Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: _Woodhouse_    24/06/2019    5 recensioni
❝Lo osservò dormire, sfiorando di tanto in tanto le linee insidiose delle sue costole, incastrata negli occhi di un altro, nel ricordo del suo respiro, affogata, vittima masochista del piacere che le procurava il ricordo della tensione che si librava fra i loro corpi e della complicità che aveva avvertito, mentendo insieme a lui, due volte e senza ragioni.❞
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Capitolo 15.



Si perse tra gli scaffali, senza guardarsi indietro, con addosso la sensazione assurda che lui la stesse seguendo e che le fosse ad un passo di distanza. Si voltò di scatto, ma ovviamente lui non c'era. Cosa ci faceva lui lì? E non lì in una biblioteca di Londra, ma proprio lì in quella biblioteca, placido come se fosse certo di trovarla lì o come se la sua presenza non fosse rilevante. Delle due l'una.
Tuttavia, considerato il loro ultimo incontro e le parole serafiche e taglienti che le aveva rivolto in auto, era molto più logico che si trovasse lì per caso e che non avesse nessuna intenzione di trovarsela tra i piedi. Doveva per forza trattarsi di una casualità, una spiacevole, sfortunata casualità. Per entrambi.
Rimase ancora qualche minuto nascosta tra gli scaffali, poi si fece coraggio e si diresse verso il suo consueto tavolo di studio, su cui erano già chinati altri due ragazzi. Fece un sospiro di sollievo, quasi si aspettasse di trovarselo di fronte e iniziò a disporre i libri sul tavolo.

Ci aveva provato, chiunque lì dentro avrebbe potuto testimoniarlo, ma dopo quasi un'ora sulla stessa pagina capì che quella mattina non avrebbe portato a termine nemmeno  la metà dei compiti che si era prefissata; probabilmente non avrebbe nemmeno mai visto il retro di quella prima, unica pagina. Si era sforzata di non dare peso a quella circostanza, ma il pensiero che James fosse lì chissà dove, a pochi metri da lei, la rendeva irrequieta. Erano passate settimane da que ll'inquietante scena vicino al lago, dalla scoperta del libro di poesie nella borsa, dai deplorevoli pensieri che gli aveva rivolto, e per fortuna riprendere la routine londinese aveva depositato un velo spessissimo su quegli avvenimenti, rendendoli un sogno lontano o il ricordo di qualcun altro; trovarselo improvvisamente di fronte, però, aveva repentinamente sollevato il velo, ribaltando ancora una volta l'ordine dei suoi pensieri. Insomma, aveva ormai smesso da tempo di arrovellarsi con assillo sul come e sul perché quel libro fosse finito nella sua borsa, smettendo quindi anche di domandarsi se non fosse stato lui a infilarcelo. Come aveva potuto pensarlo, poi? Quell'uomo le avrebbe staccato un braccio, piuttosto che lasciare che lei avesse uno dei suoi libri. Ma quegli interrogativi, che credeva ormai sfumati, tornarono a tormentarla, insieme a quelli che si era posta per giorni e giorni riguardo quell'episodio al lago. Perché l'aveva portata lì? E perché diavolo era stata così orgogliosa e avventata da non lasciare che lui spiegasse il suo comportamento? L'avrebbe mai scoperto? E perché ad un certo punto le aveva espresso il desiderio di non rivederla mai più?
Chiuse il libro con un tonfo secco.
Decise di alzarsi per scaricare un po' di tensione passeggiando tra i corridoi, sperando di trovare un libro di narrativa o poesia che le regalasse qualche minuto di pace. Forse, poi, avrebbe ripreso a studiare con più facilità. Lasciò che le dita scorressero sui dorsi polverosi dei libri e sognò di perdersi in quell'immensa, labirintica, meravigliosa fila di scaffali. Un momento tanto leggero, spezzato, scaraventato fuori dalla finestra dalla vista di lui, lì, proprio di fronte a lei, come uno spettro materializzatosi dalla polvere. Rimase di sasso, lo fissò sforzandosi di appararire rilassata e gli andò incontro e anche lui si mosse verso di lei.

- James? - domandò con finta sorpresa.
- Josephine. - pronunciò con la sua solita faccia da schiaffi.
- Come mai da queste parti?
Cioè qui, proprio qui davanti a me?
Lui fece un'espressione scocciata, come se gli fosse stata rivolta la domanda più inconcludente di sempre.
- Affari, ovviamente. Ricordi la mia azienda, quella in cui si trattano fogli di carta stampata rilegati insieme, comunemente chiamati libri?
- Fa' come se non te l'avessi chiesto. - replicò indispettita. Era peggio di come lo ricordasse.
- Non ti offendere, su. - fece con un tono fastidiosamente accondiscendente - Perché non mi dici cosa ci fai tu, qui? Giocavi a nascondino con i tuoi amici immaginari? Spero di non aver interrotto nulla. - disse fingendo un'espressione di profondo rammarico.

Lei lo scrutò, inorgoglita e dimentica di essersi raccomandata di trattarlo con superiore distacco. Ma davvero, come aveva potuto pensare anche solo per un secondo di essere attratta da un uomo la cui idea di gentilezza era probabilmente concedere a se stesso di guardarsi allo specchio?

- Tranquillo, se n'erano già andati via. Nemmeno loro desideravano incontrarti. - fece lei laconica.
- Che gentaglia.- commentò incredibilmente serio, mentre si infilava le mani in tasca e si avvicinava a lei.
- E per la cronaca io qui ci studio. Sai quella cosa che si fa su quei fogli di carta stampata rilegati insieme, che i più chiamano libri?
Il tono sarcastico di Josephine si smorzò sul finale, quando all'improvviso venne colpita in pieno viso dal profumo destabilizzante di James. Per tutta risposta lui si limitò a schioccare la lingua e a guardare l'orologio.
- Meglio che vada. Non sia mai che io ponga impedimenti tra te e la tua istruzione.
Aveva davvero  citato Shakespeare o se lo era immaginato?
In ogni caso, si era già voltato, offrendole la visione esteticamente perfetta della luce del sole sui  capelli e le spalle di lui, lui così vicino agli sbuffi di polvere sospesi fra loro e gli scaffali.
Sembrava quasi un angelo.
Lucifero, ovviamente.


 
***

Entrambi, seppur in momenti differenti, si allontanarono dalla biblioteca riuscendo a pensare unicamente a quell'incontro. Josephine varcò l'uscita incomprensibilmente nervosa e contrariata. Non sapeva e si sforzava di non domandarsi apertamente se a darle più fastidio fosse stato il suo solito atteggiamento o il suo solito atteggiamento a dispetto di quello che era successo o che non era successo durante il loro ultimo incontro. Insomma, aveva creduto che rivedersi sarebbe stato diverso, non in meglio, certo, ma diverso, non quello scanzonato battibecco tra vicini di casa che si malsopportano. Era una sensazione inspiegabile e insensata, da cestinare completamente, ma non riusciva a non pensare a quanto avrebbe tanto voluto risentire l'intensità del suo disprezzo, piuttosto che quel blando olezzo di antipatia. Percorse il tragitto verso casa cercando di liberarsi di un pensiero tanto malato e contorto, sperando che con una tazza di tè quella mattinata da incubo potesse considerarsi archiviata.
Dal canto suo, James, seduto sul sedile della sua auto ancora ferma, compose il numero di Robb senza nemmeno capire il perché. Non era venuto lì per lui, non era venuto lì per trattenersi, né per niente che non si potesse risolvere dal telefono del suo ufficio. Era lì per se stesso, per quella parte di lui per cui aveva perso ormai ogni rispetto.


 
***

Era stesa sul letto con accanto una tazza ormai vuota, quando Robb le telefonò per dirle che quella sera avrebbero bevuto qualcosa insieme nel solito locale.
- A cosa devo questo slancio di giovinezza nel bel mezzo della settimana?
Non si concedevano mai serate di quel tipo se non nel fine settimana: un'iniziativa del genere di martedì sera non potè far altro che sorprenderla.
- Non possiamo certo rimanercene  a casa a guardare un film, mangiando pop corn...
- Ma è quello che facciamo sempr-
- ... con James seduto in mezzo a noi in camicia di Prada.
Josephine si bloccò.
- J-james? Che stai dicendo?
- Sì, Jamie è a Londra. E' arrivato stamattina per un incontro d'affari che si è prolungato troppo. Lo sai com'è, preferisce non stancarsi troppo e ripartire domattina.
- Sul serio? - Jo rivolse questa domanda più a James che a Robb.
- Già. - ridacchiò - Che damerino.
- Già. - rispose lei sovrappensiero.
- Ho pensato che potresti chiedere a Polly di unirsi a noi. Sai, per rendere il clima un po' più disteso...
Come se bastasse Polly.
- Certo. - fece Jo cercando di risultare completamente a proprio agio con quella situazione. - Le farà sicuramente piacere.
- Allora, siamo d'accordo. Passiamo a prendervi alle 9, va bene? - chiese spropositatamente allegro.
- Perfetto. A dopo. - fece sbrigativa.
- Fatti bella per me.
- Scemo.
Per chi altro sennò?

Jo si precipitò in camera di Polly per proporle - anche se avrebbe voluto supplicarla - il programma della serata. Fortunatamente, la ragazza accettò di buon grado, dicendosi curiosa di incontrare l'uomo più antipatico del regno.
- Sei pronta? - erano  le nove e sei minuti e Josephine era ancora chiusa in camera sua.
- Sì, questo maleditti-ssi-mo...
- Vuoi che ti aiuti con la lampo? - domandò Polly indovinando esattamente quale fosse il problema.
- Ti prego.- fece  Jo esasperata dopo aver improvvisamente spalancato la porta. - Robb ha iniziato a chiamarmi dieci minuti fa!
- Da quando è così fiscale? - chiese Polly sistemando la zip del vestito di Jo.
- Sono abbastanza sicura che ad esserlo sia suo fratello. - si posizionò di fronte allo specchio per colorarsi la labbra di rosso. - Ora che ci penso, potrei dedicarmi molto più scrupolosamente all'applicazione di questo rossetto... - mormorò sadicamente divertita.
A conti fatti, Jo non impiegò più tempo del solito e una volta pronte, le due ragazze si lasciarono il minuscolo appartamento alle spalle. Nei pochi minuti in ascensore, Jo sentì lo stomaco attorcigliarsi al punto da mozzarle il respiro. Provava un'agitazione incontrollabile all'idea di trascorrere quelle ore con lui e non riusciva a capacitarsene, soprattutto perché lo svolgimento della serata era già perfettamente prevedibile: avrebbe avuto un piacevole scambio di battute con Robb e Polly, ignorando James o interagendo con lui giusto il tempo di un paio di insulti.
Nel frattempo, in auto, James e Robb ascoltavano in silenzio una canzone alla radio. Robb, con gli occhi chiusi e la testa abbandonata sul poggia-testa si godeva il primo attimo di riposo dopo una giornata di lavoro, mentre James picchiettava le dita sul volante, spazientito.
Una volta fuori dalla porta dell'edificio, Jo e Polly trovarono ad aspettarle, lucida ed impeccabile, la mercedes scura di James.
Avrebbe dovuto aspettarsi anche questo.

- Scusateci! - fece Polly trafelata.
- Tranquilla. - la rassicurò Robb. - Lui è mio fratello James.
James si voltò per quanto possibile e le allungò una mano, accennandole un sorriso estramamente cordiale, tanto che Jo credette di esserselo immaginato. Polly e James scambiarono qualche convenevole e nemmeno per un secondo lui rivolse a Josephine l'ombra di uno sguardo.
- Scusaci, ancora. Avrai pensato malissimo di me ancor prima di conoscermi! - scherzò Polly, mentre James metteva in moto.
- Ma figurati. Sapevo perfettamente di chi pensar male. -  fece lui sardonico, fissando la luce rossa del semaforo.
Istintivamente, Jo fece guizzare lo sguardo dalle proprie mani allo specchietto retrovisore e, come asseccondando un richiamo,  gli occhi scuri di James fecero lo stesso, mentre dalla radio, nello stesso istante,  iniziò a propagarsi la voce sontuosa di Elvis.

Wise men say only fools rush in
But I can't help falling in love with you
Shall I stay?
Would it be a sin
If I can't help falling in love with you?


Quel momento, quell'incastro riflesso, l'abitacolo d'improvviso deserto pieno solo dei lori odori - così distinti e nitidi ai loro sensi - la morsa allo stomaco e quel calore violento alla gola e agli occhi, quello no, non lo avevano previsto. Fu imprevedibile, come ogni volta, come quella notte alla luce della luna, come quella volta alla festa di Sierra. Era davvero la malia della luna ad allacciare così i loro istinti o stavolta era solo colpa di Elvis?
Semaforo verde.
Maledizione, pensarono all'unisono.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: _Woodhouse_