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Autore: Kimando714    29/05/2019    0 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 31 - ANOTHER CRACK IN YOUR HEART



 

Tirava un vento terribilmente freddo per essere i primi giorni di giugno. Pietro si strinse maggiormente nel giubbino leggero che, fortunatamente, si era ricordato di indossare prima di uscire di casa una decina di minuti prima.
Alzò per un attimo gli occhi al cielo, sbuffando spazientito nel rendersi conto che le nuvole bianche sopra la sua testa minacciavano pioggia imminente: non aveva con sé un ombrello, e l’unica sua speranza era quella di riuscire tornare indietro il prima possibile. Si dette dell’idiota tra sé e sé, mentre continuava a camminare velocemente lungo il marciapiede: se il giorno prima non si fosse fatto trascinare dalla pigrizia e dalla sua costante procrastinazione, quel pomeriggio si sarebbe potuto facilmente risparmiare quell’uscita anticipata per andare a comprarsi un nuovo pacchetto di sigarette.
Era dal giorno prima che non metteva fuori il naso da casa: aveva deciso di approfittare del ponte del 2 giugno per studiare un po’ e sperare di poter recuperare qualche insufficienza nell’ultima settimana di scuola. L’unico risultato che aveva ottenuto era stato un gran mal di testa e tutte le sigarette finite, e senza un secondo pacchetto da cui attingere.
Arrivò dopo alcuni metri ad un bar vicino alla piazza, dove sapeva avrebbe avuto la possibilità di comprarle lì; senza pensarci due volte aprì la porta d’ingresso velocemente, proprio mentre l’ennesima ventata gelida lo colpiva in pieno viso. Entrò sentendosi subito accaldato per lo sbalzo termico, i capelli scompigliati e le gote arrossate; in due falcate arrivò a mettersi in fila al bancone, dove alcuni ragazzi un po’ più grandi stavano aspettando di ordinare.
Pietro si infilò le mani in tasca, in attesa: aveva sperato fino all’ultimo di non trovare troppa gente in giro, ma dovette ricredersi. Praticamente ogni tavolino del locale era occupato, ed anche lì davanti, al bancone, c’era un certo viavai di gente.
Trattenne a stento uno sbuffo, nel rendersi conto che lì davanti a lui le cose sembravano andare per le lunghe. Si girò verso le vetrate, lanciando un’occhiata preoccupata all’esterno: il cielo si stava ingrigendo sempre di più, segno che l’inizio della pioggia era dietro l’angolo.
Scostò gli occhi scocciato, guardandosi meglio intorno: fu in quel momento, per puro caso, che si rese conto di aver appena posato lo sguardo su qualcuno di conosciuto, seduto ad un tavolino in un angolo non troppo in vista.
Pietro aggrottò la fronte con fare sorpreso: non ricordava di altre volte in cui aveva visto Alessio in quel posto. Aveva dato per scontato non rientrasse tra i luoghi di sua frequentazione, ma a quanto pareva non era così: anche se distante, riusciva a riconoscerlo facilmente. Seduto da solo, lo sguardo perso davanti a sé, ed una bottiglia di birra davanti a lui sul tavolino, con l’aria piuttosto stanca che gli rendeva il volto tirato.
Per qualche attimo rimase fermo a guardarlo da distante, la fronte corrucciata: era una settimana che di Alessio non aveva saputo più nulla. Era talmente strano, e così inaspettato, ritrovarselo di fronte in quel momento che, per un attimo, Pietro non seppe nemmeno cosa fare.
Era abbastanza sicuro che Alessio non si fosse ancora accorto della sua presenza: teneva ancora lo sguardo abbassato, piuttosto indifferente a tutto ciò che gli girava intorno. Aveva lo sguardo così distante e distratto che non lo meravigliava affatto che non si sentisse nemmeno osservato.
Pietro rimase interdetto ancora un attimo, indeciso sul da farsi. Non aveva chiesto più nulla a Caterina, non dopo essersi sentito rimproverare il giorno in cui Alessio aveva dato buca a tutti, la settimana prima: era sicuro che, anche se ci avesse riprovato, lei avrebbe continuato a non dirgli nulla di preciso nemmeno se avesse avuto effettivamente qualche risposta da dargli.
Ma adesso Alessio era lì, da solo e senza un apparante motivo per andarsene subito: avrebbe potuto avere direttamente da lui, se avesse voluto parlargliene, le spiegazioni che stava cercando.
L’attimo dopo Pietro si mosse in automatico: abbandonò la fila al bancone, dimenticandosi delle sigarette da comprare, e camminando tra i tavolini verso la sua meta. In meno di un minuto arrivò ad un metro da Alessio; ci vollero pochi altri secondi prima che alzasse lo sguardo, finalmente notando la sua presenza.
Pietro non aveva visto male, poco prima: lo sguardo di Alessio era quanto di più assente ci potesse essere. Venne attraversato da un unico guizzo quando lo riconobbe, per poi tornare alla stessa espressione spenta di prima. Non c’era nemmeno un pizzico della solita vivacità nelle sue iridi azzurre.
-Ehi!-.
Pietro gli lanciò un cenno, cercando di sorridergli; prima che Alessio potesse dirgli qualcosa, oltre a ricambiare il cenno di saluto con il capo, prese posto sulla sedia di fronte al biondo. Ebbe la sensazione di aver appena fatto la mossa sbagliata, di fronte a quell’accoglienza ancor meno che tiepida, ma cercò di ignorarla.
-Non pensavo di incontrarti qui proprio oggi- continuò, il sorriso che si faceva sempre più imbarazzato. L’Alessio che aveva di fronte, si rese conto, era una pallida copia di quello che aveva sempre conosciuto: piuttosto pallido e con la barba molto più lunga di quanto non la portasse solitamente, aveva un’aria di malinconica trasandatezza.
Pietro si chiese se fosse stata una buona mossa non avergli scritto nei giorni precedenti per sapere se era tutto a posto, o non aver chiesto al resto del gruppo. Li aveva visti vagamente apprensivi nei giorni passati, ma aveva relegato il tutto ad una sua impressione che, per quanto ne sapeva, poteva essere fondata come no.
-Nemmeno io- Alessio si schiarì la voce, piuttosto rauca come se non avesse parlato per diverso tempo – A dire il vero stavo per andarmene-.
Era piuttosto distaccato, e Pietro si domandò ancora, per un attimo, se stesse cercando un modo implicito per cacciarlo dopo essere appena arrivato.
-Di già?- gli chiese, vagamente deluso.
Alessio sembrò essere preso in contropiede; scrollò le spalle a disagio, abbassando per alcuni secondi gli occhi.
-Dai, che ti costa rimanere cinque minuti?- Pietro si sentì un po’ patetico nel cercare di insistere così, ma il bisogno di capire cosa gli stesse succedendo era più forte di qualunque altra cosa – Facciamo quattro chiacchiere-.
Non seppe nemmeno bene come, o per quale ragione – non era riuscito nemmeno a convincere se stesso, con quel tentativo di fargli cambiare idea-, ma Alessio sembrò ripensarci almeno in parte. Si guardò intorno per qualche secondo, ancora a disagio, prima di tornare con gli occhi chiari su Pietro ed annuire debolmente. Non aveva accettato con entusiasmo come Pietro aveva sperato, ma non se n’era nemmeno andato via fuggendo a gambe levate.
Pietro congiunse le mani sopra il tavolino, ritrovandosi piuttosto impreparato su come portare avanti quella conversazione insperata:
-Era da un po’ che non ti si vedeva in giro. Sei letteralmente sparito-.
Si pentì di non essersi fatto venire in mente nulla di meglio da dire, ma evitò di aggiungere altro.
-Ho avuto un po’ da fare- borbottò Alessio di rimando, cercando di non incrociare lo sguardo con quello di Pietro.
-Si è notato-.
Abbassò anche lui gli occhi per un attimo, interdetto. Era sufficiente una settimana per vedere una persona cambiare così tanto? C’era qualcosa in Alessio che continuava a sfuggirgli, un dettaglio che poteva rendergli più comprensibile quell’atteggiamento che a lui non era mai appartenuto prima di quel giorno.
-Caterina ti ha detto che stasera ci troviamo tutti qui in piazza?- tentò ancora una volta, dopo alcuni secondi di silenzio.
Alessio sbuffò debolmente, a tratti infastidito:
-Sì, credo l’abbia fatto, ma non verrò-.
La risposta secca appena ricevuta lasciò Pietro perplesso. Aveva intuito che essere andato lì, da Alessio, in quel momento non era stata l’idea più brillante possibile, ma continuava a sfuggirgli il motivo per cui gli rispondeva così.
-Devi essere un bel po’ impegnato- mormorò, dopo diversi secondi di silenzio – Non eri uscito con noi nemmeno venerdì scorso. Avevi avuto un imprevisto, giusto?-.
Era una domanda rischiosa, se ne era già reso conto, e la tacita conferma arrivò con l’irrigidimento impercettibile dei tratti del viso di Alessio. Ora non sembrava distaccato, ma guardingo: lanciò a Pietro un’occhiata piuttosto fredda, la fronte leggermente aggrottata.
-Qualcosa del genere- borbottò in risposta.
Portò alle labbra la bottiglia di birra, scolandosi gli ultimi sorsi tutti d’un fiato. Pietro rimase ad osservarlo disorientato: non ricordava un’altra occasione in cui l’aveva visto bere così, di fretta come se lo stesse facendo più per cercare la bolla di vuoto tipica dell’alcool, più che per un qualche piacere nel berlo.
Si schiarì la voce, rendendosi conto, ancor prima di parlare, che l’apprensione che cominciava a sentirsi addosso era maggiore di quel che si era aspettato:
-Non è stato niente di grave, vero?-.
Alessio riappoggiò la bottiglia il secondo dopo, facendola cozzare con un gesto secco sul tavolo. Per come lo guardò, gli occhi azzurri glaciali, Pietro si sentì d’un tratto piuttosto vulnerabile.
-Dobbiamo per forza continuare a girarci intorno?- gli domandò piuttosto veementemente, le dita serrate ancora intorno alla bottiglia di birra ormai vuota.
Pietro si strinse nelle spalle, a disagio:
-Scusa, io … -.
Lasciò cadere la frase, non sapendo bene nemmeno cosa gli convenisse dire: tutto si era aspettato sedendosi lì di fronte lui, tranne un Alessio sul piede di guerra senza un apparente motivo.
-È che ultimamente sei stato piuttosto assente, e mi stavo solo domandando se andasse tutto bene-.
 Alessio sbuffò sonoramente, scuotendo il capo:
-Anche se fosse successa la peggior cosa possibile non sarebbero comunque cazzi tuoi-.
Il tono sprezzante con cui gli si era rivolto bastò a cancellare l’esitazione che Pietro aveva mantenuto fino a quel momento. Si sentì uno stupido per aver provato ad essere il più gentile possibile, anche ad aver provato a dargli una possibilità di sfogo: per quanto gli dolesse ammetterlo, ormai era evidente che Alessio stesse solo cercando di allontanarlo.
-Scusa tanto se mi preoccupo per te-.
Pietro si morse il labbro, cercando di trattenersi, ma inutilmente: sentiva montare il nervosismo, e la rabbia per come stava venendo trattato.
-Ma continua pure a fare l’asociale, non c’è nessun problema- sbottò ancora, facendo per alzarsi.
Non fece in tempo nemmeno a rimettersi in piedi, né tantomeno ad allontanarsi prima che le cose degenerassero del tutto: Alessio si era mosso piuttosto velocemente da sopra il tavolo, sporgendosi verso di lui e afferrandogli un polso per trattenerlo, gli occhi chiari venati di rabbia che lo tenevano osservato.
-Parli senza sapere nulla- sibilò, tra i denti – Se non ne voglio parlare con te forse avrò i miei buoni motivi-.
-Però sta calmo, che non ha senso che te la prendi con me- Pietro gli restituì quelle parole con lo stesso tono irato, facendosi ricadere sulla sedia e cercando di divincolarsi dalla sua presa – Volevo solo essere gentile-.
Alessio liberò il polso di Pietro con un gesto veloce, rimanendo comunque sporto verso di lui:
-Essere gentile prevede anche darmi dell’asociale?-.
Pietro rimase in silenzio, sperando solo che stavolta lo lasciasse andare.
-Forse semplicemente non voglio la compagnia di nessuno-.
Pietro sbuffò debolmente, cercando di ritrovare un po’ di razionalità per non peggiorare la situazione, ma senza riuscirci fino in fondo:
-Stai rigirando la faccenda a tuo favore- commentò, amaramente.
“Stai calmo” si disse tra sé e sé “È evidente che gli è successo qualcosa. Non è lucido”.
Per un attimo tacquero entrambi, riportando un momento di calma che, fino ad un secondo prima, sembrava del tutto insperata. Pietro decise di rimandare di un minuto il suo allontanarsi: la speranza che Alessio avesse ritrovato un po’ di razionalità era ancora lì, non ancora scomparsa del tutto, nonostante il modo truce con cui lo stava guardando.
Lo vide allontanarsi da lui, rimettersi seduto composto dal suo lato del tavolo, senza staccargli lo sguardo di dosso.
-Il fatto è che mi sto domandando se vorrai costringermi a parlare nello stesso modo in cui facevi il bulletto con Filippo un anno fa per costringerlo a rimanere single-.
Fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso, a mano aperta e con violenza.
Pietro si raggelò sulla sua sedia, il fiato quasi trattenuto per l’incredulità.
Non seppe nemmeno quanti secondi rimase lì, seduto immobile, in totale silenzio; avrebbero potuto essere pochi secondi come interi minuti.
Si sentì così vuoto, in quell’istante, di fronte agli occhi chiari e gelidi di Alessio, alle sue parole dette apposta per ferire, da non riuscire a non pensare ad altro se non andarsene via il prima possibile.
Si alzò lentamente, le mani tremanti e il viso arrossato per la rabbia che stava cercando di trattenere.
-Su una cosa hai ragione: non hai certo bisogno della compagnia di nessuno-.
Pietro evitò di urlare solo per il luogo in cui si trovavano: era sicuro che, se si fossero ritrovati da soli in strada, o in un qualsiasi altro posto senza tutta quella gente intorno a loro, avrebbe gridato così forte tutta la frustrazione e l’umiliazione che si sentiva addosso da raschiarsi la gola.
Scostò la sedia con un gesto secco e nervoso, guardando Alessio per un’ultima volta nella stessa maniera sprezzante con cui lui l’aveva osservato per tutto il tempo:
-Vaffanculo-.
Ebbe solo l’impressione che Alessio imprecasse di rimando con un altrettanto irato “Vaffanculo te!”; Pietro non si voltò indietro, mentre percorreva a ritroso il percorso che aveva compiuto una decina di minuti prima, fino all’uscita del bar.
Aveva cominciato a piovere, ma se ne fregò ugualmente. Camminò velocemente, i capelli già umidi dopo qualche passo sotto la pioggia primaverile, il respiro accelerato e il cuore ancora a pezzi.
 
Ti ho detto delle cose che non avrei voluto dire
E a farti così male, mi sono fatto male
 
*
 
Step out the door and it feels like rain
That's the sound, that's the sound on your window pane
Take to the streets, but you can't ignore
That's the sound, that's the sound you're waiting for
 
Sbattè la porta di camera sua con un gesto secco, udendone lo schiocco violento con il quale si chiuse. Si lasciò scivolare contro di essa, finendo per sedersi a terra poco a poco, i capelli fradici che gli finivano sugli occhi imperlandogli le ciglia e la fronte delle ultime gocce di pioggia rimaste incastrate tra le ciocche bionde.
Alessio strinse le mani tra di loro, cercando di controllare l’istinto di colpire qualcosa, qualsiasi cosa che potesse capitargli sottomano. Doveva ancora cercare di comprendere se la rabbia che lo stava animando in quell’istante fosse maggiormente rivolta a se stesso, a Pietro, a suo padre o a tutto l’insieme in cui si ritrovava a sguazzare a fatica.
Buttò la testa indietro, arrivando a toccare la superficie liscia e fredda della porta con la nuca umida di pioggia.
Era rientrato in casa da poco, solo qualche minuto prima. Aveva varcato la soglia di casa con furia, velocemente, giusto il tempo di levarsi le scarpe e salire in camera sua per rinchiudercisi dentro; sua madre non aveva nemmeno provato a chiedergli nulla, quando l’aveva visto rientrare in quello stato: l’aveva semplicemente osservato, con lo stesso sguardo pieno d’apprensione e colpevolezza che stava riservando soprattutto a lui in quell’ultima settimana.
Buttò fuori un sospiro pesante, stanco, esausto.
Quando qualche ora prima era uscito di casa, guidando senza una meta precisa, aveva sperato di non incrociare nessuno di conosciuto. Si era infilato in quel bar defilato di Torre San Donato apposta per quello: evitare qualsiasi contatto, qualsiasi conversazione. L’arrivo di Pietro aveva rovinato del tutto quel suo intento.
Alessio chiuse gli occhi per un attimo, cercando di reprimere la nausea che bere a stomaco vuoto gli aveva causato; le birre che aveva bevuto gli avevano reso la testa leggera, i pensieri finalmente ovattati ed offuscati come aveva sperato accadesse, ma nemmeno l’alcool sarebbe riuscito a coprire la rabbia che si sentiva addosso in quel momento.
“Scusa tanto se mi preoccupo per te”.
Le parole di Pietro continuavano a risuonargli in testa, così simili e diverse a quelle che gli aveva rivolto Caterina lunedì. Forse, se anche lei gliele avesse rivolte quel pomeriggio, avrebbe reagito allo stesso modo con il quale aveva fatto con Pietro.
Si morse il labbro inferiore con forza, quasi a trattenere lacrime di nervosismo che avrebbero fatto capolino con fin troppa facilità, nel riportare alla mente quel loro ultimo incontro.
Pietro gli era parso prima spaesato, poi nervoso, ed infine aggressivo come poteva essere un animale indifeso e con il terrore di essere attaccato ulteriormente. In quello era stato completamente diverso da Caterina: aveva reagito in maniera completamente differente di fronte al muro che Alessio aveva erto tra di loro, ricambiando il suo rifiuto con un altro rifiuto.
“Forse se non avesse insistito …”
Alessio sbuffò debolmente, mentre cercava un appiglio a cui aggrapparsi per riuscire a rimettersi in piedi.
Era inutile pensare a come sarebbe andata se le cose fossero andate diversamente: non si poteva riavvolgere il nastro del tempo, né sarebbe servito cercare di cancellare la memoria e rimpiazzarla con il vuoto della mente.
Aveva perso il controllo, e non credeva affatto che stavolta sarebbe bastata una seconda chiacchierata con Pietro per riparare le cose; forse, in fondo, non gli interessava nemmeno tanto pensare di scusarsi, non in quel momento. In fondo Pietro per primo aveva insistito per farlo parlare nonostante l’essere a conoscenza del suo stato – Caterina per prima aveva detto che anche il resto del gruppo l’aveva visto il sabato prima in corriera, d’altro canto. Non poteva lamentarsi della sua reazione, o perlomeno non esserne del tutto sorpreso.
Si alzò a fatica, ciondolando con equilibrio instabile verso il letto. Quando passò accanto alla sua chitarra, lasciata in un angolo della stanza, cercò di evitare di guardarla il più possibile – ci sarebbe stato tutto il tempo del mondo dopo la maturità, per guardarla ed usarla per guadagnare qualcosa-, fin troppo cosciente che la sua sola vista avrebbe ripotato a galla ben altri ricordi degli ultimi giorni.
Arrivò a toccare il letto qualche secondo dopo, sdraiandovisi di fianco, le palpebre già calate nonostante si sentisse fin troppo sveglio.
Ritrovò ristoro nell’oscurità che lo circondava ora che poteva tenere gli occhi chiusi, il mondo attorno a lui in silenzio e nascosto al di là delle sue palpebre abbassate.
Erano solo i suoi pensieri che gli rimanevano, ricordi della settimana appena passata che continuavano a non lasciargli in pace nemmeno in quel momento.
“Nessuno sa dove sia”.
La voce di Eva risuonò nella sua mente, tra i suoi ricordi più recenti, più forte persino della volontà di tenere quelle memorie soffocate.
“Non abbiamo risparmi sufficienti attualmente”.
Addormentarsi e non svegliarsi affatto non era una prospettiva così terribile come poteva apparire.
Forse l’alcool stava solo acuendo quei pensieri che, in ogni caso, c’erano già da giorni.
Rivide davanti ai suoi occhi chiusi il viso tirato di sua madre mentre gli diceva che Riccardo aveva fatto praticamente perdere ogni sua traccia: non c’era parente o collega di lavoro che avesse una qualche idea di dove si fosse trasferito. Per quel che ne sapevano poteva anche essere morto in un qualche incidente d’auto, dimenticato sul letto di un fiume.
Ripensò a quando Eva aveva aggiunto, con difficoltà e con le lacrime agli occhi, che in quello stato e in quelle condizioni d’incertezza non avevano da parte fondi sufficienti per lasciarlo iscriversi all’università.
“Ci inventeremo qualcosa”.
Ma cosa potevano inventarsi, le avrebbe voluto chiedere Alessio, quando tutto sembrava troppo a pezzi per essere aggiustato ed il fondo si poteva toccare solo allungando un po’ una mano?
 
*
 
Lost till you're found
Swim ‘till you drown
Know that we all fall down
Love ‘till you hate
Strong ‘till you break
Know that we all fall down


Aveva smesso di piovere da almeno un’ora, ma l’odore di pioggia impregnava ancora l’aria serale. Non faceva ancora buio del tutto, mentre Pietro camminava a testa bassa lungo il marciapiede, la stessa strada percorsa qualche ora prima e che gli ricordava anche troppo bene gli eventi della giornata.
Aveva un disperato bisogno di una sigaretta – e poi di un’altra, e di un’altra ancora-, e si maledisse per non aver pensato comunque di andare a comprarle da qualche altra parte.
Era piuttosto sicuro che, per soffocare il dilaniante nervoso che lo stava accompagnando, sarebbe finito per consumare un intero pacchetto nuovo nel giro di quelle poche ore che lo avevano separato dall’ora di ritrovo con il resto del gruppo.
Aveva meditato a lungo se rimanersene in casa o uscire comunque. Era perfettamente consapevole che non sarebbe mai riuscito ad essere dell’umore giusto per passare una serata fuori – forse non lo sarebbe stato per giorni-, troppo risucchiato nel vortice di rabbia e delusione in cui Alessio l’aveva trascinato. Ma poi si era ritrovato a pensare che aveva bisogno di risposte, e che l’unica altra persona a cui poteva provare a chiedere sarebbe stata lì in piazza quella sera.
Quando sbucò da una via laterale, si fermò per qualche secondo, acuendo lo sguardo: era un sabato sera di inizio giugno, e non lo stupì affatto di notare la piazza particolarmente affollata. Mosse qualche passo ulteriore, guardandosi intorno per cercare di individuare qualcuno tra Nicola, Filippo, Caterina e Giulia; i suoi tentativi andarono a buon fine quando oltrepassò il Caffè della Piazza, verso uno dei parcheggi della piazza: se ne stavano seduti su una panchina davanti alla cartoleria che fiancheggiava la biblioteca comunale.
Tirò un sospiro pesante, bloccandosi una seconda volta prima di uscire allo scoperto.
Si ritrovò a pensare ancora una volta alle ore d’inferno che aveva passato – che stava ancora passando- da quel pomeriggio.
Sembrava quasi diabolicamente ironico come, dopo mesi difficili, alla prima parvenza di serenità fosse arrivata l’ennesima tegola che l’aveva colpito in pieno viso.
Guardando verso i suoi amici, individuò subito Caterina: era seduta tra Giulia e Nicola, mentre rideva per qualcosa che qualcuno doveva aver appena detto. Sapeva già che parlarle di Alessio le avrebbe guastato l’umore forse quanto lo era già il suo, ma Pietro sbuffò al solo pensiero: aveva bisogno di parlarle quanto respirare, in quel momento.
Avanzò verso gli altri, il passo deciso e gli occhi già puntati su Caterina; mancavano ancora pochi metri per raggiungerli, quando lo notarono già.
-Eccoti, finalmente!- lo accolse Filippo, alzando la voce per riuscire a farsi sentire anche da lui. Pietro gli rivolse solo un cenno, ma ignorandolo quasi del tutto.
Si fermò di fronte a Caterina, lanciando solo veloci occhiate agli altri, prima di fermarsi con lo sguardo su di lei.
-Dobbiamo parlare-.
Si rese conto di aver parlato con troppa durezza solo nel momento in cui le parole gli uscirono dalle labbra. La osservò mentre alzava gli occhi verso di lui, più confusa che offesa per il tono con cui le si era rivolto.
Nicola si alzò prima che Caterina potesse dire qualunque cosa:
-Potresti anche chiederglielo con più gentilezza- sbottò, con pacata freddezza, e rivolgendo a Pietro un’occhiata truce.
Non aveva tutti i torti, ma Pietro non rispose nulla. Stavolta fu Caterina ad alzarsi, rivolgendosi prima al suo ragazzo con fare rassicurante:
-Va tutto bene- mormorò, posandogli una mano su una spalla; quel gesto fu sufficiente per calmare almeno in parte Nicola.
Senza dire nulla, Caterina lanciò un cenno a Pietro, prima di camminare a qualche metro di distanza dalla panchina. La seguì vicino al lampione acceso che rischiarava quella zona, sentendosi addosso gli sguardi di Nicola, Filippo e Giulia.
-Di cosa si tratta?-.
Caterina gli si fermò di fronte a braccia incrociate, il sorriso che aveva prima dell’arrivo di Pietro congelato e già sparito dietro ad un’espressione prudente.
Pietro non attese oltre, troppo nervoso anche solo per pensare di prendere quella conversazione con la dovuta calma:
-Devi dirmi che è successo ad Alessio-.
Si trattenne a stento dall’alzare troppo la voce, ma lo sbuffo che ricevette in risposta non lo aiutò affatto.
-Ti ho già detto che … - tentò Caterina, ma Pietro la interruppe subito: conosceva già la risposta che stava provando a dargli, ed era quella più inutile possibile.
-Oggi l’ho incontrato, per caso- disse, il groppo in gola che stava già tornando nel riportare a galla quei ricordi – Gli ho chiesto se andava tutto bene, come mai era sparito … Mi ha mandato a fanculo. E non solo quello-.
Evitò di dirle che l’aveva volutamente preso in giro riferendosi al litigio con Filippo dell’anno prima, perché era già bastato raccontare solo quei pochi particolari per notare il cambio d’espressione in Caterina: la vide impallidire, senza però essere troppo sorpresa.
Pietro la guardò con sguardo grave:
-Quindi se sai qualcosa, è giunto il momento di parlare-.
Per un attimo ebbe il timore che non sarebbe bastato nemmeno quello a smuoverla, ma dopo qualche secondo di silenzio, Caterina annuì debolmente.
-Forse è giunto il momento che vi parli a tutti-.
 


-È peggio di quel che avevamo ipotizzato-.
Filippo aveva parlato a mezza voce, quasi sovrappensiero, ma la verità era che aveva esternato un pensiero comune a tutti loro.
Pietro si morse il labbro inferiore, il vuoto all’altezza della bocca dello stomaco che si faceva più pressante ad ogni parola di Caterina.
Era da almeno una decina di minuti che stava parlando, la voce a tratti esitante ed il groppo in gola che la faceva sembrare instabile. Pietro era rimasto in silenzio per tutto il tempo, mentre spiegava direttamente a lui di quando avevano incrociato Alessio sulla Galliera una settimana prima, in che stato fosse e come li avesse ignorati. Poi era venuta la parte meno facile da raccontare, quella che anche Giulia, Filippo e Nicola ignoravano.
Per la prima volta dopo giorni Caterina si ritrovava a spiegare quanto fosse stato difficile cercare di parlare ad Alessio quando era andata da lui.
-Ma davvero ha reagito così quando sei andata a casa sua?- chiese Giulia, un’espressione parecchia dura in volto. Sembrava combattuta tra l’apprensione che poteva provare per Alessio, e il giudizio tutt’altro che positivo su come aveva cercato di cacciare anche Caterina.
Lei si ritrovò ad annuire, debolmente:
-Sì-.
Pietro abbassò gli occhi a terra, troppo abbattuto:
-Non mi stupisce visto come ha reagito con me-.
Aveva raccontato anche lui quel che era successo quel pomeriggio, prima che Caterina iniziasse a parlare. Ricordava ancora i commenti sorpresi degli altri, lo sguardo piuttosto perplesso di Giulia e quello colpevole di Caterina. Ora la rabbia che poteva ancora provare verso Alessio era stata sostituita in parte da qualcos’altro che gli sembrava più dolore.
Si domandò quanto dovesse sentirsi ferito per reagire così aggressivamente contro chiunque provasse ad avvicinarsi. Il solo immaginarlo gli fece stringere il cuore.
-Credo che le cose siano peggiorate negli ultimi giorni, ma non posso dirlo con certezza- proseguì Caterina, torturandosi le mani – L’ho intuito solo da quel poco che mi ha scritto ieri-.
Per un attimo tacquero tutti, presi da pensieri che Pietro poteva facilmente intuire perché, in fin dei conti, dovevano essere molto simili ai suoi stessi. Si chiese per quanto a lungo Alessio avrebbe continuato ad isolarsi, a tenerli fuori da quella situazione: gli sembrava persino incredibile che, se non fosse stata per la caparbietà di Caterina, si sarebbero trovati ancora all’oscuro di tutto dopo interi giorni.
Dopo alcuni minuti fu Nicola il primo a parlare, rivolgendosi a Caterina:
-Forse avresti fatto bene a dirci qualcosa di più prima di stasera- le disse, senza però una reale parvenza di rimprovero nella voce. Da quel che aveva capito Pietro, Caterina non aveva accennato nulla di concreto nemmeno con loro, nonostante l’allarmismo del sabato precedente.
-Probabilmente sì- ammise Caterina, annuendo – Non ero sicura che volesse farvi sapere quel che era successo, ma piuttosto che ricapiti ancora qualcosa di simile anche con voi, a questo punto era meglio spiegare alcune cose-.
Pietro sbuffò amareggiato, non riuscendo più a trattenersi:
-Però almeno voi sapevate già che c’era qualcosa che non andava-.
Sentì gli sguardi di tutti gli altri addosso, pur continuando a tenere il viso abbassato. Non era davvero arrabbiato con Caterina o con uno qualsiasi di loro, non più di quanto non lo fosse con se stesso.
Quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla, sobbalzò appena, alzando lo sguardo a sufficienza per notare proprio Caterina che gli si era avvicinata silenziosamente.
-Pietro, vedrai che si scuserà non appena starà meglio- mormorò, cercando di sembrare incoraggiante, ma riuscendoci molto poco – Non credo avesse davvero l’intenzione di farti stare male-.
“È qui che ti sbagli di grosso”.
-Ha cercato di allontanarmi ritirando fuori il litigio tra me e Filippo dell’anno scorso- sussurrò Pietro, la voce rauca. Sentiva gli occhi farsi lucidi, e non poté impedirsi di considerarsi ancor più patetico.
-Dubito non fosse intenzionale il farmi del male-.
Nascose il viso tra le mani, e quasi non oppose resistenza quando Caterina lo strinse dolcemente, forse per farlo sentire meno solo, forse per consolarlo, forse per dargli semplicemente una spalla su cui piangere. Appoggiò la fronte sulla spalla di Caterina smettendo anche di cercare di soffocare i singhiozzi, il viso rigato dalle lacrime.
 
*
 
Sbattè gli occhi un paio di volte, prima di abituare la vista ai raggi del sole di quasi mezzogiorno. Giulia scostò con un gesto veloce della mano la frangia dalla fronte, troppo accaldata anche solo per interessarsi a mantenere una capigliatura vagamente in ordine.
-Notizie da Caterina e Pietro?- Filippo le si accostò, dopo essere sceso a sua volta dalla sua macchina ed averla richiusa.
Giulia annuì pensierosa:
-Solo da Pietro- rispose, ricordando il messaggio che poco prima le aveva scritto – È un po’ in ritardo e non sa quando arriverà di preciso. Ha scritto di non aspettarlo-.
Filippo alzò le spalle, vagamente deluso:
-Allora aspetteremo solo Caterina- mormorò, più tra sé e sé che non rivolto a lei.
“Sempre se anche lei non ci darà buca all’ultimo”.
Giulia si appoggiò all’auto, sventolando la mano destra per cercare di arieggiarsi al meglio possibile per sopperire all’afa di metà giugno, e dando un’occhiata intorno: il parcheggio del Virgilio non era affollato come durante i giorni di scuola, ma gran parte dei posti erano già occupati da altri studenti e genitori che, esattamente come loro, erano tornati a scuola semplicemente per la pubblicazione dei quadri. La scuola era finita da una settimana esatta, e già le sembrava essere passato un secolo.
-Ma quella … -.
Giulia si voltò incuriosita verso Filippo: lo vide tenere la fronte aggrottata, lo sguardo rivolto a qualche fila del parcheggio distante dalla loro. Si voltò a sua volta, cercando di capire a cosa di preciso stesse rivolgendo la sua attenzione.
Filippo le indicò un’auto dalla carrozzeria argentata che si era appena parcheggiata:
-Quella non è l’auto di Alessio?-.
Per un attimo Giulia venne colta dal dubbio: Filippo non aveva torto ad indicare il modello come lo stesso dell’auto di Alessio, ma le sarebbe parso strano che ci fosse proprio lui lì, quando non era nemmeno studente di quel liceo. Stava quasi per farglielo notare, quando dovette ricredersi lei stessa: un secondo dopo le portiere dell’auto si aprirono, rivelando proprio Alessio, accompagnato da Caterina.
Li guardò piuttosto perplessa, mentre Caterina faceva strada e individuava a sua volta lei e Filippo, dirigendosi subito verso di loro. Dietro di lei Alessio aveva la stessa espressione che Giulia sentiva sulla sua stessa faccia: un misto di confusione ed un entusiasmo già sparito da tempo.
Erano tre settimane che Alessio non si faceva vedere in giro e tantomeno sentire, e vederlo arrivare così inaspettatamente, ad accompagnare Caterina, era la cosa che Giulia si sarebbe aspettata di meno. Immaginò che dovessero essere insieme già dalla prima mattinata. Storse lievemente il naso a quell’ipotesi: per quanto Alessio si fosse reso irraggiungibile da chiunque, Caterina sembrava essere riuscita a mantenere un canale di comunicazione con lui; era forse l’unica ad avercela fatta, a dispetto del quasi del tutto disastroso primo tentativo di due settimane prima. Giulia non aveva tenuto il conto di quante volte le avesse scritto che avrebbe passato del tempo da Alessio, ma ricordava perfettamente che ultimamente era successo così tanto spesso che, in parte, persino Caterina sembrava essere sparita per un qualsiasi altro impegno.
Dovette lasciare da parte quei pensieri per un po’, quando li vide giungere finalmente davanti a lei e Filippo.
-Ciao!- esclamò subito Caterina, in un chiaro tentativo di mitigare almeno un po’ la situazione di tensione che si stava creando – Siete qui da molto?-.
L’unico a parlare, oltre ai freddi cenni di saluto da parte di Giulia ed Alessio, fu Filippo:
-No, solo qualche minuto- le rispose, prima di spostare lo sguardo su Alessio, con un timido sorriso imbarazzato – Anche tu a Piano per scoprire i voti di fine anno?-.
Alessio scosse il capo debolmente:
-In realtà li hanno messi fuori qualche giorno fa- spiegò, la voce atona e distaccata – Solo per le quinte, in vista degli esami-.
Giulia lo osservò meglio: non era tanto l’aspetto più trasandato reso evidente dalla barba più lunga o dai capelli un po’ disordinati ad inquietarla, ma tutto il resto che traspariva dal suo modo di porsi e di parlare. Era uno sguardo spento quello con cui Alessio evitava accuratamente di fissare sia lei che Filippo, la voce fredda e indifferente. Per un attimo Giulia riuscì a dimenticare dei suoi atteggiamenti tutt’alto che giustificabili con Caterina e Pietro, sentendosi in apprensione per lui.
Era la prima volta che lo rivedeva dopo tre settimane, e non le sembrava nemmeno di stare di fronte alla stessa persona che conosceva.
-Ero a casa sua per dargli una mano a ripassare- spiegò Caterina, lanciando un cenno ad Alessio – E si è offerto di accompagnarmi qui-.
“Come volevasi dimostrare” pensò Giulia, tra sé e sé.
Alessio le lanciò un’occhiata vagamente seccata:
-Ma non mi hai detto che non saremmo stati soli- mormorò, con una punta di rimprovero nella voce.
Prima che Caterina potesse giustificarsi in un qualche modo, o che qualcun altro potesse trovare un altro argomento di conversazione, Alessio proseguì ancora:
-Forse è meglio se vado. Immagino dovranno arrivare anche gli altri-.
Giulia era piuttosto sicura che il problema non fosse tanto incontrare Nicola, ma rischiare di vedere Pietro.
-Nicola ha l’esame di pratica della patente, dubito ce la farà a raggiungerci- intervenne Caterina, prima che Alessio potesse muovere un passo. L’espressione poco convinta non se ne andò dal viso del biondo.
Giulia si schiarì la voce:
-E se temi di incrociare Pietro credo tu possa andare abbastanza sul sicuro- disse, ignorando gli sguardi vagamente disorientati di Caterina e Filippo – Mi ha scritto poco fa che è in ritardo e che non avrebbe senso aspettarlo-.
Alessio le lanciò una lunga occhiata indecifrabile, rimanendosene in silenzio; fu Caterina la prima a cogliere la palla al balzo:
-Quindi puoi rimanere un po’ con noi- gli disse, un lieve sorriso incoraggiante. Sembrava disposta a dire qualsiasi cosa pur di convincere Alessio a non andarsene subito a casa, forse consapevole che restarsene un po’ lì non gli avrebbe fatto male.
-Sì, giusto il tempo per andare a leggere i quadri- le diede man forte Filippo.
Alessio sospirò pesantemente:
-Non credo sia una buona idea-.
Mosse un passo verso la sua auto, ma Caterina gli si parò ancora una volta davanti, un’espressione supplichevole in volto:
-Cinque minuti, non di più-.
Giulia lo osservò alzare gli occhi al cielo, forse combattuto sul serio per la prima volta da quando aveva messo piede lì. Alessio non disse nulla per un po’ di tempo, gli occhi puntati altrove e ben attenti a non incrociare lo sguardo di Caterina.
Solo dopo almeno un minuto di teso silenzio Giulia lo vide annuire debolmente, comunque tutt’altro che convinto:
-Entro solo per prendere una bottiglietta d’acqua- mormorò piano – Poi me ne vado-.
Per quanto sembrasse una vittoria irrisoria, il sorriso di Caterina si allargò immediatamente. A Giulia non rimase che pensare, trattenendo a stento le parole, che almeno per il momento avevano evitato ulteriori sfuriate.
 
*
 
Premette il codice corrispondente alla bottiglietta d’acqua naturale sul tastierino del distributore, sperando che la bottiglia non rimanesse bloccata, facendogli perdere gli ultimi centesimi che aveva nel portafoglio.
Alessio sospirò vagamente sollevato, quando udì il tonfo della bottiglia finire nella parte concava della macchinetta. Si piegò per tirare lo sportello, allungandovi una mano dentro per afferrare la bottiglia, fresca al contatto con il suo palmo. Si beò per qualche secondo di quella sensazione, un sollievo momentaneo per l’afa di quella tarda mattinata.
Quando si rialzò si allontanò subito di qualche passo, aprendo il tappo della bottiglia e portandosela alle labbra. L’acqua era fredda e ristoratrice, e ne bevve qualche sorso generoso prima di riallontanarla e richiuderla.
In quella zona della scuola non c’era molta gente: erano tutti concentrati nell’atrio, a leggere i quadri dei voti appena pubblicati poche ore prima. Aveva evitato la ressa, facendosi indicare da Caterina dove trovare dei distributori automatici, e scoprendo quanto silenziosi e calmi fossero il resto dei corridoi del Virgilio quel sabato mattina.
Si fermò per controllare che ora fosse sul display del suo cellulare, dopo averlo tirato fuori dalla tasca dei jeans: erano quasi le undici, ed era decisamente ora di tornarsene a casa per riprendere il ripasso in vista degli esami. Mancavano solo quattro giorni alla prima prova, e cominciava a domandarsi se sarebbe mai riuscito a concentrarsi decentemente almeno per un giorno.
Caterina aveva insistito così tanto, nei giorni passati, a dargli una mano a studiare che, pur di non sentirla più, Alessio aveva accettato il suo aiuto. Non si era del tutto pentito della scelta: per quanto avrebbe preferito rimanersene da solo, sapeva che lei gli stava così addosso solo per la preoccupazione nei suoi confronti.
A volte era fin troppo preoccupata.
Camminò lungo il corridoio, arrivando finalmente nei pressi dell’atrio, dove, se possibile, si era accalcata anche più gente di prima. Vide da distante Caterina, Filippo e Giulia leggere con attenzione i voti di qualcuno di loro, dall’altra parte dell’area rispetto a dove si trovava lui.
Li avrebbe aspettati fuori, giusto per i saluti: quando ancora erano in auto, in dirittura d’arrivo al Virgilio, Caterina l’aveva avvertito che non le sarebbe servito un passaggio per il ritorno. Tutto il resto, invece, l’aveva taciuto, e ad Alessio non sarebbe servito sentirglielo ammettere per capire che l’avesse fatto apposta per farlo rimanere.
Trattenne a stento una smorfia infastidita, al pensiero che Caterina gli avesse volontariamente taciuto il fatto che, se tutto fosse andato come programmato, Pietro si sarebbe trovato lì con loro. Non ci voleva un genio nemmeno per capire che, in fondo, Pietro doveva averle parlato di quel che era successo tra loro ormai due settimane prima. Caterina non gliene aveva mai fatto parola durante i loro incontri di ripasso, ma Alessio era sicuro che sapesse: a che pro, sennò, evitare di dirgli della sua presenza, oltre che a quelle di Giulia e Filippo?
Cercò di farsi spazio tra alcuni studenti per riuscire ad arrivare all’uscita; vi riuscì con qualche sgomitata di troppo, arrivando finalmente all’aria aperta. Percorse la strada che dall’ingresso principale della scuola portava al parcheggio con una punta di malumore.
Rallentò appena un po’ il passo, per poter svitare ancora una volta il tappo della bottiglia e bere un altro po’ d’acqua; abbassò gli occhi per riavvitare correttamente il tappo mentre arrivava in prossimità delle prime file del parcheggio.
-Alessio … -.
Alzò gli occhi all’istante, d’un tratto sulla difensiva.
Era piuttosto consapevole che potesse qualche suo omonimo ad essere stato chiamato, ma quei dubbi andarono inevitabilmente in secondo piano quando la voce che aveva appena parlato gli risultò fin troppo famigliare.
Quando Alessio si girò nella direzione da cui la voce proveniva, non riuscì nemmeno troppo a stupirsi di notare Pietro a qualche metro di distanza, un’espressione impreparata, sorpresa e in imbarazzo stampata sul volto.
“Sapevo che avrei dovuto andarmene subito”.
 


-Sei una piccola secchiona, eh?-.
Giulia rise appena, mentre Filippo le scompigliava allegramente i capelli. Con le dita ancora tra le sue ciocche si rivolse anche a Caterina, poco distante da loro:
-E anche tu non scherzi-.
-Ma se mi metti le mani sui capelli te le taglio- lo rimbrottò Caterina, con un sorriso forzatamente smagliante sulle labbra.
Giulia trattenne a stento un altro risolino, mentre cercava di farsi spazio verso l’uscita. C’era molta calca nella zona dei quadri del linguistico, e solo per poco lei, Caterina e Filippo erano riusciti a ritagliarsi uno spazio decente davanti al cartellone della 3°A, dopo aver consultato quello della 4°A.
Ora che avevano scoperto tutti i loro voti, e con il sollievo di non avere alcun debito, tornare all’esterno il più velocemente possibile era l’unica cosa fattibile.
Lanciò un’occhiata veloce alle sue spalle, giusto per essere sicura che Filippo e Caterina riuscissero a starle dietro; arrivò alla porta d’uscita qualche secondo dopo, attendendo che anche gli altri due la raggiungessero lì fuori.
-E Alessio?- chiese Caterina, guardandosi intorno.
Giulia aveva già la risposta pronta:
-È già uscito-.
L’aveva visto passare con la coda dell’occhio meno di un minuto prima, ed era quindi piuttosto sicura che, a meno che non fosse corso in tutta fretta alla sua auto, l’avrebbero incrociato al parcheggio. Non doveva essere molto più avanti di loro.
Filippo annuì, superandole e cominciando ad incamminarsi, facendo strada:
-Allora andiamo, no?- disse, avanzando con passo deciso.
Anche Giulia si incamminò, più lentamente; affiancò Caterina standole sufficientemente vicina per riuscire a farsi sentire da lei pur parlando a bassa voce:
-Come hai fatto a convincerlo a venire fin qui?-.                          
Non c’era bisogno di specificare di chi stava parlando: Caterina le lanciò un’occhiata veloce, prima di alzare le spalle con nonchalance.
-Non è stato difficile, in realtà- spiegò subito – È bastato evitare di dire che ci sareste stati anche voi-.
-Avrebbe rischiato di incrociare Pietro- le fece notare Giulia, accelerando il passo per riuscire a stare dietro a Filippo.
Caterina annuì, con fare ovvio:
-Era quello l’intento- confermò, gesticolando nervosamente – Cercare di trovare un modo per riavvicinarli e spingerli a parlare-.
Giulia trattenne a stento una smorfia di scetticismo:
-Sei sicura che sarebbe stata una buona idea?-.
Caterina poteva anche essere convinta che far capitare Alessio dritto tra le braccia di Pietro potesse essere un buono stimolo per parlarsi e chiarirsi, ma lei ne dubitava parecchio: Alessio non si era fatto vivo con nessuno di loro di sua spontanea volontà per giorni, e nemmeno quella mattina aveva cercato un qualche dialogo. Non credeva che Pietro rientrasse nei suoi interessi principali, né tantomeno lo vedeva sufficientemente disposto a scusarsi.
-Tu credi di no?- le chiese Caterina, dubbiosa – Ormai sono passate due settimane: si devono essere calmati entrambi-.
Giulia si interruppe di scatto dal risponderle: aveva fatto appena in tempo a voltarsi, puntando lo sguardo davanti a sé e oltre le spalle di Filippo, prima di tacciarsi. Si sentì un po’ in colpa per dover far notare lei stessa a Caterina che, qualunque fosse stato il suo scopo pacifico, sembrava già essere miseramente fallito.
Allungò il braccio davanti a sé, indicando con l’indice due persone all’altezza della prima fila del parcheggio, evidentemente appena arrivate a loro volta.
-Temo tu sia stata troppo ottimista- si fece sfuggire, mentre Caterina seguiva a sua volta la direzione che le stava indicando, sgranando sempre più gli occhi.
Anche Filippo doveva aver notato la stessa cosa, perché si fermò e si voltò verso di loro con aria imbarazzata:
-Forse siamo arrivati al momento sbagliato-.
Giulia sospirò pesantemente, mentre avanzava velocemente di qualche passo, superando Filippo e lasciandosi indietro Caterina che, ancora troppo sorpresa, era rimasta immobile.
Alessio e Pietro non erano a più di qualche metro di distanza, ma non sembravano nemmeno essersi accorti di non essere soli.
-No, ti prego, no- Giulia sentì dire ad Alessio, che aveva alzato gli occhi al cielo per un breve secondo – Non voglio parlarti, va bene?-.
-Non vuoi neanche sapere se volevo scusarmi o altro?- replicò subito Pietro, con determinazione, cercando di avvicinarsi di qualche passo, ma vedendosi respinto subito: Alessio ne fece altrettanti per allontanarsi da lui.
Anche Giulia si bloccò, udendo i passi di Filippo e Caterina raggiungerla in pochi secondi. Si sentiva piuttosto innervosita dalla situazione, ma si trattenne dal prenderne parte.
Sperava che, alla domanda di Pietro, Alessio si convincesse a lasciarlo parlare.
Alessio lo guardò a lungo, ma prima ancora che aprisse bocca Giulia intuì, dalla durezza dello sguardo, che sarebbe stato irremovibile.
-Forse no- sibilò, tagliente – Forse non mi interessa comunque-.
Fece per andarsene subito dopo, senza voltarsi indietro. Giulia si ritrovò a sperare che Pietro non perdesse a sua volta la testa e che lo lasciasse andare, ma dovette ricredersi ancora una volta: lo vide avanzare ancora di qualche passo, l’espressione del volto che era cambiata, e che emanava rabbia e delusione.
-Deve valere molto la nostra amicizia- disse con sarcasmo amaro, abbastanza a voce alta per farsi sentire da Alessio. Si voltò verso di lui, fermandosi:
-Se sei convinto che dipenda da quello … -.
Di fianco a lei Giulia udì Caterina trattenere il respiro, e Filippo soffocare a stento un’imprecazione.
Pietro guardò duramente Alessio ancora una volta:
-Non mi stai dando molti motivi per pensare il contrario-.
Tutto quello che ebbe in risposta fu prima il silenzio, e poi uno sbuffo sonoro. Alessio si allontanò subito dopo, senza più rispondergli.
Fu nel momento in cui Pietro accennò a seguirlo ancora che, più per istinto che altro, Giulia annullò la distanza che ancora c’era tra di loro e lo afferrò per un braccio, bloccandolo.
Quando Pietro si voltò verso di lei, sgranando gli occhi, lo vide rosso in faccia e ancora con gli occhi lucidi.
-Lascialo andare- mormorò Giulia, piuttosto amareggiata – Ha ampiamente dimostrato che non ne vale la pena-.
Per un attimo pensò che si sarebbe divincolato dalla sua presa e avrebbe fatto di testa sua, ma non accadde. Pietro non si mosse; lasciò scivolare lungo il fianco il braccio che Giulia gli aveva afferrato, dopo che lei ebbe mollato la stretta.
-Pietro!-.
Giulia si voltò appena, notando Filippo arrivare di corsa davanti a loro, seguito poco dopo da Caterina.
-Stai bene?- gli chiese subito, posandogli una mano su una spalla. Pietro scosse debolmente il capo, evitando qualsiasi contatto visivo con l’altro.
Caterina tacque, il viso rabbuiato e gli occhi che guizzavano da Pietro alla direzione in cui si era allontanato Alessio; Giulia si trattenne a stento dal dirle che, per quanto avrebbe voluto, era il caso che anche lei lo lasciasse andare in pace.
Lasciò perdere per concentrarsi su Pietro: per quanti contrasti potevano esserci stati tra loro in passato, si sentì dispiaciuta nel vederlo tremare appena, gli occhi abbassati e lievemente lucidi. Le sembrava fosse ancora una volta, come due settimane prima, sul punto di scoppiare.
Cercò di portare ancora una volta una mano su di lui, in un gesto di vicinanza, ma stavolta Pietro si scostò velocemente. Senza quasi guardarli mormorò a bassa voce:
-Meglio se resto un po’ solo-.
Prima che chiunque di loro potesse fare qualcosa si avviò verso la scuola, continuando a non guardarli nemmeno.
 
*
 
-È un peccato che non sia venuto anche Pietro con noi- mormorò Filippo, sovrappensiero – Di sicuro avrebbe apprezzato il pranzo di oggi-.
Giulia gli lanciò un’occhiata scettica:
-Dubito avrebbe avuto molto appetito-.
Filippo sembrò intuire subito dove stesse andando a parare, e il secondo dopo cambiò repentinamente argomento:
-Novità da Nicola?- chiese, rivolgendosi a Caterina, di fronte a lui e Giulia dall’altra parte del tavolino. Lei scosse la testa distrattamente:
-No, credo sia ancora in giro per l’esame-.
Nessuno di loro aggiunse altro, cadendo di nuovo nel baratro del silenzio che li aveva accompagnati per la maggior parte del tempo. Era una situazione che si stava protraendo da quando Pietro li aveva lasciati soli nel parcheggio: Giulia non aveva quasi aperto bocca da quel momento, consapevole che il nervosismo che si sentiva addosso l’avrebbe portata inevitabilmente a dire cose di cui, probabilmente, si sarebbe pentita.
Era stata lei per prima a votarsi a quel mutismo che, a poco a poco, aveva influenzato anche Caterina per osmosi. L’unico che aveva cercato più volte di intavolare una qualsivoglia conversazione, durante quel pranzo in un locale vicino al Virgilio organizzato per festeggiare la fine della scuola, era stato Filippo che, a poco a poco, si stava arrendendo a sua volta di fronte al muro di silenzio.
Proprio Filippo schioccò sonoramente le labbra, lanciando un’occhiata veloce sia a Giulia che a Caterina, prima di alzarsi lentamente:
-Vado in bagno e poi a pagare, nel frattempo- mormorò, piuttosto a disagio. Avevano finito di pranzare da poco, e non era nemmeno l’una di pomeriggio.
Caterina allungò una mano verso il suo bicchiere mezzo pieno di coca-cola, avvicinandolo per prendere qualche sorsata. Giulia si voltò verso la cassa, dove Filippo molto probabilmente ci avrebbe messo un po’ quando avrebbe dovuto saldare il conto: c’era una fila piuttosto nutrita di clienti già in quel momento.
Sospirò pesantemente, mentre le tornava in mente una cosa di cui lei e Filippo avevano discusso in auto quella mattina stessa:
-Potremmo vederci a casa di Filippo martedì mattina per prenotare da qualche parte per le vacanze- mormorò, ancora un po’ esitante per aver iniziato quella conversazione. Era da un po’ di tempo che tra lei, Filippo, Caterina e Nicola avevano accantonato il discorso vacanze: avevano deciso di provare ad organizzare qualcosa, ma erano ancora in alto mare ed in estremo ritardo.
Caterina contrasse il viso, in difficoltà:
-In realtà martedì pensavo di andare da Alessio- disse, a mezza voce e con tono di scuse – Sai, per dargli una mano in vista della prima prova-.
Per un attimo Giulia rimase impietrita, guardando l’altra e cercando di trattenersi il più possibile. Non ci riuscì quanto avrebbe voluto.
-Sei sicura che ne valga la pena?-.
Giulia si rese conto di aver parlato con voce sferzante, e non si sorprese dell’occhiata stupita e confusa che Caterina le lanciò.
-Voglio dire … -  proseguì, cercando di spiegarsi meglio – Hai così tanta voglia di perdere il tuo tempo dietro a qualcuno che ti ripaga solo con male parole e smorfie?-.
Caterina la guardò ammutolita per qualche attimo, prima di riprendersi e ricambiare lo stesso tono duro:
-Non è vero che reagisce sempre e solo così-.
Giulia sbuffò, abbassando gli occhi sul suo tovagliolo e stropicciandolo distrattamente.
-Prima con Pietro non mi sembrava- obiettò.
Caterina si raddrizzò meglio, sistemandosi sulla sedia e guardandola dritta in faccia con un’espressione che a Giulia parve a metà strada tra la delusione e la ricerca di comprensione. Si allungò appena verso di lei al di sopra del tavolo:
-È un periodo difficile per lui- disse più gentilmente, abbandonando l’ostilità che aveva avuto inizialmente.
Giulia non riuscì a trattenere una smorfia:
-Questo non lo autorizza ad essere stronzo con chiunque altro- puntualizzò, senza cedere – Non è colpa nostra di quel che gli è successo. Non ha senso prendersela e scaricare la frustrazione su qualcuno che non c’entra nulla-.
Caterina si ritrasse immediatamente, il viso d’un tratto freddo mentre la guardava ancora:
-Esattamente qual è il cazzo di problema?-.
Anche Giulia si irrigidì di scatto, le parole che le avevano affollato la mente fino a quel momento letteralmente azzittite dalla voce sibilante di Caterina, tutt’altro che amichevole. Sembrava essere arrivata al punto di rottura definitivo.
Giulia la guardò qualche secondo, ancora immobile, prima di iniziare a scandire:
-Il problema è che forse dovresti fargli presente che non sei la sua serva-.
Avrebbe voluto dire molto altro, ma si bloccò in tempo.
Per un attimo rivide se stessa un anno prima, vittima delle prese in giro di Pietro e dei suoi comportamenti scorretti: Alessio non stava agendo alla stessa maniera, ma non riusciva a non rivedersi in Caterina in quel frangente. Lei, evidentemente, non era dello stesso parere.
-Non lo sono, e lo sa- ribadì Caterina con forza, punta sul vivo – Si è scusato con me quando ha esagerato-.
-Un miracolo, visto che con Pietro invece non si è scusato affatto- sbuffò Giulia, una punta di sarcastica amarezza nella voce – Pietro è un coglione il più delle volte, ma stavolta non è lui ad essere dalla parte del torto-.
Maledisse Alessio con tutto il cuore, nel rendersi conto che a causa sua persino lei era arrivata a prendere le difese di uno come Pietro.
Caterina alzò gli occhi al cielo brevemente, prima di riportarli su Giulia:
-Non sappiamo esattamente come sono andate le cose tra di loro- disse, con nervosismo – Pietro potrebbe non averci detto tutto. O magari semplicemente ad Alessio con lui serve più tempo-.
Sospirò pesantemente, prima di proseguire ancora:
-È una questione tra di loro. Che ti importa?-.
Per un attimo Giulia ripensò alla sera in cui Caterina aveva spiegato a tutti loro che era successo ad Alessio, la stessa sera in cui Pietro aveva raccontato del loro litigio. Ricordava come se fosse stato ieri il momento in cui persino lui si era lasciato andare al pianto, senza nemmeno provare a reprimerlo: era stata la prima volta che l’aveva visto davvero distrutto come mai prima di quel momento. Dubitava che sarebbe anche solo riuscito a mentire, in quello stato.
-Me ne importa perché potrei essere la prossima ad essere trattata a pesci in faccia, nonostante gli voglia bene, e anche se stessi provando a dargli una mano- mormorò, con voce fredda.
Per un attimo Caterina non disse nulla. Forse sembrava essersi convinta del punto di vista di Giulia, o forse era ancora in preda alle sue riflessioni.
Quando però sbuffò debolmente, continuando a guardarla rigidamente, Giulia ebbe la certezza che questa volta, forse per la prima volta da quando si conoscevano, non avrebbero trovato un punto d’incontro.
-Strano che tu sia tanto critica verso Alessio, quando tu per prima non sei sempre stata l’immagine della correttezza- disse lentamente – Ma non mi sembra di averti mai rinfacciato l’avermi tenuto nascosto l’aver parlato a Nicola di me e Giovanni-.
Quello era un colpo basso e totalmente inaspettato, e Giulia lo accusò tutto. Boccheggiò per alcuni secondi, senza sapere bene cosa dire per essere stata presa completamente in contropiede.
Avrebbe quasi preferito che Caterina glielo avesse rinfacciato non appena l’aveva saputo, urlandole addosso, piuttosto che vederla ritirarlo fuori in quel frangente, con quella finta calma controllata che sottintendeva solo tanta rabbia.
Giulia si schiarì la gola, agitandosi un po’ sulla sua sedia:
-Era diverso- mormorò, stringendosi nelle spalle – Avevo parlato senza pensare-.
Caterina si lasciò andare ad una risata finta, tutt’altro che divertita:
-Lo stesso che stai facendo adesso-.
-Per averti fatto notare che ti stai facendo usare come uno zerbino?-.
Giulia si morse il labbro inferiore, non del tutto sicura che lasciarsi andare a quella frase istintiva fosse l’idea migliore. Il senso di colpa era stato spazzato via dalle ultime parole di Caterina, la rabbia che le montava in corpo in maniera così improvvisa che quasi si stupì di non aver urlato.
L’unica risposta che ricevette fu uno sguardo gelido di Caterina, che durò per secondi che a Giulia parvero molto più lunghi.
Quel che fece dopo non la lasciò sorpresa: la osservò in silenzio a sua volta, mentre la vedeva allungare una mano verso la sua borsa, appoggiata sulla sedia vuota accanto alla sua. L’attimo dopo Caterina si era già alzata, guardandola dall’alto:
-Salutami Filippo- disse con la stessa freddezza che le si leggeva in viso – Torno a casa con una corriera-.
Giulia non ebbe la forza di replicare nulla: si sentiva impotente, arrabbiata con Caterina e con se stessa mentre le teneva ancora gli occhi incollati addosso, guardandola voltarle le spalle ed avviarsi con passo deciso verso l’uscita del locale. Meno di un minuto dopo Caterina se ne era già andata.
Giulia sussultò appena, quando avvertì una mano posarsi sulla sua spalla; prima ancora di voltarsi intuì che doveva essere Filippo.
-Ma Caterina? Dove sta andando?- le chiese subito, disorientato.
Doveva aver osservato la scena, o almeno gli ultimi minuti, dalla fila alla cassa, Giulia ne era abbastanza sicura anche senza doverglielo domandare. Non poteva essere altrimenti, o non sarebbe tornato da lei così velocemente e così perplesso.
-Se ne è andata-.
La voce sommessa di Giulia si udì a malapena. Percepì Filippo spostarsi e sedersi sulla sua sedia, continuando a guardarla:
-Ma perché così all’improvviso?- le chiese ancora, con tono sorpreso – Che è successo?-.
Giulia prese un respiro profondo, cercando di respingere indietro le lacrime che cominciavano ad offuscarle la vista. Si sentiva piena di nervosismo e pentimento, quel tipo di sentimento che le faceva desiderare ardentemente di riavvolgere il tempo e dire a se stessa di fare più attenzione alle parole usate.
Non era una cosa fattibile, e si dovette rassegnare a convivere con quel senso di insoddisfazione.
“Che ho fatto?”.
-Abbiamo litigato-.
Riuscì a dire solo quello, prima di chiudere gli occhi e lasciarsi andare al pianto. Quando Filippo, senza dirle nulla, la abbracciò, stringendola a sé, si sentì esattamente come doveva essersi sentito Pietro due settimane prima: col cuore spaccato a metà.






 
*il copyright delle canzoni inserite (Alessandra Amoroso - "Ciao", OneRepublic - "All fall down") appartengono esclusivamente ai rispettivi cantanti e autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Ebbene, rieccoci qui con un nuovo capitolo! Iniziamo subito con un confronto tutt'altro che pacato tra Alessio e Pietro, arrivato solo dopo qualche giorno da quello precedente con Caterina ... Se tra lei ed Alessio, alla fine, si è arrivati ad un dialogo chiarificatore, non si puó dire che lo stesso epilogo avvenga con Pietro. E, da come scopriamo subito dopo, la causa è sempre da ricercarsi nei problemi di Alessio avvenuti qualche giorno prima: la situazione sembra solo peggiorare, e a risentirne è senz'altro il suo stato psicologico.  Successivamente vediamo finalmente Caterina spiegare bene al resto del gruppo cos'è successo al loro amico.
Nella seconda parte del capitolo, ambientata dopo un po' di tempo dalla prima parte, scopriamo subito che durante questo periodo le cose non sono molto cambiate: la situazione tra Pietro ed Alessio non sembra proprio migliorare, anzi... E se il clima tra loro è sempre più teso, a loro si aggiungono anche Giulia e Caterina. Cosa ne pensate di questo loro litigio? Con chi delle due vi trovate più d'accordo?  Diteci la vostra!
A mercoledì 19 giugno con il capitolo 32!

Kiara & Greyjoy
   
 
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