Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: shirupandasarunekotenshi    24/06/2019    0 recensioni
Fanfic ambientata in seguito agli eventi raccontati nell'oav "Message". Ryo e i nakama si sono ritrovati e capiscono che non possono più separarsi e che il senso della loro esistenza lo troveranno solo nello stare insieme. Ma Realizzare tale sogno potrebbe non rivelarsi così semplice.
Dinamiche polyamorose. Non si trova tra la opzioni così lo diciamo nell'introduzione: possiamo definirla una fivesome più che threesome :P
Questa fanfic andrebbe letta dopo la nostra "Owari no mae ni owari".
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome
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CAPITOLO 12
 
Era ormai metà pomeriggio nella città di Sendai e il buio stava prendendo il sopravvento sulla luce del tramonto. In casa Date quel momento segnava l'ora della cena in famiglia, il momento in cui tutti si riunivano, senza esclusione, senza impedimenti di lavoro, scuola o vita esterna.
Era il nonno, il capofamiglia dei Date, ad aver stabilito quella tacita regola ed era assodato come la parola dell'uomo fosse incontrastabile per ogni membro della famiglia.
Seiji lo sapeva che, formalmente, doveva essere quello il momento in cui avrebbe riferito la propria decisione; per quanto non fosse affatto da lui, le gambe gli tremavano quando lasciò la sua stanza per recarsi nella sala da pranzo.
Saigo, il grosso gatto di casa, venne a salutarlo strofinandosi sulle sue gambe, con un buffo miagolio: sembrava volergli fare coraggio.
Il ragazzo sorrise e si chinò a lasciargli una carezza, pensando che, insieme a Satsuki, sarebbe stato l’altro membro della famiglia di cui avrebbe sentito la mancanza. Gli sarebbe piaciuto portarlo con sé, ma non era sicuro che avrebbe preso con tranquillità la presenza di una tigre a convivere con lui.
Inoltre Satsuki gli era troppo legata, erano praticamente cresciuti insieme, sarebbe stato come privarla di un altro fratello.
Richiamare alla mente l’immagine della sorella parve farla materializzare per magia nel corridoio: la ragazzina era lì, ferma, ad osservarlo con aria preoccupata.
“Seiji-Niisan...”. Davvero, cosa poteva dire? Sembrava tutto troppo semplice o banale. La ragazzina strinse le mani e le labbra, poi si sciolse e sospirò. “Almeno fai un sorriso...”.
E lui lo fece, perché non poteva negarglielo, ma se era facile piegare le labbra all’insù, non lo era altrettanto trasmettere il sorriso agli occhi, perciò era certo di non risultare troppo credibile.
“Sono solo un po’ nervoso, sto riflettendo... sul modo, sai? In realtà non so se sia una buona idea dirlo davanti a tutti; vorrei parlare con Ojiisama in privato, ma qualcuno potrebbe non perdonarmelo”.
E già così... parlare di perdono risuonava persino prematuro.
Era ben altro ciò per cui, probabilmente, la maggior parte della famiglia non lo avrebbe perdonato.
La ragazzina sospirò ancora, ma non replicò; si limitò a far strada al fratello fino alla sala da pranzo dove tutto ormai era pronto per il pasto.
Seiji si sistemò alla sinistra del nonno che, con sguardo severo ma caldo, salutò il nipote. Il ragazzo chinò il capo in segno di rispetto e si abbassò, con i suoi soliti modi aggraziati, fino ad assumere la posa più composta possibile; maledisse le proprie gambe che ancora tremavano, nonostante tutto il suo impegno per mantenere una fermezza impeccabile.
Come cominciare? Come esordire?
Avrebbe dovuto farlo subito.
Si chinò verso il vecchio e udì, distante, la propria voce sussurrargli qualcosa.
Quando aveva deciso di parlare? Quando aveva cominciato a farlo?
Eppure... lo stava facendo.
“Ojisama... io dovrei dire una cosa importante”.
Aveva davvero pronunciato quelle parole? Era la sua immaginazione?
L'ombra di una domanda si dipinse negli occhi dell'uomo, poi fece un cenno con il quale autorizzò il nipote a parlare.
Ecco... si era inguaiato.
E si era reso conto di non avere neanche preparato un vero e proprio discorso.
Aveva agito d’impulso, ma forse l’aveva fatto perché non c’era alcun altro modo per affrontare quella situazione: più ci avesse riflettuto, meno avrebbe trovato il coraggio e le parole e, a quel punto, capì.
Non vi era nulla da preparare, la decisione l’aveva presa per restare accanto ai suoi nakama e, grazie a loro, aveva imparato che il cuore era la cosa più importante.
Era l’occasione per dimostrarlo.
Seguire l’istinto, per lui, significava seguire il cuore, quello stesso cuore che adesso sentiva battere in petto all’impazzata, con una frenesia dolorosa che si fece ancora più intensa nel momento in cui fece passare il proprio sguardo lungo tutta la tavolata, ad incontrare gli occhi di ciascun membro della sua famiglia.
Dopo il nonno, la nonna aveva levato i suoi due occhi ancora più duri, se possibile, di quelli del capofamiglia; la madre, già si vedeva, avrebbe preso le redini di tutto se uno dei genitori fosse mancato; il padre, con i suoi occhi buoni, si limitava ad osservarlo con una vaga curiosità; Yayoi-Neesan... lei non la temeva, no, non temeva quell’espressione di sfida che aveva sempre nei suoi confronti quando lui mostrava di voler agire secondo canoni che glielo rendevano irriconoscibile, ma era perfettamente consapevole che, da lei, non avrebbe mai ottenuto appoggio.
E infine Satsuki e sulla piccola di famiglia si soffermò di più, alla ricerca di qualcosa.
Questa lo guardò con aria seria, ma in quello sguardo di ossidiana trovò il coraggio che pareva scivolargli di dosso.
Le parole uscirono, fluide, anche se lui aveva la sensazione di guardarsi dall’esterno mentre, con tutti quegli occhi puntati addosso, parlava a voce alta:
“Ho preso una decisione; non crediate che non ci abbia riflettuto bene, ma ritengo sia la decisione migliore... per me...”.
Quel per me era la chiave di tutto e, forse, ciò che ai suoi familiari avrebbe dato più fastidio.
Gli occhi di tutti si incollarono al ragazzo: nonna, madre e Yayoi recavano una sorpresa livida, il padre pareva confuso, sorpreso e un po’ stranito.
Il nonno sembrava pronto al peggio... ed era la peggior prospettiva.
Niente di strano, era più o meno la reazione che Seiji si era aspettato, esattamente così come si stava verificando. Eppure si sentì la bocca arida quando riprese a parlare:
“Non posso continuare ad insegnare nel nostro dojo...”.
Primo passo fatto... ed era forse il più facile, non che l’avrebbero accettato tutti a cuor leggero, ma non era la cosa peggiore che era sul punto di annunciare.
Ciò di cui maggiormente si stupì, fu la fermezza che riuscì a mantenere nel pronunciare ogni singola parola e anche nella pausa che decise di imporsi.
Yayoi non riuscì a trattenere il nome di Seiji, pronunciato con labbra tremanti, ricevendo così un'occhiata di biasimo dal nonno che, con un sospiro, aprì finalmente bocca.
“Vuoi spiegarci il perché?”.
Calmo, fin troppo. L'uomo sembrava aver intuito che quello era solo l'inizio.
Seiji annuì, lento.
Anche lui era troppo calmo, quella calma con la quale, di solito, metteva a tacere la paura, proprio come in battaglia.
“Perché non sarò io a portare avanti il nome dei Date qui a Sendai...”.
E stavolta furono la madre e la nonna a perdere il sangue freddo: non era possibile che fosse il loro Seiji a parlare così, cos'era successo?!
“E chi dovrebbe farlo, allora?” replicò gelido il nonno. “Se non il mio unico nipote maschio?”.
“Io credo che Yayoi-Neesan sia molto più adatta di me... e molto più degna, non fosse altro perché lo meriterebbe di più”.
E Yayoi era ancor più livida in volto, le labbra strette in una linea sottile.
“E da quando tu hai di questi... piani?”.
Seiji posò gli occhi su di lei; da tempo aveva imparato a sostenere il suo sguardo.
“Non credere che questo piano sia stato preso da me alla leggera, Neesan”.
La sorella fece per aprire bocca, ma intervenne nuovamente il nonno.
“E tu, erede dei Date, cosa vorresti fare?”.
Il ragazzo tentò di mostrarsi altrettanto fermo con lo sguardo del nonno, ma non gli fu possibile e tenne il viso basso nel rispondergli, per quanto la sua voce si mantenesse alta e chiara:
“Vorrei frequentare l’università a Tokyo”.
Una mezza verità... era angosciante pensare che non riusciva mai ad essere del tutto sincero proprio con chi avrebbe, forse, dovuto esserlo di più.
Ma la risposta fu fin troppo facile per il nonno.
“E poi tornerai qui, non mi sembra un passo che ti possa portare lontano dai tuoi doveri familiari. Sono quattro anni”.
Avrebbe dovuto saperlo in fondo; non essere sinceri non pagava... mai.
“No, Ojisama... non tornerò”.
A quel punto il silenzio calò sull'intera stanza: solo il bollire del brodo in cui era immersa la verdura, sul fornello al centro del tavolo, risuonava tra i famigliari.
“Tu non... tornerai?!”.
Alle labbra di Seiji sfuggì un sospiro.
“Io amo la nostra famiglia, lo sapete... lo sapete tutti e non rinnegherò nulla. Ma sento che non sarei in grado di portarne avanti le tradizioni”.
“E cosa ti pesa così tanto, nipote? La responsabilità o l'amore di questa famiglia?”.
L'uomo anziano si era alzato, per la prima volta perdendo la compostezza che sempre teneva in ogni situazione e la dignità.
Ma per il nipote, il suo adorato Seiji, che aveva accudito così tanto da bambino, che lo aveva ripagato in tutto, soprattutto con tanto orgoglio... per lui come poteva rimanere impassibile?
L’aridità nella bocca di Seiji si diffuse a tutto il corpo, deglutì con fatica.
“Io... non posso seguire... alcune regole... Ojisama, non potrei”.
L'uomo non rispose, sospirò, covando negli occhi un bollore appena controllato. Si alzò, sconquassando la rigidità di moglie e figlia, mentre genero e nipoti lo fissavano con sguardi contrastanti.
Era il preludio della tempesta e, suo malgrado, Seiji fu scosso da un tremito, la voce risultò un poco più instabile:
“Io non posso dare eredi alla famiglia, Ojisama, non potrei mai sposare una donna... scelta da altri per me”.
La mano dell'uomo si strinse con forza, voltò definitivamente la schiena e si allontanò dal tavolo.
Anata?” chiamò la moglie, delicatamente.
“Otoosama?” fece la figlia con ansia, alzandosi e facendo cenno di raggiungerlo.
“Fai quello che preferisci, allora”. La voce asciutta e incolore dell'uomo bloccò ogni altra mossa. “Ma non pensare di trovare in me dell'approvazione”.
Non che avesse mai pensato di trovarla, in effetti; ci aveva sperato, certo, ma scommetterci proprio no.
In realtà le cose erano andate esattamente come Seiji si era aspettato... e allora perché si sentiva così triste, così vuoto?
Il suo volto restava basso, in quel momento non osava guardare nessuno.
Si sentiva solo, il pensiero dei nakama contribuiva a renderlo determinato e convinto delle proprie decisioni, ma loro non erano lì in quel momento e gli mancavano terribilmente.
Avrebbe voluto essere già a Tokyo, in mezzo a loro.
Avrebbe voluto poter abbracciare subito Touma.
Nessuno di loro seguì l'uomo quando uscì dalla sala: la nonna scosse la testa e si ritirò nella cucina, lanciando prima uno sguardo addolorato verso il nipote.
Rimase così nella stanza la famiglia più stretta.
“Seiji, figliolo...” cercò di iniziare il padre, alzandosi dal tavolo. Ma fu zittito dalla moglie che, più veloce di lui, si avvicinò al figlio.
“Seiji! Hai idea di quello che stai facendo?!”.
Aveva perduto il sangue freddo, ora era preda di sentimenti squisitamente genitoriali.
“Okaasama... non l’avrei mai detto se non ci avessi pensato... hai sempre saputo che ragiono su quello che faccio, la mia coscienza brucia e brucerebbe anche se rinunciassi ai miei piani”.
“E allora perché?!”.
Non riusciva, forse non voleva nemmeno capire.
“Perché devo farlo, non sono in grado di dare a questa famiglia quello che si aspetterebbe da me!”.
La donna si portò con gesto drammatico le mani al viso, ma solo per scaricare un poco del nervosismo su qualcosa.
Fu allora che Yayoi si intromise, con maggior durezza:
“È per quei ragazzi, vero?! È sempre stato per loro!”.
Seiji la fissò con sguardo fermo; l’angoscia lasciò per un po’ spazio a un’aperta ostilità e il nervosismo rischiò di scaricarsi su di lei, ma Seiji era un gentiluomo, dopotutto, e trattenne tutta la furia che avrebbe voluto esternare.
“Sarò sincero fino in fondo: andrò a vivere con loro... e voglio studiare a Tokyo”.
E la giovane donna percepì l'ostilità, ma le tenne testa, con fin troppa arroganza.
Fu il padre a fermare ulteriori parole negative tra di loro.
“Non è il caso di aggiungere altro stasera”. Poggiò una mano sulla spalla del figlio, a lui così somigliante, e l'altra su una mano di Yayoi.
Seiji cercò il suo sguardo, ne sentì un profondo bisogno... il bisogno di un padre.
Non sapeva cosa voleva trovare, ma si rese conto di atteggiare la propria espressione ad una sorta di supplica.
“Dormirci sopra sarebbe la cosa migliore” continuò l'uomo stringendo appena spalla e mano. “La stanchezza del giorno non aiuta la lucidità che ora ci serve”.
Seiji scosse il capo e abbassò di nuovo gli occhi.
“Troverò la loro rabbia amplificata al risveglio. Temo di averli persi per sempre... non mi illudo”.
“Seiji... forse ci vuole del tempo... loro ti vogliono bene... tutti noi te ne vogliamo”.
Gli occhi di Seiji si rialzarono, lo fissarono con una certa, rabbiosa durezza: non era rabbia nei confronti del padre, ma di ben altro.
“Ne vogliono di più all’onore dei Date, temo”.
L'uomo scosse la testa, ma non poté negare la goccia di dubbio stillata in lui.
“Niisan...” bisbigliò finalmente Satsuki, gli occhi già pronti al pianto.
L’ultima cosa che Seiji avrebbe desiderato era che Satsuki risentisse di quella situazione, ma cosa poteva fare?
Si staccò dal tocco del padre e, in silenzio, si allontanò dalla sala da pranzo; aveva bisogno di prendere in mano il telefono, aveva bisogno di sentire almeno uno dei suoi nakama.
Ma anche loro avevano da fare, anche loro avevano problemi da risolvere... e tutto per poter stare insieme.
Stare insieme... da sempre una lotta... per loro la cosa più ovvia, l’unica certezza: il loro voler stare insieme, il loro essere completi solo insieme, il cuore come uno...
Eppure, da sempre, si presentava come l’impresa più difficile.
  
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