Capitolo decimo
Ho riempito di fango i miei occhi per non vedere più vinti
sul mio cammino
dal dolore o dalla rabbia, per ingiustizia del
destino
ed ho ascoltato la mia pena
perché la vita mi ha colpito troppe volte alla
schiena
ho messo il vestito migliore per la fortuna che
ho di essere vivo
anche se non mi aspetto che il mondo mi ringrazi
per questo motivo
e chiedo scusa all'amore se non l'ho
riconosciuto
chiedo scusa al Signore…
Amen
siamo tutti figli della stessa terra e siamo in
guerra…
(“Amen” – Noemi)
Giunse il Sabato Santo di quel famigerato anno 1478, il
giorno prima della data fissata per quel casino di congiura. Eppure, per
qualche suo strano motivo, Antonio si era tranquillizzato, consapevole che
adesso tutto dipendeva da lui e da lui solo.
Quella mattina era andato a Palazzo Medici e non aveva
mostrato il minimo turbamento o preoccupazione, anzi si era divertito a
scherzare con Lorenzo e Giuliano come se niente fosse e a guardare i suoi
nipotini, Piero, Giovanna, Jacopo e Antonio, che giocavano, facevano capricci,
insomma si comportavano come tutti i bambini del mondo!
La cosa strana, piuttosto, quel giorno la fece Jacopo. Si era
recato alla Banca, come sempre, ma non era riuscito a resisterci, gli sembrava
di non poter nemmeno respirare in quel luogo chiuso e mille pensieri tormentosi
gli avevano invaso la mente.
Rimorsi per ciò che stava per fare? Nemmeno per sogno, o
almeno non come lo intendiamo noi persone ragionevoli che non andiamo in giro a
cospirare per tagliare la gola al prossimo. Era ad Antonio che pensava, a come
avrebbe reagito alla perdita dei suoi amici.
E poi un pensiero ancor più angosciante lo aveva raggelato:
lui non si era mostrato entusiasta come gli altri per il complotto, lo riteneva
più che altro un dovere che andava
compiuto per liberare Firenze dai tiranni Medici (sì, questa era la sua scusa
ufficiale, però bisogna ammettere che ci credeva sul serio!), e se quegli
assatanati dei suoi complici avessero sospettato che era per Antonio che
esitava e dubitava?
Oddio, i congiurati alla fine erano solo una manica di
imbecilli, purtroppo però tra loro c’era anche Salviati che invece era
un’infida serpe. Se avesse compreso che lui tentennava, che Antonio era la sua
parte buona, la voce della sua coscienza che gli chiedeva di trovare un altro
modo per liberarsi dei suoi rivali? E se… Jacopo si sentì agghiacciare… e se
Salviati avesse fatto rapire Antonio per minacciarlo, per intimargli di non
pensare nemmeno lontanamente a chiamarsi fuori dalla loro congiura? Se avesse fatto
del male al ragazzo, ritenendo che, con il suo affetto, lo avesse indebolito?
Quell’ansia non lo abbandonava e l’unico modo per combatterla
era tenersi Antonio il più possibile vicino.
Così aveva fatto, perché Jacopo Pazzi, di norma, quando
decideva qualcosa poi la faceva senza pensarci due volte: a metà mattinata era
uscito a passo deciso dalla sua Banca e si era presentato a Palazzo Medici per
riprendersi Antonio!
“Messer Jacopo, come mai non siete alla Banca? E’ successo
qualcosa?” gli aveva chiesto Lorenzo, convinto che solo un cataclisma di
dimensioni impressionanti avrebbe potuto tenere l’uomo lontano dalla sua Banca.
Ma non aveva ricevuto alcuna risposta.
Seguendo ancora una volta le regole della più elementare
maleducazione, Jacopo non aveva degnato nemmeno di uno sguardo Lorenzo e
Giuliano (perché preoccuparsi di loro? Tanto il giorno dopo sarebbero stati
fatti fuori…) e si era rivolto ad Antonio come se fosse stato il solo presente
nella stanza.
“Oggi è un giorno importante, ricordi?” gli aveva detto, con
un tono affettuoso che aveva causato una mezza colica a Giuliano. “La famiglia
Pazzi deve sovrintendere agli ultimi preparativi per il carro che domani sarà
fatto scoppiare davanti al Duomo, distribuendo il Fuoco Sacro a tutta la città.
Tu adesso fai parte della famiglia Pazzi, per cui puoi venire con me a vedere
se le cose stanno procedendo bene.”
Il volto di Antonio si era illuminato come il sole a
mezzogiorno, era felicissimo e onorato che Messer Pazzi lo volesse accanto a sé
in quell’importantissima occasione.
“Io allora vado con Messer Pazzi” cercò di dire agli amici,
“vi auguro una…”
Ma Jacopo non lo fece nemmeno finire e se lo portò via,
continuando a ignorare disinvoltamente tutti i presenti. Uscì da Palazzo Medici
né più né meno che se fosse stata casa sua… e, in tutto ciò, non gli passò
nemmeno per l’anticamera del cervello che lì c’erano anche Guglielmo e
Francesco, che anche loro erano dei
Pazzi e che, magari, avrebbero potuto aver piacere nel prendere parte
all’organizzazione del carro pasquale.
Macché, non poteva fregargliene di meno. Lui aveva Antonio.
Trascorse tutto il resto della giornata ad occuparsi dei
preparativi per il corteo storico e per lo scoppio del carro del giorno
successivo. Ogni tanto un pensierino molesto si insinuava nella sua mente e gli
suggeriva che, forse, non sarebbe andato poi tutto così liscio, che qualcuno
dei congiurati (quei deficienti) avrebbe potuto combinare un casino, che magari
avrebbe fatto meglio a contattarli per gli ultimi accordi…
Ma no, non aveva nessuna voglia di rovinarsi quella bella
giornata di sole rivedendo quelle facce da beccamorto. C’era Antonio con lui,
che ammirava incantato ogni dettaglio del carro e delle decorazioni, degli
stendardi alle finestre e dei fiori e che sembrava riflettere nei suoi occhi la
stessa luce del sole. Si vedeva chiaramente che il ragazzino era felice e
orgoglioso di poter condividere quel momento così importante per la famiglia
Pazzi, di sentirsi davvero parte della vita di Jacopo e l’uomo, suo malgrado,
sentì una stretta al cuore. All’inizio, siccome non era abituato più di tanto a
provare emozioni, pensò che forse stava per avere un infarto, poi ci ragionò su
e comprese che probabilmente era un misto di amore e rimorso (con i quali lui,
com’è ovvio, non aveva troppa familiarità…): amore per quel giovane
meraviglioso che la vita gli aveva regalato nel momento in cui non credeva più
a niente, rimorso per ciò che stava per fare e che, inevitabilmente, avrebbe
causato dolore proprio a quel ragazzino così dolce e innamorato.
Ma cosa poteva fare ormai? Buttare all’aria tutto? Nemmeno a
pensarci, la congiura si era spinta troppo avanti e, a quel punto, quell’altro
gruppetto di sciagurati sarebbe andato avanti per conto suo (immaginatevi il
casino!). Senza contare che, se lui si fosse chiamato fuori, Salviati avrebbe
anche potuto trovare il modo di vendicarsi di lui facendo del male proprio ad
Antonio… no, no, nemmeno per sogno, meglio andare fino in fondo e cercare di
proteggere il ragazzino dal pericolo e dal male.
Così, la giornata passò serenamente e Antonio aveva il cuore
gonfio di emozioni mentre, con il tramonto che colorava di luci dorate e
arancio i palazzi fiorentini, ritornava a Palazzo Pazzi al fianco di Jacopo.
Quel giorno Messer Pazzi si era dedicato completamente a lui, non era nemmeno
andato in Banca per stargli vicino e lo aveva coinvolto nell’organizzazione
delle cerimonie del giorno seguente… proprio come se fossero stati sposati! Era
proprio a questo che Antonio aveva pensato per tutto il tempo, che quella
sarebbe stata la tipica giornata che avrebbero potuto trascorrere se fossero
vissuti insieme dimenticando tutto il resto… ma sapeva bene che Jacopo non
aveva affatto dimenticato la congiura e che, la mattina seguente, tutto si
sarebbe svolto così come avevano pianificato i congiurati nel suo studio poche
sere prima.
Antonio aveva già deciso cosa fare per salvare i suoi amici e
per fare in modo che Messer Pazzi non risultasse coinvolto nel complotto,
eppure, quella sera, provava anche un senso profondo di dolorosa malinconia.
Erano stati così felici, lui e Messer Pazzi, in tutta quella splendida
giornata, perché non poteva durare per sempre così? Perché tutto doveva
distruggersi per cose inutili e meschine come l’ambizione, l’avidità, l’invidia
e il potere? Pur sapendo che quello che voleva fare avrebbe funzionato quasi
sicuramente, le cose sarebbero comunque cambiate, dopo. E poi, chissà… forse
lui stesso sarebbe rimasto ucciso per proteggere Lorenzo e Giuliano.
Pure, non poteva fare altrimenti, non c’erano altre strade.
O forse sì? Poteva provarci?
Lui e Jacopo stavano per andare a letto, quando Antonio tentò
l’ultima carta a sua disposizione prima dell’inevitabile. Facendosi ardito come
mai prima d’ora, il ragazzo si avvicinò a Pazzi e gli prese delicatamente una
mano tra le sue.
“Messer Pazzi, oggi è stata una giornata speciale per me,
sono stato tanto felice e mi sono sentito davvero un Pazzi come voi!” gli
disse, con un sorriso dolcissimo e gli occhi che brillavano. “Vorrei tanto che…
beh, se anche per voi è stato piacevole, vorrei che potessimo passare tante
altre giornate come questa.”
Jacopo sorrise. Anche lui era stato bene quel giorno, così
sereno e in pace come mai gli era accaduto e sapeva benissimo che il merito era
tutto di quel ragazzino che aveva davanti. Gli passò l’altra mano sul viso e
sui capelli in una carezza affettuosa che non gli era certo abituale.
“Certo che è stato piacevole anche per me, ragazzino”
rispose, “e non vedo perché non potremo avere molte altre giornate come questa.
Anzi, a tal proposito avevo pensato una cosa…”
Ed era tutto vero, Jacopo era totalmente sincero in quel
momento, salvo che per una trascurabile
omissione: tutto ciò che progettava di fare con Antonio, lo avrebbe fatto una
volta eliminati i Medici. Insomma, era come se Jacopo Pazzi stesse dividendo il
tempo in due ere e quella che interessava a lui era quella D.M. (ossia Dopo i Medici, sì, un po’ come facciamo
noi quando parliamo di secoli A.C. e D. C.!).
“Ho deciso che acquisterò una di quelle ville fuori Firenze
che ti piacciono tanto, così potremo viverci insieme” continuò, guardando con
piacere gli occhi di Antonio che diventavano sempre più luminosi e le sue
guance che si arrossavano dolcemente. “Potremo andare a sceglierla uno dei prossimi giorni, quando vorrai.
E ho anche pensato di dire a Francesco e Guglielmo che potranno venire a vivere
qui a Palazzo Pazzi con le loro mogli e i figli… in fondo, questo palazzo è
anche il loro e, a quel punto, noi avremo una villa tutta nostra. Che ne pensi?”
“E’… è meraviglioso, Messer Pazzi, io… io non osavo nemmeno
sognarlo!” mormorò Antonio, con la voce rotta dall’emozione. Jacopo lo strinse
forte tra le braccia, avvolgendolo tutto, e il ragazzo nascose il volto nel
petto di lui per celare le lacrime di commozione che gli stavano scendendo
dagli occhi. Sì, certo, sarebbe stato tutto magnifico, perfetto… ma prima c’era
quella congiura maledetta e, forse, a causa di essa lui non ci sarebbe stato
più, non avrebbe potuto andare a vivere nella villa sulle colline di Firenze
con il suo Messer Pazzi. Non era tanto sicuro di riuscire a sopravvivere a un
tentativo di mettersi tra i congiurati e i suoi amici… se solo quell’orribile
cospirazione non fosse esistita, se solo Messer Pazzi avesse deciso di fare
marcia indietro!
Ma ormai era chiaro, l’uomo aveva scelto.
Tutto ciò che progettava di fare per lui era destinato a
quando, secondo Pazzi, i Medici non ci sarebbero stati più (la famosa era D.M., come appunto dicevo prima!).
Il suo ultimo tentativo di fermarlo era fallito. Poteva solo
lasciarsi stringere da lui, perdersi nelle sue braccia e non pensare ad altro,
come se quella fosse la loro ultima notte, come se non ci fosse un domani… e
mai come in questo caso la frase era azzeccata!
Jacopo lo sollevò tra le braccia, baciandolo a lungo e
profondamente. Non poteva indovinare i timori di Antonio, ma non erano poi
troppo diversi dai suoi e anche lui aveva paura che, nonostante tutti i suoi
discorsi, quella giornata così serena e luminosa non si sarebbe ripetuta tanto
facilmente. Qualsiasi cosa sarebbe potuta andare storta…
Sempre
tenendo Antonio tra le braccia e baciandolo, Jacopo lo portò nella sua stanza,
distendendolo sul letto e sovrastandolo con il suo corpo. Voleva perdersi
completamente in lui e con lui, sentire solo il tepore della sua pelle, il
sapore della sua bocca e il profumo dei suoi capelli morbidi. Lo baciò ancora e
ancora, riempiendo di baci il suo viso, la fronte, gli occhi, le guance
arrossate dall’emozione, le labbra morbide e calde. Desiderava un contatto più
intimo possibile con lui, unirsi così profondamente al suo corpo delicato da rinchiudere
entrambi in una bolla fuori dal tempo e dallo spazio, una bolla dove nessun
pericolo e nessun male potessero sfiorarli, dove non ci sarebbero state
congiure, Papi avidi, Cardinali corrotti e sicari con la faccia da patibolo. In
realtà nemmeno Jacopo poteva sapere cosa sarebbe realmente successo la mattina
dopo, nella Cattedrale fiorentina: visti com’erano andati allegramente in
malora gli altri tentativi di congiura, visti coloro con i quali aveva
pianificato il complotto (che avrebbero potuto vincere oro, argento e bronzo
alle Olimpiadi dei deficienti), poteva ben pensare che sarebbe andato tutto in
cavalleria (per non dire peggio) e che lui e gli altri sarebbero stati
catturati. In quel caso, non ci sarebbe stato più un Antonio per lui, non
avrebbe più goduto di quei momenti di pace e felicità assoluta, come se la sua
stanza fosse diventata l’anticamera del Paradiso.
Non
voleva pensare a tutto questo, adesso, ma solo vivere intensamente e fino in
fondo quella notte con Antonio, con il suo ragazzino speciale che aveva reso
ogni suo giorno luminoso e caldo di affetto. Fondendo il suo corpo con quello
di Antonio, Jacopo perse ogni altra cognizione e null’altro rimase nella sua
mente per tormentarlo, c’erano solo lui e il suo giovane amante, stretti e
incatenati insieme quasi a difendersi dal mondo esterno che avrebbe potuto
distruggerli, separarli. Perdendosi l’uno nell’altro, Jacopo e Antonio si sentirono
dissolvere e poi ritornare, uniti, come polvere di stelle che diventava una
sola essenza, un unico fremito di vita e passione. Soltanto insieme erano vivi,
soltanto insieme potevano trovare la salvezza.
Ore
dopo, mentre Antonio dormiva stretto a lui, fiduciosamente abbandonato in un
sonno teneramente infantile, Jacopo rimase a guardarlo, ad ammirare ogni
dettaglio del suo ragazzino, dai capelli scuri scompigliati alle guance rimaste
arrossate anche nel sonno per l’emozione e il piacere; dal volto rotondo dai
lineamenti così delicati alla curva delle labbra rosate, fino alle ciglia scure
che in quel momento facevano da sipario ai suoi occhi luminosi. Antonio era
perfetto e lui non aveva fatto nulla per meritarselo, anzi. Era come se, per la
prima volta, alla vigilia di qualcosa che non lo convinceva più come prima,
Jacopo Pazzi si rendesse conto della fortuna inaspettata e immeritata che aveva
avuto trovando quel ragazzino sulla sua strada, che lo aveva riempito del suo
amore incondizionato e lo aveva fatto sentire un Re.
E
lui, adesso, rischiava di perdere tutto (e bravo Jacopo, ci hai pensato
presto!) per inseguire delle ambizioni e delle vendette che, adesso lo capiva,
non avevano più ragione di esistere, non più, da quando c’era Antonio. Ora
sentiva che non gli interessava più diventare il Signore di Firenze, perché
poteva essere il sovrano del cuore di Antonio e questo era più di quanto avesse
mai osato sperare.
Si
domandò se fosse davvero troppo tardi, se avrebbe ancora potuto fermare tutto.
Magari
poteva alzarsi, mandare i servitori a chiamare Salviati, Montesecco e gli altri
e dir loro che fermassero tutto, che avrebbero trovato un altro modo per
togliere di mezzo i Medici, che l’esilio sarebbe stata la scelta migliore, che…
Ma
era un illuso, ormai non poteva fare più niente.
La
macchina che aveva contribuito a mettere in moto era andata troppo avanti, non
c’era più alcun modo di arrestarla.
La
congiura si sarebbe dovuta compiere, il mattino successivo, sotto l’altare,
durante la Messa di Pasqua, com’era stato deciso, come lui stesso aveva
sentenziato.
E
che Dio avesse pietà della sua anima…
Fine
capitolo decimo