Anime & Manga > Death Note
Ricorda la storia  |      
Autore: purpleblow    24/07/2009    4 recensioni
Ci sono cose che non si dimenticano, neppure a distanza di anni e questo L lo sa.
Il passato ritorna, tormenta, fino a che qualcuno non ti fa capire che il passato deve stare lì dove e che il presente è tutta un'altra cosa.
L odiava il suo passato, ma inevitabilmente lo riviveva ad ogni nevicata.
[LightL frienship o velata shonen ai, a seconda dei punti di vista]
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L, Light/Raito
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Freedom



Se ne stava lì, seduto sulla sua solita poltrona foderata di rosso, con lo sguardo rivolto verso la finestra. I suoi occhi erano puntati sul vecchio scivolo di legno del parco, che a poco a poco si stava ricoprendo di neve.
Quelle giornate invernali lo riportavano inevitabilmente al suo passato, a quando era solo un bambino di circa sette anni, in un posto troppo grande e troppo affollato per lui.
Gli faceva male ricordare l'infanzia, anni di solitudine, anni in cui non era nessuno.
I bambini si sa, sono crudeli, non hanno peli sulla lingua ed L lo sapeva bene, perché ognuno di loro lo aveva sempre additato come una persona strana, isolandolo per questo.
O peggio, c'erano i tipici bulletti che lo prendevano in giro e non perdevano l'occasione per deriderlo, qualsiasi cosa lui facesse.
L odiava il suo passato, ma inevitabilmente lo riviveva ad ogni nevicata.



* * *


Era stato portato in orfanotrofio all'età di quattro anni, erano stati i suoi genitori a lasciarlo lì con la scusa di non potersene più occupare ed il piccolo era stato accolto a braccia aperte.
L'orfanotrofio in questione era la conosciutissima Wammy's House, gestita e fondata da Quillsh Wammy, dove risiedevano la maggior parte degli orfani in Inghilterra, bambini con un elevato quoziente intellettivo.
Non aveva un nome, per cui i dipendenti dell'orfanotrofio decisero di chiamarlo Ryuzaki.
Il bambino conosceva probabilmente il suo vero nome, ma essendo silenzioso e diffidente, probabilmente per lo shock subito per via dell'abbandono, non aveva detto neanche una parola.
Appena approdato nella grande casa, tutto ciò che aveva fatto era starsene per i fatti suoi, non solo era un bambino che si isolava, ma gli altri ragazzini non l'aiutavano di certo, tenendosi alla larga da lui.
Lo consideravano strano, troppo diverso da loro e addirittura inquietante. Si era subito distinto da tutti gli altri, la sua strana camminata, le profonde occhiaie scure e l'assurda posa che assumeva quando era seduto incuteva timore in alcuni, mentre altri semplicemente lo prendevano in giro.
In particolare c'era un gruppetto di tre bambini che si divertivano a dargli fastidio; i bambini in questione erano più grandi di lui, avevano all'incirca undici anni. Uno di loro, considerato il capo del gruppo si chiamava Ben Quincy, era alto e robusto, gli altri due, Daniel White e Herman Nathan erano fisicamente più piccoli di lui e lo rispettavano moltissimo. A dirla tutta erano obbligati a rispettarlo, avevano anche un po' paura di lui, per cui eseguivano i suoi ordini senza fiatare.
Ryuzaki li definiva i classici leccapiedi. Li trovava stupidi, perché sottostavano a quell'energumeno di Ben senza proferir parola, senza imporsi anche quando magari non erano d'accordo con lui.
Ma dopotutto, cosa poteva aspettarsi? E poi, in fondo, non gliene importava nemmeno, che facessero quello che gli pareva, la vita era loro.
L'unica cosa che desiderava davvero era essere lasciato in pace, ma questo era purtroppo un sogno che mai si sarebbe realizzato, temeva che avrebbe dovuto subire la presenza di quegli stupidi per il resto dei suoi giorni.


* * *


L sogghignava leggermente al pensiero che quei perdenti non erano nessuno e che lui, il ragazzino strambo era riuscito a diventare ciò che era. Perché lui era intelligente, perché lui non era come loro.
Non che si vantasse, anzi tutt'altro, però non gli dispiaceva sentirsi superiore ai suoi vecchi compagni di orfanotrofio. Chissà che faccia avrebbero fatto se solo avessero saputo che il piccolo, trasandato Ryuzaki era diventato il detective più famoso del mondo, il grande L, colui che aveva risolto centinaia di casi quasi impossibili.
Gliene avevano fatte passare di tutti i colori, ancora ricordava alla perfezione la perfidia dei tre ragazzini, tutto gli tornava alla mente come se l'avesse vissuto pochi giorni prima.
Il cucchiaio che teneva fra le dita si piegò e una ruga di disappunto comparve sulla sua fronte. Li odiava allora e li odiava in quel momento.
I suoi occhi riflettevano una luce sinistra, L solitamente era un tipo tranquillo, non si faceva mai prendere dalla rabbia e restava sempre calmo e razionale, ma ogni qual volta gli capitava di ripensare a Ben, Herman e Daniel non ci riusciva.
Possibile che ancora erano capaci di mandarlo in agitazione? Possibile che non avesse mai superato i momenti vissuti anni e anni prima?
Con foga afferrò un biscotto al cioccolato e se lo cacciò in bocca, sperando che almeno il dolce sapore gli avrebbe dato modo di scacciare i pensieri.
Un altro biscotto, il cioccolato che lentamente si scioglieva sulla lingua e i pensieri che esplodevano nella sua testa e la tensione aumentava... aumentava.
E un altro, ormai l'ennesimo biscotto, ma non faceva effetto. In quel momento non era un piacere mangiare dolci, in quel momento non avevano più un sapore piacevole, ma erano amari, come i ricordi.
Eppure non aveva più di che preoccuparsi da anni ormai, quanti anni erano passati? Ci aveva vissuto insieme fino all'età di dodici anni, poi non li aveva più rivisti. Mai più.
Ma il ricordo era indelebile, il dolore non si era mai esaurito. Troppe cattiverie in pochi anni. Troppe per poterle lasciare alle spalle.
Ryuzaki scosse la testa, aveva ben altro da fare che rimuginare su tempi andati, doveva lavorare al caso Kira, ma non aveva alcuna voglia.



* * *


Il risveglio alla mattina era sempre un trauma per lui, avrebbe voluto dormire per sempre, o meglio, avrebbe voluto dormire e basta. Il massimo che riusciva a concedersi a notte erano due sole ore e se gli andava bene tre.
Non era normale per un bambino della sua età, di solito i suoi compagni di stanza come toccavano il cuscino cadevano in un sonno profondo, mentre lui no. Lui se ne stava ore ed ore ad osservare il soffitto oscurato dalla notte, cercando di non pensare a niente, ma si sa, non pensare è impossibile.
Ryuzaki si era alzato dal letto appena alle nove di mattina, i suoi compagni ancora dormivano della grossa e lui, sgattaiolò in silenzio fuori dalla camera.
Camminava silenziosamente e a passo svelto nei corridoi, le pareti immacolate lo inquietavano, come lo inquietava la lunghezza del tratto di strada che doveva attraversare per arrivare in mensa.
Erano maledettamente troppo lunghi da percorrere in poco tempo con le sue piccole gambe di bambino, troppo infiniti per non fare brutti incontri e il groppo alla gola si ingrandiva ad ogni passo.
Fortunatamente quella volta gli andò bene, raggiunse la sala da pranzo sano e salvo, così si sedette al tavolo vicino alla finestra con lo sguardo rivolto al giardino.
Ryuzaki non aveva mai passato nemmeno un minuto in cortile, le rare volte che gli era capitato di fare due passi là fuori aveva inevitabilmente incontrato i ragazzini maligni.
Gli sarebbe piaciuto moltissimo poter salire sull'altalena, ogni volta che vi posava gli occhi vedeva bambini che si dondolavano felici, anche lui voleva provare quella sensazione.
"Ryuzaki-kun?" quando alzò i grandi occhioni incontrò il volto gentile della custode, Adrianne Anderson, la quale si occupava della mensa. Era una donna giovane, con lunghi capelli neri legati in una coda di cavallo.
I suoi occhi gioiosi avevano sempre ispirato fiducia al piccolo Ryuzaki, che la osservava con un lieve, quasi impercettibile sorriso.
"Cosa desideri che ti porti?" disse lei carezzando i neri capelli scompigliati del bambino.
"Tanti dolci." da sempre Ryuzaki aveva una passione per i cibi dolci, quell'abitudine non l'aveva mai abbandonato. La donna sorrise dolcemente, era raro sentire la sua flebile voce, ogni volta che la udiva, sentiva di aver conquistato una piccola vittoria.
"E dimmi, preferisci il thè o il latte?" chiese ancora la ragazza, osservando i grandi occhioni profondi di Ryuzaki, che nel frattempo aveva preso a mordicchiarsi il labbro inferiore.
"È possibile avere una cioccolata calda?" la donna scoppiò a ridere; quando Ryuzaki chiedeva qualcosa, lo faceva in una maniera talmente innocente che avrebbe fatto sorridere chiunque.
"D'accordo Ryuzaki-kun, ma solo per questa volta. Sai che troppi dolci non fanno bene?" la mano callosa della custode andò a scompigliare dolcemente i capelli folti del piccolo e successivamente scomparve nella cucina.
Tornò dopo qualche minuto con, oltre alla cioccolata anche un paio di biscotti alla vaniglia, dei quali ne mangiò uno solo. L'altro preferiva mangiarlo più tardi.
Nel portare la tazza alle labbra, si accorse di non essere più solo nella grande sala, ma che a poco a poco, stavano facendo il loro ingresso anche gli altri bambini. Finì il cioccolato in un sorso, leccandosi le labbra e si alzò dalla sedia, uscendo di fretta dalla stanza.
A momenti sarebbero arrivati coloro che lui non desiderava vedere, così, affrettando il passo cercò di raggiungere la sua camera.
Fu del tutto inutile aumentare l'andatura, dal fondo del corridoio si sentì chiamare e non ebbe neppure bisogno di alzare lo sguardo per capire chi fosse. Ben aveva gridato il suo nome, Daniel e Herman ridevano alle sue spalle.
Leccapiedi. Stavano alle sue spalle del capo, perché stargli di fianco equivaleva a stare al suo stesso livello.
Troppa paura di lui per poterselo permettere.
Ryuzaki fece finta di non aver sentito e continuò per la sua strada, sperando che lo ignorassero al momento del suo passaggio, ma ovviamente non fu così. Nell'istante in cui li aveva superati, Daniel lo aveva afferrato per un braccio, facendogli cadere il biscotto dalle mani. Voleva recuperarlo, ma la stretta al suo polso non gli permetteva di fare alcun movimento.
"Ryuzaki, sei per caso sordo?" esclamò Herman, schioccando la lingua sul palato, mentre gli si avvicinava lentamente al suo volto per incutergli timore. Non ebbe modo di farlo però, perché Ben, sentendo scavalcata la sua autorità lo spinse di lato, avvicinandosi a sua volta a Ryuzaki, che aveva approfittato della lite per recuperare il prezioso biscotto.
"Tu sta' al tuo posto, Herman." bastò uno sguardo per allarmare i due leccapiedi. "Ripeto, non hai sentito che ti chiamavo?" disse rivolto al più piccolo con sguardo severo, ma con una punta di divertimento nella voce.
"No." semplice, laconica risposta. Alle orecchie di qualsiasi persona poteva risultare un normalissimo, tranquillissimo "no", ma per Ben equivaleva a sarcasmo.
Ma quale sarcasmo poteva possedere un bambino di quattro soli anni?
"So che stai mentendo, ma per questa volta faccio finta di niente. Ma... solo ad una condizione: dammi il tuo biscotto alla vaniglia." Ben si fece sempre più vicino a Ryuzaki, che nel frattempo aveva cominciato ad indietreggiare nascondendo il biscotto dietro la schiena.
Non voleva darglielo perché quello lo considerava un mini regalo da parte di Adrianne, una delle poche che lo degnava di considerazione e lo trattava con gentilezza. Ryuzaki era un ragazzino chiuso, scostante, bisognava saperlo prendere e lei, ci riusciva.
"Avanti, dammelo." quell'esclamazione risultò come una specie di ringhio. Ben detestava quando qualcuno non gli obbediva, però, da un lato gli piaceva, così aveva un pretesto per infastidire gli altri.
Ryuzaki stringeva la presa sul cibo, così forte che il biscotto gli si sbriciolò fra le dita, cosa che non sfuggì a Herman e Daniel che facevano forza sulle sue braccia, facendo così cadere le briciole sul pavimento.
"Hai visto Ben?" esclamò esaltato Herman, esibendo un'espressione compiaciuta.
"Già, visto? L'ha fatto cadere!" gridò l'altro di rimando, per non essere da meno del compagno.
Ben Quincy allora, sfoderò un ghigno divertito e con una spinta fece cadere il piccolo Ryuzaki, che aveva lo sguardo puntato su ciò che rimaneva del dono di Adrianne.
Aveva lo sguardo assorto, serio, ma nei suoi occhi non c'era neppure l'ombra di tristezza. Pareva impassibile a guardarlo, ma in realtà dentro di sé si stava scatenando una guerra, che mai e poi mai sarebbe esplosa.
Odiava quei tre ragazzini, li detestava con tutto se stesso, non sopportava che se la prendessero con i più deboli, ma se ne sarebbe comunque rimasto zitto, senza togliere l'attenzione dal biscotto, o quel che ne rimaneva.
Neppure il pugno che lo colpì al volto lo distrasse, neppure il calcio che gli arrivò poco più tardi. Niente.


* * *


L stringeva la stoffa della poltrona tra le dita, con rabbia crescente. Il dito che stringeva fra i denti prese a sanguinare leggermente, ancora una volta non riusciva a tirar fuori la rabbia, a sfogarsi e togliersi il nervoso opprimente di dosso.
Tremava L, chiedendosi per quale assurdo motivo, ancora a distanza di anni quei tre lo tormentassero e soprattutto, per quale motivo lui era così stupido da pensarci ancora.
"Ryuzaki." la voce di Light lo riportò alla realtà. Non l'aveva neppure sentito entrare nella stanza.
Lentamente volse lo sguardo verso il suono della voce, offrendo al ragazzo uno sguardo tipico dei suoi, in attesa che parlasse. Light Yagami, sospettato Kira, teneva dei fogli fra le mani e lo osservava con attenzione.
"Stai bene, Ryuzaki?" mai gli aveva chiesto come si sentisse, perché effettivamente L non mostrava mai cosa gli passava per la testa, sembrava volesse nascondere i suoi stati d'animo, ma quella volta no.
Quella volta i suoi occhi brillavano di una luce diversa ed era il tremolio che lo percuoteva a dimostrare che c'era qualcosa che non andava.
"Si. Che c'è, Light?" il tono della voce pareva il solito, solo una piccola incrinatura che non sfuggì a Yagami lo rendeva diverso. Lo capì, perché lui era attento ai dettagli, non si lasciava sfuggire niente.
"Volevo mostrarti alcuni dati che riguardano il caso, ma non mi pare il momento adatto." annunciò Light, facendo qualche passo verso l'altro, che per tutta risposta allungò un braccio verso di lui e afferrò i fogli che teneva in mano.
Li osservò per alcuni secondi, poi li appoggio sul tavolino e successivamente si passò una mano fra i capelli.
"D'accordo, ci darò un'occhiata." lo sguardo di Ryuzaki tornò a fissare un punto imprecisato nel manto bianco fuori dalla finestra, senza degnare più di uno sguardo il presunto Kira, che si appoggiò al bracciolo della poltrona, seguendo lo sguardo dell'altro.
Se prima aveva capito che L aveva qualcosa di strano, adesso ne era convinto. Non era da lui tralasciare così il lavoro, abbandonare i dati del caso Kira sula tavolo.
"Cos'è che guardi?" immaginava che non gli avrebbe risposto, in fondo, non erano affari suoi e poi, non sapeva come prenderlo dato che era la prima volta che Ryuzaki mostrava qualcosa di sé.
"Niente di interessante." detto questo, L si alzò dalla poltrona e lasciò Light da solo nella stanza, probabilmente a domandarsi come mai il detective fosse così cupo.



* * *


Ryuzaki era seduto su una sedia nella biblioteca della Wammy's House e stava leggendo un libro. Sulla sua guancia faceva bella mostra un cerotto, che non riusciva a nascondere del tutto un  livido violaceo.
Erano ormai due anni che puntualmente il bambino riportava qualche ferita, ma non aveva mai detto chi fosse stato a procurargliele, nonostante le varie domande che i dipendenti dell'orfanotrofio gli avevano posto.
Essi pensavano che avesse paura a rivelare i nomi dei ragazzini, ma in realtà non era per quello. Ryuzaki era troppo orgoglioso per farlo.
Era da solo a quel tavolo, tutti gli altri bambini si tenevano distanti da lui, non solo per la stranezza che lo caratterizzava, ma ultimamente avevano paura che standogli vicini, Ben se la sarebbe presa con loro.
Tutti avevano un certo timore del ragazzo e dei suoi compagni, per cui preferivano stare il più lontano possibile dall'eventuale minaccia.
Più i giorni passavano e più Ryuzaki diventava impassibile a tutto ciò che gli accadeva attorno; aveva però trovato qualcosa con cui distrarsi e che davvero gli piaceva: leggere.
Leggeva libri di ogni genere, aveva imparato a leggere da solo durante gli anni trascorsi alla Wammy's House. Tutto era cominciato da quando aveva visto Adrienne in pausa, seduta su una panchina in giardino che leggeva un libro, si trattava di "Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie" di Lewis Carroll.
La custode allora gli aveva raccontato di che cosa parlasse, così Ryuzaki, incuriosito aveva deciso di leggerlo. Lo aveva richiesto in biblioteca e si era messo di impegno, aiutato inizialmente da alcuni volumi di grammatica.
Aveva cominciato con libri elementari, fino ad arrivare a libri con un livello maggiore, imparando finalmente, dopo molto tempo a leggere. Gli ci era voluto molto, ma ogni giorno si impegnava con costanza, senza mai arrendersi e alla fine ci era riuscito.
Una volta terminata la lettura di "Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie", si diresse da Adrienne, raccontandole di aver apprezzato il libro. Fu lei la prima a capire quanto fosse intelligente Ryuzaki.
Molti lo avevano visto seduto col libro tra le mani, ma nessuno aveva minimamente immaginato che avesse imparato a leggere, anzi, credevano che stesse visualizzando le figure, dato che il volume ne conteneva alcune, ma si sbagliavano.
La custode allora decise di rendere partecipi gli insegnanti che stavano dietro a Ryuzaki e i suoi compagni, facendo presente non solo che un bambino di sei anni sapeva leggere libri di quel calibro, ma anche il fatto che aveva imparato da solo.
Si stava facendo tardi e la biblioteca cominciava a svuotarsi, ma il bambino non accennava a staccarsi dalla lettura. Era così concentrato che pareva essere entrato nel libro, talmente lo appassionava.
Improvvisamente sentì una presenza vicino a sé, curioso di sapere chi fosse, Ryuzaki si voltò e si trovò faccia a faccia con un anziano, quanto buffo signore. Aveva il volto sorridente e un paio di baffoni bianchi che lo rendevano ilare.
Il bambino lo osservava stupito, con i suoi grandi occhioni neri. Non lo aveva mai visto, per cui si stava chiedendo chi fosse, ma la risposta alla sua muta domanda arrivò presto.
"Tu devi essere Ryuzaki-kun, dico bene?" il tono della sua voce era gentile e rispecchiava in tutto e per tutto l'aspetto dell'uomo.
Non sapeva perché, ma Ryuzaki aveva l'impressione di potersi fidare di lui, così annuì impercettibilmente con la testa.
"Il mio nome è Quillsh Wammy, lieto di conoscerti. Ho sentito molto parlare di te, sai?" dopo aver ascoltato quelle parole, gli venne naturale di pensare a chi potesse venire in mente di parlare proprio di lui.
Di solito veniva snobbato e anche molti degli insegnanti e badanti dei bambini, nonostante riconoscessero la sua intelligenza, non lo prendevano molto in considerazione.
"So che ti starai domandando molte cose, ebbene, ho sentito dire che sai leggere. Da quanto tempo?" quel bambino pareva parlare con gli occhi e il vecchio Wammy provava un certo interesse per lui.
"Due anni." una semplice, schietta risposta. Il simpatico ometto allora, si porto una mano alla bocca, carezzandosi i baffi con fare pensoso.
"E dimmi, ti piacerebbe imparare tante altre cose? Potrei affidarti a qualcuno che insegna a livelli più alti rispetto a quelli dei bambini della tua età." il bambino lo guardava stranito, quel signore gli stava davvero chiedendo se aveva voglia di imparare cose che insegnano ai più grandi? E poi chi era quell'uomo e perché aveva cercato proprio lui?
Ryuzaki si porto il pollice alle labbra e continuava a guardarlo perplesso, desiderava delle risposte che non sarebbero arrivate se lui fosse rimasto in silenzio.
"Si, mi piacerebbe. Ma perché io? Lei chi è?" era chiaro che fosse confuso e questo Quillsh Wammy lo sapeva.
"Te l'ho detto, sono Quillsh Wammy e sono il proprietario di questo orfanotrofio, non avrei problemi a farti seguire da un insegnante con un livello più alto. Sai, ho la sensazione che tu, se seguito singolarmente, possa stupirci. Non so perché, ma penso che tu sia in grado di imparare un sacco di cose in poco tempo, dopotutto Ryuzaki, non è da tutti imparare a leggere da soli a sei anni." il signore posò una mano sulla testa del ragazzino, scompigliandogli dolcemente i capelli. Quel bambino gli ispirava fiducia ed era sicuro che un giorno avrebbe dimostrato a tutti la sua grande intelligenza.
Quel che Quillsh Wammy non sapeva ancora è che un giorno, lui, il piccolo Ryuzaki, sarebbe diventato il detective più in gamba che il mondo potesse vantare.
Il grande L, colui che avrebbe risolto innumerevoli casi, dunque aveva visto giusto, ma ancora era troppo presto anche solo per immaginarlo.


* * *


"Già, Watari aveva riposto fiducia in me... è stato grazie a lui che adesso sono quel che sono." aveva pensato a voce alta, mentre i gelidi fiocchi di neve si scioglievano sulla sua pelle.
Si era seduto mollemente sulla panchina di legno, coperta di una leggera brina, non sentiva freddo, troppe cose a cui pensare per potersi accorgere della temperatura troppo bassa.
"Forse lo sto deludendo? Invece che lavorare al caso Kira sto qui a pensare alla mia infanzia, pur sapendo che quelli sono tempi lontani." si lasciò sfuggire in un lamento.
L odiava piangersi addosso, lo trovava inutile e stupido, ma dopotutto, perché una volta tanto non poteva concedersi di lasciarsi andare? Era umano in fondo e anche lui provava sentimenti, provava il senso del crollo.
Purtroppo però, non riusciva ad accettarlo, non voleva sentirsi debole.
"Si può sapere che ci fai qua fuori?" ancora lui, possibile che non gli desse un attimo di respiro?
Improvvisamente L sogghignò, si rese conto che per un volta i ruoli si erano capovolti e che, di solito era proprio lui a stare col fiato sul collo del ragazzo. Dunque non aveva scuse, poteva solo starsene in silenzio e permettergli di restare.
"Pensavo." aveva deciso infine di assecondarlo, non del tutto, ma almeno gli avrebbe risposto alle sue domande.
"Non ti ho mai visto pensare ad altro se non al tuo lavoro. Di solito... è come se tu ergessi un muro su di te, impenetrabile. Non capisco mai a cosa pensi, ma oggi sei diverso, perché?" sapeva che Light fosse un grande osservatore, proprio come Kira. Osservatore, calcolatore.
"Te l'ho detto, pensavo. Anche se mi rendo conto che è inutile e stupido." per la prima volta in tutta la giornata era riuscito a guardare Light in faccia. Sapeva che così si sarebbe reso in qualche modo vulnerabile, perché lui forse era l'unico che poteva comprendere il suo stato d'animo, nonostante la sua espressione restasse la solita di sempre.
"Non pensare è impossibile Ryuzaki. Anche tu sei umano, per quanto mi risulti strano dirlo." Light ridacchiò e per un istante anche L inarcò leggermente le labbra in qualcosa che poteva ricordare un sorriso.
"Tu pensi che io sia strano?" d'un tratto aveva cambiato espressione ed era tornato serio, o meglio più del solito, come nessuno lo aveva mai visto. Segno che gli premeva quella domanda.
Light si chiese come mai gli avesse posto una domanda del genere, mai L aveva parlato di sé e mai aveva chiesto ad altri cosa pensassero di lui.
"Se ti dicessi di no mentirei." lo disse col sorriso sulle labbra, cosa che colpì molto Ryuzaki. Tutti lo avevano sempre considerato strano, ma lui, nonostante lo pensasse non aveva mai fatto niente per stargli lontano.
Che fosse solo perché altrimenti avrebbe destato sospetti su di lui? O perché era costretto a stargli vicino? Ma no, non era da Light.
"Però, forse è proprio il tuo modo di essere strano che mi colpisce. Tu sei diverso da altri ed è per questo che forse riesco ad apprezzarti di più. Non sei come tanti altri, tutti maledettamente uguali, no. Tu sei tu e basta. Ma perché mi hai chiesto una cosa simile?" Ryuzaki assunse un'espressione stupita. Light lo considerava sì strano, ma non gliene faceva un difetto, ma bensì una qualità.
E sì, pensandoci bene, anche per lui Light era diverso e soprattutto, era una persona interessante. In parte si sentiva molto simile a lui.
"Semplice curiosità." se conosceva bene il figlio di Soichiro Yagami, questo non avrebbe accettato la risposta, sapendo perfettamente che non era quella giusta. Infatti fu proprio così.
"Non dire assurdità. Ti ho sentito poco fa e immagino che questa domanda sia collegata ai tempi lontani di cui parlavi, o sbaglio?" in quel momento, il muro che copriva L era crollato del tutto.
Quel ragazzo aveva capito ogni cosa, a che scopo ora continuare a nascondere la realtà? Non aveva più senso e poi, in fondo, perché nascondersi ancora?
"Ryuzaki, posso sapere a cosa alludevi con 'tempi lontani'? Aiutami a capire, aiutami a capirti." di fatto non aveva mai parlato con nessuno della sua infanzia, nemmeno con Watari, che sapeva tutto e non aveva bisogno di chiedere.
O meglio, sapeva che Ryuzaki non avrebbe comunque parlato di sé, solo una volta ci aveva provato, ma lui si era rinchiuso in un silenzio che significava solo una cosa: non aveva intenzione di rispondere.
Watari allora aveva preferito attendere che Ryuzaki fosse pronto e quando avesse voluto gliene avrebbe fatto parola.
"C'è poco da spiegare. L è sempre rimasto nell'ombra." una debole frase che racchiudeva tutto quanto e che Light, aveva compreso immediatamente. Probabilmente Ryuzaki era sempre stato solo e in quel momento gli tornò alla mente ciò che disse il ragazzo qualche tempo prima: "Light è il primo, vero, caro amico che ho.".
Ora, aveva capito il vero senso di quella frase, ora sapeva coglierne ogni sfumatura e non era stata detta per alcuno scopo secondario. Non era affatto per arrivare a Kira, ma era una considerazione sincera.
"Non è vero, non sempre. Forse per lungo tempo, ma le cose sono cambiate." era davvero Light quello che stava parlando? "Anche se non mi sembri affatto convinto." sembrava che Light volesse ad ogni costo scoprire a cosa si riferiva Ryuzaki con la frase di prima, voleva assolutamente farsi raccontare che cos'era successo in passato. Non solo perché, stranamente, si sentiva dispiaciuto nel vederlo così, ma anche per curiosità.
"No, non lo sono." sapeva che gli avrebbe risposto così, ma Light Yagami era pronto a tutto.
"Bene, allora vorresti spiegarmi perché?" ci fu un attimo di silenzio tombale, poi L parlò, restò sul vago, ma almeno un piccolo spiraglio era stato aperto.


* * *


Ryuzaki era stato affidato per alcuni anni ad un insegnante da cui aveva imparato molto riuscendo infine a superarlo. Aveva appena dodici anni e l'uomo, capendo che non aveva più niente da insegnarli, decise che poteva anche smettere di stargli dietro.
Fu Quillsh Wammy in persona poi, a prendersi cura della sua istruzione e tenerlo sempre in allenamento con la mente. Il ragazzino aveva dimostrato di aver un elevatissimo quoziente intellettivo, stupendo tutti quanti.
Ben, Daniel ed Herman avevano approfittato dell'occasione per prenderlo ancor più in giro, asserendo che fosse un moccioso viziato, che da solo non sarebbe stato in grado di fare niente, se soltanto il proprietario della Wammy's House non gli stesse vicino, lui non sarebbe stato nulla.
Cocco di Quillsh, così lo chiamavano sempre più spesso, ma Ryuzaki aveva imparato ad ignorarli, nonostante questi non lo lasciassero comunque in pace. Anzi, Ben si arrabbiava se veniva snobbato, così non ci metteva molto a prenderlo a pugni.
Il ragazzino soffriva dentro, ma sapeva bene che non poteva fare altrimenti. Era sempre stato così, presto loro se ne sarebbero andati avendo già raggiunto da tempo l'età di quindici anni, doveva attendere un altro po' di tempo, poi sarebbe stato libero.
Fisicamente, s'intende. Le loro facce non scomparvero mai dai suoi pensieri.

Era un Martedì mattina, quando Quillsh Wammy gli aveva messo sotto gli occhi dei fogli contenenti alcuni dati riguardo ad un certo Jordan Masters, colpevole di aver ucciso una coppia di innamorati.
La donna era stata violentata e successivamente strangolata, mentre l'uomo riportava su tutto il corpo varie ferite provocate da un coltello.
Il proprietario dell'orfanotrofio voleva testare se Ryuzaki sarebbe stato capace di ricostruire la scena del delitto e trovare eventuali indizi, che l'avrebbero portato a risolvere il caso.
Ovviamente quel caso era già stato risolto e gli agenti di polizia avevano già scovati indizi e prove, in grado di mettere in galera l'assassino. Quillsh Wammy, voleva vedere se il ragazzino potesse avere capacità nel campo d'indagine.
Non si era certo sbagliato, perché Ryuzaki in meno di due ore aveva già capito come era avvenuto il fatto e aveva trovato prove schiaccianti contro l'uomo. Un caso semplice rispetto a quelli che avrebbe risolto in futuro, ma quello, era l'inizio della sua professione.
Nei mesi successivi Ryuzaki collaborò con la polizia inglese. Essi erano stupiti dalle grande capacità che possedeva il dodicenne, ma gli furono grati del grande aiuto. Il piccolo divenne una specie di mascotte per loro.
Un giorno, mentre il bambino stava analizzando alcuni dati, lasciò cadere i fogli e guardò Quillsh Wammy in volto. Era serio, ma nei suoi occhi si poteva notare una luce divertita.
"Non trovi che io debba trovarmi un nuovo nome?" Quillsh si strofinò i baffi pensoso, aveva immediatamente capito a cosa si riferisse Ryuzaki, così annuì in sua risposta.
"Non sarebbe una cattiva idea. Hai già pensato ad un nome?" l'anziano gestore dell'orfanotrofio si sentiva fiero di lui, perché gli pareva che il ragazzo si stesse immedesimando ogni giorno che passava nella sua futura professione.
Coglieva nel suo sguardo tante emozioni che lo portavano a mettercela tutta, perché gli piaceva collaborare con la polizia, gli piaceva risolvere i casi dei criminali, non l'aveva mai visto così interessato a qualcosa.
"L." esclamò con un sorriso compiaciuto, lasciando che l'uomo assumesse un'espressione perplessa.
"Come mai questo nome?" chiese allora, curioso della risposta.
"L, come... libertà." aveva scelto quel nome perché, finalmente, si sentiva libero dalla vita che aveva condotto sino a quel momento. Riflettere, cercare gli indizi, trovare le prove, lo rendevano libero.
L dunque, si sentiva svuotato da tutti i pensieri che lo affliggevano. Non era più il bambino strano, evitato da tutti, preso in giro per ciò che era. L era un punto di riferimento per molte persone, L era per tutti un piccolo genio, molto utile e in gamba.



* * *


Light aveva ascoltato tutto quanto, aveva cercato di immedesimarsi nel racconto del ragazzo, cogliendo la sua tristezza, ma non capiva ugualmente perché si rabbuiasse al pensiero dei giorni vissuti in orfanotrofio.
Certo, erano stati difficili, era stato solo, ma diventando L, aveva dimostrato a tutti, soprattutto a se stesso di star bene e di essere finalmente libero.
"Perché allora..." non riuscì a finire la frase, fu Ryuzaki a rispondere per lui.
"Perché mi rendo conto di essermi creato tutto questo da solo. Io sono stato libero per un periodo, ma poi, nascondendomi da tutti, non mostrando il mio volto, ho condannato me stesso alla solitudine." il ragazzo pareva molto afflitto a questo pensiero, ma Light, non capiva davvero come mai la pensasse così. Non era più solo da tempo ormai.
"Ti sbagli." Ryuzaki lo penetrò con lo sguardo, incredulo a quelle parole. Dove voleva arrivare? "Tu non sei solo e tutto questo lo devi a te stesso. Lavorando al caso Kira, sei uscito allo scoperto ed hai stretto i rapporti con tante persone. Guarda mio padre, che si fida di te come nessun altro, Matsuda ti considera quasi un idolo, Mogi ed Aizawa contano molto su di te e anche Misa si fida di ciò fai. Per non parlare di Watari, che da sempre ti sta accanto e si è fidato dal primo momento di te." era sincero Light nel dire queste cose, voleva seriamente che Ryuzaki capisse che intorno aveva tante persone e che il suo lavoro lo aveva portato a delle vere amicizie. Ryuzaki stesso considerava Soichiro Yagami come un padre, lui stesso provava affetto per loro, ma perché si ostinava a pensare che non fosse ricambiato?
L era sconcertato, sentirsi dire quelle parole lo aveva stupito, non credeva niente di tutto ciò, lui era sicuro che il rapporto fra lui e tutti gli altri si basasse solo in una complicità fra colleghi, nient'altro.
Ma ora, c'era qualcosa che gli premeva di più: Light cosa pensava di lui?
"E tu? Non hai parlato di te." si aspettava una risposta ed in cuor si aspettava che Light Yagami rispondesse ciò che sperava.
"Non è chiaro? Se non m'importasse di te non starei a perder tempo qui fuori, rischiando di prendermi un malanno per te! Sveglia Ryuzaki, lo sai benissimo anche tu che cosa penso." no, prima non lo sapeva, ma adesso ne aveva la conferma.
Per quanto sospettasse di lui, Ryuzaki sperava con tutto se stesso che quel ragazzo non fosse Kira. Non voleva separarsi da lui, non voleva distruggere quel qualcosa che avevano creato.
Ora che sapeva cosa Light sentiva per lui, affetto sincero, non voleva scoprire che in realtà era stata tutta una farsa per fregarlo. Ma come poteva essere? Gli occhi di Light erano sinceri, non poteva essere un così bravo attore.
Se anche in passato fosse stato Kira, sperava che avesse passato i poteri a qualcun altro, in modo da risultare innocente in quel momento. D'altronde se lui fosse stato davvero il pluriomicida in passato, in quel momento non potevano saperlo, non avevano prove.
Adesso Ryuzaki si sentiva più leggero, guardava la neve, ma non pensava più alla Wammy's House, pensava che ora il bianco manto avesse un altro significato: la consapevolezza di non essere più solo.
L era libertà. L sarebbe sempre stato libertà.


Note dell'autrice:
Da tempo ho finito questa oneshot, ho cercato un beta reader per correggerla, ma alla fine ho deciso di fare da sola. L'ho riletta più volte, ho corretto ciò che risultava non tornare... insomma, è pronta ad essere pubblicata.
Sono contenta di com'è venuta tutto sommato e spero che piaccia anche a voi.
Io amo, da sempre, pensare all'infanzia dei personaggi che preferisco, di qualsiasi anime e manga si tratti e siccome di L si sa che ha vissuto in un orfanotrofio per anni, beh... ci sono molti spunti per scrivere qualcosa e fantasticare.
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Death Note / Vai alla pagina dell'autore: purpleblow