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Autore: Sanae77    30/05/2019    7 recensioni
Li abbiamo lasciati con un segreto da custorire e un patto da rispettare.
Saranno in grado di reggere tutto il castello di carte che hanno costruito?
Il tempo passa, i figli crescono e le voci di corridoio si fanno sempre più insistenti.
I ficcanaso sempre più agguerriti.
Tra divorzi, coming out e scoop vedremo come in questi otto anni la Golden Combi vivrà il loro amore nascosto.
Come potranno i nostri campioni arrivare ai mondiali del Quatar nel 2022 e nel Nord America del 2026 senza farsi scoprire?
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(questa storia non può essere letta se prima non è stata letta Russia 2018)
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Daichi Ozora, Genzo Wakabayashi/Benji, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Clessidra dei Mondiali'
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Giugno 2024
 

Tsubasa aveva caldo.
Per questo, muovendosi il più delicatamente possibile, scese dal letto dirigendosi verso la zona giorno; non prima di aver regalato un’occhiata all’amante steso al suo fianco. Un tremito lo percorse ricordano il suo corpo sopra di lui e le parole sussurrate all’orecchio poco prima.

Mi mancava la tua pelle.
Mi mancava il tuo odore.
Mi mancava il tuo respiro.
Ti amo…


Le frasi, ripetute per tutta la notte, mentre facevano l’amore, erano una dolce nenia notturna che lo aveva accompagnato nei primi momenti del sonno.
Momenti in cui sei ancora sveglio, ma al contempo quasi nelle braccia di Morfeo. In quel limbo del sonno/veglia che non ti fa comprendere fino in fondo se tu stia già sognando o sia la realtà. Quel momento era perfetto per rivivere e rinvigorire certe sensazioni vissute.
 
 
Erano quattro mesi che non si vedevano per colpa della fine del campionato ma quel weekend avevano recuperato alla grande. Guardò la sveglia luminosa sul comodino constatando che erano ben quarantotto ore che erano chiusi in casa, impegnati solo tra le lenzuola.
E ora, in un momento di quiete, aveva caldo e sete.
Tanta sete.
A piedi nudi camminò adagio fintanto che non arrivò alla porta della camera, soltanto una volta superata e raggiunto il corridoio si rilassò assumendo un passo più disteso in direzione della cucina.
Taro nel pomeriggio aveva fatto del buon tè verde e lo aveva messo a raffreddare; l’estate a Barcellona era sempre torrida.
E quella metà di giugno li stava mettendo a dura prova, senza contare che l’impianto di condizionamento era andato a farsi benedire proprio di venerdì.
Ovviamente il tecnico, chiamato con urgenza, gli aveva comunicato che non avrebbe potuto far nulla fino al lunedì successivo.
 
La solita fortuna.
 
Arrivato al lavabo aprì lo sportello e afferrò una tazza, mentre dai fornelli prese il tè oramai freddo. Riempì la fine porcellana fino all’orlo e, cercando di muoversi il più delicatamente possibile, tornò in camera, non voleva perdersi lo spettacolo che già aveva notato la sera precedente per la prima volta.
Sì, perché solo per caso si era reso conto che la poltrona messa in fondo al letto, sul lato sinistro, regalava una splendida visuale di Barcellona e non solo.
Muovendosi come un gatto predatore, tornò in camera e sedette sul comodo giaciglio. Adorava quella casa, la prima volta l’aveva vista di giorno, ma quando c’era tornato di sera se ne era letteralmente innamorato. Le luci ambrate di Barcellona, attraverso le enormi vetrate, illuminavano lo splendido attico con i loro riflessi dorati creando sfumature suggestive e calde.
Ed era grazie a quella poltrona, scelta da Taro, per far sì che fosse meno disordinato con i vestiti, cosa che ovviamente non era accaduta, che aveva scoperto quella meravigliosa prospettiva.



Rilassò la testa, appoggiandola sulla spalletta laterale della seduta, e prese a sorseggiare il tè verde lentamente. Voleva riempirsi di quell’immagine sublime che aveva scoperto da poco.
Alle spalle della testata del letto, la grande vetrata regalava una Barcellona dai colori ocra e addormentata, ma lo spettacolo non era solo all’esterno quanto all’interno, ed era offerto dall’ignaro occupante sul letto.
Taro era sdraiato prono, sul lato sinistro del letto, con la testa sul candido cuscino rivolta verso l’esterno. Le lunghe ciglia, adagiate sugli zigomi, riflettevano, insieme alla pelle sudata, il color ocra dei lampioni, gli stessi riverberi poteva vederli anche sui capelli castani. Il braccio mancino, incastonato sotto al cuscino, nascondeva tutto il lato destro del viso dell’amante regalandogli solo il profilo.

Un magnifico profilo.

Era nudo.
Soltanto un angolo del lenzuolo copriva a mal fatica le natiche scolpite. Tsubasa spostò lo sguardo dagli zigomi fin sulle spalle, dove decine di perle ambrate rilucevano grazie ai lumi della città.
Un altro sorso di tè fu ingoiato a fatica, mentre con lo sguardo accarezzava tutta la schiena e scendeva lungo la spina dorsale fino alla vita per incontrare la curva prima dei glutei, celati dall’angolo di stoffa.
Sbuffò un sorriso increspando il tè nella tazza vicino alle labbra.
Decise all’istante che avrebbe tolto il lenzuolo appena finito di bere.
Adesso voleva godersi la scena in pace, mentre sentiva il sesso sempre più costretto dentro i boxer.
Le pupille superarono le pieghe del tessuto, incontrando la gamba sinistra leggermente ripiegata ad angolo, mentre la destra era distesa, il piede quasi arrivava in fondo al letto. E anche lì, la luce magica di Barcellona, era riuscita ad arrivare incendiando le goccioline di sudore.
 

 
Taro riluceva come un Dio, e lui amava quel Dio. Quel Dio che gli aveva sconvolto e stravolto la vita, che lo aveva portato a fare tante scelte difficili e ingiuste, soprattutto nei confronti dei suoi figli e della sua ex moglie.
Ripensò al breve periodo in cui era accaduto tutto.
I primi sogni che gli avevano fatto scoprire l’insonnia a lui sconosciuta.
Il batticuore al ritiro.
La confessione obbligatoria dopo la scoperta.


Ed era stato un bene che li avessero sorpresi, perché altrimenti tutto quello non sarebbe stato possibile. E lui non avrebbe mai assistito allo spettacolo che adesso aveva di fronte agli occhi. Non avrebbe mai potuto conoscere il vero amore, quello da spezzare il fiato quando non hai vicino la persona giusta, quello che, come in quel preciso istante, gli stava togliendo il sonno.
Stavolta però il sonno perso lo si poteva recuperare senza alcuna angoscia.
Bevve l’ultimo sorso di tè e adagiò lentamente la tazza a terra. Sorrise nella certezza che l’amate l’indomani lo avrebbe ripreso, ma conosceva un buon modo per farsi perdonare, dopotutto. Al solo pensiero, il sesso si mosse tra le gambe.
Facendo una leggera forza sulle braccia, Tsubasa si alzò e con passo felpato raggiunse l’amato. Il pollice e l’indice afferrarono l’angolo del tessuto, sollevandolo delicatamente, e nonostante conoscesse oramai alla perfezione quelle forme ne rimase incantato.
“È intrigante quello che vedi?” nonostante Taro avesse soltanto sussurrato quella frase, il capitano fece un balzo indietro come se avesse appena toccato la brace.
Ma accorciò subito la distanza che aveva messo tra loro involontariamente, scavalcandolo e buttandosi supino sul suo lato del letto. Taro a quel punto voltò il viso per poterlo guardare.
“Quindi eri sveglio?” indagò Ozora voltandosi dal suo lato e fissandolo nelle iridi ambrate, ancora complici i riflessi di Barcellona.
“Già, ero sveglio.”
“Da quanto tempo?”
“Appena ti sei alzato per andare in cucina.”
“Sei un disonesto.” Replicò imbarazzato Tsubasa, nascondendo il volto nell’incavo del braccio sollevato. Taro non poteva vederlo, ma lui, il calore che era arrivato sulle guance, lo sentiva eccome.
“Invece ti sembra onesto fissarmi mentre dormo? Sentiamo.” Chiese sarcasticamente il numero undici.
“Possibile che non riesco mai a fartene una senza che tu mi scopra?” il capitano era uscito dal suo nascondiglio improvvisato e aveva posto quella domanda con tono sgomento.
Taro a quel punto aveva cambiato posizione, girandosi sul fianco. Una mano sotto alla guancia sinistra incastrata contro il cuscino e l’altra adagiata sul petto dell’amato. Con l’indice stava disegnando cerchietti immaginari intorno ai capezzoli.
 

 
“Quando ti allontani io lo sento; è più forte di me, non posso farci niente, come quando siamo in campo e so già perfettamente cosa farai e come ti muoverai.”
Ozora sbuffò una finta noia.
“Sei troppo avanti per me. Cioè, in campo quello che tu descrivi lo vivo pure io, ma tra le mura di casa no.”
“Perché sei sempre concentrato solo sul pallone, tipico tuo.”
“Ma non è vero…” minimizzò il capitano.
“E scommetto che… – lasciò la frase in sospeso mentre si sollevava sul braccio sinistro per poterlo vedere meglio, Tsubasa lo guardò perplesso in attesa che continuasse – hai lasciato la tazza in terra vicino alla poltrona; e ora ne pagherai le conseguenze.”
E fu solo questione di un attimo prima che il numero undici gli fosse sopra con tutto il corpo e prendesse a lambirgli le labbra.
“Adoro queste conseguenze.” Sussurrò il capitano al suo orecchio mentre le mani stringevano finalmente quei glutei perfetti.
 
 
 
Il campanello suonò con la classica sequenza di riconoscimento. Daichi sarebbe venuto a pranzo quel giorno, ogni volta che c’era Taro si presentava per consumare un buon pasto. Da quando era a Barcellona si era ambientato perfettamente, non solo nel dormitorio e con i compagni ma anche nella frenesia della città metropolitana.
“Hola a tutti. Ciao, Bro.” Disse sollevando un braccio in direzione del fratello e buttando il borsone nell’angolo all’ingresso.
“C’è lo stanzino per quello…” lo rimproverò Tsubasa indicando la sacca dell’allenamento appena arrivato in sala. Misaki, ai fornelli, si era girato guardandolo scettico.
“Beh, che hai da guardare? Per una volta che ascolto i tuoi consigli.” Questionò Ozora rivolto al cuoco, poi raggiunse Daichi e lo avvolse in un abbraccio.
“Sai che potrebbe nevicare a Giugno su Barcellona per quello che hai appena detto, vero?” domandò sarcasticamente il numero undici tornando a girare il cibo nel tegame.
Tsubasa si scostò da Daichi e lo guardò in tutta la sua interezza, sollevando scocciato gli occhi al cielo.
“Non farci caso, si lamenta del mio disordine…”
Il ragazzino sorrise grattandosi una tempia. “Anche la mamma dice che sei un disastro. Non che io sia meglio, eh.”
“Insomma, questi allenamenti come vanno? Il Mister ti farà giocare la prossima volta?”
Daichi si spostò verso la tavola prendendo posto, visto che Taro aveva iniziato a versare il cibo nei piatti.
Scostò la sedia mettendosi comodo e attendendo che anche gli altri lo raggiungessero per iniziare insieme il pasto.
“Il Mister ha detto che per la partita amichevole del prossimo week-end mi metterà in prima squadra, quindi fratellone giocheremo insieme, forse.”
Quel forse lo aveva un attimo insospettito, ma proseguì in un altro ragionamento: “Cioè, dovrò aver a che fare con un ragazzino alla veneranda età di trentaquattro anni?”
“Temi di non sapermi star dietro?” scherzò Daichi prima di addentare il primo boccone.
“Spero di non doverti far da balia, in realtà.”
“Certo che avere a fianco un diciannovenne non sarà facile, spesso sottovaluti le situazioni, Tsubasa, e non sarebbe la prima volta.” Lo ammonì bonariamente Misaki guardandolo di traverso. Ripensava a quando aveva banalizzato un possibile rapporto clandestino tra loro due.
“No, ma grazie del sostegno; cos’è, sei geloso che si possa creare una nuova Golden?”
“Al massimo adesso noi possiamo fare la Grandfather Combi.”
Daichi iniziò a ridere come un matto, sputando quasi il boccone.
“Ma da che parte stai?” l’interrogò Ozora, accigliato.
“Non temere, Bro, ha detto il mister che alla prossima amichevole ti farà riposare.”
“Ecco, andiamo bene, adesso pure le decisioni senza di me prendono, e poi ‘sta moda di Bro che vuol dire?”
“Vedi che faccio bene a dire Grandfather Combi? Oramai se vecchio, Tsubasa, neppure questi termini moderni conosci…”
Inarcò ulteriormente le sopracciglia: Misaki, quando c’era suo fratello, sembrava in combutta con lui. Una coalizione avevano fatto quei due.
“E, sentiamo, dall’alto della sua giovinezza immagino che sarà informato.”
Taro abbozzò un sorrisetto sarcastico prima di rispondere, anche se in prima battuta si rivolse al ragazzino: “Forse non lo sai ma è permaloso, e più invecchia, più è peggio.”
“Volete smettere di parlare come se io non ci fossi?”
La nuova promessa del Barcellona continuava a ridere di quel siparietto che si era venuto a creare.
“E va bene: Bro significa Brother, fratello in inglese.” Chiarificò il numero undici.
“Dai, Bro non era difficile. A proposito, visto che io devo giocare, non potrò occuparmi dei gemelli come avevo promesso a Sanae. E visto che lei deve uscire, il prossimo week-end, i gemelli verranno a pranzo qua.”
“Come deve uscire?” indagò il numero dieci.
“Non ti ha detto che ha un appuntamento?”
“Un appuntamento?” ripeté sgranando gli occhi.
“Finalmente, eh?” rispose afferrando un altro pezzo di cibo e portandolo alla bocca.

Non poteva crederci, finalmente Sanae era tornata a vivere, non gli aveva detto nulla, forse se ne vergognava; invece Ozora era davvero felice di quella notizia inaspettata.
Si ripromise che alla prossima telefonata le avrebbe assolutamente fatto sapere che era davvero contento per lei. In tutti quegli anni non avevano mai toccato l’argomento. Sanae si era rivelata un osso tanto duro e non riusciva ad andare avanti nella sua vita intima. Da un certo lato si sentiva sollevato per questo appuntamento, aveva visto come Azumi avesse ritrovato la pace e la felicità; tanto che, da un anno, era diventata nuovamente madre di un bellissimo maschietto.
Taro aveva recuperato il rapporto con lei e per il bene di Desirée spesso uscivano tutti insieme. Anche lui aveva partecipato a questa sorta di famiglia allargata, apprezzandone l’armonia e la complicità che si era venuta a creare. Il compagno di Azumi, in quanto procuratore di Taro, ovviamente sapeva della loro relazione, ma per segreto professionale e per rispetto verso la compagna aveva mantenuto la confidenza e onorato i patti.
L’unica che ancora non si era rifatta una vita era Sanae, e Tsubasa di questo se ne era rammaricato e ne aveva parlato spesso con Taro.
Misaki più volte gli aveva spiegato che il primo amore non si scorda mai, un po’ come era accaduto a lui. Lui che aveva rinunciato al suo capitano, ma che quando aveva scoperto di essere amato aveva perso totalmente il controllo della situazione; tanto da buttare a monte matrimonio e famiglia senza alcun ripensamento.

“Bellissima notizia, e chi è si può sapere?”
“Non lo conosci, non è del nostro ambiente.”
“Dove si sono incontrati?”
“Non ci crederai, ma Sanae ha litigato con lui per un taxi…”
La Golden Combi iniziò a ridere ricordando il carattere peperino della prima manager.
“Sanae avrà tirato fuori l’Anego sepolta, immagino…” ipotizzò Misaki con la felicità nello sguardo.
 
Una volta finito il pranzo tutti insieme seduti sul divano guardarono la replica dell’ultima partita giocata da Taro. Visto che i due coalizzati se la intendevano alla grande, Tsubasa decise di allontanarsi per chiamare Sanae e rassicurarla per il prossimo fine settimana. Avrebbe pensato lui ai loro figli per permetterle di andare a quell’appuntamento in tutta tranquillità.
Afferrò il cellulare e raggiunse la camera da letto per non essere disturbato da quella tifoseria improvvisata.
Dopo tre squilli la sua ex moglie rispose.

“Tsubasa, ciao.”
“Ciao, tutto bene?”
“Sì, tutto ok, tu?”
“Tutto bene, oggi è venuto Daichi a pranzo; sai che il mister lo farà giocare il prossimo week-end nell’amichevole?”
Il secondo di troppo che ci mise a rispondere gli fece capire che la sua mente era volata all’appuntamento.
“Sono contenta per lui, ma…” la donna non terminò la frase attendendo chissà quale risoluzione. Ma l’attesa fu breve, Ozora prese subito la palla al balzo per tranquillizzarla. Voleva farle sentire tutto il suo appoggio.
“Non temere, terrò io i gemelli il prossimo fine settimana; il Mister ha deciso che devo riposarmi, sono vecchio…” scherzò tentando si alleggerire il discorso.
“Che scemo, non sei vecchio, diciamo che a diciannove anni eri più scattante.” Ironizzò la ex manager.
“Ma è una coalizione la vostra? È la stessa cosa che ha detto Taro.”
“Ti conosce bene, che vuoi farci!”
“Sanae…”
“Dimmi.”
“Daichi mi ha detto del tuo appuntamento; sono davvero felice per te.”

Dopo un attimo di silenzio e un sospiro avvertito attraverso l’apparecchio dal numero dieci, Sanae iniziò a parlare: “Per me non è stato facile, e lo sai. Poi quando ho smesso di pensarci, di ragionare sul futuro è accaduto qualcosa di strano…”
“Hai litigato con uno; strano davvero, non lo fai mai!”
“Piantala di prendermi in giro, dovevo solo prendere un taxi e lo avevo chiamato prima io: voleva fregarmi il taxi e non potevo certo permetterlo.”
Sanae non avrebbe mai raccontato i dettagli ma nel ripensare alla scena ricordava perfettamente tutto come un vecchio film a rallentatore.
La mano alzata per chiamare il taxi e quell’uomo in giacca e cravatta vicino a lei che, poco dopo, quando aveva visto arrivare l’auto, aveva alzato a sua volta il braccio per attirare attenzione dell’autista.
L’autista si era fermato al bordo del marciapiede e Sanae in un primo momento aveva creduto che l’uomo volesse aprirle la portiera in un gesto di galanteria, quando invece si era resa conto che voleva fregarle il taxi, aveva sbraitato con tutta la voce che aveva in gola ammonendolo pesantemente.
Neppure ricordava le frasi precise, sapeva solo che il tassista era sceso e l’aveva invitata a calmarsi. Poi aveva proposto a entrambi di salire e di dividere le spese della corsa. L’indesiderato passeggero si era salvato soltanto grazie ai pronti riflessi del tassista.
In auto non si erano detti nulla, la prima a scendere era stata Sanae sbattendo lo sportello scocciata; ignara del fatto che, il giorno dopo, avrebbe trovato un fascio di rose con un bigliettino di scuse.
 
Sono mortificato dal mio pessimo comportamento, avevo un appuntamento di lavoro inderogabile, spero soltanto di potermi sdebitare invitandola a cena
Juan

 Quello recitava il biglietto rosso come le rose e un numero di cellulare scritto sul retro.
 
 
“Hai tutte le ragioni di questo mondo, Sanae. Spero che si sia scusato.”
“Sì, si è scusato ed è proprio grazie a quelle scuse che ci siamo conosciuti.”

L’attimo di silenzio che preannunciava la chiusura della conversazione sapeva anche di un nuovo inizio.  

“Sanae…”
“Sì?”
“Sono davvero contento che tu sia tornata a vivere, ti meriti tutta la felicità che io ti ho negato. Ti voglio bene e te ne vorrò sempre.”
“Anch’io, Tsubasa, anch’io…”

L'amore era finito, ma non l'affetto, mentre la vita andava avanti.







Un grazie speciale a Ciotolina alla quale stavolta ho 'commissionato' queste meraviglie.
Lei è stata fantastica nel realizzare l'immagine che da mesi alberga nella mia mente, rendendola vivida e vera.
Grazie per mettere a nostra disposizione la tua dote artistica dandoci la possibilità di 'vedere' quanto siamo fuse. :-)
E grazie alle mie betucce per sopportare e supportare i miei sproloqui nelle fanfic come nella vita reale.
Vi adoro tutte care pazze del Manicomio Mariuccia.
Sanae77

 
   
 
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