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Autore: Class Of 13    12/06/2019    1 recensioni
[Given!AU | ShuAke | 13.400 parole]
Una vecchia chitarra ricevuta in dono e una fantomatica canzone portano Amamiya Ren e Akechi Goro ad incontrarsi.
Il cuore è come le corde di un chitarra. Lasciate a sé non producono alcun suono ma se le tendi quasi al punto da spezzarle… il suono che ne scaturirà sarà una grande onda che scuoterà il tuo mondo.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Goro Akechi, Phantom Thieves, Ren Amamiya/Akira Kurusu
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice - The Beginning:  Vi aspettavate la storia... ma sono io, Dio!
Jojo reference improbabili a parte, questo è il mio iper-prolisso debutto nel fandom di Persona 5 (perché scrivere una longfic quando puoi postare un mattone da tredicimila parole?). Io amo i giochi della serie Persona, ma il 5 ha un posticino speciale nel mio cuore per la sua bellezza e per le tematiche che affronta. Un po' più complesso è invece il rapporto che ho con il pairing di questa storia, ovvero la ShuAke (Eroe protagonista/Akechi Goro): ho finito la mia prima run del gioco che odiavo Goro (per ovvie ragioni che non starò qui a spoilerare) e ho finito la mia seconda run in concomitanza con l'uscita di Proof Of Justice e con l'idea che Goro vada invece amato e protetto e che la ShuAke sia endgame. Sì, la vita è imprevedibile.

Ma come ho amato P5 ho amato anche Given (che riceverà un adattamento animato a luglio, hooray!), il manga shonen-ai a tema musicale di Kizu Natsuki. E io amo la musica. E amo il rock. Quindi questa storia è per me l'unione di diverse cose che amo e ci sono in un certo senso già affezionata. Goro e Ren sono dei personaggi così belli e complessi che scrivere di loro si è rivelato una vera impresa. Mi sono impegnata al massimo per non scadere nell'OOC ma abbiate pietà, sono solo una povera patata che ama troppo i suoi OTP.

Ovviamente mi sono concessa qualche licenza poetica, per così dire, grazie al fatto che questa storia è dopotutto una AU. Niente Persona, niente poteri, niente loli millenarie o vecchiacchi dal naso chilometrico, solo un gruppo di adolescenti alle prese con i problemi più o meno gravi della vita. Qui le storie di RenRen e Goro sono parzialmente diverse dal canon: Ren non è stato ingiustamente accusato e posto sotto libertà vigilata e Goro... beh, non se la passa bene, ma sicuramente gli è andata un po' meglio che nel gioco. 

... beh che dire. Leggete a vostro rischio e pericolo. (?)

 
 

Il cuore è come le corde di un chitarra.

Lasciate a sé non producono alcun suono ma se le tendi quasi al punto da spezzarle… il suono che ne scaturirà sarà una grande onda che scuoterà il tuo mondo.


2 Giugno 20XX - Termine delle lezioni mattutine.

Nell'ultimo periodo gli capitava spesso di fare uno strano sogno. Una voce appartenente all'immagine sfocata di qualcuno e una canzone si ripetevano nella sua mente come i fotogrammi di un vecchio film. Per quanto si sforzasse di ricordare e ci rimuginasse su non riusciva mai a richiamare con precisione che suono avesse né tantomeno il volto a cui essa apparteneva.

"... Amamiya."

Quando la musica finiva gli rimaneva soltanto una sensazione di malinconica euforia paragonabile allo svanire di un fuoco d'artificio.

"Ohi, Amamiya!"

Aprendo a fatica gli occhi la prima cosa che intercettò il suo sguardo fu la faccia a metà tra il perplesso e il preoccupato di Mishima. Sollevando il capo, osservò pigramente i propri dintorni, riconoscendo immediatamente le file di banchi occupati da libri di testo e quaderni e la lavagna della sua classe, su cui saltavano all'occhio una serie di date e di eventi ad esse collegati.

Doveva essersi addormentato durante la lezione di Ushikawa.

"Terra chiama Amamiya." Una mano si agitò davanti ai suoi occhi, vicina abbastanza da sporcare le lenti dei suoi occhiali.

"Scusa, mi sono addormentato", rispose candidamente soffocando uno sbadiglio.

Lo sguardo di Mishima si caricò di disappunto. "Questo lo vedo da solo. Non vieni fuori? Stanno organizzando una partita di basket."

Ren valutò per qualche istante la possibilità di andare in cortile sotto il bel sole di giugno e riprendersi dal torpore del suo sonnellino con due tiri a canestro.

"Nah, passo", si limitò infine a rispondere alzandosi pigramente dalla sedia.

"Sei ancora meno loquace del solito, oggi", constatò l'altro rivolgendogli un'occhiata curiosa. "Hai intenzione di continuare a dormire e saltare l'ultima ora?"

"Bingo."

Dopotutto non era mai stato molto bravo nella pallacanestro.

§



2 Giugno 20XX - Pausa Pranzo.

 

Il tetto del liceo Shujin era solitamente un posto silenzioso e assolato. Ultimamente, forse per l'incombere minaccioso della stagione delle piogge o forse per semplice pigrizia, gli piaceva trascorrere lì la sua pausa pranzo, finendo con il sonnecchiare placidamente ascoltando musica fino al termine delle lezioni.

Era consapevole di come quel comportamento gli desse un'aria decisamente asociale - non che l'opinione generale del corpo studentesco della Shujin gli interessasse granché - ma ultimamente non riusciva a farne a meno. Dopotutto i suoi amici li avrebbe comunque visti più tardi, avrebbe avuto tutto il tempo per godere della loro compagnia.

La porta del terrazzo si aprì con un cigolio e Ren portò istintivamente una mano a schermare i propri occhi, abbagliato dai raggi del sole al suo zenit. Quando la sua vista si abituò all'improvviso cambio di ambiente, si rese immediatamente conto della presenza di un elemento fuori posto nell'immagine ormai familiare del cemento grigio di quel luogo. Mettendo temporaneamente da parte la spiacevole sensazione di veder violato quello che per lui era in un certo senso un posto sacro, Ren si avvicinò cautamente alla fonte dell'anomalia: una massa di capelli castani un po' troppo lunghi incorniciava il volto dormiente di un ragazzo, il quale stringeva tra le braccia una chitarra dall'aria vissuta.

"Ah, se non erro frequenta il terzo anno", constatò nel momento in cui ricordò di aver visto Makoto parlare con lui.

Prima che Ren potesse iniziare ad interrogarsi sul da farsi, il ragazzo si mosse appena, aprendo a fatica le palpebre per poi lasciarle chiudere nuovamente in maniera inaspettatamente delicata. Dopo aver ripetuto il gesto per alcuni istanti, finalmente il suo coinquilino "abusivo" sembrò svegliarsi del tutto, tirandosi lentamente a sedere e scoccandogli un'occhiata curiosa.

"Ah, scusami", cominciò in tono gentile. "Se vuoi sederti fai pure, c'è spazio in abbondanza".

Ren si ritrovò a giocherellare con la frangia dei propri capelli per qualche istante, ponderando se accettare o meno l'invito. Il ragazzo in tutta risposta gli rivolse un sorriso educato, lasciandogli lo spazio per decidere senza implicare alcun obbligo nei suoi confronti.

Dopo aver arbitrariamente decretato che qualcuno che saltava le lezioni per dormire non poteva essere una cattiva persona, Ren si avvicinò allo sconosciuto mormorando un "con permesso" prima di prendere posto accanto a lui.

"Vedo che non sei un tipo di molte parole", lo incalzò l'altro rivolgendogli un sorriso impeccabile.

Osservò per qualche istante il volto del suo interlocutore. I capelli troppo lunghi e i grandi occhi nocciola gli donavano un'aria innocente, formando un contrasto stranamente armonioso con il suo atteggiamento estremamente posato.

"C'è forse qualche problema? Mi metti… in imbarazzo fissandomi in quel modo."

Ren scosse appena il capo, spostando la propria attenzione sulla chitarra dell'altro: una Gibson ES, il legno laccato in rosso ciliegia tirato a lucido in netto contrasto con le corde arrugginite.

"Quella chitarra… ha bisogno di manutenzione. Dovresti scegliere qualcosa di più adatto ad un principiante, se non sai come prendertene cura."

Il sorriso dell'altro si tramutò improvvisamente in shock.

"Vuoi dire che si può riparare?", gli chiese con una foga quasi infantile, lasciandolo completamente spiazzato.

"Beh, sì, ma…"

Senza nemmeno offrirgli la possibilità di spiegarsi o di chiedere delucidazioni in merito all'inaspettata richiesta, il suo bizzarro interlocutore profuse in profondo inchino, per quanto la sua posizione gli permettesse. "Per favore!", chiese con educato fervore. "Vorrei che tu l'aggiustassi!"

 

§


3 Giugno 20XX - Pausa pranzo.

Ren era una persona a cui piaceva aiutare gli altri. Non si aspettava nulla in cambio né tanto meno lo faceva per ricevere una sorta di senso di appagamento personale. Era parte del suo modo di essere. C'era qualcosa nel vedere qualcuno in difficoltà venire lasciato a sé stesso che, proprio come un boccone eccessivamente amaro, non riusciva a mandare giù.

Probabilmente era proprio perché si era sempre ostinato a mettere naso in modo assolutamente non richiesto nei problemi altrui che in quel momento, mentre sacrificava la propria pausa pranzo per avvitare pazientemente le corde della vecchia chitarra di un perfetto sconosciuto, trovava in qualche modo strano sottendere ad una richiesta fatta a lui personalmente.

L'estrema attenzione con cui il ragazzo - di cui gli sfuggiva ancora il nome - osservava i suoi gesti gli metteva addosso una certa pressione. Era risaputo che i musicisti tenessero molto al proprio strumento - dopotutto anche lui custodiva gelosamente la propria chitarra - ma qualcosa nel quadro generale di quella situazione non gli tornava. Il fatto che il suo interlocutore non sapesse granché di musica e di chitarre era abbastanza evidente, anche solo partendo dal fatto che avesse scelto un modello decisamente non adatto alle sue esigenze di principiante, ma l'atteggiamento semi-riverente che questi aveva nei confronti dello strumento gli dava in qualche modo da pensare.

"Dunque? Come procede la sostituzione?"

Ren alzò appena lo sguardo dalle chiavi della chitarra, pizzicando e dando allo stesso tempo ultimo deciso avvitamento al Mi basso.

"Direi che ci siamo."

L'altro lo guardò con malcelata anticipazione nello sguardo, una mano appena protesa verso l'oggetto tra le sue braccia. Il modo in cui gli occhi dell'altro viaggiavano tra il suo volto e lo strumento gli ricordarono un po' un bambino in attesa di scoprire il contenuto di un pacco regalo. Sentì un angolo della sua bocca tirarsi su in un mezzo sorriso.

"Un attimo di pazienza", richiese posizionando la chitarra su una gamba.

Le sue mani scivolarono leggere sulla superficie di legno, percependo la familiare sensazione del metallo delle corde sotto le dita. Qualcosa nell'aria attorno a loro cambiò.

Inspirò, lasciando che il plettro accarezzasse con un solo movimento tutte e sei le corde. Il suono che ne uscì fu sgraziato, privo di qualunque armonia, come solo quello di una chitarra scordata poteva essere, ma quando il suo sguardo incrociò quello incredulo del proprietario dello strumento, gli venne spontaneo domandarsi se quelle note non fossero entrate in risonanza con qualcosa di molto più profondo.

"Io...". Per un istante così breve da dargli l'impressione di esserselo immaginato il volto dell'altro si contrasse in una smorfia di dolore. "Vorrei che tu mi insegnassi a suonare."

Insegnare a qualcuno non era assolutamente nei suoi piani, aveva già le mani piene con i lavori part-time e la sua, di band. Senza contare il fatto che non aveva alcuna esperienza in termini di insegnamento.

Aveva cominciato a suonare ad otto anni, quando aveva trovato una vecchia chitarra nella soffitta polverosa della sua casa, in quel paesino di campagna nei confronti del quale non avvertiva più alcun senso di appartenenza. Imparare era stato incredibilmente difficile e le sue prime "esibizioni" erano state a dir poco pietose. Però, nonostante tutto, nonostante le vesciche sulle dita e i muscoli dolenti, aveva perseverato.

"... ci penserò su."

 

§
 

9 Giugno 20XX - Pausa pranzo.


"Ben fatto, direi che più o meno ci siamo con gli accordi maggiori", concluse, le vibrazioni dell'ultimo accordo suonato in maniera un po' maldestra dal suo "allievo" ancora percepibili nell'aria. “So che il barré è doloroso, ma ti ci abituerai con la pratica.”

Non sapeva esattamente perché avesse deciso di imbarcarsi in una situazione simile. Era stato cosciente, quella mattina, del fatto che, se si fosse presentato sul terrazzo, probabilmente non avrebbe più avuto modo di fuggire dallo strano e inspiegabile modo con cui quella persona riusciva ad intrappolare la sua attenzione. Una parte di lui aveva sperato, nell'aprire quella vecchia porta cigolante, di non trovare nessuno e reclamare una volta e per tutte il suo "rifugio del sonnellino" ma un'altra si era sentita in qualche modo sollevata nel ritrovare quella strana persona ad attenderlo.

"Impari in fretta", commentò poggiando il mento sulla mani, i gomiti piantati sulle gambe.

"Mi reputo un discreto studente."

Ren annuì brevemente, giocherellando nuovamente con la frangia dei suoi capelli. "Dimmi un po'. C'è nulla in particolare che vorresti suonare? Una canzone, ad esempio."

"A dire il vero non ascolto molta musica", ammise l'altro passandosi una mano dietro al collo con aria imbarazzata.

Che tipo strano. Perché ha deciso di imparare a suonare?

"Ah, però in effetti ultimamente c'è una canzone che mi passa per la testa."

"Sono tutt'orecchi", scherzò Ren stiracchiandosi pigramente sotto il piacevole tepore del sole. Nell'aria si avvertiva già il profumo dell'estate.

L'aria attorno a loro parve quietarsi. Il suo senpai era seduto per terra a gambe incrociate, le spalle rilassate e un piccolo sorriso sul volto. L'immagine restituitagli da quella scena nettamente in contrasto con quella che la sua mente aveva costruito. Il tono della sua voce era malinconico mentre canticchiava un motivetto che gli riportò alla mente quel suo sogno ricorrente. Ren sentì il respiro mancargli un po'.

"Ehi."

"Sì?"

"Entra a far parte della mia band."


§


9 Giugno 20XX - Dopo le lezioni pomeridiane.

 

"Ohi, Ren. E 'sto qui chi è?"

"Ryuji! Non lo spaventare!"

"Ren-kun, ehm… perché Akechi-kun è con te?"

"Mako-chan, se parli così sembra che la cosa ti dia fastidio."

"Oh, non volevo risultare scortese, Akechi-kun", disse Makoto avvicinandosi al loro ospite - che a quanto pare si chiamava Akechi - con un sorriso di scuse. "Perdonaci, non abbiamo mai visitatori durante le prove, perciò siamo un po' sorpresi. Ad ogni modo, anche se immagino che tu lo sappia già, io sono Niijima Makoto e suono il basso. Quel biondino alla batteria è Sakamoto Ryuji mentre alla tastiera abbiamo Sakura Futaba, una nostra kōhai. Le ragazze appoggiate alla parete laggiù invece sono rispettivamente Okumura Haru e Takamaki Ann."

Akechi annuì brevemente, inchinandosi appena e sorridendo di rimando ai cenni di saluto dei presenti. "Salve a tutti. Mi chiamo Akechi Goro e sono uno studente al terzo anno del Liceo Shujin."

"Assisterai alle prove, Akechi-senpai?", domandò Ann in tono curioso.

"Certo, se non sono di disturbo. Ah, e vi prego, chiamatemi solo 'Goro'".

Akechi Goro, eh?

Incurante del vivace chiacchiericcio creatosi in sala prove, Ren imbracciò la sua chitarra, una Gibson Les Paul nera frutto di turni di part-time ad orari improbabili e mesi di risparmio passati a vivere di curry e ramen istantaneo. Certi amori richiedevano sacrifici.

"Mi sembri bello carico, Leader", commentò Futaba con un ghigno, posizionandosi dietro la sua tastiera e intonando sfacciatamente i primi accordi di una marcia nuziale.

Ren si sporse in avanti, scompigliandole i capelli con un sorriso. La sua "sorellina" sapeva essere incredibilmente perspicace, su certe cose. "Non più del solito", minimizzò ignorando la sottile corrente di adrenalina sotto la sua pelle. Si voltò verso Goro, impegnato a rispondere alla valanga di domande entusiaste postegli da Ann e Haru.

Come se attratti da un implicito segnale, i loro sguardi si incontrarono.

"Cosa ti piacerebbe ascoltare?"

Goro gli sorrise, una punta di sfida negli occhi color tè. "Qualcosa di... forte".

Ren sentì le proprie labbra curvarsi in un ghigno eccitato. Amava le sfide.

"It's showtime."

C'era stato un periodo della sua vita in cui la chitarra era stata tutto per lui. Passava ore e ore chiuso in camera a ripetere lo stesso riff finché la sua esecuzione non diventava naturale come respirare, ignorando i solchi impietosi delle corde sui polpastrelli e consumando il plettro. Quando alla fine delle scuole medie i suoi genitori gli avevano annunciato di doversi trasferire nel Kyūshu per lavoro, Ren era già in grado di dare vita al sound che aveva sempre immaginato e aveva chiaramente espresso la volontà di continuare con la musica anche dopo i tre anni di liceo che lo attendevano.

Era per quel motivo che era finito con il frequentare la Shujin a Tokyo, lontano dai suoi parenti e dal suo anonimo paesino: Sakura Sōjiro, un vecchio amico di famiglia, aveva accettato di ospitarlo nell'attico sopra il cafè di sua gestione a patto che contribuisse alle spese lavorando part-time al suddetto locale. Era alla Shujin che Ren aveva fatto amicizia con Ryuji e tutti i membri di quella che adesso era la sua band e, dalla primavera del suo primo anno di liceo, aveva dedicato assieme a loro ogni istante del suo tempo libero alla musica.

L'espressione di Goro alla fine della loro jam session era sinceramente colpita e Ren sentì un nuovo, strano senso di soddisfazione nascere in lui. Normalmente cercava di suonare al meglio delle proprie capacità tecniche ma c'era stato qualcosa di diverso nel modo in cui avevano fatto musica poco prima. Era come se lui, Makoto, Ryuji e Futaba fossero stati animati dalla stessa determinazione che si provava nell'avere un obiettivo da raggiungere ad ogni costo.

"Siete stati una bomba, ragazzi!", esclamò raggiante Ann applaudendo. "Non che solitamente non siate bravi ma…"

"Vero, eh?", la interruppe Ryuji con un sorriso a trentadue denti. "Oggi abbiamo spaccato più del solito!"

"Effettivamente ho percepito anche io qualcosa di diverso", constatò Makoto portandosi una mano al mento con aria pensierosa.

"Tehehe." Futaba ridacchiò sinistramente, aggiustandosi gli occhiali in una maniera che ricordava palesemente un personaggio di qualche anime. "La verità è che il nostro RenRen ce l'ha messa tutta per fare colpo su Gorocchi e il suo entusiasmo ci ha trascinati."

“Gorocchi?”, domandò Goro rivolgendo a Futaba un’occhiata così scandalizzata da risultare quasi comica.

Ren sgranò gli occhi, sentendo le guance farsi improvvisamente calde. Tossicchiò, giocherellando con la frangia dei propri capelli ed evitando categoricamente lo sguardo del diretto interessato. "In realtà ho portato qui Goro perché vorrei entrasse a far parte della band come cantante."

Un coro di esclamazioni si levò ai suoi amici, seguito da un chiacchiericcio così fitto e rumoroso da impedirgli di capire quale effettivamente fosse l'opinione della band nei confronti della sua proposta. Rivolse un'occhiata supplichevole a Makoto, guadagnando un cenno di assenso in risposta.

"Ragazzi, ritengo che dovremmo quantomeno ascoltare la voce di Goro-kun, prima di prendere una vera decisione."

Ren annuì piano, ringraziando mentalmente le doti di leadership di Makoto nel momento in cui si rivolse all'oggetto della loro conversazione con un sorriso gentile. "Ti andrebbe di cantarci qualcosa?"

Goro, che fino a quel momento li aveva osservati in quasi assoluto silenzio, si passò una mano tra i capelli con aria afflitta. "Mi piacerebbe, ma temo di non conoscere molte canzoni. La mia cultura musicale è purtroppo estremamente carente."

"Potresti canticchiare il motivetto di prima", suggerì Ren.

L'altro gli rivolse un'occhiata sorpresa, per poi annuire con esitazione. "Oh, se lo ritenete sufficiente allora va bene, con molto piacere."

La voce di Goro riempì la piccola sala prove, grave ma al contempo sorprendentemente delicata e per un attimo Ren immaginò la sua chitarra seguirne ogni increspatura, ogni inflessione fino a diventare una cosa sola con  essa. Un brivido corse lungo la sua schiena.

Ci fu qualche istante di silenzio fino a che Ryuji non si alzò di scatto dalla sua postazione con un tintinnio dei piatti.

"Goro, amico, la tua voce è una cazzo di figata!"

"Ehm, sicuramente ci sarebbero termini più… eleganti per esprimere un parere sulla questione ma sì, è davvero una figata, Goro-kun", commentò Makoto ridacchiando.

"Uh-uh, pretty boi oltre ad essere bello è anche bravo. Nice catch, RenRen!", disse Futaba guadagnandosi un' altra occhiata impagabile da parte di Goro, rosso fino alle punte delle orecchie. Più tardi avrebbero fatto una bella chiacchierata sull'argomento "complimenti e come farli senza dare l'impressione di flirtare da parte del tuo bro".

 

"Davvero complimenti, Goro-kun", intervenne Haru con un sorriso sincero per poi farsi improvvisamente più seria. "A tal proposito, visto che sembra che la band abbia un nuovo membro, ci sarebbe qualcosa che mi piacerebbe proporvi."

L'attenzione dei presenti si focalizzò su Haru, che, sentendosi palesemente invitata a fornire ulteriori dettagli, continuò: "Un amico di mio padre gestisce una Live House a Shibuya. Solitamente fa suonare gruppi con maggiore esperienza, ma vorrebbe attirare un pubblico più giovane, perciò il primo weekend di agosto ospiterà una serata dedicata alle band emergenti. Se voi siete d'accordo sarei intenzionata a dare il vostro nome."

"Mmmh. L'opportunità è senz'altro interessante", cominciò Makoto. "Ma prima di decidere se accettare o meno sono dell'idea che sarebbe opportuno discutere delle sorti della band a livello di progetti e contenuti, adesso che abbiamo una new entry."

Ren annuì, seguito poco dopo dal resto del gruppo.

"Farò del mio meglio per non esservi d'intralcio", intervenne Goro profondendo nuovamente in un inchino.

"Amico, non c'è bisogno di tutte queste formalità."

Alle parole dette da Ryuji con una delle sue assolutamente poco delicate pacche sulla schiena, Goro trasalì per poi scoppiare improvvisamente a ridere di gusto, contagiando tutti gli altri.

"Quindi è questa la sua faccia quando sorride", si ritrovò a pensare Ren nell'assistere alla scena. Goro aveva sempre un'aria perfettamente composta, come se sapesse esattamente come comportarsi in ogni situazione, ma quando era convinto di passare inosservato la sua espressione si faceva sempre pensierosa, lo sguardo perso in un posto che percepiva distintamente come irraggiungibile. Il modo in cui si esprimeva era sempre educato e fastidiosamente impeccabile e le sue parole non risultavano mai inappropriate ma tutto ciò non faceva che restituirgli un’immagine che sapeva di finto. A volte gli dava l’impressione  che stesse vivendo seguendo uno spartito scritto da qualcun altro, qualcosa di praticato fino allo sfinimento e impresso a fuoco nella memoria muscolare, ma mai realmente suo.

"Ohi."

La voce di Futaba lo riscosse dai suoi pensieri e Ren si preparò a ricevere l'ennesima battutina imbarazzante della giornata, considerato il suo fissare in maniera non esattamente discreta il loro nuovo arrivato. Se la sua "sorellina" lo aveva colto in flagrante, però, non lo diede a vedere, perché un istante dopo si rivolse a tutta la combriccola.

"Inari ci sta aspettando al Leblanc e questo significa solo una cosa: it's curry time!"

 

§


9 Giugno 20XX - Tardo pomeriggio.

Il "Leblanc", Goro scoprì, era un piccolo café situato a pochi passi dalla stazione di Yongen-Jaya dall'aspetto adorabilmente retrò. Quando il gruppo piuttosto rumoroso e variegato - per usare un eufemismo -  che componeva la band di Ren invase il locale senza troppe cerimonie, vennero accolti con familiarità da un uomo sulla cinquantina dalla barba e i capelli scuri e un ragazzo incredibilmente alto e dallo sguardo affilato.

"Sōjiro! Io affamata!", comandò immediatamente Sakura Futaba accomodandosi su una delle panche rivestite in pelle che si affiancavano ai lati di ciascuno degli ampi tavoli di legno posti di fronte al bancone immacolato.

"Certo, certo. Curry e caffè per tutti, immagino", rispose l'uomo dietro al bancone sbuffando con un sorriso. Lo sguardo di "Sōjiro" si fermò su di lui. "E lui chi è? Una nuova aggiunta del tuo gruppo?"

Ren, precedentemente impegnato in una discussione sottovoce con Futaba conclusasi con un vivace scompigliare di capelli da parte di quest'ultima, gli rivolse un sorriso. I suoi ricci scuri, contro ogni legge della fisica, erano sparati in tutte le direzioni. "Yup. È il cantante della nostra band."

“Oh, dunque è lui il ragazzo di cui parlava Futaba. Effettivamente ha una certa aura da artista malinconico”, commentò il ragazzo seduto al bancone.

"Ah, lieto di fare la vostra conoscenza. Mi chiamo Akechi Goro e frequento il terzo anno alla Shujin", si presentò con un inchino prima di prendere posto accanto a Makoto.

"Piacere mio, ragazzo. Sono Sakura Sōjiro, ma qui tutti mi chiamano 'Boss'", disse l'uomo con un cenno del capo. "Mentre questo tipo bizzarro seduto qui davanti a me è Kitagawa Yusuke.”

Il ragazzo chiamato Yusuke gli rivolse un educato cenno del capo, accomodandosi sulla panca accanto a Futaba.

Goro si domandò se tra il Boss e Futaba ci fosse un qualche legame di parentela, vista la condivisione di cognomi e la familiarità dei toni, ma valutò come poco opportuno rivolgere domande così personali a delle persone che conosceva soltanto da poche ore.

“Ohi, Ren. Prepara i caffè mentre sono impegnato con il curry", chiamò improvvisamente il Boss prima di dirigersi in cucina. Ren, come se la cosa fosse assolutamente normale, rispose con un “ricevuto” prima di accomodarsi dietro il bancone.

“Dunque”, cominciò Makoto tirando fuori dalla propria borsa un blocco per appunti e un portamine. “Tenendo in considerazione il fatto di esserci fino ad ora occupati solo di musica strumentale, ritengo che la prima cosa che dovremmo fare sarebbe trovare un nome alla band.”

“Oh, adesso che ci penso voi ragazzi non avevate un nome come gruppo”, commentò Ann non nascondendo la propria sorpresa.

“Nope, generalmente ci presentavamo solo con i nostri nomi”, confermò Ryuji.

Questi ragazzi sono il paradigma della disorganizzazione. Come hanno fatto a mandare avanti una band in questo modo?

“Mmmmh. Qualcuno ha qualche idea in merito?”

“Oh, io, io!”, esclamò Futaba sventolando una mano in alto con fare entusiasta. “The Medjed Menace!”

“Come il libro?”, domandò Haru con aria perplessa.

Makoto scosse il capo. “Apprezzo il citazionismo letterario, ma sarebbe meglio scegliere qualcosa che rappresenti meglio noi e il nostro modo di fare musica.”

“Curry & Coffee”, propose Ren con una faccia incredibilmente seria. L’opzione sarebbe risultata un po’ più credibile se non avesse indossato uno stupidamente attraente grembiule verde sopra la divisa scolastica e non avesse avuto un vassoio contenente diverse tazzine di caffè dall’aroma delizioso tra le mani.

Come fa a dire idiozie simili con un’espressione del genere?

“Ren, amico, stiamo cercando di trovare un nome per una band, non di pubblicizzare questo posto.”

Qualcosa scattò nella mente di Goro, un po’ come il pezzo di un puzzle che trovava il proprio posto. “Uhm”, cominciò con studiata esitazione, “che ne dite di ‘The Phantom Thieves’?”

“Oh”, disse Makoto illuminandosi e scribacchiando velocemente il nome su un foglio. “Non male come idea. Il nostro luogo di ritrovo è il Leblanc e Maurice Leblanc è lo scrittore che ha inventato il personaggio di Arsène Lupin, il ladro gentiluomo. Avrebbe senso.”

“Uhhh, ma con tutto ‘sto inglese la gente non finirà con il confondersi?”, domandò Ryuji, grattandosi la testa.

Nessuna offesa, Sakamoto, ma siamo nel ventunesimo secolo e l’inglese è la seconda lingua più parlata al mondo. Non tutti hanno i tuoi standard.

“Allora…” La voce di Ren si levò appena alle sue spalle ma, prima che Goro avesse la possibilità di voltarsi, il diretto interessato si sporse oltre lo schienale della panca su cui lui, Makoto e Ryuji erano seduti per raggiungere il portamine abbandonato sul tavolo e scribacchiare qualcosa sul foglio. Profumava di caffè e artemisia.

“The Phantoms?”, domandò Goro retoricamente spostando lo guardo su Ren. Quest'ultimo, piantatosi nello spazio tra la sua testa e quella di Makoto, e vicino abbastanza da poter contare le macchie scure nelle sue iridi, si voltò verso di lui scoccandogli un sorriso genuinamente soddisfatto.

Non era necessario essere in possesso di un’intelligenza particolarmente sviluppata per poter definire Ren - il cui cognome rimaneva ancora un mistero - come una persona dall’aspetto abbastanza scialbo. La sua uniforme della Shujin non presentava alcun tocco di personalità (a differenza di quelle dei suoi amici, i quali vi avevano applicato delle modifiche che oltretutto non era sicuro fossero accettate dal regolamento scolastico) e sulla sua testa regnava una massa di ricci neri che probabilmente non si sarebbe piegata ad un pettine nemmeno con un sovrumano sforzo di volontà da parte del diretto interessato. L’unica peculiarità, se così la si voleva definire, erano gli occhi grigi, nascosti dietro un paio di occhiali che sospettava fossero lì soltanto per sfacciata estetica e una frangia in disperato bisogno di una sistemata.

Un insieme di dettagli ordinari atto a costruire la perfetta immagine di una persona ordinaria. Forse era per quello che Goro non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che ci fosse qualcosa di finemente costruito nel modo in cui Ren si presentava agli altri, come se il suo aspetto anonimo fosse un mezzo per passare volutamente inosservato e coprire qualcosa che si nascondeva più in profondità. Qualunque cosa si celasse sotto la superficie, però, essa riaffiorava nel momento in cui Ren imbracciava la sua chitarra, sorridendogli come un piccolo affascinante demonio.

“Meraviglioso”. Kitagawa Yusuke, che fino a quel momento aveva seguito la conversazione in silenzio, parlò improvvisamente, una luce estatica nello sguardo. “Solo sentirlo stuzzica il mio estro artistico.”

Prima che Goro potesse in qualche modo valutare se il bizzarro ragazzo fosse sotto effetto di qualche sostanza stupefacente, Makoto intervenne con un sorriso di scuse.

“Uhm, ti chiedo scusa, Goro-kun. Yusuke-kun è uno studente del liceo Kōsei di grande talento, ma la sua personalità è… particolare.”

“Genio e follia, comprendo”, rispose con un sorriso.

“Ad ogni modo”, continuò Makoto ignorando la nota di ironia nella sua voce, “ritengo che ‘The Phantoms’ abbia un bel suono e possieda una sua estetica, ma vorrei sentire i vostri pareri al riguardo.”

“Sembra il nome di un videogioco davvero figo. Inoltre, per quanto strano, mi fido del senso artistico di Inari", commentò Futaba mimando il segno della vittoria con le dita.

Ann annuì vigorosamente. "Ha un non so che di stiloso, mi piace!"

"Beh", cominciò Ryuji stiracchiacchiandosi platealmente senza preoccuparsi di infastidire quanti fossero seduti nelle vicinanze, "è semplice da ricordare ed è una figata, ci sto."

"Personalmente lo ritengo un nome di classe", intervenne Haru per poi bere un sorso di caffè. "Goro-kun, tu cosa ne pensi?"

"Oh, non pensavo servisse la mia opinione, essendo io l'ultimo arrivato", rispose decidendo di optare per la sincerità. Si portò una mano al mento. "Immagino che Ren abbia proposto questo nome per sottolineare il vostro precedente stato di anonimato nella scena musicale e fare di esso uno dei punti di forza con cui stupire il pubblico. Ritengo che sia appropriato".

Makoto batté le mani con un sospiro soddisfatto. “Bene! Direi che è deciso. Il nome del gruppo sarà “The Phantoms”. Haru, potresti dare il nostro nome al proprietario della Live House?”

“Certamente.”

“Yusuke-kun, vorrei che ti occupassi del logo della band.”

“Naturalmente, ho già numerose idee al riguardo.”

Ah, capisco. È Makoto ad occuparsi degli aspetti pratici della gestione del gruppo. Ciò significa che…

“Ah, Ren”, chiamò la ragazza mentre prendeva frettolosamente appunti sul suo blocco. “Vorrei che ti occupassi tu della prima stesura della scaletta.”

“No problem”, rispose l’altro posando il mento su una mano. “Anche se…”

Makoto distolse la propria attenzione dai suoi appunti per osservare Ren con aria curiosa.

“Da qualche giorno ho iniziato a lavorare ad un nuovo pezzo.”

“Oh, ottimo. Se mi registri una demo e me la mandi nel weekend ci aggiungo il basso”.

Giudicando la naturalezza con cui l’annuncio era stato dato e la reazione assolutamente pacata di Makoto, Goro non ebbe dubbi sul fatto che fosse Ren ad occuparsi della direzione artistica del gruppo e che probabilmente doveva essere fastidiosamente bravo nel farlo.

"Goro?" L'oggetto delle sue riflessioni lo chiamò, qualcosa di imperscrutabile nel suo sguardo. "Vorrei che tu scrivessi il testo della canzone."

"Come prego?"

Un senso di terrore misto ad irritazione formicolò sotto la sua pelle.

"Beh, noi ci occuperemo solo dell'arrangiamento. La melodia l'hai inventata tu, perciò dovresti scriverne le parole", rispose Ren come se la questione fosse un dato di fatto.

Se lo sarebbe dovuto aspettare, perché dopotutto era stato lui stesso a scavarsi la fossa nella più controproducente delle maniere, ma la situazione rimaneva comunque una sorpresa decisamente poco gradita. Probabilmente con l’aiuto del fastidioso ma evidente talento di Ren scrivere un testo appropriato non sarebbe risultato particolarmente complesso, ma dietro quella canzone si prospettava un regno di ricordi in cui non aveva assolutamente intenzione di mettere piede e di cui non voleva rendere partecipe nessuno.

"Farò un tentativo", mentì con un sorriso. "Ma non garantisco di essere in grado di produrre qualcosa che possa andare bene per la nostra prima esibizione."

Ren lo guardò dritto negli occhi per qualche istante e Goro si chiese se in qualche assurda e completamente illogica maniera fosse stato in grado di carpire la sua mancanza di sincerità. Per qualche motivo l'ipotesi gli parve paurosamente plausibile.

"Non ti preoccupare, non hai nessun obbligo", intervenne in tono gentile Makoto. "Direi che per ora sarebbe una buona idea se tutti quanti facessimo del nostro meglio per completare e imparare il nostro nuovo pezzo. Decideremo il resto quando i preparativi del live saranno a buon punto."

"State facendo più casino del solito". Sakura Sōjiro, con un vassoio carico di piatti di riso al curry e il sorriso di qualcuno che la sapeva lunga, comparve dal retro del café. "Se diventate abbastanza bravi potrei farvi suonare qui, qualche sera."

"Organizza serate di musica dal vivo, Boss?", si affrettò a chiedere Goro con la sua espressione più cortese.

"Assolutamente no", rise l'uomo posando il vassoio sul tavolo. Emanava un profumo delizioso. "Ma qualche cliente in più non guasterebbe, non posso lasciare che sia solo Wakaba a portare il pane in tavola."

"Uhm… Wakaba?"

Futaba gli rivolse un sorriso a trentadue denti, la bocca già sporca di curry. "Yup, la mia mamma e moglie di questo vecchiaccio."

"Bada a come parli, signorina", brontolò il Boss tornando dietro il bancone. "Meno chiacchiere e più rumori di posate, altrimenti il curry si raffredda."

Una famiglia con un padre e una madre. Un gruppo di amici incredibilmente affiatato. Pomeriggi passati a suonare e bere dello squisito caffè. Era tutto così perfetto da lasciargli un sapore terribilmente amaro in bocca.

Trattenendo un sospiro, mandò giù una cucchiaiata di curry. Era delizioso.

 

§
 

21 Giugno 20XX - Dopo le lezioni pomeridiane. Giorni mancanti al live: 42.


Amamiya Ren (13:09): Bekkto a dormire durnte l lezioni (¬_¬;)

Amamiya Ren (13.09): C vdm direttam al Leblanc

Amamiya Ren (13.10): Porta l chitarra ;)

Goro chiuse LINE con un sospiro a metà tra l'esasperato e il divertito. Amamiya Ren - aveva scoperto il suo cognome soltanto scambiandosi i contatti - era un tipo davvero frustrante. Nella settimana passata aveva scoperto che, oltre ad aiutare al Leblanc, la sera si divideva tra diversi lavori part-time e che spesso passava buona parte della notte a fare pratica con la chitarra. Per questo stesso motivo gli venne spontaneo chiedersi come fosse possibile che qualcuno che scriveva come un dodicenne al primo approccio con la messaggistica istantanea fosse uno studente con i voti tra i più alti del suo anno e su cui gli amici facevano affidamento per lo studio precedente gli esami.

La porta del Leblanc si aprì con un tintinnio, rivelando la sagoma ormai familiare di Ren nella sua divisa della Shujin sulla soglia. Un gatto nero e bianco fece capolino dall'oscurità che abitava gli spazi sotto i sedili del locale, andando a strofinarsi con un miagolio contro le sue gambe.

"Ciao, Mona", mormorò con tenerezza Ren chinandosi ad accarezzare l'animale dietro le orecchie e ricevendo in cambio delle fusa soddisfatte. Poi, come se si fosse ricordato solo in quel momento della sua presenza, si rimise improvvisamente in piedi, osservandolo per qualche istante attraverso le lenti degli occhiali.

"Sono a casa, tesoro", disse poi con un sorriso tanto affascinante quanto sfacciato.

Goro si ritrovò a deglutire, lasciandosi sfuggire una risatina palesemente imbarazzata. "Bentornato, caro. Sei in ritardo", decise di rispondere stando al gioco.

Vide con la coda dell'occhio Sakura Sōjiro scoccare loro uno sguardo perplesso, per poi scuotere la testa con aria divertita.

"Scusa", si giustificò Ren passandosi una mano dietro il collo, "Ushikawa mi ha trattenuto per assegnarmi dei compiti extra."

"Sì, ho letto il tuo messaggio dalla grammatica discutibile", replicò con un sorriso educato. "Dovresti dormire di più se finisci con l'addormentarti durante le lezioni."

"Nah, sono le sue spiegazioni ad essere soporifere."

"Sappi che se finisci nei guai a scuola ti caccio a calci nel sedere", borbottò il Boss senza alzare lo sguardo dal cruciverba con cui era impegnato.

Ren in tutta risposta rise appena, due adorabili fossette agli angoli delle labbra. "Oh", si interruppe poi come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa. "Dammi il tempo di cambiarmi e cominciamo."

Goro gli rivolse un'occhiata confusa senza però ricevere alcuna spiegazione in merito alle sue parole. Non dovevano aspettare gli altri per poi andare a provare nel solito studio a Kichijoji?

Mentre Ren spariva oltre la scalinata in legno in fondo al locale decise di controllare nuovamente i suoi messaggi di LINE. La chat di gruppo in cui la band era solita scambiarsi informazioni circa orario e luogo delle prove era silente dalla pausa pranzo: l'ultimo messaggio apparteneva a Makoto, la quale annunciava di aver terminato di registrare la parte di basso e prendeva accordi con Ryuji per aggiungere la traccia delle percussioni.

Con sua sorpresa, quello sconclusionato gruppo di ragazzi che adesso si faceva chiamare "The Phantoms" prendeva la musica con molta serietà, al punto che perfino Sakamoto Ryuji - l'elemento che maggiormente gli aveva dato l'impressione di essere inaffidabile - aveva già iniziato a lavorare sul nuovo pezzo. Se da un lato la cosa lo colpiva positivamente, dall'altro gli provocava un certo grado di preoccupazione: presto o tardi si sarebbe ricominciato a parlare del testo e lui non aveva alcuna intenzione di essere responsabile della sua stesura.

"Eccomi, scusa l'attesa". Ren, che era ricomparso sulla scalinata, indossava un paio di jeans scuri e una t-shirt nera con il logo che presumeva appartenesse ad un qualche gruppo musicale. "Sali pure."

"Ti sei messo in tiro per me?", scherzò.

"Beccato."

Seguì Ren su per i gradini di legno, rimpiangendo di non aver potuto osservare la reazione dell’altro alla sua presa in giro. Dietro di loro il Boss borbottò qualcosa sul non fare troppo chiasso con gli strumenti finché il locale fosse stato aperto ai clienti.

La stanza era ampia e attraverso le grandi finestre sulla parete di fondo entravano prepotenti i raggi del sole di metà giugno, illuminando la stanza con colonne di pulviscolo scintillante. A parte qualche pezzo di mobilio che sembrava essere stato messo lì per caso, il posto "vantava" un futon situato sotto la finestra e posato su qualcosa che somigliava pericolosamente a dei sacchi contenenti chicchi di caffè, un sofà di pelle logora e uno scaffale colmo di cianfrusaglie di pessimo gusto raccolte da luoghi turistici sparsi per Tokyo.

Non dirmi che vive davvero in una topaia del genere.

"Lascia pure la chitarra sul divano, ci servirà dopo", disse Ren gettandosi a sedere sul letto senza troppe cerimonie. Con una mano picchiettò sullo spazio vuoto accanto a sé. "Accomodati pure qui."

Dopo un breve istante di esitazione in cui Goro constatò che stare a meno di un metro dall'altro non lo avrebbe - almeno teoricamente - ucciso, obbedì, osservando Ren con curiosità mentre questi rovistava nelle proprie tasche alla ricerca di qualcosa. I ricci scuri gli cadevano sugli occhi, costringendolo ad arricciare appena il naso nel tentativo di avere successo nella sua caccia al tesoro senza doverli spostare. Era un'immagine che gli ispirava un'insolita tenerezza e che lo portò a doversi trattenere dall'allungare una mano e scostare le ciocche corvine che nascondevano il suo sguardo concentrato.

"Ti vedo in difficoltà", commentò con una nota divertita nella voce quando Ren iniziò a districare il paio di auricolari che aveva appena estratto con fatica dai propri jeans. "Hai un'espressione davvero concentrata."

"Già. E se fai silenzio per un attimo potrei concentrarmi anche più di così."

"Questo posto è piuttosto… pittoresco", continuò ignorando volutamente la richiesta dell'altro. “Lo hai arredato tu? Possiedi degli oggetti davvero peculiari, in tal caso.”

Si chiedeva quanta di quella flemma che pareva ostentare fosse reale. A volte aveva l’impressione che nulla potesse realmente scuoterlo, ma guardandolo trasformarsi mentre suonava non riusciva a non pensare che la musica fosse probabilmente il modo attraverso cui Ren esprimeva tutto ciò che non metteva in parole. Come poteva una persona del genere incarnare così fastidiosamente il suo ideale di libertà?

"Te lo si legge in faccia che pensi che faccia schifo."

La voce di Ren - che non sembrava particolarmente offeso dal suo atteggiamento - interruppe le sue riflessioni. Il diretto interessato gli porse con nonchalance un auricolare e, quasi a voler valutare la reazione del suo interlocutore, Goro decise di optare per una risposta insolitamente priva di filtri.

"Effettivamente sì, fa piuttosto schifo. Vivi davvero in una topaia del genere?"

Ren, con sua sorpresa, ridacchiò di gusto, collegando il jack delle cuffie al proprio cellulare. "Me lo dicono tutti quando vedono questo posto. Ma una volta che ti ci abitui non è così male."

"E immagino che lo scopo di tutto ciò", continuò indicando lo smartphone incriminato, "sia porre rimedio alle lacune nella mia cultura musicale."

"Acuta osservazione, Sherlock."

"Dovrai impegnarti di più per sorprendermi, Lupin."

§

 

16 Luglio 20XX - Pomeriggio. Giorni mancanti al live: 19.


L’odore della pioggia penetrava dalla finestra socchiusa, un ritmico ma delicato ticchettio che si alternava al rombo sporadico dei tuoni. Dal cellulare di Ren, abbandonato sulla parte interna del davanzale, proveniva, come se lasciato a fare da sottofondo alla pioggia stessa, un pezzo dai toni vagamente blues, un ripetersi stabile di basso e batteria su cui chitarra e tastiera si inseguivano quasi pigramente, dando vita ad un ritmo dai toni ipnotici.

Sul pavimento polveroso giacevano sparsi dei libri di storia giapponese e fogli di appunti costellati di date ed eventi sui quali era ordinatamente riposto un paio di grandi occhiali dalla montatura nera.

Inclinò appena il viso, posando la tempia sull'orlo del futon che sporgeva dal suo sostegno. Seduto per terra accanto a lui con la testa abbandonata contro il bordo del letto, Ren canticchiava sommessamente ad occhi chiusi.

Quando, nel giro dell'ultimo mese, aveva cominciato a sentirsi così a suo agio accanto a lui? Quando aveva smesso di nascondersi dietro sorrisi studiati e parole accuratamente scelte nelle loro conversazioni? Ren rideva alla sua ironia pungente, abbatteva la sua facciata di forzata cortesia con quelle sue battute incredibilmente stupide e sorrideva silenziosamente nel condividere con lui quel suo piccolo, incredibile mondo fatto di musica.

"Into this house we're born, into this world we're thrown…"

La voce di Ren era poco più di un mormorio. Non l'avrebbe definita particolarmente intonata quanto piuttosto sorprendentemente rilassante. Le parole in quella lingua così diversa dalla loro scivolavano con naturalezza sulle sue labbra socchiuse. Goro si ritrovò ad osservare inconsciamente quel volto divenuto ormai familiare. Lunghe ciglia scure proiettavano ombre delicate sulle sue guance, la bocca appena incurvata in un sorriso mentre la sua voce si univa a quella di Jim Morrison nel cantare l'ironia di alcuni aspetti della vita.

Nessuno può scegliere in che famiglia nascere, eh?

Poi, come se avesse saputo di essere osservato, Ren aprì gli occhi, le iridi grigie che ricambiavano il suo sguardo.

"Che c'è?", chiese voltando la testa verso di lui con un'occhiata divertita.

La distanza tra i loro volti era decisamente poco appropriata. Il respiro di Ren sfiorava tiepido e regolare il suo volto ma per una volta Goro non provò alcun desiderio di allontanarsi, di nascondersi.

"Sembri una persona completamente diversa, senza occhiali", constatò allungando appena una mano per scostare la frangia disordinata dagli occhi dell'altro.

Una risata gutturale sfuggì dalle labbra del suo interlocutore, curvandole in un ghigno sfacciato. "Diversa nel senso di 'incredibilmente affascinante'?"

"Mi avvalgo della facoltà di non rispondere", rispose Goro alzando gli occhi al cielo. Non voleva, non poteva dargli quella soddisfazione.

"Però tu lo sei", continuò l'altro. "Affascinante, dico."

Il sorriso con cui Ren gli aveva rivolto quella constatazione era così sincero e colmo di affetto da fargli pensare che qualcosa di così bello non potesse essere rivolto a qualcuno come lui. Non meritava niente di tutto quello.

"Modestamente", replicò ammiccando in maniera volutamente sfacciata.

L'aria nella stanza si fece insopportabilmente calda quando Ren sgranò gli occhi, un tenue rossore sulle guance, per rivolgergli un'espressione di adorabile indignazione. Amamiya Ren era sempre calmo e posato, con una risposta impertinente sempre sulla punta della lingua ma quando erano insieme gli mostrava volti di sé che presto o tardi lo avrebbero fatto uscire di senno. Voleva avvicinarsi e vedere di più, conoscere e farsi conoscere in ogni singolo disgustoso difetto ma non poteva accantonare la certezza che la sua cupidigia lo avrebbe lasciato ancora una volta con nulla da stringere tra le sue braccia. Non aveva alcun diritto di valicare l'evanescente confine che li separava.

"Piuttosto", continuò con nonchalance, "non mi hai mai detto come sei finito con il vivere in un postaccio del genere."

L'espressione di Ren si fece pensierosa e Goro si chiese se perfino qualcuno apparentemente ordinario come lui nascondesse qualche tragico dettaglio che lo rendesse malinconico ed eternamente insoddisfatto o se, semplicemente, tra le sue mille odiose qualità possedesse la capacità di sbirciare impunemente tra i suoi pensieri. "Sōjiro-san è amico dei miei", rispose dopo qualche istante di silenzio.

"Quindi suppongo che i tuoi genitori siano molto di supporto nei confronti del tuo sogno, se hanno accettato di mandarti qui a Tokyo."

"In realtà è il contrario". Ren volse lo sguardo alle travi di legno del soffitto con un sospiro, dandogli la sensazione di aver involontariamente toccato un tasto dolente. Che strana ironia della sorte. "Credo che mi abbiano mandato qui perché capissi quanto è difficile cavarsela da soli e come la musica non porti il pane in tavola. Immagino che si aspettino che io cresca e decida di intraprendere una carriera più… normale."

Il boato di un tuono particolarmente fragoroso riempì il silenzio improvvisamente creatosi. La musica, si accorse in quel momento, si era fermata da un po'.

"Da un lato comprendo il loro punto di vista", cominciò cautamente. "Ma da quel che ho avuto modo di vedere hai la testa più dura di un blocco di cemento, perciò immagino che non gliela darai vinta facilmente."

"No, mai", rispose l’altro tornando a guardarlo, una determinazione ferrea nello sguardo. Proprio come il bambù, Ren non si spezzava davanti a niente, resiliente, cocciuto dietro l'aspetto blando ma Goro si chiese se non fosse in realtà libero come il vento impetuoso che avrebbe piegato a sé la quercia. "E tu? Hai davvero intenzione di rinunciare a scrivere il testo senza nemmeno averci provato?"

Merda.

"Temo che il compito sia al di fuori delle mie attuali capacità", replicò rifugiandosi miseramente dietro un sorriso rammaricato a cui sapeva non avrebbe creduto nemmeno un po'. "Naturalmente miro a porre rimedio a tale mancanza con la pratica, ma direi che sarà necessario del tempo."

"Cazzate", ringhiò Ren. Era la prima volta che lo vedeva alterarsi. La constatazione suscitò in lui un certo grado di soddisfazione. "Io so che hai qualcosa da dire."

Goro si tirò a sedere, un sorriso di scherno sulle labbra. "Ah sì? E di grazia, cosa ne sapresti tu di cosa mi passa per la testa?"

Abbassa la cresta. Non comportarti come se conoscessi ogni cazzo di dettaglio su di me.

"Goro." L'espressione dell'altro era tremendamente seria, tremendamente triste mentre lo prendeva saldamente per le spalle chiamando il suo nome. "Ti rendi conto di quanto sia addolorata la tua faccia quando credi che nessuno ti stia osservando?"

Non sono affari che ti riguardano.

"E quindi? Credi che solo perché io mi senta così sia in grado di urlare ciò che provo in una canzone?", disse liberandosi dalla presa dell'altro con uno strattone. "Tutto ciò è destinato a marcire dentro di me e io con esso."

"La musica è fatta di emozioni, di passione", cominciò Ren, il tono nuovamente calmo. "Sono ciò che spinge una persona ad ignorare il dolore fisico per continuare a suonare e comunicare. Perciò...".

Goro avrebbe voluto stroncare quel suo discorso melenso sul nascere, perché non aveva alcuna voglia di sentirsi rivolgere prediche che parevano la patetica copia di un discorso uscito da qualche film per famiglie. Era facile vedere del buono negli altri quando si era circondati da persone che ti apprezzavano.

Ren afferrò improvvisamente la sua mano sinistra, tracciando con sorprendente delicatezza i solchi e le vesciche sui suoi polpastrelli con le dita. "Una persona le cui emozioni sono marcite non suona fino a ridurre le proprie dita così. Non canta come se fosse l'unica cosa che gli permetta di essere libero."

Goro si alzò in piedi, ignorando qualunque espressione fosse dipinta sul volto dell'altro. Si sarebbe spezzato. "Puoi tenerti gli appunti, io non me ne faccio nulla", disse glaciale mentre si faceva scivolare in spalla la custodia contenente il suo strumento. "Ci vediamo alle prove."

"Goro", lo chiamò Ren. Scese un gradino, fermandosi senza però voltarsi. Non voleva sapere che faccia avesse. Non voleva essere colpito dalla tempesta. “La tua canzone... mi ha fatto battere il cuore.”

Bugiardo. Quella canzone, questa chitarra… sono una maledizione.


§


25 Luglio 20XX - Pomeriggio. Giorni mancanti al live: 8.


“No, stop, stop! Ragazzi, si può sapere che vi è preso questa settimana?”

Makoto lo guardò con un’espressione palesemente preoccupata. La pressione dell’avvicinarsi del live probabilmente stava avendo il suo peso anche su di lei.

“Scusatemi”, disse Goro profondendo in un inchino davanti al resto della band ma evitando di incrociare il suo sguardo. La bocca del suo stomaco si strinse dolorosamente. “Ultimamente non mi sento molto in forma a causa del caldo.”

Makoto sospirò scuotendo il capo. “No, Goro-kun, posso capire, dopotutto suoni da meno di due mesi, è normale che la pressione e la fatica si facciano sentire con questi ritmi, ma”, si voltò verso di lui, scoccandogli un’occhiata significativa. “Tu cosa hai da dire, Ren? Non è da te fare questi errori da principiante.”

“Amico, Makoto ha ragione”, intervenne Ryuji posando le bacchette sul rullante. “Eravate tipo… completamente fuori tempo.”

“Mona non è stato molto bene in questi giorni”, mentì scusandosi mentalmente con il povero micio. “Quindi sono un po’ preoccupato. Tutto qui.”

“Ragazzi…”, Makoto sospirò, stringendo il setto nasale tra le dita con aria stanca. “Sarò schietta. Il concerto è tra poco meno di due settimane e i progressi con il nuovo pezzo vanno a rilento. La chitarra di Goro-kun è ad un livello a malapena sufficiente e non abbiamo ancora un testo, senza contare i risultati a dir poco disastrosi delle ultime prove.”

“Uhhhh, cosa proponi di fare?”, domandò Futaba con evidente preoccupazione. “Di questo passo il nostro primo concerto potrebbe essere un devastante OHKO!”

Makoto si avvicinò a Futaba, scompigliandole i capelli in maniera affettuosa. “Stai tranquilla”, disse con voce dolce. “I nostri vecchi pezzi vanno abbastanza bene, Ren-kun è soltanto un po’ giù di tono. Mentre per il nuovo pezzo…”

“Ohi, ragazzi.” Ryuji si alzò improvvisamente in piedi, rivolgendo ai presenti un’occhiata mortalmente seria. “Io credo… che dovremmo fermarci qui con la pratica.”

Un silenzio carico di sgomento calò nella sala prove. Le loro performance avevano subito un certo calo qualitativo a causa di motivazioni che erano purtroppo a lui palesi, ma non riteneva fossero qualcosa di così disastroso da costringerli a rinunciare ad un’esibizione.

Ann si fece avanti, giocherellando nervosamente con una delle code in cui i suoi capelli erano raccolti. “Penso che Ryuji abbia ragione”, disse rivolgendo un sorriso empatico al diretto interessato. “Vi vedo molto stressati e penso che un po’ di riposo farebbe bene a tutti quanti. I pezzi strumentali non hanno problemi, no? Quindi nel resto del tempo Goro-senpai potrebbe concentrarsi sul testo.”

“Effettivamente prendere le cose con più calma potrebbe essere una mossa saggia, considerando che la settimana prossima avremo da fare con gli esami di fine semestre”, constatò Makoto riponendo il suo strumento - un Fender Precision Bass blu avio - nella sua custodia. “Nel caso Goro-kun non dovesse fare progressi con il testo potremmo sempre eseguire il nuovo pezzo in versione strumentale. Riusciresti a scrivere una parte per chitarra solista, Ren-kun?”

Ren annuì silenziosamente, non nascondendo il proprio sollievo nel rendersi conto di come quella situazione di stallo fosse soltanto qualcosa di temporaneo. Fondare un gruppo richiedeva delle responsabilità ma in quel momento fu tremendamente grato che i suoi amici e compagni fossero lì per dividere quel peso con lui. Dopotutto era grazie alla lucidità di Makoto e all’empatia di Ryuji e Ann che avevano evitato di mandare completamente a rotoli la loro prima importante esibizione.

Se un problema era stato quantomeno arginato, l’altro però, quello più importante, non sembrava nemmeno lontanamente vicino ad una soluzione. Non che si aspettasse che le cose con Goro si sistemassero magicamente con le sole buone intenzioni.

“Ehi, Ren!”. Ryuji, appoggiato con nonchalance alla propria bicicletta, lo stava aspettando davanti all’uscita dello studio, giocherellando distrattamente con un paio di chiavi. “Salta su, ti dò un passaggio in stazione!”

“Eh? Sei sicuro di farcela?”, chiese indicando gli strumenti che portavano in spalla.

Ryuji gli rivolse un sorriso a trentadue denti, prendendo posto sul mezzo. “Stai parlando con l’ex-stella della squadra di atletica. ‘Sta roba è niente per me!”

“Allora grazie.”

Non appena ebbe preso posto nello spazio dietro il suo amico, assicurandosi che la sua chitarra non gli fosse d’intralcio, questi partì con una spinta dei piedi, iniziando a pedalare subito dopo.
Dopo una decina di minuti di viaggio in cui gli unici suoni udibili furono quelli delle vivaci strade di Kichijoji, Ren si rese conto che qualcosa non quadrava.

“Ryuji? La stazione non è nella direzione opposta?”

 

§

 

25 Luglio 20XX - Dopo le prove. Giorni mancanti al live: 8.

 

"Scusa se ti ho portato qui senza dire niente", disse Ryuji porgendogli una lattina di Phanta all'uva. "Tieni, per farmi perdonare."

Ren, seduto su una panchina all'ombra di un grosso ciliegio, accettò il dono con un'occhiata curiosa. "È successo qualcosa, Ryuji?"

La lattina si aprì con un sibilo.

"No, scusa. Fammi capire bene", cominciò il suo amico con l'espressione più genuinamente sorpresa che gli fosse mai capitato di vedere. "Dopo tutto il casino di 'sti giorni chiedi a me se è successo qualcosa?"

Ren abbassò lo sguardo, trovando di improvviso ed estremo interesse la normalissima bibita tra le sue mani. Di solito era lui a vestire i panni dell'ascoltatore, lieto che i suoi insostituibili amici nutrissero così tanta fiducia nei suoi confronti, ma trovarsi dal lato opposto gli causava un'insolita sensazione di disagio. Con il periodo difficile che il gruppo stava affrontando e l'incombere degli esami non voleva aggiungere ulteriore tensione e preoccupazione con i suoi problemi personali, considerando che erano qualcosa che soltanto lui avrebbe potuto e dovuto risolvere. Oltretutto la questione "Akechi Goro" era qualcosa di così complicato da lasciare confuso persino lui.

"Perché, dò l'impressione che mi sia accaduto qualcosa?"

Ryuji si passò una mano dietro il collo, borbottando qualcosa di incomprensibile. "Senti. So di non essere proprio una cima ma è tipo… super evidente che qualcosa è successo tra te e Goro."

Con un movimento improvviso Ren alzò la testa, una miriade di interrogativi nello sguardo rivolto al suo amico. Ryuji, con il suo aspetto e la sua parlata che sapevano un po' di gangster, era il genere di persona che dava l'idea di soffermarsi sugli aspetti più superficiali delle questioni e che, proprio per quel motivo, sapeva sorprendere più di tutti con i suoi momenti di incredibile perspicacia.

"Io…", cominciò faticando a trovare le parole giuste per esporre il problema. Volse lo sguardo al lago in lontananza, l'acqua mercurio liquido alla luce del crepuscolo. La vista familiare del Parco di Inokashira sembrò riuscire a calmarlo un minimo. "Davvero?, riuscì a domandare infine.

Un sospiro. "Non voglio girare il coltello nella piaga ma… sì, amico, davvero. Cazzo, faccio schifo a spiegare questa roba…", si interruppe Ryuji giocherellando nervosamente con un paio di chiavi. "Guardare te e Goro insieme è come vedere uno di quei film mielosi di cui Ann va pazza."

"Eh?"

"Te l'ho detto che faccio schifo a spiegarmi", si giustificò l'altro alzando le mani. "Eravate… Argh, mi arrendo. Davate l'impressione di dovervi mettere a limonare da un momento all'altro. Ecco, l'ho detto."

Ren si ritrovò a fissare Ryuji con un'espressione che doveva ricordare molto quella di Yusuke davanti alla bolletta della luce prima di scoppiare in una fragorosa risata, nascondendosi il viso tra le mani. Non c'era un modo per sparire istantaneamente dalla faccia della Terra?

"Davamo…", cominciò riprendendo fiato. "Davamo davvero quell'impressione?"

"... Ren."

Abbassò le mani quel tanto che bastava per permettergli di vedere il suo interlocutore fissarlo con un mezzo sorriso. "Sì?"

"La tua faccia in questo momento dice chiaramente 'ho una cotta stratosferica per Akechi Goro'."

Era tipico di Ryuji frasare le cose in modo così diretto, ma in quel momento Ren si sentiva come se il suo amico avesse portato al suo cospetto non un elefante ma l'intero zoo del Parco di Inokashira.

"Credi che sia una cosa strana?", domandò fissando un punto imprecisato del paesaggio davanti a loro. Una coppia dall'aria felice passeggiava mano nella mano nel tepore della sera estiva.

"Cosa, che ti piaccia un tipo come Goro?"

"No, dico, che mi piaccia un ragazzo."

"Nah. Voglio dire, se si comportasse di meno come se avesse un palo in-"

"Linguaggio, Ryuji", lo riprese scherzosamente lanciandogli la lattina di Phanta ormai vuota addosso. Come aveva fatto ad andare avanti senza un amico come lui?

"Volevo dire", riprese afferrando al volo l'oggetto con uno dei suoi sorrisi a trentadue denti, "che se la piantasse di comportarsi come se fosse 'Mr. Perfettino' potrebbe pure starmi simpatico."

Ren ridacchiò, sentendosi improvvisamente più sollevato. "Ma non mi dire."

"E poi", continuò l'altro con una nota amara nella voce, "il fatto che ti piaccia un ragazzo non è più strano del fatto che un perdente come me sia innamorato della stessa irraggiungibile tipa da sempre."

"Ann?", domandò curioso.

Ryuji annuì, distogliendo lo sguardo.

"Grande. Futaba mi deve 500 yen."

"Ohi", lo riprese l'altro facendosi paonazzo in volto. "Non scommettete su 'sta roba!"

"Scusa", rise Ren. "Però sai, non credo che quando si tratti di te Ann sia così irraggiungibile."

"No amico, è senza speranza. E non cambiare discorso!".

"Mmmh. Non c'è molto altro da dire su Go… tusaichi", si corresse colto da un improvviso imbarazzo. Era abbastanza ridicolo farsi venire complessi sulle formalità quando non avevano fatto altro che chiamarsi direttamente per nome da quando si erano conosciuti, ma tant'era.

"Cristo Ren, non è mica Lord Voldemort", commentò Ryuji tornando al suo solito tono di voce squillante. Un paio di persone scoccarono loro delle occhiatacce, ma il diretto interessato non sembrò curarsene. "Prima di tutto, torna a suonare in modo decente e aiutaci a spaccare durante il live. Poi… beh, non so perché tu e lui abbiate litigato, ma forse dovresti, che ne so, lasciarlo per i fatti suoi?"

"Che vuoi dire?"

"Beh", cominciò strofinando una mano dietro il collo. "Secondo me Goro è agitato per il concerto più di noi. È un principiante, cavolo! Senza contare tutta quella pressione per il testo della canzone e tutto il resto."

"Oh."

Una punta di senso di colpa si insinuò nel suo petto. Aveva insistito sulla canzone in parte perché credeva che Goro avesse tutte le potenzialità per tirare fuori davvero un buon pezzo e in parte perché sperava che attraverso qualcosa di così intimo e personale potesse scorgere qualcosa in più della persona che era veramente. Per quanto fosse certo che Goro fosse anche la personalità brillante, logorroica e talvolta pungente di cui faceva sfoggio il più delle volte, sapeva che dietro di essa si nascondeva una grande tristezza. Quale fosse la sua causa rimaneva un mistero, ma Ren nutriva il forte sospetto che essa fosse in qualche modo connessa al conflittuale rapporto che Goro aveva con la musica: se da un lato vedeva in lui lo stesso folle, viscerale amore che lo aveva masochisticamente portato a dedicare ogni singolo brandello della sua anima alla chitarra, dall'altro percepiva una sorta di rancore nei confronti della stessa, quasi avesse commesso un torto imperdonabile nei suoi confronti. Era una persona estremamente complicata e lui probabilmente era un povero pazzo che amava rendersi la vita difficile, perché Akechi Goro gli aveva fatto perdere la testa.

"Ren? Sei vivo?" Ryuji, sventolando una mano davanti ai suoi occhi con eccessivo entusiasmo, lo riportò alla realtà.

"Credo di essere stato egoista nei confronti di Goro", rispose qualche istante dopo con un sospiro.

"Questa cosa è così da te, RenRen", replicò Ryuji senza alcuna malizia. "Te lo hanno mai detto che sei un gigantesco ficcanaso? Però sai, è questo che ti rende un tipo figo. Io credo che Mr. Perfettino in qualche modo voglia il tuo aiuto o non ti avrebbe rotto le palle per farsi insegnare a suonare la chitarra."

Ren sgranò gli occhi. Il fatto che una considerazione simile provenisse da Ryuji era abbastanza strano - per non dire raro - ma il suo amico era riuscito in una maniera decisamente sua ad offrirgli un nuovo punto di vista sulla situazione.

"Grazie, Ryuji."

"Eh? Ma non ho fatto niente", rispose l'altro rivolgendogli un'occhiata sorpresa.

Scosse il capo. "Ti sbagli."

"Mah, se lo dici tu", ribatté con un'alzata di spalle. Poi, come se la cosa gli fosse venuta in mente solo in quel momento, aggiunse: "Ehi ma… sai che se hai bisogno noi ci siamo sempre, no? Non devi per forza risolvere i tuoi problemi da solo."

Aveva ragione. Dopo essersi trasferito a Tokyo armato solo di un borsone di indumenti e della sua vecchia chitarra e con alle spalle una sfida che i suoi genitori davano come persa in partenza, si era chiuso nella convinzione che se la sarebbe dovuta cavare senza contare sull'aiuto di nessuno. Poi però aveva incontrato Ryuji e tutti gli altri e senza accorgersene, attratti gli uni dagli altri come gatti randagi, avevano iniziato a percorrere quella strada in salita tutti insieme, aiutandosi a vicenda. Forse, quel giorno di due mesi prima, non era riuscito a rifiutare la richiesta di Goro perché in lui aveva rivisto se stesso e, proprio come lui e i suoi amici si erano tesi la mano a vicenda ed erano andati avanti, probabilmente anche Goro attendeva che qualcuno afferrasse la mano che aveva disperatamente proteso.

"Lo so."

Ann (22.02): Quello che quel deficiente di Ryuji voleva dire è che tu e Goro-senpai sembrate spesso chiusi nel vostro piccolo mondo. Specialmente quando suonate.

Ann (22.04): Ci piace vedervi insieme. Sembri più felice del solito.

 

§

 

29 Luglio 20XX - Dopo la scuola. Giorni mancanti al live: 4.

Kichijōji era un quartiere che fremeva di vita a tutte le ore del giorno. Nei pressi della stazione la gente camminava in un costante e frenetico viavai, presa dalle urgenze della propria quotidianità e osservarla sembrava, come un orologio, scandire lo scorrere del tempo.

"Perdona il ritardo, Akechi-kun, ma ho ricevuto una telefonata di lavoro appena scesa dal treno.

Niijima Sae, nel suo solito elegante completo nero e scarpe dal tacco vertiginoso, lo salutò con un leggero sorriso sulle labbra tinte di rosso scarlatto. Faceva fatica a credere che una donna così bella fosse un brillante avvocato in carriera piuttosto che una modella.

"Nessun problema, Sae-san. È un piacere rivederti".

Dietro la figura dell'avvocatessa fece capolino un volto nuovo, una ragazza dai capelli castani dall'aria decisamente più giovane e inesperta dell'altra donna.

"Ah, lei è Hoshimi Ayame", lo anticipò Sae. "Mi assisterà durante l'udienza che ti ho menzionato durante la nostra telefonata dell'altro giorno."

Come se avesse ricevuto un preciso segnale la giovane donna profuse in un inchino. "Mi chiamo Hoshimi Ayame, sto effettuando il mio tirocinio sotto la supervisione di Niijima-senpai. Lieta di fare la sua conoscenza."

"Piacere mio, Hoshimi-san. Mi chiamo Akechi Goro, sono uno studente al terzo anno presso il Liceo Shujin", replicò con un sorriso educato prima di indicare il tavolo alle sue spalle. "Mi sono premurato di prenotare un tavolo, perciò possiamo accomodarci, se volete."

 

§

 

29 Luglio 20XX - Dopo la scuola. Giorni mancanti al live: 4.

"Dunque, Akechi-kun", cominciò Sae sorseggiando il caffè ordinato poco prima. "Come vanno le cose con la band? Ho saputo da Makoto che la prossima settimana avete un' importante esibizione."

"Direi che i preparativi procedono al meglio. La scaletta è già stata decisa e mi sono premurato di non trascurare la pratica nei giorni passati."

Non era sorpreso che Niijima Makoto avesse raccontato a sua sorella maggiore i dettagli del nuovo percorso intrapreso dal loro gruppo: le due condividevano un bel rapporto da quello che sapeva ma sperava che la ragazza non si fosse lasciata sfuggire dettagli assolutamente non necessari che lo riguardassero.

"Ultimamente Makoto mi era sembrata piuttosto in tensione per qualcosa, ma immagino sia colpa degli esami", replicò la donna con aria pensierosa.

Doveva molto a Sae-san ma la conosceva abbastanza da poter determinare che quell'incontro in un delizioso jazz café di Kichijōji non gli era stato richiesto per parlare di una band di adolescenti in procinto di effettuare il proprio debutto.

"Perdona la schiettezza, Sae-san ma… per quale motivo hai richiesto la mia presenza qui, oggi? Solitamente la tua agenda è fitta di impegni."

Niijima Sae si lasciò sfuggire un sospiro, guadagnandosi un'occhiata interrogativa dalla signorina Hoshimi, intenta a gustare un tè al limone dal profumo intenso accanto a lei.

Sul palco dell'ampia sala una donna fasciata in un elegantissimo abito rosso cantava su della musica jazz e Goro si ritrovò inconsciamente a pensare a come Ren avrebbe adorato l'atmosfera di quel posto.

"Perspicace come sempre, Akechi-kun", disse infine Sae tirando fuori dalla sua borsa un voluminoso fascicolo targato "Ikebukuro 2015, Shido-Akechi". "Immagino dunque che non sia il caso di fare lunghe premesse."

Ignorando il contorcersi del suo stomaco che minacciava improvvisamente di fargli rimettere gli ottimi pancakes gustati poco prima, Goro si sforzò di annuire mantenendo la propria compostezza. "No, infatti."

"Due giorni fa", cominciò la donna guardandolo negli occhi con aria solenne, "il caso dei tuoi genitori è stato definitivamente archiviato. Tra gli oggetti sequestrati era stata ritrovata un'agenda appartenente ad Akechi Reiko, tua madre."

Con estrema cura Niijima Sae aprì la cartella, estraendone una busta di plastica trasparente contenente una grossa agenda di pelle rossa piuttosto consunta. Dalle pagine ingiallite spuntavano numerosi segnalibri dai colori sgargianti e diversi fogli ripiegati distrattamente.

"In quanto suo unico e legittimo erede, questo oggetto ti appartiene", continuò. Quando Goro, con mani tremanti prese l'oggetto in questione, l'espressione di Sae-san si ammorbidì, lasciando che un sorriso sincero si dipingesse sulle sue labbra. "Non sono nella posizione di dirlo ma… spero che questo ti aiuti a lasciarti il passato alle spalle, Akechi-kun. Hai una vita intera davanti per costruire ricordi felici."

Non sapeva che pensare. La sua non era che una delle tante tragiche storie in cui ci si poteva imbattere in una megalopoli come Tokyo, ma per lui era un inferno che lo intrappolava da quasi cinque anni. L'oggetto tra le sue mani era verità e testimonianza di quella tragedia. Aveva la capacità di confermare le sue convinzioni e condannarlo ad un'esistenza fatta di rancore e di odio verso se stesso, verso l'uomo che gli aveva rovinato la vita e verso la musica e tra le sue mani pesava più di un mattone.

“Uhm… Akechi-kun? Va tutto bene?”

Hoshimi Ayame, seduta di fronte a lui con la sua tazza di tè ancora tra le mani lo guardava con un’espressione visibilmente preoccupata.

“... Sì, Hoshimi-san. Perché me lo chiede?”

La donna sbatté diverse volte le palpebre prima di rivolgergli un’espressione divertita. “Beh, Niijima-senpai si è assentata un attimo per una telefonata di lavoro e tu non te ne sei nemmeno accorto.”

Volgendo lo sguardo oltre la vetrata del café scorse la figura familiare di Niijima Sae discutere in maniera alquanto animata al cellulare.

“Oh.”

La signorina Hoshimi prese un altro sorso del proprio tè. “Sai Akechi-kun, ti invidio un po’.”

“Come prego?”, domandò con più veemenza di quel che avrebbe voluto. Non riusciva a controllare le proprie emozioni come avrebbe voluto. “Immagino che conosca già la mia patetica storia, è una collega di Sae-san, dopotutto.”

“Sì, la conosco”, replicò con un sorriso, posando la tazzina di porcellana bianca sul tavolo. “La definirei più “ingiusta” che patetica ma non era a quello che mi riferivo. Intendevo dire che invidio il tuo avere solo diciott’anni.”

“Temo di non seguirla, Hoshimi-san.”

“Mi riferivo alle parole di Niijima-senpai”, replicò Hoshimi indicando la sua collega più grande con un cenno del capo. “Credo che diciott’anni sia un’età perfetta per cominciare a vivere seguendo la propria musica.”

Goro la osservò esterrefatto per un breve istante, ma la donna non sembrò particolarmente sorpresa dalla sua reazione perché gli rivolse un sorriso colpevole. Aveva già sentito quelle parole.

“Mi sono permessa di dare una sbirciata a quella”, continuò indicando l’oggetto tra le sue mani. “Tua madre amava davvero la musica, eh?”

“Insegnava chitarra e pianoforte in un conservatorio vicino il nostro appartamento”, ricordò sorprendendosi della nostalgia nella propria voce. “Le piaceva molto cantare.”

Com’era finito con il parlare di sua madre con una sconosciuta? O forse era proprio perché si trattava di una sconosciuta che non avrebbe mai più rivisto che si era lasciato trascinare dai ricordi in quel modo? Qualcosa nel suo gentile incalzare e nei suoi modi di fare così pacati gli ricordava terribilmente Ren.

Oh.

“Quindi è proprio vero che alcune cose sono genetiche”. Hoshimi Ayame bevve l’ultimo sorso del proprio tè, prima di volgere lo sguardo con aria assente al di fuori del locale. Oltre la vetrata la gente continuava a muoversi caoticamente. “Dicono che l’ignoranza porti alla beatitudine ma io sono dell’opinione che sia necessario conoscere la verità dietro i fatti per vivere in pace con se stessi. L’onestà è la cosa migliore, dopotutto.” Poi, come se nulla fosse, tornò a guardarlo con lo stesso sorriso colpevole di poco prima. “Ah, ma non dire nulla della mia sbirciatina a Niijima-senpai, eh. Le sue ramanzine sono infinite.”

“Ha il mio silenzio”, rispose cortesemente, ancora confuso dal peculiare dialogo che aveva appena avuto luogo.

“Hoshimi, è ora, dobbiamo andare”. Come se la misteriosa donna avesse evocato la sua presenza, Niijima Sae li raggiunse all’interno del locale con la stessa espressione seria di sempre. “Perdonami per averti rubato del tempo durante i tuoi esami, Akechi-kun. Io e Hoshimi verremo a fare il tifo per voi al concerto.”

Così come era entrata, Niijima Sae abbandonò il locale, seguita a ruota dalla sua collega. Osservò la busta tra le sue mani. “Il mio unico intento è scoprire la verità.” Era una frase che apparteneva ad un anime di quando era bambino, uno dei tanti che aveva seguito con passione assieme a sua madre, sognando di diventare un eroe.

Sarebbe stata una lunga notte.

§

 

3 Agosto 20XX - Sera. Giorno del live.

“‘The Phantoms’ in scena!”

Il brusio eccitato della folla era udibile chiaramente sin da dietro le quinte brulicanti di giovani artisti persi nel loro mondo ma adesso che la Live House gremita di gente si presentava nella fitta penombra davanti a lui, Goro non era in grado di descrivere esattamente come si sentisse in quel momento. Aveva sempre nutrito un certo apprezzamento nell’essere al centro dell’attenzione di qualcuno e l’idea di avere gli occhi di così tanta gente su di sé lo avrebbe dovuto eccitare, ma in realtà non sapeva più nemmeno lui cosa voleva. Aveva trascorso notti insonni perso nei ricordi di sua madre e, sebbene avesse trovato alcune delle risposte che cercava, non sapeva ancora esattamente che farsene, che strada seguire.

Il suo sguardo cercò quello di Ren. Non si rivolgevano la parola dallo spiacevole litigio che aveva causato al Leblanc tempo prima ma non trovò alcuna ostilità nel modo in cui i suoi occhi grigi lo osservavano. Si voltò verso i restanti membri dei ‘The Phantoms’ soltanto per ricevere, nonostante i problemi causati fino a quel momento, dei sorrisi carichi di fiducia.
Le luci sul palco si spensero, il pubblico si acquietò.

“Joker?” chiamò, una nota di sfida nella voce proprio come la prima volta che lo aveva visto suonare sul serio.

“It’s showtime.”

Uno. Due. Un due tre quattro. Le bacchette di ‘Skull’ scandirono il tempo. Un riflettore si accese su Ren, un turbinio di rosso, nero e bianco e la voce di una chitarra. Goro si preparò alla propria entrata come aveva fatto decine e decine di volte durante le prove ma per la prima volta la sua chitarra gli parve un oggetto completamente estraneo.

"Hai una vita intera davanti per costruire ricordi felici."

"Credo che diciott'anni sia l'età perfetta per cominciare a vivere seguendo la propria musica."

Mi sento solo.

Voglio essere perdonato.

Non voglio dimenticarla.

"La tua canzone… mi ha fatto battere il cuore."

La sua diteggiatura era un disastro. Le luci dei riflettori erano accecanti. Nelle sue orecchie rimbombavano le note della sua canzone, la chitarra di Ren, le parole di sua madre.

“Sarei felice se un giorno anche Goro amasse la musica.”

Prese fiato. Forse gridare era l’unico modo creare silenzio nella sua testa, per far sì che il suo tempo ricominciasse a scorrere. Per questo Goro gridò le parole che avrebbe voluto rivolgere a sua madre tra gli sguardi fieri al contempo esterrefatti dei membri della sua band e le grida estatiche del pubblico.


Forse questo è un buon punto da cui ricominciare.

 

§

 

3 Agosto 20XX - Sera. Giorno del live.


La prima volta che si era esibito su un palcoscenico aveva tredici anni. Non ricordava bene i dettagli, solo che era andata malissimo. Nonostante quello, però, di quel momento gli era rimasta la distinta sensazione di essersi divertito tantissimo, di voler ripetere quell’esperienza ancora e ancora e puntare sempre più in alto. Era lì che il suo sogno era nato.
Con il passare del tempo e l’aumentare delle sue capacità quella sensazione aveva perso la sua intensità. Non aveva smesso di amare la musica o la chitarra - quello non sarebbe mai potuto accadere - ma aveva la sensazione che qualcosa si fosse incrinato… fino a quel momento.

Gli applausi, i fischi e le urla eccitate della folla giungevano chiaramente alle sue orecchie nonostante fosse nel backstage, intento a riprendersi da un’esibizione che gli aveva letteralmente tolto il fiato. Sebbene avesse già ingurgitato un’intera bottiglietta d’acqua, si sentiva tremendamente accaldato, i capelli che si ostinavano ad incollarsi alla fronte madida di sudore nonostante i tentativi di tenerli a bada. Gli pizzicavano gli occhi.

Goro era davanti a lui, lo sguardo lucido e l’espressione di qualcuno in procinto di piangere. Doveva andare, avevano altri tre pezzi da eseguire e gli altri lo stavano aspettando ma le sue gambe sembravano muoversi da sole verso di lui.

“Ren. Grazie per avermi portato fin qu-”

Passò una mano tra i capelli castani dell’altro, scompigliandoli, sorprendendosi di quanto fossero morbidi.

“Hai fatto un ottimo lavoro”, lo interruppe. Le sue braccia si strinsero attorno a Goro. Aveva il fiato corto, il respiro tiepido che gli solleticava il viso. Gli occhi color tè dell’altro non tradivano alcuna paura ma l’irregolare alzarsi e abbassarsi delle sue spalle si fermò bruscamente al breve, delicato contatto tra le loro labbra. Poi, così come si era avvicinato, si allontanò, la testa leggera e una voglia incredibile di suonare fino a distruggersi.

Goro lo osservava incredulo, le prime lacrime già impigliate nelle lunghe ciglia.

"Vado. Gli altri mi stanno aspettando."

Si voltò, perché come lui anche Goro aveva bisogno, in un modo o nell'altro, di riordinare i propri sentimenti.

"Ah, cavolo, mi viene da piangere", pensò mentre imbracciava nuovamente la chitarra. Un angolo della sua mente registrò Makoto presentare il pezzo successivo. "Mi sono innamorato."

 

§

10 Agosto 20XX - Tarda serata.

Yongen-Jaya era un quartiere che non avrebbe avuto alcuna attrattiva agli occhi di un turista. Rispetto alla caotica Shibuya, alla sofisticatezza di Kichijōji o al fascino moderno di Ikebukuro sembrava non avere nulla da raccontare, ma Ren era finito con l'innamorarsene al primo sguardo. Abitare in un piccolo quartiere residenziale significava conoscersi un po' tutti: il fruttivendolo che metteva da parte le verdure migliori per il curry, la vecchia coppia che gestiva il cinema che programmava una proiezione extra di quel film che tanto gli interessava e gli anziani alle terme pubbliche che domandavano come andassero la scuola, la musica, gli amici. Vivere a Yongen era come avere una famiglia allargata e Ren ne amava ogni singolo aspetto.

"Un fūrin? Non ti facevo un tipo così tradizionale."

"È un regalo di Yusuke per il mio compleanno, lo ha costruito e decorato lui", replicò osservando l'oggetto con un sorriso.

"Sembra un lavoro davvero ben fatto ma immagino ci fosse da aspettarselo da Yusuke". Goro prese posto accanto a lui, le braccia posate sul davanzale del suo attico. Il confortante profumo della sera estiva penetrava dalla finestra aperta. "Posso prenderlo? Sono curioso di leggere cosa c'è scritto."

"Se non ricordo male è un sōmonka tratto dal Man'yoshū", commentò divertito. Gli piaceva vedere Goro interessarsi a qualcosa di suo. "Fai pure, se ti incuriosisce così tanto."

Il più grande sembrò rifletterci su per qualche istante. "Sarebbe un peccato rovinarlo", decretò infine limitandosi ad afferrarlo con attenzione. Un delicato tintinnio si levò dall'oggetto. "Vediamo… 'Il debole suono del tuono, cieli annuvolati. Forse verrà la pioggia. Aspetteresti con me?'"

Ren sorrise, ricordando quella volta in cui, andando in visita al Planetario di Ikebukuro, aveva avuto una tanto bizzarra quanto sorprendentemente profonda conversazione su quei versi.

"Di recente ho scoperto che quei versi così criptici sono parte di una coppia di poesie", aveva detto Yusuke mentre attendevano l'inizio dello spettacolo.

"Una coppia?"

"Botta e risposta, per così dire."

"Oh. E cosa diceva la risposta?"

"Mmmh. Sono dell'idea che nella vita sia necessario un po' di mistero. Perché non la cerchi da te? Potrai godere del fascino dell'attesa e magari quando troverai la soluzione essa sarà per te più significativa di quanto potrebbe esserlo adesso."

La sua risposta l'aveva trovata pochi giorni dopo aver incontrato Goro, mentre curiosava nella solita vecchia libreria di Jinbochō assieme a Makoto. Tra gli scaffali gremiti di libri dal profumo antico aveva adocchiato una splendida edizione del Man'yoshū con illustrazioni ad acquerello che gli era costata lo stipendio di 3 turni di part-time. Dopo aver finalmente capito il significato del criptico "botta e risposta" menzionato da Yusuke aveva deciso che gli avrebbe regalato il prestigioso volume per esprimere la sua gratitudine.

"'Il debole suono del tuono, anche se la pioggia non cade io rimarrò qui insieme a te", citò dopo qualche istante, osservando il cilindro di vetro finemente dipinto a cui il pezzo di carta incriminato era attaccato.

Goro lasciò andare il fūrin con un altro tintinnio, rivolgendosi a lui con un'espressione a metà tra il divertito e lo scettico. "Qualcuno ha fatto i compiti, vedo. Dovrei interpretarla come una dichiarazione?"

"Beh, sì. Ma se non ti soddisfa posso andare sul classico", ponderò portandosi una mano al mento. In qualche modo doveva pur rimediare a quel momento di completo black out che lo aveva portato a baciarlo subito dopo la loro esibizione. "Sono innamorato di te, Goro", dichiarò con un sorriso.

Il diretto interessato lo osservò esterrefatto per qualche istante, la bocca socchiusa e gli occhi spalancati. "Oh."

"È così sorprendente? Pensavo fosse abbastanza ovvio dopo… quella volta."

Goro distolse bruscamente lo sguardo e Ren si domandò con una nota di panico se avesse nuovamente fatto qualcosa di inappropriato. "... non ti aspetterai che salti tra le tue braccia solo perché hai menzionato roba come "l'amore", spero." Il tono delle sue parole era aspro ma platealmente tradito dalla deliziosa tonalità di rosso delle sue orecchie.

"No", replicò candidamente, "volevo soltanto dirtelo."

Con un fruscio di tessuto Goro posò i gomiti sul davanzale, sporgendo appena il capo oltre la finestra. Nel cielo scuro sopra Yongen-Jaya brillava tenuamente il Triangolo Estivo. "Sei davvero sfacciato nel professare il tuo presunto amore per una persona marcia come me". La sua voce era pensierosa. "Immagino che a questo punto tu sia abbastanza masochista o fuori di testa da voler conoscere la mia patetica storia."

Seguendo i gesti dell'altro Ren si affacciò fuori, perdendo lo sguardo nella volta stellata. Era incredibile pensare che un cielo simile fosse visibile in un angolo remoto di una megalopoli come Tokyo. "Non sei obbligato a dirmi nulla. Immagino si tratti di ricordi piuttosto dolorosi."

"No, nessuno mi obbliga, ma sono abbastanza sicuro che non la finiresti più di ficcare il naso nei miei affari se non ti raccontassi qualcosa". Goro sospirò pesantemente. "Sono probabilmente quella che definiresti una "persona indesiderata". I miei genitori hanno divorziato subito dopo la mia nascita. Mio padre non ne voleva sapere niente di me e mia madre è finita con il crescermi da sola. Cinque anni fa quella feccia di mio padre le chiese di vedersi, dicendole che voleva tornare con lei e formare una famiglia felice. Stando a quanto dice la polizia, pare che in realtà quel vecchio drogato le avesse ripetutamente chiesto dei soldi per i suoi "passatempi" e che quando mia madre ha rifiutato lui l’abbia aggredita colpendola in testa con un oggetto acuminato. Lei è morta all’istante e lui un po' per follia, un po' per senso di colpa si è sparato un colpo in bocca. Dopo quel giorno sono stato passato di parente in parente, un po' come quando ci si vuole liberare in fretta di un frutto marcio e grazie all'intervento di Niijima Sae ho avuto il permesso di vivere da solo nell'appartamento di mia madre dall'inizio del liceo."

"Eh? Niijima-san?", chiese esterrefatto. Niijima Sae era una giovanissima e a dir poco brillante avvocatessa nonché sorella maggiore di Makoto, ma non avrebbe mai sospettato avesse un qualche tipo di legame con Goro.

"Si sono conosciute che Sae-san era appena entrata all'università, pare che abbia salvato mia madre da un borseggiatore in stazione." Ci fu un lungo istante di silenzio. In lontananza un uomo palesemente ubriaco ululava una qualche canzone tradizionale giapponese. "Beh, soddisfatto?", chiese infine Goro con voce amara.

“Di cosa dovrei esserlo?”, domandò Ren aggrottando appena le sopracciglia. Perché avrebbe dovuto provare soddisfazione nel sentire una storia così triste? Il solo pensiero di quanta solitudine doveva aver provato Goro durante la sua vita gli spezzava il cuore.

“Non fare quella faccia contrita, mi dà sui nervi”. Un altro sospiro. “Non ho bisogno della tua pietà né di quella di nessun altro. Se non fossi mai esistito avrei reso meno miserabile la vita di mia madre e quella dei suoi parenti, è un dato di fatto, ma… non ho intenzione di vivere come se fossi un rifiuto umano. Valgo più di quello.”

“Goro”, chiamò Ren. Un alito di vento tiepido scompigliò loro i capelli. Il fūrin tintinnò dolcemente. “Non sei solo.”

“Risparmiami i tuoi discorsi pieni di sentimentalismi ipocriti.” Sorrise.

"Ma io dicevo sul se-"

Un tuono lontano. Le labbra di Goro avevano il sapore del caffè del Leblanc e Ren si sentì come se fosse salito su un palcoscenico per la prima volta. Voleva suonare con lui ancora molte altre volte.

“Non farti strane idee. Detesto avere debiti con la gente”, si affrettò a commentare Goro con nonchalance. Iniziava a pensare che quel suo modo di parlare così tagliente, proprio come il suo atteggiamento eccessivamente brillante, servisse a nascondere i suoi veri sentimenti. “E ancor più averne con uno come te. Sappi che non accetterò la carità da buon samaritano tua e dei tuoi amici, anche se siamo membri della stessa band.”

Ren rise, beandosi della sensazione di euforia che soltanto i nuovi inizi sapevano dargli. “Se è una sfida sappi che sono un tipo piuttosto perseverante.”

“Fastidioso, vorrai dire.”

“Mi ferisci.”

“Ehi, Ren. Io… voglio cominciare a scrivere la mia musica, d’ora in poi.”

Voglio cantare ancora al tuo fianco.





BONUS:

“Ohi, Inari.”

“Ė ’Fox’.”

“Sì, Inari. Mi spieghi perché dobbiamo usare questi nomi in codice?”

“I membri di un gruppo di ladri fantasma non si azzarderebbero mai ad utilizzare i propri veri nomi durante un colpo.”

“Ma noi siamo una band.”

“La tua percezione dell’estetica lascia sinceramente a desiderare, Navi.”

“Ma ti piaccio lo stesso, Fox.”

“... temo di sì.”

 

 
Note dell'autrice - The end: ho TANTE cose da dire, ma cercherò di essere sintetica.

Innanzitutto. Hoshimi Ayame. Non è la Yoshizawa Kasumi della situazione: sono solitamente contraria agli OC, ma volevo rendere omaggio alla dolcissima SkyObserver, che ogni volta si legge le mie storie in anteprima e mi fa sapere che ne pensa. Il suo nome si scrive con i kanji di "iris" e "guardare le stelle", perciò il suo nome diventa "iris che guarda le stelle". Mi piace l'idea che gli adulti sappiano rendersi a modo loro utili ogni tanto. Ayame è il tipico personaggio un po' distratto ma che pensa in maniera davvero profonda.

I fūrin (scritto con i kanji di "vento" e "campanello") sono un oggettino adorabile parte della tradizione giapponese che sicuramente avrete visto millemila volte negli anime. Si tratta di quei "campanellini" di metallo o di vetro da cui pende un pezzo di carta con una qualche scritta che spesso si vedono appesi alle finestre assieme ai Teru Teru Bozu (quei fantasmini che si usano per attirare il bel tempo). Non hanno un significato particolare, sono lì per produrre un suono "rinfrescante" quando tira vento e si pensa che d'estate possano rendere il caldo più sopportabile.

Il Man'yoshū (lett. "mille foglie") è la più antica raccolta di poesie giapponesi esistente. Il caro botta e risposta che ho citato non è altro che lo stesso de "Il Giardino Delle Parole" di Makoto Shinkai, giusto perché io sono una persona molto originale e non vado usando cose già abusate, eh. Soumonka è invece il nome del tipo di componimento citato, ovvero una coppia di poesie d'amore in cui due amanti si scambiano proprio un "botta e risposta". 

Mi sono divertita a rendere RenRen una persona che ama i gatti ed amato da loro. E ovviamente ho messo il buon Mona perché è preziosissimo e lo amo quanto Ren. Riesco a sentire il suo "Neko janai!" in lontananza. Forse dovrei andare a dormire.

Essendo questa la prima volta in cui mi cimento in un papiro su un OTP così complesso vorrei sapere davvero cosa ne pensate. Non siate parsimoniosi di critiche e suggerimenti, se ne avete. Non mordo!


















































 


 









 




















































 
   
 
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