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Autore: Journey    26/06/2019    0 recensioni
“Papà voglio tornare a casa mia”
“Questa è casa tua, Harriet”
“No, voglio tornare a casa da mamma! Qui mi annoio!”
“Ma hai tanti giochi”
“Sì, ma voglio mamma! Mi manca mamma”
“Non vuoi stare con papà?”
“No, voglio stare con mamma!”
La bambina cominciò a piangere. Jackson si sentì terribilmente triste. Non sapeva come calmarla o come convincerla a restare. Quindi chiamò April. Dopo qualche squillo, lei rispose.
“Ciao April, sono io. Harriet vuole venire da te. Dice che qui si annoia e che le manchi. Puoi passare a prenderla? Sta piangendo”
“Certo, sarò lì tra poco”
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: April Kepner, Jackson Avery
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Epilogo

“JJ, scendi immediatamente di lì!”
“Ehi, eccomi sono qui, come posso aiutarti?”
“Karev, era ora! Tieni sotto controllo JJ, non riesco a farlo stare buono”
“Avery, sei sicuro che sia figlio tuo e della Kepner? Questo bambino è un demonio. I miei gemelli sono delle bestie, ma lui li supera a mani basse”
Jackson rise quando il collega gli disse quelle parole. Jackson Jr., per tutti JJ, era una peste. Ormai aveva tre anni e non era per niente simile a sua sorella Harriet. Harriet alla sua età era sveglia, sì, ma più pacata. JJ era incontenibile. Iperattivo al limite del ragionevole e, allo stesso tempo, estremamente buono e coccolone. A fine giornata, quando aveva spremuto anche l’ultima goccia di energia dal suo corpo, si accoccolava sul petto di uno dei suoi genitori e li riempiva di baci e abbracci. Adorava far loro le coccole. Lo faceva anche con Harriet, ma più raramente perché con lei preferiva litigare e tirarle i capelli. Vedere sua sorella urlare e inseguirlo per la casa lo divertiva più dei cartoni animati alla tv.
“JJ, sta fermo!” esclamò Jackson con tono fermo.
“E va bene, ci penso io” esclamò Karev quando il bambino prese a correre come un forsennato nella stanza d’hotel dov’erano i due uomini. Quando il piccolo JJ Avery corse abbastanza vicino a Karev, questi lo afferrò per i pantaloni e con una mano lo tirò su. Jackson scosse la testa per il gesto dell’amico, Alex sembrò piuttosto soddisfatto della sua soluzione, mentre il piccolo JJ rideva con un pazzo cominciando a muovere freneticamente gambe e braccia come se stesse volando. In quel momento Catherine fece il suo ingresso nella stanza.
“Karev, metti immediatamente giù il mio angioletto” esclamò sicura.
“Angioletto, ma lo conosce suo nipote?” chiese in rimando.
Detto questo rimise il piccolino a terra che corse in contro a Catherine saltandole in braccio. Catherine adorava quel piccoletto, era un bambino così vivace e allegro, quasi le ricordava Jackson da bambino. Certo, Jackson era costantemente trattenuto dalle tate di Harper Avery che per un periodo lo avevano letteralmente tenuto al guinzaglio per poterlo tenere sotto controllo. Le chiamavano bretelle all’epoca.
JJ parlava molto bene nonostante la sua età. Subito le disse quanto fosse felice di vederla e cominciò a parlare di qualunque cosa gli passasse per la testa. Lei rise pensando a quanto loquace e quanto spigliato fosse quel bambino.
“Mamma, mi dispiace interrompere la vostra intensa conversazione, ma come mai sei qui, c’è qualcosa che devi dirmi?” chiese Jackson.
“Sì – disse la donna mettendo giù JJ e avvicinandosi al figlio – forse è meglio se andiamo in corridoio”
“In corridoio? È grave? April è andata via? Non vuole più sposarmi?” domandò preoccupato Jackson cominciando a fare avanti e dietro con fare nervoso.
“No, no, assolutamente no. April non vede l’ora di risposarti. Ma è importante”
Madre e figlio uscirono dalla stanza lasciando il povero Karev nelle grinfie di JJ. Nel frattempo, Catherine stava per dire a Jackson qualcosa che lo avrebbe sconvolto.
“Tuo padre è qui”
“Chi?” domandò spontaneamente il chirurgo plastico.
“Tuo padre, Robert Avery è qui”
“È qui. Ok, per quale ragione?” chiese nervoso stringendo i pugni.
“Ci siamo incontrati per sbaglio mentre ero in Montana per dirigere l’ospedale della fondazione”
“E quindi?”
“Abbiamo chiacchierato, ha conosciuto Richard. Abbiamo cenato tutti assieme e mi ha chiesto di te. Mi ha raccontato del vostro incontro e di quanto avrebbe voluto trovare un modo per rimediare alle sue mancanze e rientrare nella tua vita. Ho provato a dirgli che forse era troppo tardi, ma voleva fare un tentativo”
“E così ha pensato bene di rovinare il giorno più bello della mia vita. Bene…” commentò
“Se non vuoi vederlo, posso mandarlo via. Ma è l’occasione per fargli conoscere la tua vita, la tua famiglia e le persone che ti vogliono bene. È pentito, Jackson. Vuole solo rimediare ai suoi errori” disse la donna.
“Va bene, può restare, ma sono furioso nei suoi confronti. Digli che non deve assolutamente avvicinarsi a me. Deciderò io quando e se farlo.”
Catherine si avvicinò a suo figlio e gli lasciò un bacio sulla guancia prima di andare via.
“Ehi amico, tutto bene? Non per farti innervosire ulteriormente, ma tuo figlio sta distruggendo tutto e dobbiamo scendere. La cerimonia comincerà tra poco” intervenne Alex aprendo di poco la porta della stanza per evitare che JJ scappasse fuori.
Qualche minuto più tardi, Jackson, Alex e JJ entrarono nella sala in cui si sarebbe svolta la cerimonia. Niente fienile, niente fuga romantica, sta volta avrebbero fatto le cose da manuale. Piano, piano gli invitati cominciarono ad arrivare. Jackson sentiva l’asia salire. Non sapeva perché, aveva già sposato April, eppure gli tremavano le gambe come fosse un ragazzino. E se avesse avuto dei ripensamenti all’ultimo secondo e fosse andata via? No, non poteva accadere, sua madre gli aveva detto che era tutto a posto. E poi si amavano, sì si amavano alla follia. Ma allora perché gli sudavano le mani in quel modo, perché si sentiva terrorizzato? JJ che continuava a correre avanti e indietro per la navata rendendolo ancora più nervoso.
“JJ, vieni qui! JJ ti prego sta buono” gli disse a denti stretti mettendo su il suo sorriso più forzato.
“No!” esclamò il piccolo facendogli la linguaccia.
“JJ, ti prego” lo scongiurò lui.
Il piccolo gli si avvicinò e per un secondo Jackson pensò che si fosse calmato.
“Quando arriva mamma, papi?”
“Tra poco, quindi vieni qui.”
Ma prima che potesse terminare la frase, riprese a correre come un forsennato. Dovette intervenire Richard che, lo sollevò di peso e se lo caricò sulle spalle come fosse un sacco di patate.
“Nonno, possiamo rifarlo?” domandò il piccolo quando l’uomo lo mise a terra.
“Non ora, JJ. La mamma sta per entrare e vuole trovarti accanto al tuo papà oppure diventerà triste e tu non vuoi che sia triste, vero?” gli disse.
Il bambino fece di no con la testa e prese la mano di Jackson il quale sorrise a Webber e lo ringraziò. Stringere la mano di suo figlio lo fece sentire improvvisamente più tranquillo. Gli invitati avevano preso posto e così anche il giudice di pace che, allo stesso tempo, era anche un ministro ecumenico. La marcia nunziale cominciò a suonare e gli occhi di Jackson si inumidirono quando sua figlia Harriet in abito rosa antico, con in mano un bouquet di fiori e una coroncina simile appoggiata sui capelli fece il suo ingresso. Ormai aveva otto anni, quasi nove, era diventata una signorina. Gli sembrava ieri quando arrivò in ospedale tra le braccia di Ben Warren e poté stringerla per la prima volta. E ora, faceva da damigella al loro matrimonio. Dietro di lei c’era Arizona, con un vestito dello stesso colore di quello di sua figlia. Mentre percorreva la navata la vide spostare lo sguardo su Callie che, seduta teneva tra le braccia la loro bambina di appena due anni. Accanto a loro c’era Sophia che era ormai una signorina. E poi, finalmente, April fece il suo ingresso, accompagnata da suo padre. Indossava un abito bianco da sogno, un corpetto stretto e una gonna vaporosa. I capelli erano raccolti in un’acconciatura elegante sulla quale era adagiato il velo. Non appena Jackson la vide, una lacrima gli corse lungo il viso.
Quando April vide Jackson, in fondo alla navata, bellissimo come sempre, il cuore prese a batterle all’impazzata. Aveva già sposato quell’uomo ma questa volta era diverso. Questa volta sapeva che sarebbe stato per sempre. Accanto a lui, in uno smoking identico, ma in miniatura c’era JJ, il loro figlio più piccolo che somigliava tantissimo a suo marito, avevano gli stessi occhi. Non lo aveva ancora visto con indosso quel completo ed era così adorabile che avrebbe voluto mangiarlo di baci. Guardò poco più avanti di lei, di Harriet vedeva solo i capelli. La sua bambina. Il suo miracolo. Era cresciuta così tanto. E adesso la stava accompagnando all’altare. Guardò velocemente suo padre e gli sorrise. Poi spostò lo guardo e lo puntò su un'unica persona: il suo Jackson. Suo marito, il suo migliore amico, il padre dei suoi figli, l’unico uomo che avesse mai amato. All’improvviso JJ sfuggì alla presa di Jackson e corse in contro ad April. Tutti sorrisero quando lo videro abbracciarla. Lei si chinò verso il piccolo e gli disse qualcosa nell’orecchio. Lui fece di sì con la testa sicuro e poi le porse la mano. Guidò sua madre all’altare e, una volta davanti a suo padre, gliela lasciò. Fu una scena estremamente dolce.
“Cosa gli hai detto?” domandò Jackson curioso.
“Gli ho chiesto se volesse accompagnarmi all’altare e ha detto di sì” sorrise April.
“Sei la donna più bella del mondo”
“Smettila, sei tu il più bello”
“No, sei tu, è la verità”
“Cominciamo” gli interruppe il giudice di pace. Loro sorrisero e lasciarono che la cerimonia cominciasse.
 
Quando cominciò il ricevimento, tutti gli invitati si avvicinarono agli sposi per potersi congratulare. Tutti tranne una persona, Robert Avery. Aveva fatto esattamente come Jackson aveva stabilito, era rimasto in disparte. A quel punto, Jackson gli fece un cenno col capo e lui capì di potersi avvicinare.
“Ciao”, disse con fare timido Robert.
“Ciao”, rispose Jackson.
“Congratulazioni, bella cerimonia”
“Ti ringrazio”
“Salve”, si intromise April.
“April, è un piacere rivederti”
“Anche per me signor Avery”
“Per favore chiamami Robert”
“È un piacere rivederti Robert”
“Mamma JJ continua a seguirmi ovunque, ti prego fermalo” esclamò Harriet avvicinandosi ai suoi genitori e trascinando con sé suo fratello.
Robert guardò quei bambini e poi guardò Jackson con occhi tristi.
“Ehi, tu chi sei?” domandò JJ guardando di traverso l’uomo che non conosceva.
“Io sono Robert, tu?” rispose lui porgendogli la mano.
Il piccolo la strinse scuotendola prepotentemente e facendo ridere l’altro.
“Io sono Jackson Kepner Avery Jr., ma mi chiamano JJ. Lei è mia sorella Harriet”
“Oh, è un piacere conoscervi ragazzi” disse Robert.
“Piacere” rispose semplicemente la bambina guardando poi sua madre con fare interrogativo.
“Lui è Robert Avery, è mio padre” disse all’improvviso Jackson.
“Quindi sei nostro nonno?” chiese Harriet.
“Ehi ma noi abbiamo già due nonni” disse JJ.
“Se per voi va bene io potrei essere il vostro terzo nonno” disse lui.
“Sì, va bene” rispose JJ prima di cercare la mano di April.
Harriet guardò suo padre, conosceva quello sguardo era lo stesso che le rivolgeva quando faceva qualche succedeva qualcosa di brutto al lavoro. Era così che adesso guardava Robert Avery. Perciò la bambina si avvicinò a suo padre non appena quell’uomo che disse di essere suo nonno si allontanò e lo abbracciò. Jackson fu felice di quel contatto e quasi come se i ruoli fossero invertiti, si lasciò cullare dall’abbraccio di sua figlia.
 
Quando la festa terminò, Jackson e April tornarono a casa assieme ai loro figli, niente di troppo stravagante per il loro secondo matrimonio. Avevano già avuto la loro luna di miele, adesso volevano solo ricominciare la loro vita come marito e moglie. Dopo aver messo Harriet e JJ a dormire, finalmente si ritrovarono soli. Dopo un’intera giornata circondati da amici e parenti, avevano bisogno di una tregua dal mondo, di spendere un po’ di tempo solo loro due. Si sdraiarono nel loro letto di lato, con il viso rivolto l’uno verso l’altra.
“Ti amo” disse April mettendo una mano sulla guancia ruvida del marito e accarezzandogliela.
“Ti amo” rispose lui sicuro baciandola.
In quel momento, April si sentì toccare la schiena. Si voltò: JJ era lì, in piedi accanto al suo comodino che la guardava.
“Tesoro che succede?” gli chiese lei.
“Posso dormire con voi?” domandò lui.
“Certo che puoi” rispose April.
Lui si arrampicò sul letto e si sdraiò proprio tra i due novelli sposi. A pancia in su, aprii braccia e gambe come fosse una stella marina. Con una mano giocherellava con l’orecchio di Jackson, con l’altra con quello di April. Anche Harriet aveva avuto quel vizio quand’era piccola. Doveva, a tutti i costi, percepire il contatto con la pelle e prediligeva giocherellare con il lobo. Pochi minuti dopo, anche la più grande entrò nella camera dei suoi genitori. Si sedette sulla punta del letto e li osservò per un secondo, fino a quando Jackson non le fece un cenno col capo e lei si andò a mettere accanto al fratello e vicino a suo padre.
Jackson e April agli estremi del letto rischiavano di cadere. I loro figli li avevano spodestati. Sorrisero quando li videro dormire beatamente.
“Sono uno spettacolo” commentò Jackson guardandoli.
“Hai ragione, sono una meraviglia” rispose April facendo lo stesso.
“Non c’è un attimo, però, in cui non penso che qui con loro ci sarebbe dovuto essere anche Samuel a proteggerli, a comportarsi da fratello maggiore”
“Ad insegnare a JJ a giocare a football e a proteggere Harriet dai bulli” continuò April
“Ci penso di continuo a lui, a come sarebbe stato se non fosse morto”
“Anche io, Jackson. Penso a che faccia avrebbe avuto, al colore di cui sarebbero stati i suoi occhi, al modo in cui avrebbe sorriso o al suono della sua voce”
“Sono grato all’universo per i nostri figli, ma soprattutto sono grato all’universo per te, April. Se quindici anni fa mi avessero chiesto come mi sarei visto oggi, non avrei mai immaginato di essere qui. Ma soprattutto non avrei mai immaginato di meritare una donna come te e dei figli meravigliosi come i nostri”
“Smettila, meriti tutto questo Jackson. Tu sei un brav’uomo. E sei il mio uomo. Sei quello esattamente quello che sognavo da ragazzina nella mia stanzetta da sfigata quando nessuno mi trovava neppure minimamente interessante o carina. Sei il principe azzurro che sognavo venisse a salvarmi da quel posto. Certo, forse all’epoca ti immaginavo con la faccia di Justin Timberlake...”
“Dannato poster degli ‘N Sync” la interruppe Jackson facendola ridere.
“Stupido. Stavo cercando di dirti una cosa carina. Ma, posso anche evitare”
“Non evitare, dimmi tutto. Mi piace sentirti dire che mi ami”
Lei scosse la testa e gli sorrise. Le sue guance si infuocarono all’improvviso. Come faceva dopo così tanto tempo a farla ancora arrossire in quel modo?
“Ma guardati, stai arrossendo!” commentò Jackson
“Sei un idiota”
“Ma mi ami”
“Ti amo”
“Quindi continua la tua dichiarazione d’amore. Dimmi quanto mi ami, ti prego” continuò lui facendo quel suo sorrisetto che le faceva venir voglia di prenderlo a schiaffi e baciarlo nello stesso momento.
“E va bene, dicevo che sei tutto ciò che ho sempre sognato. Se ai tempi del Mercy West mi avessi detto che saremmo finiti insieme, probabilmente ti avrei riso in faccia. Ho sempre pensato che tu fossi troppo per me. Troppo bello, troppo buono, troppo perfetto. Uno così non avrebbe mai scelto la fastidiosissima tizia che viene dall’Ohio e che ha passato la vita intera a dar da mangiare ai maiali e ad andare in chiesa”
“E invece eccoci qua. Io e te, tu ed io. Non cambierei la mia fastidiosissima moglie che viene dall’Ohio e che ha passato la vita intera a dar da magiare ai maiali e ad andare in chiesa con nessun’altra” disse Jackson alzandosi dal letto e avvicinandosi alla moglie.
Si chinò su di lei e la baciò. April si mise seduta, gli prese la mano e se la portò sul petto.
“Jackson, senti come mi batte forte il tuo cuore”
   
 
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