Le persone mi spingono, piangono, si disperano, ma io ho le tue mani nelle mie e mi guardi con quegli occhi e mi prometto che sarò diversa, che non sarò come gli altri.
No, è troppo presto. Un fischio mi tappa le orecchie, sento tutto soffocato, la mia vista è soffocata e non riesco a vederti.
-non piangere, ti prego.
Come faccio? La vita è fatta così, è cattiva, e vorrei tanto dirti che non devi pregarmi perché non sono io che decido quando piangere.
-ti devo dire qualcosa che ti ho sempre voluto dire.
-cosa?
-..ti prego.
-cosa?
Ripeto, e ho paura che abbia avuto un tono sufficiente, da dura come sempre. Invece tu mi capisci, mi capisci sempre e mi hai sempre capito, e spero mi capirai ancora.
-io..
-ti amo.
Lo dico prima io, perché sappiamo entrambi che le cose importanti le devo dire prima io, perché non sei mai stato abbastanza sicuro di una cosa, e avevi paura di tutto, ma questa volta ho sbagliato. Eri sicuro, e non avevi paura. Ma la paura ce l'ho io quando il treno fischia, e le lacrime mi offuscano di nuovo la vista.
No! no! no! devo vederti, devo vederti qui con me!
-ti amo.- dice, e mi fa sussultare.
-resta con me.
Me l'ero promessa, eppure ormai sono come tutti, disperata e lacerata, e resta qui con me, per favore.
Ora sto piangendo sul serio, io che non piango mai. Mi prendi la nuca con le tue mani grandi e mi abbracci, e il tuo cuore batte troppo forte e i tuoi singhiozzi sono reali, mentre la gente ci spinge.
Ti afferro, ma tu mi togli le mani e mi lasci dei baci caldi su tutto il viso.
Vedo le tue spalle, i tuoi capelli biondi coperti da quel cappellaccio da militare, e sento il tuo profumo tutto intorno a me. Mi sfuggi tra le mani, poi tra le dita, finché sento solo l'aria pesante e malinconica di quella stazione.
Torna a casa, ti aspetto.