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Autore: Nyoc    25/06/2019    0 recensioni
Un lavoro frustrante e cibo da asporto non aiutano Anna a dormire sonni tranquilli. Tanto che gli incubi cominciano a sembrare davvero troppo reali.
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La pioggia cadeva fitta, inondando la stanza con il suo scrosciare sordo. Anna stava vicino alla finestra di camera sua, tenendo la tenda azzurra leggermente scostata, in modo da vedere fuori. Stare lì a guardare la pioggia nella notte le dava una sensazione strana, come se stesse facendo qualcosa di sbagliato. Un certo timore dentro di lei pareva suggerirle di non avvicinarsi alla finestra, di non rendersi visibile, ma al contempo la mancanza di motivazione la rendeva curiosa di scoprire cosa ci fosse all’esterno. Anna  osservava la strada sotto di sé. Laggiù, la notte avvolgeva ogni cosa nel manto della sua oscurità, reso quasi fisico dalla pioggia battente. Soltanto la luce tremula del lampione sull’altro lato della strada illuminava, a tratti, una piccola zona del marciapiede. Nella via non si muoveva nulla.

Anna aspettò qualche secondo, scrutando il buio in cerca di qualcosa, qualunque dettaglio che potesse spiegare la sua angoscia. La luce sfarfallò leggermente, poi si spense. La ragazza allora tentò di scrutare l’oscurità anche senza il suo aiuto, ma la pioggia e la notte le impedivano di vedere qualunque cosa. Così, persa la sua unica fonte di illuminazione, decise di lasciar perdere, cercando di convincersi che, dopotutto, poteva capitare di avere strane sensazioni senza alcun motivo. Fece per andarsene dalla finestra quando il lampione si riaccese, fioco.

Al centro del cono di luce si stagliava una figura. Indossava un lungo impermeabile arancione e stava ferma in piedi, ignorando la pioggia che gli cadeva contro impietosa. Il cappuccio e il lampione ne lasciavano soltanto intravedere il volto. La bocca era immobile, non sorrideva e non mostrava disgusto né rabbia, ma Anna ne aveva paura. Non poteva vedere i suoi occhi, ma sapeva per certo che la stava guardando. Poteva sentire quello sguardo su di sé: indagatore, freddo.

La ragazza non capiva chi fosse quell’individuo o cosa volesse, stava solo fermo, con una nuvoletta di vapore che ritmicamente si levava dal suo volto, mostrando il suo respiro calmo nella notte. Aveva una postura rilassata, non appariva ostile, ma Anna percepiva un grande pericolo. Stava soltanto lì, a fissare la sua finestra, perfettamente conscio che lei lo poteva vedere. Probabilmente era entrato nel cono di luce proprio perché lei potesse farlo.

Passarono alcuni lunghissimi secondi. Anna non riusciva a smettere di fissarlo, temeva che se lo avesse perso di vista lui sarebbe potuto avanzare, sarebbe venuto da lei e le sue paure sarebbero divenute realtà. Come se il suo sguardo avesse avuto il potere di trattenerlo sotto il cono di luce.

Il lampione si spense ancora una volta e quando si riaccese, l’individuo aveva un braccio leggermente sollevato, come a salutarla. Lui la vedeva, sapeva che lei lo stava guardando. Anna non ne capiva il motivo, ma era certa che quel saluto fosse un cattivo presagio.

Il lampione si spense per un istante. La luce tornò e la figura era sparita.

Anna si sentì sollevata. Forse se n’era andato per sempre e ora sarebbe rimasta di nuovo sola con il suono della pioggia. Nonostante la figura fosse sparita, l’inquietudine era ancora con lei, a far battere il suo cuore veloce. Sentiva come se qualcosa non fosse giusto, come se fosse stato troppo facile. Come se qualcosa le stesse tendendo un tranello.

Poi udì quel suono. Appena percettibile sotto il ticchettio della pioggia sui vetri, distinse un gocciolio d’acqua proveniente dall’interno della stanza. Era dietro di lei. Lo capì troppo tardi per voltarsi, troppo tardi per gridare, troppo tardi anche solo per pensare di fare qualunque cosa. Una mano umida le tappò la bocca. Poi fu buio.

 

Anna si svegliò di soprassalto. Balzò a sedere sul letto, pronta a difendersi e lottare per la sua vita. La stanza intorno a lei però aveva il solito aspetto di sempre, vuota e silenziosa. Scrutò nel buio, cercando attentamente qualunque segno della presenza di estranei, ma non trovò nessun impermeabile arancione, nè alcuna macchia d’acqua sul pavimento. Nell’osservare la stanza, il suo sguardo tornò alla finestra. Qualcosa dentro di lei voleva andare a guardare fuori per assicurarsi che non ci fosse nulla e poter tornare a dormire tranquilla, ma il terrore di scorgere qualcuno per davvero la immobilizzava seduta sul letto ad interrogarsi su cosa avrebbe fatto se fosse successo.

Stringeva tra le mani le lenzuola senza distogliere lo sguardo dalla finestra, tenendo le orecchie tese per carpire ogni minimo suono. Si aspettava di sentire quel gocciolio sinistro da un momento all’altro, ma non accadde nulla. D’altra parte, sentiva ancora quella presenza tetra, la sentiva come se fosse stata proprio davanti a lei, ma la luce tenue che filtrava da fuori le mostrava soltanto il disordine circostante. Non si vedeva nulla di strano, e Anna cominciava a credere che fosse tutto frutto della sua fantasia.

Eppure la paura rimaneva. Una paura insensata, irrazionale forse, ma non per questo meno reale.

Si alzò dal letto, prese il suo vecchio orsetto di peluche e affrontò i propri timori, dirigendosi alla finestra. Non credeva davvero che quel pupazzo potesse fare la differenza, ma avere qualcosa tra sé e l’esterno le dava un certo conforto. Come se quell’oggetto morbido e peloso potesse proteggerla.

Giunse alla finestra. A separarla dal vetro c’era solo la tenda azzurra. Cosa avrebbe fatto se lo avesse visto davvero? Chi l’avrebbe aiutata se fosse comparso alle sue spalle?

Non aveva ancora trovato una risposta quando si decise a scostare il tessuto, pronta a vedere l’impermeabile giù in strada.

Guardò fuori, ma non c’era niente. Nessuna pioggia battente, nessun impermeabile arancione. Soltanto quello stupido lampione rotto  con la sua luce irregolare che donava un tocco tetro alla via.

Anna tirò un sospiro. Era davvero solo un sogno, come sospettava. 

Guardare fuori l’aveva sollevata molto, forse per il fatto di essersi alzata e quindi svegliata, o l’adrenalina stava finendo il suo effetto, fatto sta che ora le sue paure erano più distanti, molto meno vere di pochi secondi prima. 

Tornò sotto le coperte, ma tenne con sé il peluche. In fondo, la faceva sentire meglio e non c’era niente di male a volerlo tenere con sé. Rimase sveglia ancora un po’ con gli occhi chiusi e le orecchie tese per carpire anche il più piccolo rumore,ma non vi fu alcun suono ad allarmarla, così il tempo e l’ora tarda, permisero al sonno di riprenderla con sé.

 

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Fu la sveglia il primo suono ad accoglierla il mattino seguente. Un suono metallico, acuto e ripetitivo, estremamente fastidioso ma necessario. Aveva la testa molto pesante e non aveva alcuna voglia di alzarsi, ma il lavoro non aspettava nessuno e non ci teneva a farsi richiamare un’altra volta. Combattendo contro il seducente abbraccio caldo del letto, Anna si decise a prepararsi. Solo quando si avvicinò all’armadio si accorse di star stringendo ancora il suo orsetto tra le mani. Era uno dei pupazzi più brutti che avesse mai visto, ma lo aveva fin da quando poteva ricordare e in qualche modo le dava tranquillità. Con un sorriso andò a riporlo sullo scaffale, poi tornò alle sue faccende, pronta a partire per un’altra giornata normale.

 

“Anna, è mezzogiorno, vieni in mensa oggi o ti sei portata il pranzo?” Beatrix, coi suoi  capelli rosso fuoco e le sue guance paffute, faceva capolino dall’ingresso del suo box sfoggiando il sorriso allegro di sempre. Anna adorava quella ragazza. Se non ci fosse stata lei, quel lavoro sarebbe stato un inferno di noia e tristezza. Fu per quello che decise di seguirla, nonostante non le piacesse mai nulla di quello che la mensa decideva di mettere in menù.

Le due amiche si diressero nell’edificio accanto, dal quale già si poteva sentire l’odore di cibo e il chiacchiericcio degli altri impiegati. Beatrix parlò per tutta la strada: due lunghissimi corridoi, dodici piani di ascensore, lo spazio all’esterno e anche durante tutta la fila senza mai fermarsi. Anna era certa che se avesse voluto, Beatrix sarebbe stata una famosissima rapper visto il fiume ininterrotto di parole che riusciva a produrre senza sosta. Le raccontò del suo ultimo appuntamento al buio e di come fosse stata scaricata un’altra volta, di come si fosse consolata con lo shopping e il gelato, dettagliando ogni evento con estrema minuzia, nonostante Anna in realtà l’ascoltasse con scarsa attenzione. Era distratta, ancora concentrata sul suo sogno: troppo reale, troppo vivido per essere normale. A volte, per brevi istanti, aveva l’impressione di sentire la mano umida che l’aveva afferrata, come se non si fosse mai mossa dalla sua bocca. A ripensarci, rabbrividiva ancora. 

Finalmente si sedettero coi loro vassoi in un tavolino appartato. Il rumore di centinaia di persone che parlavano contemporaneamente riempiva la stanza dal soffitto alto.

“Insomma splendore, a te com'è andata la serata? Mi sembri strana.” Chiese Beatrix tuffandosi sul pranzo con foga. Anna sapeva che l’amica odiava i momenti di silenzio e avrebbe volentieri continuato a parlare, ma sapeva altrettanto bene che non poteva parlare e mangiare simultaneamente, quindi iniziava sempre il pasto con qualche domanda. 

“Niente di che, ho sistemato la casa e poi mi sono guardata Netflix bevendo una tisana. Mi sono presa un po’ di relax,” rispose, cercando di sembrare contenta della cosa. In realtà invidiava moltissimo la vita movimentata di Beatrix: così piena di incontri, di persone, di vita. L’amica sollevò lo sguardo dal suo piatto per riportarlo su di lei. “Ah, piacerebbe anche a me rilassarmi ogni tanto. Sono sempre di corsa, a malapena ho tempo per dormire.”

La conversazione cadde e per un po’ mangiarono in silenzio. Poi Beatrix tornò alla carica. “Anna, c’è qualcosa che non mi stai raccontando: è da quando ci siamo sedute che sbadigli e mi sembri a disagio. Qualcosa ti turba? Josh è tornato ad importunarti?”

Ci aveva preso in pieno. L’agitazione di Anna dovuta al sogno doveva essere palpabile. In quel momento si sentì improvvisamente come quando a scuola il professore la beccava senza compiti, e doveva assolutamente trovare una scusa in fretta. 

“No, tranquilla, è solo che non ho dormito benissimo questa notte. Ho avuto degli incubi, probabilmente avrei dovuto mangiare una cena più leggera.”

“Incubi?! Ah, ti invidio, io non sogno niente da, non saprei... dieci anni? Dicono che i sogni siano lo specchio di ciò che ci è accaduto durante la giornata ma il nostro cervello non ha finito di elaborare. Mi racconti com’era? Potrei aiutarti, ho letto molti libri sul significato dei sogni.” commentò Beatrix, spavalda.

Anna sospirò guardando l’amica. Le raccontò il suo sogno, senza tralasciare il minimo  dettaglio. Quando finì, Beatrix la guardava con occhi sgranati.

“Beh, decisamente inquietante. Dovrei controllare sui miei libri se trovo qualcosa a riguardo. Però sognarti un tizio fuori dalla finestra è un chiaro segnale che ti senti seguita, e sai benissimo di chi è la colpa,” disse la ragazza paffuta, sfoderando lo sguardo più severo che il suo viso dolce potesse concederle.

Anna sapeva benissimo che parlava del suo ex ragazzo, uno stronzo menefreghista. Quando lei lo aveva lasciato, Josh non l’aveva presa benissimo e per un mese aveva continuato a disturbarla tutte le sere, presentandosi a casa sua con regali improbabili. Fortunatamente, un giorno Beatrix l’accompagnò a casa e quando lo vide,  si trasformò in un istante da ragazza grassottella, giovane e scherzosa in una furia omicida con cinque anni di corsi di difesa personale alle spalle. Fu pietoso vedere la scena di Josh che incassava i feroci colpi di Beatrix, ma anche piacevole in un certo senso. Da quel giorno, Anna non lo aveva più rivisto.

Terminata la pausa pranzo, tornarono a lavoro. Beatrix rimase stranamente silenziosa durante il tragitto e Anna sapeva benissimo che non era un buon segno. Stava architettando qualcosa.

Quando finalmente giunsero ai loro box, la ragazza paffuta fece la sua mossa. Anna si sedette al proprio posto, pronta a ricominciare il suo noiosissimo lavoro, ma Beatrix la prese per le spalle e la fece voltare verso di sé. Aveva una strana luce nei suoi occhi.

“Ho capito qual’è la soluzione per il tuo problema,” disse Beatrix con tono misterioso, lasciando in sospeso la frase per  creare suspance. Dopo qualche secondo, Anna capì che stava aspettando che dicesse qualcosa. “Ah sì? quale soluzione?”

Beatrix sfoderò un sorriso smisurato. “Un pigiama party! Tu questa notte vieni a casa con me, quello che ti manca è un po’ di divertimento.”

Anna rimase spiazzata dalla proposta. Non le piaceva spostarsi da casa, ma in fondo l’idea di fare qualcosa di nuovo una volta ogni tanto non le dispiaceva, inoltre la presenza dell’amica forse l’avrebbe aiutata a dormire.

“Sì, d’accordo, mi sembra un’idea fantastica,” disse infine.

“Lo so, l’ho avuta io!” Beatrix le diede due sonori baci, uno per guancia. “Ci si vede dopo bellezza.”

 

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Fu un tuono a svegliarla nel cuore della notte.

Per qualche secondo, Anna si sentì disorientata: non riconosceva la stanza intorno a sé. I mobili non le erano familiari, le dimensioni erano diverse, persino l’odore le sembrava strano. Si guardò intorno per capire dove si trovasse e vide un secondo letto, in cui dormiva una persona. Fu grazie al viso tondo e soave della ragazza rannicchiata tra le coperte che ricordò di trovarsi a casa di Beatrix. Avevano passato una bellissima serata insieme, come non capitava dai tempi del liceo. Al suo arrivo, avevano mangiato cinese take-away, preso in un posto che aveva suggerito lei. Ormai Anna conosceva tutti i ristoranti con consegna a domicilio della città, tanto che a casa teneva una lista dei preferiti, aggiornata ad ogni acquisto, di cui andava molto fiera. Dopo cena, avevano guardato un film strappalacrime riscaldandosi con delle coperte e un paio di bicchieri di vino. Infine, la combinazione di film romantico e vino eccessivo innescò un’interminabile conversazione sul senso della vita e dell’amore, che era proseguita fino a tarda notte. Ad un certo punto, mentre Anna parlava, Beatrix aveva cominciato a russare, decretando il momento di ritirarsi a dormire, così era andata a coricarsi nel letto degli ospiti che l’amica le aveva preparato ai piedi del proprio. Quel tuono però l’aveva svegliata, e ora Anna stava sdraiata a letto, aspettando che il sonno la cogliesse nuovamente, mentre il suono della pioggia picchiettava sulla finestra.

Ripensando alla pioggia, un brivido le corse lungo la schiena. Era come nel sogno. Anna cercò di non perdere la calma, prendendo un profondissimo respiro.

Mentre tentava di tranquillizzarsi, decise di ripetere ciò che aveva fatto la notte prima: se avesse guardato fuori e si fosse accertata che  nessuno la spiava, sarebbe stata meglio e tutto sarebbe passato. Si alzò dal letto e istintivamente estrasse l’orsetto che aveva nella borsa ai piedi del letto. Lo teneva lì dalla sera prima. Lo aveva portato con sé a lavoro, e poi da Beatrix. Non sapeva perché, ma quell’oggetto la faceva stare meglio: quando lo teneva in mano, provava meno paura.

Stringendo il peluche, Anna si diresse verso la finestra della camera, dalla quale una tenue luce filtrava dalle tende scure. Scostò il tessuto e guardò fuori, pronta a trovarsi di fronte la figura in arancione. Le faceva un certo effetto trovarsi al piano terra. La strada era lì a pochi passi da lei, eppure il buio e la pioggia impedivano di distinguere alcunché al di fuori del cono di luce del lampione. Notò con sollievo che questo funzionava senza problemi e la piccola zona di marciapiede appena fuori dalla finestra era chiara e ben visibile. La cosa la fece sentire più al sicuro di quanto si sarebbe aspettata. Se qualcuno si fosse avvicinato, lo avrebbe visto senza ombra di dubbio.

Scrutò nel buio per quasi un minuto nel tentativo di rassicurare se stessa che non ci fosse nulla di sospetto, come se stesse aspettando un segnale per decretare che il tempo di cercare fosse finito. A forza di stare in piedi alla finestra con le orecchie tese, si era ormai completamente svegliata. Decise di tornare a dormire prima che fosse troppo tardi, anche perché non voleva essere uno zombie a lavoro il giorno dopo e il vino di poche ore prima si sarebbe di certo fatto sentire.

Nell’istante in cui formulava quel pensiero, un lampo illuminò il cielo, e lo vide. O almeno credette di averlo visto. La luce era comparsa per un brevissimo momento, troppo poco per esserne certa, ma lui era lì, sul lato opposto della via, appena fuori dal cono di luce. Quando arrivò il tuono, Anna trasalì. Era paralizzata dalla paura. Se fosse avanzato anche solo di un paio di passi lo avrebbe visto. Se si fosse mosso lo avrebbe visto. Se…

Un individuo con indosso un cappotto arancione entrò nel cono di luce.

Camminava verso di lei a passi decisi, né lunghi né veloci. Inesorabili. La pioggia batteva insistente sul suo cappuccio, che, con la luce del lampione ormai sopra di lui, celava completamente il suo volto. Anna si rese conto che non si sarebbe fermato, che sarebbe arrivato alla finestra, che era già giunto a pochi passi da lei. 

“Beatrix! Beatrix svegliati! Lui è qui! È qui!” gridò scappando verso il letto.

L’amica si svegliò di soprassalto, cercando di capire cosa stesse succedendo. Batteva freneticamente le palpebre tentando di metterla a fuoco, bofonchiando qualcosa a proposito dell’ora o dell’essere stanca; Anna non ci fece caso.

“Beatrix, devi ascoltarmi, ormai è arrivato, dobbiamo scappare!” Anna la strattonò cercando di farla alzare dal letto. Voleva scappare, voleva correre, voleva non aver bevuto.

Una luce bianca fortissima, come quella degli abbaglianti di un’auto, invase la stanza. Poi si spense, accompagnata da un botto e il rumore di legno e vetro infranto che volavano per la stanza. Anna fu scagliata in aria e cadde in avanti prima di avere il tempo di voltarsi. Colpì con la testa il comodino, trovandosi seduta a terra in un angolo della stanza, con la sensazione di essere stata travolta da un treno. La fronte le pulsava, sentiva il volto bagnato da delle gocce che scorrevano dalla sua fronte e qualcosa le dava fastidio alle braccia. Beatrix gridava. Aprì gli occhi e vide che stringeva ancora l’orsetto tra le braccia, ed era lui l’origine di quel fastidio. 

L’animaletto di peluche vibrava, si agitava tra le sue mani in maniera scomposta, come se qualcosa al suo interno stesse spingendo in varie direzioni per tentare di fuoriuscire.

Anna lo scagliò lontano da sé, verso il centro della stanza, con un moto di disgusto. Seguì la sua traiettoria con lo sguardo, fino a delle scarpe da ginnastica fradice. Il pupazzo atterrò e continuò a contorcersi, facendo tintinnare i vetri della finestra infranta sparsi per tutta la stanza.

Accanto a lui, appena di fronte alla finestra, Anna vide la figura ferma in piedi. Il suo cappotto arancione gocciolava sul pavimento, accompagnando il suono della pioggia, più fragoroso che mai ora che la finestra era rotta. Dal pupazzo sul pavimento cominciò a levarsi un fischio, come se fosse stato un bollitore d’acqua da togliere dal fuoco, mentre Beatrix continuava a gridare, tenendo le coperte sollevate, quasi a volersi proteggere dall’individuo fermo in piedi nella sua stanza.

Il pupazzo si contorse per qualche secondo, poi si udì il suono di uno strappo. Dalle cuciture iniziò a fuoriuscire qualcosa di nero. Parevano zampe, come quelle di un ragno, o braccia sottilissime con piccole dita alle estremità.

“State indietro,” disse una voce maschile, profonda.

Le mani dell’uomo con l’impermeabile divennero luminose.

Il pupazzo mostruoso scattò con un balzo verso Beatrix.

Poi un botto. La luce. Le grida.

 

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I suoi passi lenti risuonavano sul marciapiede bagnato, stanchi, trascinati. La pioggia colpiva senza sosta il suo cappuccio, riempiendogli le orecchie dell'inesistente scrosciare dell’acqua sulla plastica. Era, ancora una volta, fradicio.

Odiava quel lavoro. Avrebbe fatto qualunque cosa per cambiarlo, ma purtroppo nessuno lo sceglieva: era quel lavoro a sceglierti quando eri pronto, e lui aveva ricevuto la sua visita a soli sedici anni. Allora aveva dei sogni, delle ambizioni, sarebbe potuto diventare chiunque avesse desiderato. Adesso che aveva passato i quaranta, sentiva che la sua vita non sarebbe mai cambiata. Molto semplicemente, un giorno sarebbe morto e, ci avrebbe scommesso, sarebbe stato in un modo stupido. Niente combattimenti con mostri che si nutrono della paura delle persone o roba fica di questo tipo. No, se ne sarebbe andato investito da un automobilista distratto dal cellulare, cadendo dalle scale per via delle scarpe bagnate o qualcosa di altrettanto banale.

Sospirò e si aggiustò l’impermeabile arancione sulle spalle. L’unica cosa che lo consolava era che quelle ragazze non avrebbero avuto alcuna memoria di quella notte.

Lui, invece, si sarebbe portato il peso di quel ricordo per sempre, ammucchiato nella sua mente insieme a mille altre memorie orrende.

Mise un piede in una pozzanghera profonda e la scarpa gli si inondò d’acqua. Imprecando tra sé, continuò a camminare col suo passo stanco, lasciando che la pioggia lo colpisse. Passo dopo passo, si allontanò dalla villetta, sparendo nella notte con quello che restava di un peluche distrutto tra le mani.

   
 
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