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Autore: MEBsSoul    21/06/2019    2 recensioni
John si sentiva oppresso dalla folla da tutta la vita. Ogni giorno, quando apriva bocca per dire qualcosa, doveva sempre ponderare attentamente ciò che avrebbe voluto dire. A volte mentiva, molto più di quanto voleva.
"Sono gay". Questo non doveva neanche pensarlo.
-
Lui non piaceva a nessuno, doveva essere lui ad adattarsi agli altri, perché non va bene che un ragazzo faccia il saccente, non va bene che un ragazzo trovi vera soddisfazione solo nel risolvere crimini, specie gli omicidi. Quindi meglio tentare una terapia che starsene con le mani in mano.
-
-So come potrei batterlo, ma ho bisogno della tua conferma.-
Non dovette pensarci molto.
-È più facile di come sembra. Non devi dargli uno schema.-
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Lestrade, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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CAPITOLO 7

 

I palloni da calcio entravano in porta un tiro dopo l'altro. Sistematicamente si sollevavano da terra, attraversavano l'aria e andavano in rete. Ormai John aveva fatto più di un centinaio di tiri e sembrava non avere la minima intenzione di fermarsi. Non si era mai allenato tanto, specie per una partita di cui tutti sapevano già il risultato. La squadra avversaria era davvero scarsa, ogni anno non superava mai neanche il primo giro. Ma proprio per questo John non si sarebbe mai perdonato neanche il minimo errore, non davanti a Sherlock. Non sapeva neanche se si sarebbe presentato alla partita, ma l'eventualità bastava e avanzava.

Era da solo, non gli era mai capitato di stare in quel campo enorme senza anima viva ed era strano, grazie al clima umido e nebbieggiante di Londra era quasi inquietante. Girandosi a guardare la parte opposta del campo, non si riusciva a trovare l'altra rete. Degli spalti per il pubblico si vedeva solo la struttura, lo scheletro. La nebbia non permetteva neanche di accorgersi dell'arrivo di qualcuno, infatti John non vide la sagoma che lo stava raggiungendo e rischiò di prendersi un infarto quando quella gli parlò.

-Ian Evans è tornato a scuola!- la voce emozionata di Sherlock arrivò alle orecchie di John come può arrivare uno schiaffo su una guancia.

-Sherlock!- il più basso si girò verso l'altro premendosi una mano all'altezza del cuore, col timore che potesse balzargli fuori dal petto -Mi hai spaventato a morte!-

-No, tu sei vivo e vegeto. La madre di Ian è morta e io potrò finalmente chiedergli quel che mi serve.- aveva la stessa espressione che potrebbe avere un bambino che finalmente trova il modo migliore per rubare la marmellata, un'espressione teneramente infantile che andava decisamente in contrasto con quella frase cinica e più che poco empatica.

-Sono sicuro che la polizia abbia già fatto tutte le domande che servono.- Sherlock per poco non scoppiò a ridere.

-Ma per favore, è già tanto che abbiano interrogato il marito!- da quando conosceva Sherlock, John aveva imparato che effettivamente la polizia non era così affidabile come si potrebbe pensare, ma il livello di disprezzo da parte di Sherlock era irraggiungibile.

-Va bene Sherlock, ma, ti prego, non essere insensibile.- non ci sperava neanche troppo, ma almeno aveva tentato.

-È per questo che sono qui invece che a parlare con lui: ho bisogno della tua gentilezza.- e in quel momento John avrebbe preferito sbattere la testa contro un palo per cadere in coma.

-Non ci tengo particolarmente a farmi mandare a fanculo.- l'aveva detto senza pensarci, era certo che Sherlock avrebbe afferrato automaticamente cosa intendesse. Ma Sherlock era abituato a determinate cose, il suo cervello allenato aveva inserito quella frase nel mucchio voluminoso di critiche e insulti, non poteva capire che John non intendesse che lui stesso lo avrebbe mandato a fanculo perché il pensiero non poteva neanche attraversargli la mente. Il suo entusiasmo calò tutto d'un colpo, togliendogli quel qualcosa da bambino che aveva appena arrivato.

-Beh, era troppo bello per essere vero, immagino.- John, che fino a quel momento aveva continuato ad allenarsi, si girò verso l'altro, non arrivando subito a comprendere di che cosa stesse parlando, ma non poté chiederglielo, visto che Sherlock se ne stava già andando via.

-Hey ma...- John non riusciva a capire.

Ma si è offesoLui?

Sherlock non si offendeva mai. Spesso John vedeva ragazzi che gliene dicevano di tutti i colori e lui al massimo rispondeva a tono, tanto per non lasciare loro l'ultima parola. E comunque non c'era niente per cui potesse essere offeso, John aveva semplicemente parlato della probabile reazione di Ian.

Beh, se non ci è arrivato ora, ci arriverà presto, si disse, per poi riprendere ad allenarsi.
 

***
 

La squadra di John stava per entrare in campo. Erano tutti tranquilli, sembrava si stessero semplicemente dirigendo verso uno dei soliti allenamenti. Solo John si sfregava le mani per nervosismo, solo lui continuava a girare su se stesso per guardarsi attorno, solo a lui dovevano ripetere le cose più volte per far sì che le sentisse.

-John?!- era la terza volta che uno dei suoi compagni lo richiamava.

-Cos... Ah, sì. Allora ragazzi, la vittoria di oggi l'abbiamo già in tasca, ma cerchiamo di non darlo troppo a vedere. Giochiamo bene e diamo al pubblico qualcosa...- si girò verso le tribune. Anche con la nebbia era chiaro: Sherlock non c'era. -... Qualcosa da vedere.- decisamente non era il discorso ispirato a cui i suoi compagni erano abituati, ma dovevano mettersi ognuno nelle proprie posizioni per iniziare, non c'era comunque più tempo.

La palla ricevette il primo colpo e la partita iniziò.

Dopo circa tre minuti la squadra di John aveva già fatto il primo goal. Ne arrivò un secondo, poi un terzo. Il punteggio saliva sempre più, ma tutti sapevano che non era certo grazie a John, che si era limitato a qualche buon passaggio e passava la maggior parte del tempo con gli occhi fissi al pubblico. Arrivati alla pausa dopo il primo tempo, non aveva fatto neanche un goal.

Il loro allenatore non aveva la faccia di un allenatore con una squadra vincente. Si avvicinò a John e lo prese da parte.

-Watson, fammi capire, ti ha piantato la ragazza?- John lo guardò confuso.

-No...-

-E allora si può sapere dove diamine hai la testa oggi?!- il tono di voce gli si era decisamente alzato, gli studenti con i posti più bassi probabilmente potevano sentire tutto.

-Mi dispiace...-

-No, Watson. O giochi bene o te ne stai in panchina. Le scuse tienitele per te. Se non ti tolgo dal campo è solo perché questa partita non conta un cazzo.- normalmente i modi duri dell'allennatore lo spronavano, ma quel giorno John sembrava avere dei tappi irremovibili nelle orecchie.

Iniziò il secondo tempo e i giocatori tornarono ai loro posti.

Le cose non andarono molto differentemente da prima. Ogni tanto gli avversari provavano ad andare in porta, ma con risultati davvero pessimi.

Poi a John venne passata la palla, a un minuto dalla fine della partita. E proprio in quel momento, senza neanche rendersene conto, lui alzò lo sguardo dal pallone alle tribune. E lì, in piedi contro le barricate più alte degli ultimi posti, c'era un ragazzo pallido, dai capelli ricci, con un cappotto enorme ma che gli stava divinamente e lo sguardo annoiato. I loro occhi si incontrarono, John sorrise. La palla gli toccò i piedi. E lui cominciò a correre. Tutti gli altri giocatori si bloccarono per un secondo e guardare la scena, poi ripresero a muoversi, ma avrebbero potuto perfettamente starsene immobili, tanto John filava dritto verso la rete. Arrivato alla distanza giusta, piegò la gamba destra, mirò alla palla e la colpì. Quando entrò in rete nessuno ne fu stupito, ma il modo in cui John aveva segnato, il suo improvviso risveglio, fecero esultare e saltare in piedi gli spettatori nello stesso momento in cui si sentì il fischio di fine partita.

La squadra vincente si riunì attorno a John per festeggiare. L'allenatore finalmente tirò un sospiro di sollievo e si godé gli applausi del pubblico.

John festeggiò insieme agli altri, per un secondo si scordò anche cosa, chi, lo aveva fatto scattare. Ma gli bastò girarsi casualmente nella direzione di Sherlock per riportare tutti i suoi pensieri a lui.

Lo vide allontanarsi dalla calca di persone che gridavo vittoria. Neanche pensò a cosa fosse meglio fare, semplicemente si allontanò anche lui sotto gli sguardi allibiti della squadra per seguirlo.


***
 

Sherlock zoppicava. Si notava a malapena, lo nascondeva bene con il suo fare deciso e il cappotto lungo, ma zoppicava.

John stava per chiamarlo quando lo notò, e la cosa gli fece richiudere la bocca.

Gli hanno fatto male, non può essere successo per sbaglio. Non aveva un vero motivo per pensarlo, ma John sapeva che era così.

Il sangue gli ribollì nelle vene, fu la rabbia a smuoverlo.

-Sherlock!- il moro si girò, sapendo bene che lo aspettava una sfilza di domande -Cosa è successo?- Sherlock notò che si riferiva alla sua gamba e non al suo ritardo alla partita o a ciò che era successo quella mattina. La sua priorità era la sua gamba. Chiunque ne sarebbe stato grato, ma Sherlock rimaneva offeso. Sherlock non vedeva la preoccupazione e l'affetto dietro a quella domanda. Sapeva che John era il tipo di persona che bada prima alla salute altrui, quindi l'aveva preso per un gesto scontato, un'inevitabile avvenimento dovuto a determinate caratteristiche di una determinata persona.

-Diciamo che Ian si è limitato a mandarmi a fanculo a parole. Ma i suoi amici hanno pensato che in qualche modo farlo anche con i fatti fosse meglio.- John strinse i pugni per la rabbia, ma allo stesso tempo abbassò lo sguardo per il senso di colpa. Sapeva che poteva succedere, poteva evitarlo, ma non aveva fatto niente. Se fosse andato con Sherlock, se avesse parlato con Ian al posto suo... Sì, sarebbero certamente volate parole scortesi, Ian stava comunque attraversando un periodo schifoso, ma forse quei ragazzi non avrebbero sentito il bisogno di difendere il loro amico. Un modo di difendere certamente discutibile, ma la morte di qualcuno di caro crea sempre molti squilibri, tira fuori sfaccettature che spesso le persone non hanno neanche idea di avere.

-Cristo, Sherlock, mi dispia...-

-Risparmia le parole, John. Non sono certo un paio di spintoni il mio problema. Il mio problema è che non potrò più neanche avvicinarmi a Ian, figuriamoci interrogarlo.- era già partito a passo svelto, facendo uno sforzo che avrebbe dovuto evitare, ma con John non ci voleva proprio parlare. Un approccio a una qualsiasi sfera emotiva, in quel momento molto più del solito, era l'ultima cosa di cui aveva bisogno.

Sentì la mano di John tentare di fermarlo afferrandogli la manica del cappotto, ma si scansò.

-Sherlock, devi andare in infermeria.- tanto non si era fermato, non ne aveva la minima intenzione.

-Puoi placare i tuoi istinti medici. Sono arrivato.- John aggrottò la fronte. In quella zona, per quel che ne sapeva, c'erano solo le aule e, più in là, la seconda uscita per la mensa. Eppure Sherlock spalancò una porta, per poi chiudersela dietro una volta entrato, il tutto con la sua immancabile teatralità.

John si avvicinò a quella porta, sbattendo una manciata di volte le palpebre per assicurarsi di aver letto bene la scritta su di essa.

Ufficio Psicologo Scolastico.


***
 

Nell'attesa John si era messo a giocherellare con dei fili d'erba. Per un po' aveva aspettato in piedi, ma passati venti minuti circa si era seduto sul muretto delimitante il corridoio che separava aule, mensa e, a quanto pareva, l'ufficio di uno psicologo dal cortile interno. La struttura della scuola era una delle cose che più preferiva di quel posto. Quelle poche volte in cui era solo e miracolosamente in pari con lo studio, amava girovagare nei giardini che avevano a disposizione, anche se erano pochi e piccoli. Per un secondo aveva considerato l'idea di andare a farsi un giro mentre aspettava Sherlock, ma il suo compagno di stanza era imprevedibile, l'incontro con lo psicologo sarebbe potuto durare un'ora così come uno scambio di due battute, una dello psicologo e una di Sherlock, uno Sherlock acido e con zero interesse nella conversazione.

L'improvviso interesse per la botanica non era l'unica cosa con cui aveva ammazzato il tempo. Mille domande erano state la maggiore distrazione di John. Domande a cui avrebbe anche potuto rispondere in modo ovvio, ma, nonostante Sherlock riuscisse a leggere il mondo con un'occhiata, lui era invece un continuo mistero.

Alle domande, si erano poi aggiunte infinite incertezze. Ma davvero aspettarlo lì, farsi trovare subito davanti a lui dopo un probabilmente fastidioso colloquio psicologico e porgli tante domande era la cosa migliore? No, non lo era. Però poteva anche esserlo.

Nel dubbio, John era rimasto.

Ma tanto, appena la porta si riaprì, rivelando uno Sherlock forse più nervoso di prima, John mandò a quel paese domande e incertezze, che davvero non erano la cosa migliore, sicuro non in quel momento. Quel momento era per Sherlock.

-Ti chiedo scusa, davvero.- disse John -Se ancora lo vuoi, parlerò con Ian.-

Sherlock lo guardò. Uno sguardo alla Sherlock, quindi non un vero e proprio sguardo. Se non fosse che Sherlock era un essere umano, si sarebbe potuto dire che era più una radiografia comportamentale, per capire perché chiedere prima scusa e parlare di Ian piuttosto che chiedere qualcosa tipo "Ma da quando vai dallo psicologo? Sei davvero uno psicopatico?". Se Sherlock fosse stato un sentimentale, probabilmente la sua risposta all'analisi sarebbe stata "Magari ho fatto bene a pensare che fosse troppo bello per essere vero." però no, non era proprio un sentimentale. Ma una persona con una buona testa sì.

-Se proprio ci tieni.-


***
 

Ian era vicino ai dormitori del secondo piano, affacciato verso il piccolo giardino sottostante, esattamente dove era quando aveva avuto una parvenza di conversazione con Sherlock, perciò John non ci mise molto a trovarlo. Ci era andato da solo, se Sherlock fosse andato con lui, la chiacchierata sarebbe stata ancora più misera della precedente. Per fortuna gli amici del ragazzo se ne erano andati, altrimenti l'autocontrollo e la buona volontà di John sarebbero scomparsi.

-Hey, Ian.- i due in realtà non è che si conoscessero molto, praticamente per nulla, l'anno precedente avevano condiviso la classe di storia, o almeno a John sembrava di ricordare che la materia fosse quella. Avevano parlato ogni tanto, erano giusto quelle due o tre frasette che in una classe si dicono a tutti: "Che ansia per la verifica", "Hai una matita?", "Ma che ore sono? Fra quanto finisce la lezione?".

Ian conosceva John più di quanto quest'ultimo conoscesse l'altro, per via del calcio e delle persone collegate a esso, cosa che aiutava, seppure minimamente, a far sentire John meno in imbarazzo per ciò che stava per fare.

-Hey.- il ragazzo aveva gli occhi lucidi e una faccia stravolta, anche un po' confusa per l'arrivo di John.

-Senti, lo so che praticamente siamo due estranei, ma volevo dirti che mi dispiace.- e, nonostante fosse lì per delle informazioni, era vero. Di base, John non poteva capire nè tanto meno accettare che un essere umano possa volerne ucciderne un altro, figuriamoci se, seguendo le intuizioni di Sherlock, l'omicidio ricade su una persona completamente a caso -Se vuoi parlarne con qualcuno, con me puoi farlo, quando vuoi.- non avrebbe fatto delle domande dirette come Sherlock. Per quello che serviva di sapere a loro, bastava uno sfogo di Ian.

-Non ti conosco.- la voce del ragazzo era molto più bassa di quella che di sicuro avrebbe avuto normalmente.

-Magari è meglio così. A volte, è più facile confidarsi con chi non si conosce.- Ian annuì, ma con assenza e uno sguardo vuoto, sembrava più un riflesso condizionato, come se il messaggio l'avesse ricevuto il suo cervello ma lui no. John si chiese come quel ragazzo avrebbe mai potuto chiedere agli amici di picchiare Sherlock. Forse, si disse, era stata un'idea solo di quegli idioti e Ian non aveva reagito, così come non stava reagendo in quel momento.

Seguirono alcuni minuti di silenzio. John non l'aveva interrotto perché voleva lasciargli tempo, ma anche perché non sapeva davvero che altro dire. Per lui, era una situazione assurda e inimmaginabile. Cosa dici a chi ha appena perso qualcuno di caro? Un genitore per di più. Lui, da questo punto di vista, era fortunato: aveva ancora i nonni, entrambi i genitori e sua sorella. Le discussioni e le incomprensioni c'erano, specie con Harriet, ma mai niente di tragico.

Dal completo mutismo, Ian passò al diventare una cascata di parole e di lacrime.

-Hanno... Hanno detto che le hanno sparato, che forse è stato un cecchino e... E ho visto il suo corpo, è stato orribile, peggio del funerale.- parlava e incespicava sulle parole talmente tanto che John faticava a stare dietro a tutto -Io non capisco, era bravissima, la amavano tutti, io... Io la amavo. Era la madre migliore del mondo.- crollò a terra, i singhiozzi troppo violenti per poter dire una parola di più. Solo ogni tanto, John, mentre cercava di consolarlo, riusciva a distinguere la frase "Non c'era motivo" ripetuta più e più volte, finché le lacrime nel corpo di Ian non si esaurirono e gli restarono solo pochi singhiozzi.

Ci fu ancora più silenzio, poi Ian sembrò tornare da un universo parallelo e si rivolse a John.

-Grazie.- John gli sorrise e gli poggiò una mano sulla spalla.

-Non ringraziarmi. Ovviamente, se avrai ancora bisogno di parlare, con me potrai farlo.- Ian annuì di nuovo, stavolta più convinto.


***
 

Sherlock era al settimo cielo.

-È un sadico!- John cercò di capire come questo potesse in qualche modo essere una buona cosa, ma inutile dire che fallì miseramente.

-Come, prego?- Sherlock alzò gli occhi al cielo.

-L'assassino è un sadico. Di solito, quando si uccide una persona a caso, si prende qualcuno di insignificante, che non mancherà a nessuno.-

-E questo è positivo perché...?-

-Sto delineando il profilo del killer. E sì, il fatto che Imogene fosse una persona amata potrebbe comunque essere un caso, ma allora perché sparare a una donna in un appartamento? Perché non a qualcuno in strada? Tanto, non l'avrebbero visto comunque.- a John si illuminarono gli occhi.

-L'ha cercata! Non ha sparato sulla strada perché aveva lei come obbiettivo!- Sherlock sorrise.

-Vedo che impari in fretta. Quindi sì, è stata una vittima a caso perché non aveva motivo di essere uccisa, ma non completamente a caso, visto che si è informato su dove abitasse.-

John cominciava a sentire l'adrenalina, cominciava a capire perché a Sherlock piacesse tanto dedicarsi al crimine.

Faceva sentire vivi.

 


Angolo Autrice:

Salve persone!
Finalmente stiamo approfondendo anche quel che gira nella testolina complicata di Sherlock.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e se è così fatemelo sapere con una recensione!
Ora che sono cominciate le vacanze, posso dirlo: a presto!

   
 
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