attenzione che riservava al ragazzo, quell’esasperante senso di protezione e premura che avvertiva nei suoi confronti, fosse più per se stesso che per l’altro in sé.
La verità era che gli piaceva far parte della sua vita, sentiva un bisogno quasi ancestrale di gravitargli intorno, osservarlo, toccarlo, conoscerlo, scoprire sempre nuove sfumature di lui. Peter era un adolescente, un essere in divenire, ogni giorno diverso dal precedente, ogni secondo un po' più sveglio, un po' più adulto, argilla fresca che continuava a modellarsi tra le dita del tempo.
E lui doveva smetterla, cazzo.
Smetterla di considerarlo roba sua.
Smetterla di cercare di controllarlo, di indirizzarlo, di imporsi in quel modo nella sua esistenza.
Peter se la cavava benissimo senza di lui.
Quella notte, probabilmente, qualcuno lo avrebbe aiutato a diventare grande.
“Credo… credo che farò una doccia adesso, signor Stark. Tra poco Ned passerà a prendermi.” fece dunque il ragazzo, cercando di congedarsi nella maniera più educata possibile. Dubitava che stesse dicendo sul serio, ma il silenzio imbarazzante che era sceso tra di loro, s’era aggiunto ai mille e uno momenti di disagio già affrontati quel pomeriggio, per cui Tony non protestò.
Ridestandosi dalle sue elucubrazioni, annuì e si alzò. “Messaggio ricevuto, levo le tende!” disse, accennando un sorriso falsissimo.
C’erano così tante cose che gli affollavano il cervello, in quel momento, che gli sembrava di stare sotto effetto di narcotici. L’immagine di Peter, mezzo sbronzo, che si avvicinava a un ragazzo senza volto e lo baciava, magari dentro al cubicolo di un bagno schifoso, gli causò una fitta talmente forte dietro la nuca, che se non avesse saputo di stare al sicuro, all’interno di un palazzo, avrebbe pensato di essere appena stato colpito da un proiettile.
Dio… poteva quasi vederlo.
Peter incastrato tra lo sconosciuto e il muro, un muro imbrattato di scritte oscene e vecchi numeri di telefono, maleodorante di piscio, vomito e candeggina. Peter che strusciava le gambe l’una contro l’altra e inarcava leggermente il busto, come l’aveva visto fare poco prima sul suo letto. Peter che sospirava appena, mentre lo sconosciuto gli passava le mani sui fianchi e gli sollevava leggermente la maglietta.
Non si era nemmeno accorto di essersi impalato in mezzo alla camera, rigido e immobile come una statua, quando “No, ok, non ce la faccio. Non posso permettere che succeda.” aveva pronunciato in automatico la sua bocca, non sapeva se a sé stesso o al ragazzo che gli stava di fronte.
Peter lo guardò confuso.
Tony non avrebbe potuto biasimarlo.
“Che cosa, signore?”
“Quello che intendi fare stasera. È una cazzata, non esiste, non posso lasciartela fare.”
“Come?! Perché? È così che lei ha dato il suo primo bacio! A tredici anni, nel bagno di una discoteca. L’ho letto nella sua biografia.”
“Sì, me lo ricordo ed è stato uno dei tanti errori della mia vita.”
Gli occhi color pece di Peter si fecero immensi, sotto quella corolla di ciglia nere e sottili. Tony ci si perse un poco in mezzo, ancora diviso fra l’istinto di autoconservazione che gli diceva di lasciar perdere e qualcosa all’altezza del petto che invece lo costringeva a rimanere piantato lì immobile. Ad un certo punto però, impose a sé stesso di muoversi, quantomeno di riacquistare il dovuto contegno, per cui strinse le labbra e afferrò nuovamente la sedia.
La trascinò vicino al letto, questa volta, proprio davanti a Peter, le loro ginocchia divise da un centimetro, tutto pur di essere sicuro che il ragazzo non potesse in alcun modo scappargli.
“Senti, lo so che sto per fare un discorso da vecchio nostalgico, che ti sembrerò ipocrita e che la tua vita privata non è affare mio. Hai ragione, te ne do atto. Ma lo stesso voglio che tu mi stia a sentire per un secondo. Solo per un secondo” cominciò, guardandolo attentamente negli occhi, una cosa che non gli era mai riuscita di fare a quella distanza irrisoria. Peter aveva il viso infiammato dalla vergogna, le labbra lucide schiuse per la sorpresa di essersi trovato l’uomo così vicino. Era frastornato, intimorito, eppure non si era ritratto né aveva emesso una qualche protesta: semplicemente, aveva conserto le braccia, nel tentativo di mettere un po' di distanza tra sé e l’altro ed era rimasto in religioso silenzio, sostenendo il suo sguardo, pur sbattendo le palpebre con una frequenza preoccupante.
Tony sospirò.
“Peter, il nostro mondo è un casino da quando abbiamo sconfitto Thanos. La gente ha paura ed è normale che sia così. Ha… fretta. Fretta di vivere, di apprendere, di scoprire. Di fare. Arraffa ogni cosa che può, ogni cosa che gli capita davanti, perché ha il terrore che il minuto dopo potrebbe perderla per sempre, perché cinque anni fa è così che è stato. Stanno tutti cercando di dare un senso alla propria seconda possibilità, ma… è questo il punto: dare un senso.” disse, consapevole di stare innescando una valanga di ricordi dolorosi, una scarica di verità taglienti pronte a dilaniare “Hai ragione, il mio primo bacio è stato in una discoteca, quando avevo tredici anni. Mi sono intrufolato alla festa di un liceo, stavo ballando e all’improvviso mi si è avvicinato questo ragazzo. Abbiamo parlato un po', bevuto una coca e neanche venti minuti dopo siamo finiti in bagno, a mangiarci la faccia a vicenda. Sul momento mi è sembrata la cosa più incredibile del mondo, ero talmente esaltato che la notte, a ripensarci, non ci dormii, ma sai qual è la verità? Il mattino dopo mi feci trovare fuori la scuola di quel tipo. Volevo parlargli, chiedergli di uscire magari… lui invece mi passò di fianco, così, senza nemmeno salutare, senza degnarmi di un solo sguardo. Non aveva la più pallida idea di chi fossi, non ricordava nemmeno il mio volto. Ero un nessuno, uno qualsiasi tra la folla. In effetti, la notte prima non aveva neanche chiesto il mio nome.” un sorriso amaro apparve sulla bocca dell’uomo “E non credere che il mio primo approccio col sesso sia stato migliore…” confessò ancora, scrollando appena le spalle.
Sollevò lo sguardo verso Peter, il quale lo stava ascoltando con estrema attenzione, gli occhi scuri e giganti fissi su di lui, al punto tale che a Tony, d’un tratto, parve sentirne il peso sulla pelle.
Era la prima volta che si metteva così a nudo con lui, la prima volta che gli lasciava scorgere Tony, semplicemente Tony, l’uomo rotto, incasinato e alla fine un po' patetico al di là della bella armatura di Iron Man.
E la cosa gli stava facendo paura.
Dio, se gli stava facendo paura.
Perché la verità era che tutto quello spogliarsi lo stava buttando nella fossa dei leoni, lo stava avvicinando pericolosamente al ragazzo, come non era mai stato prima di allora, come non avrebbe mai dovuto essere, soprattutto come aveva imposto a se stesso di non lasciare mai che accadesse.
Da mentore, da miliardario, da supereroe, era facile mantenere le giuste distanze, ergersi un gradino al di sopra, ma adesso, faccia a faccia, uomo a uomo, seduti uno innanzi all’altro, ricordarsi i propri ruoli stava diventando estremamente difficile.
“Non ne avevo idea, signor Stark.” disse Peter, desolato, protendendosi un poco verso di lui.
La mente di Tony gli ordinò di scansarsi.
Il suo corpo non la ascoltò.
“Senti, tutto questo è soltanto per dirti che sì, il sesso, i baci, i preliminari sono meravigliosi. Eccitanti, esaltanti, tutto quello che vuoi. Ma quando li fai con una certa persona – quella persona- diventano qualcosa di più.” disse, la voce d’un tratto più roca, lo sguardo incatenato a quello dell’altro e il cuore che correva “Perciò il tuo primo bacio non può essere in un bagno schifoso, con una tizia o un tizio che magari ha appena vomitato e il giorno dopo non si ricorderà nemmeno il tuo volto. Deve avere importanza. Deve avere un significato. Deve essere con una persona che non riesci a toglierti dalla testa, una che ti fa dimenticare di riprendere fiato. Una che soprattutto sa chi sei, che ti vuole bene davvero e non desidera altro che te in tutto l’universo.”
Peter sussultò.
Si inumidì leggermente le labbra con la punta della lingua, deglutì, poi emise un respiro spezzato, quasi un singulto, come se le parole del più grande lo avessero colto dentro, raggiungendo perfino le ossa.
Non aveva mai smesso di osservare Tony, il suo sguardo era rimasto incastrato dentro a quello dell’uomo per tutto il tempo, con un’insistenza e una prepotenza che all’inizio l’avevano lasciato un po' sgomento, eppure adesso il suo sguardo sembrava essersi aperto, illanguidito, velandosi di una patina lucida e trasparente simile a una passata di lipgloss.  
“Signor Stark, io…” cominciò, la voce flebile, roca, troppo incerta.
A Tony venne istintivo interromperlo con una mano, una mano che però prese un percorso tutto suo, posandosi aperta tra la mascella e il collo del ragazzo, in una carezza ruvida che non aveva niente a che fare con l’affetto.
La pelle di Peter era calda, liscia, tesa sopra i suoi lineamenti spigolosi.
Sentirlo rabbrividire sotto il palmo, lanciò a Tony una scarica elettrica dritta in fondo allo stomaco. All’improvviso venne colto da una frenesia strana, quasi violenta. Quel genere di frenesia che ogni tanto -troppo spesso- lo coglieva quando sorprendeva se stesso a guardare il ragazzo più del dovuto, quel genere di frenesia che lo faceva vergognare dei suoi pensieri infidi e dubitare della genuinità della sua azioni, quel genere di frenesia che gli ordinava soltanto di toccare, prendere, segnare, mordere e che mettere a tacere era faticoso quanto una corsa.
Tra le dita, avvertì il collo di Peter irrigidirsi, il sangue pompare più veloce nella giugulare.
Cosa stava facendo?
Che diavolo si era messo in testa?
Scostò la mano di scatto e balzò in piedi, il fiato corto, gli occhi fissi verso un punto imprecisato della parete opposta.
“È meglio che vada, adesso.” affermò, dopodiché si avviò verso la porta a passo di marcia, senza nemmeno aspettare la risposta dell’altro.
Aveva bisogno di uscire da quella casa il più in fretta possibile, doveva riprendere il controllo.
Arrivò alla porta di ingresso per puro caso, occupato com’era a non alzare mai gli occhi dal pavimento, tuttavia ogni suo proposito andò a farsi benedire, quando una ragnatela colpì la maniglia che stava per stringere, rendendogli impossibile la fuga.
Inveì mentalmente, contò fino a dieci e si voltò.
Peter era in mezzo alla stanza, col braccio ancora proteso in avanti per il colpo.
“Peter, devo andare via. È stato bello chiacchierare con te, ma ho un’azienda da mandare avanti, per cui…” disse, meno spavaldo di quanto avrebbe voluto, cercando perfino di fingere un sorrisetto di incoraggiamento che probabilmente da fuori somigliò più ad una smorfia.
Il ragazzo non disse una parola, ma lentamente gli si avvicinò.
“Peter, per favore…” lo supplicò allora, in un ultimo sussurro sfinito, che questa volta non provò nemmeno a nascondere.
Peter si fermò davanti a lui, a pochi centimetri dal suo naso, così vicino che Tony avvertì il suo respiro sulla bocca, in maniera nitida e distinta.
Passò un attimo, prima che si protendesse ancora verso di lui, chiudendo definitivamente le distanze con un bacio.
Fu un contatto morbido, dolcissimo, deciso.
Tony rimase immobile, mentre le labbra del ragazzo spingevano contro di lui, ma se qualcuno avesse potuto leggergli nel pensiero, quello che avrebbe trovato sarebbe stata una tempesta di emozioni, istinti contrastanti che si avvicendavano nella sua testa, annullandosi l’un con l’altro.
Quando Peter si staccò, nascondendo la fronte nell’incavo del suo collo, l’uomo si soprese a tremare.
“Che stai facendo?” disse, cercando di regolarizzare il battito cardiaco.
Il ragazzo sollevò la testa, fissò la sua guancia contro quella ispida dell’uomo in una buffa carezza, dopodiché scivolò di nuovo in prossimità della sua bocca.
Tony si impose di mantenere il controllo, ma era così maledettamente difficile.
Ogni respiro ero un sorso del fiato caldo di Peter.
“Sto facendo quello che mi ha detto lei, signore. Sto baciando una persona che non riesco a togliermi dalla testa, una che mi vuole bene davvero.”
“No… non è questo che ti ho detto…”
“Lei non mi vuole bene?”
“No… cioè sì. Sì, certo. Ma non nel modo in cui credi tu…”
“E in che modo allora?”
“Non lo so.”
Semplicemente, non ce la fece più.
Fu lui questa volta ad arpionare le labbra del ragazzo e lo fece senza grazia, con bisogno e prepotenza, incollandolo al suo corpo prendendolo per i fianchi, da sotto la maglietta e posandogli una mano dietro la nuca, affondando le dita aperte tra le sue ciocche castane.
Era debole, così debole, quando si trattava di Peter.
E si odiava per questo, avrebbe voluto prendersi a pugni da solo, ma il sapore del ragazzo era droga, cocaina e lui non sapeva da dove cominciare per disintossicarsene.
La verità era che Peter sapeva delle cose buone del mondo, di vita incontaminata, di possibilità, di purezza. Sapeva di cose che Tony aveva dimenticato e che forse non meritava più di avere, ma che una parte di lui bramava lo stesso, disperatamente, con tutta la sua forza.
All’improvviso, sentì il ragazzo aggrapparsi alle sue spalle, circondarlo con le braccia e quasi cercare di arrampicarglisi addosso, tanta era la voglia di contatto. Era evidente che non sapesse bene ciò che stava facendo: i suoi baci erano impacciati ma anche irruenti, i suoi movimenti febbrili, convulsi, imprevedibili.  Sembrava non conoscere vergogna, non avere pudore: tutto in lui era desiderio e fame e bisogno.
Tutto in lui era sincero, autentico, nudo.
Non cercava di nascondere i sospiri o i gemiti, non aveva ritegno nell’inclinare il collo per permettere alla bocca dell’altro di succhiarlo e morderlo e, di certo, non ebbe nemmeno timore quando, con tutta la naturalezza del mondo, lasciò le proprie dita scivolare lungo il torace dell’uomo, fino ad accarezzare la fibbia metallica della sua cintura.
Tony semplicemente impazzì, prese Peter di forza e lo schiacciò tra sé e la porta di ingresso, gli intrecciò i polsi sopra la testa e con la mano libera gli afferrò il mento, portandolo a schiudere le labbra.
Quando lo fece, l’intreccio delle loro lingue fu qualcosa di indecente.
“Signor Stark…” ansimò il ragazzo, completamente sconvolto.
Provò a liberarsi, ma Tony non glielo permise, piuttosto gli strinse di nuovo il mento e gli impedì di continuare a parlare.
Il profumo della sua pelle lo stava stordendo: più che baciarlo, avrebbe voluto divorarlo a morsi, lappando e mordendo ogni più piccolo affranto del suo corpo perfetto, almeno finché qualcuno non lo avesse costretto a fermarsi.
Si rese conto di star facendo uno sforzo tremendo a non cedere al più basso istinto di prenderselo, semplicemente prenderselo, strappargli i vestiti di dosso e portarselo a letto, lì, in quel momento, in un appartamento vuoto e disordinato, dove nessuno si sarebbe lamentato dei loro ansiti.
Ogni sospiro di Peter era un colpo all’autocontrollo di Tony, un brivido dritto nel suo basso ventre già abbondantemente sovraeccitato. Il modo in cui si inarcava contro di lui, strusciando il bacino e il petto, a breve lo avrebbero mandato fuori di senno, per cui, fu chiamando a raccolta tutta la propria levatura morale, che impose a se stesso di darsi una calmata.
Con un piccolo schiocco, si allontanò quindi dalle labbra del ragazzo, lasciandogli i polsi e cercando al contempo di riprendere fiato.
Alzò gli occhi su di lui, ma se ne pentì.
Ancora spalmato sulla parete, guance paonazze e labbra lucide e gonfie, Peter Parker era a dir poco uno spettacolo.
“Signor Stark, io…” sussurrò, ancora evidentemente frastornato dagli eventi.
Adesso che l’incendio dentro di lui doveva essersi placato, la vergogna stava già riprendendo il sopravvento: non riusciva a guardare Tony negli occhi, piuttosto preferiva puntarli, ancora sgranati, sul pavimento.
Cielo, e pensare che era stato proprio quel ragazzino timido e insicuro a strusciarsi contro la sua semi erezione appena un secondo prima.
“Sei stato avventato.” affermò dunque Tony, incastrandolo tra le sue braccia tese e avvicinando i loro volti in modo tale che l’altro fosse costretto a guardarlo.
La smorfia indispettita che improvvisamente gli rivolse Peter, lo costrinse a trattenere una risata.
“Lei ha risposto al bacio!” protestò, come se non fosse abbastanza evidente.
“Ho detto che sei stato avventato, non che hai fatto un errore.” continuò a provocarlo il più grande.
Il ragazzo arrossì, prese a grattarsi la nuca con fare nervoso e cominciò a farfugliare.
“Ah… ok! No, perché io potrei capire se fosse stata una cosa del momento… cioè io mi sono buttato… non ci ho pensato… forse avrei dovuto… avrei dovuto? No. Non lo so. Insomma…”
Tony alzò gli occhi al cielo e fermò quella valanga di parole senza senso con un bacio leggerissimo.
“Almeno abbiamo trovato un modo piacevole per farti stare zitto.” disse sulle sue labbra, con un sorriso.
“Immagino di sì, signore.” sospirò soltanto Peter, sul volto un’espressione estasiata piuttosto esilarante.
“Puoi chiamarmi Tony.”
Gli baciò la fronte, la punta del naso, l’attaccatura dei capelli.
“Hai ancora intenzione di andare a quella festa?”
“No, non vado da nessuna parte.”
Tony sospirò.
Sarebbe stata una notte lunga e faticosa per il suo autocontrollo.
 
 
 
 
 
 
The End
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE AUTORE:
Primo, assurdo tentativo di una fanfiction su una coppia che mi sta letteralmente friggendo il cervello… e cuocendo a fuoco lento gli ormoni.
Spero di non aver fatto troppi danni!
Ho notato che Netflix ha inserito proprio oggi Spiderman – Homecoming nel suo catalogo: praticamente passerò le prossime settimane a consumarlo!
La storia, comunque, trae ispirazione da una frase di Grey’s Anatomy, appartenente alla prima stagione, pronunciata dall’amore della mia vita, leggasi dottor Alex Karev.
Un biscotto e una carezza a chi la individua!
 
Alla prossima!
Violet
   
 
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