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Autore: Sandie    05/07/2019    2 recensioni
Genzo torna in Giappone lasciandosi alle spalle Amburgo e tutte le sue certezze crollate in pochi mesi.
Ritrovati la sua famiglia e gli amici di sempre, nel suo futuro ci sono le Olimpiadi di Madrid e decisioni importanti che apriranno un nuovo capitolo della sua vita. Un destino che condivide con Taro.
I loro percorsi si intrecciano con quelli di Kumi ed Elena: due ragazze che, come loro, dovranno costruire una
nuova vita, diversa da quella immaginata.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer, Taro Misaki/Tom
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo XXI

 

Dura realtà

 

 

«Mi avevi promesso che avresti atteso per la mia decisione fino a dopo le Olimpiadi.»

«Sì, ma non ho mai detto che non saremmo più tornati sull'argomento.»

Yasuhiro gli lanciò un sorriso sornione e intrecciò le dita sul ripiano della sua scrivania, dopo aver posato la tazza di tè da poco portata dalla giovane segretaria, insieme a quella che Genzo aveva davanti a sé e non aveva ancora toccato.

Il giovane si trovava da mezz'ora nella sede della Wakabayashi Corporation, la holding di famiglia, seduto su una delle poltrone dello studio di suo padre. Era vestito con la divisa ufficiale della Nazionale di calcio poiché dopo quell'ultimo colloquio si sarebbe diretto all'Aeroporto Internazionale di Narita, e da lì sarebbe partito per il Messico insieme alla squadra.

«Sono soddisfatto di come hai lavorato all'Istituto Shutetsu. Il consiglio direttivo ha approvato molte tue proposte e il recente spettacolo ha avuto un grande successo. So che hai fatto inserire a sorpresa un numero collettivo di ginnastica artistica ed è stata davvero un'idea azzeccata.»

«Sì … due allieve dello Shutetsu fanno parte dello Shiroyama Gymnastics Club. Insieme alle loro compagne hanno voluto fare un omaggio alla loro insegnante.» spiegò asciutto, stando attento a non far trapelare nulla.

Yasuhiro assentì, indugiando per qualche secondo su di lui con lo sguardo.

«Tutto questo, insieme al modo in cui gestisci le azioni che ti ho affidato mi convince sempre più che le nostre società hanno bisogno anche di te, Genzo. Vorrei che ti iscrivessi all'università e che entrassi in una delle filiali della Wakabayashi Corporation.»

Genzo si accorse di aver trattenuto il fiato prima che suo padre riprendesse a parlare.

Non era felice del fatto che fosse tornato a incalzarlo, ma sapeva bene come rispondere a quell'esortazione.

«Credevo avessimo trovato un accordo su questo, papà.»

«La carriera calcistica non dura tutta la vita, Genzo. Inoltre, hai già subìto molti infortuni e hai solo vent'anni.»

«Esatto, ho solo vent'anni e sto per giocarmi le Olimpiadi. Ti chiedo solo un po' di tempo per dare una direzione alla mia carriera. Ti ricordo che quest'estate, dopo tanti anni, lascerò l'Amburgo e ancora non so dove giocherò.»

«Proprio per questo devi pensare seriamente al da farsi. Stai parlando di qualcosa che avverrà non tra un anno, bensì tra poco più di un mese.»

Genzo emise un breve sospiro e si alzò dalla sedia. «Tu da una parte e Hoffmann dall'altra mi state braccando, ma queste sono decisioni che vanno prese dopo essere state ponderate e senza avere altre questioni, peraltro più urgenti, cui pensare.» gli disse, avviandosi poi verso la porta.

Yasuhiro sospirò impercettibilmente. «Quanto sei testardo. Ma al tuo ritorno, parleremo di questo.» lo avvertì.

«Ci vediamo tra un mese e mezzo, papà.» disse, spingendo in basso la maniglia.

«Ehi Genzo!» si sentì richiamare, quando aveva già varcato l'uscio.

Il giovane si riaffacciò, con uno sguardo serio.

«Torna in Giappone da vincitore.»

Genzo riprodusse la stessa occhiata e sorriso d'intesa impressi sul viso del padre.

Ora poteva iniziare la sua avventura olimpica con serenità.

Suo padre non gli aveva accennato nulla …

Con ogni evidenza, Asami non aveva detto nulla ai suoi genitori.

Troppo umiliante per lei raccontare di essere stata lasciata … oppure, aveva semplicemente voluto evitare contrasti tra le loro famiglie, lasciando a lui la responsabilità di annunciare la fine del loro fidanzamento.

Inoltre, era segno che sperava in una loro riconciliazione. Del resto, l'aveva invitato a pensarci bene, lo aveva messo in guardia sul fatto che Elena poteva essere soltanto affascinata dall'idea di essere fidanzata con un calciatore ricco e famoso. Inoltre, l'interruzione della loro storia rischiava di compromettere i rapporti personali e anche lavorativi tra le due famiglie.

Gli Ujimori l'avrebbero ritenuta un affronto, un incredibile e vergognoso colpo di testa.

Aveva deciso di non rivelare niente e in quel modo avrebbe protetto la sua storia con Elena ancora per un po' di tempo, anche se c'era il rischio di giustificare le false speranze di Asami.

Avrebbe sistemato ogni cosa, a suo tempo.

Ogni questione con la sua famiglia, per quanto riguardava l'azienda e i rapporti con gli Ujimori, sarebbe stata affrontata dopo le Olimpiadi, come si era ripromesso.

 

Carlo guidava senza fretta verso l'Aeroporto Internazionale di Narita.

Elena osservava le poche nubi candide che attraversavano il cielo limpido e dominato da un sole luminoso, mentre nell'abitacolo si succedevano canzoni rock anni Settanta, il genere preferito da suo zio.

La sua avventura giapponese era giunta al termine.

Gli ultimi giorni a Nankatsu erano trascorsi simili a quelli in cui i ragazzi della Nazionale erano in ritiro al J-Village. Si era tenuta costantemente impegnata per non lasciare spazio alla malinconia.

Nel saggio di fine anno le bambine avevano dimostrato di padroneggiare alla perfezione tutto ciò che aveva insegnato in quei mesi e Mayuko l'aveva salutata commossa, confessandole che se non fosse stata così decisa a tornare in Europa, le avrebbe proposto la riconferma nel ruolo di vice allenatrice.

Lei l'aveva ringraziata e le aveva assicurato che non avrebbe mai dimenticato né lei né le sue allieve. E neppure era escluso che si sarebbero riviste.

Arimi ne era convinta e le aveva fatto l'occhiolino, con una chiara allusione a Genzo.

Il giorno prima aveva incontrato Annie e i piccoli Kenichi e Aiko al campo di calcio dove il bambino si allenava con i suoi coetanei, tra cui Daichi Oozora che mostrava già, con i suoi movimenti e giocate, una precoce inclinazione. Anche Kenichi univa al suo tiro potente e preciso un ottimo senso della posizione. Senza lasciarsi suggestionare dalla parentela e dalla somiglianza, le era venuto spontaneo considerare i tiri del piccolo Wakabayashi molto simili a quelli che Genzo sempre più spesso eseguiva dopo le sue parate, per aiutare i suoi compagni a impostare una nuova azione.

Annie l'aveva salutata dicendosi certa che si sarebbero rincontrate spesso in futuro, accompagnando quelle parole con un ammicco, senza aggiungere altro.

Aveva poi trascorso la serata con Kumi e il suo gruppo di amiche. Nessun abbraccio commosso né piagnistei: avrebbe sicuramente rincontrato le due ragazze legate a Taro e Nitta, e comunque si sarebbero mantenute in contatto.

E infine era arrivato il giorno della partenza.

Aveva coccolato a lungo Wilhelm, che sembrava aver capito che la ragazza non sarebbe tornata per un po' di tempo.

Quel soggiorno aveva cambiato la sua vita per sempre e le aveva restituito entusiasmo e fiducia nel futuro, facendole capire quali fossero i suoi sogni. Aveva ricominciato a credere in sé stessa e aveva anche scoperto di poter amare di nuovo, grazie all'incontro con Genzo.

Il portiere era partito per il Messico due giorni prima e ora stava con ogni probabilità smaltendo il fuso orario. Sorrise, avvertendo una consueta, piacevole sensazione in mezzo al petto.

L'avrebbe chiamato una volta arrivata a casa.

 

«Zio, io non so come ringraziarti. È stato un periodo meraviglioso, ricorderò sempre ogni giorno di questi mesi.»

Carlo scosse brevemente la testa, con un sorriso. «Era il minimo che potessi fare per aiutarti. Dopo sei mesi posso dire che sei tornata l'Elena che conoscevo … anzi no: è nata una nuova Elena, pronta ad affrontare la sua vita da donna adulta.»

Lo abbracciò forte, mentre gli altoparlanti diffondevano l'annuncio della partenza del volo della Japan Airlines per Roma Fiumicino.

  

Mentre si avviava verso l'uscita per iniziare la procedura d'imbarco, notò un'orda di giornalisti e cameraman armati di telecamere, taccuini, smartphone, registratori e microfoni, avviarsi in direzione dei passeggeri da poco scesi da un volo Iberia proveniente da Barcellona.

Fu così che, poco prima di partire, assistette all'arrivo in Giappone di Tsubasa Oozora, accompagnato dalla moglie Sanae i cui movimenti erano resi lenti e un po' impacciati da una pancia ormai prominente.

Il giovane fuoriclasse del Barcellona aveva deciso di concedersi alcuni giorni di vacanza nel suo Paese natale, dopo la lunga e trionfale stagione in blaugrana e prima di raggiungere i suoi compagni nel ritiro messicano.

Venne avvicinato e letteralmente circondato dai cronisti e lui rispose sorridente e cortese alle numerose domande, senza però smettere di avanzare verso l'uscita dell'aeroporto, con un braccio tenuto premurosamente attorno alla vita della moglie. Dietro di loro, un uomo alto e robusto e una donna minuta che sembrava una versione matura di Sanae, lo aiutavano a trasportare i bagagli.

          

Una cordiale voce femminile annunciò l'imminente atterraggio dell'aereo della Japan Airlines all'aeroporto di Fiumicino.

Elena allacciò la cintura e osservò il cielo italiano che riempiva nuovamente il suo campo visivo.

Dopo alcuni minuti in cui compì le procedure di sbarco, Elena recuperò i suoi bagagli dal nastro trasportatore e si diresse a passo rapido verso il varco d'uscita.

Percorsi pochi metri, vide i suoi genitori che agitavano la mano.

Clara cominciò subito a correrle incontro, mentre la figlia aveva istintivamente accelerato il passo.

Una volta raggiuntala, sua madre le prese il viso tra le mani.

«Elena … fatti guardare.» le disse. Era una bella donna alta e slanciata, poco più che quarantacinquenne, dai corti capelli castani tagliati a caschetto e gli occhi azzurri come quelli della figlia. Occhi, questi ultimi, stanchi per via delle molte ore di viaggio, ma così diversi da quelli che rispecchiavano il tormento interiore di una ragazza che aveva perso la voglia di vivere e che pensava di non avere più futuro proprio quando era il momento per costruirlo.

Un po' indietro rimase Valerio, un uomo di media altezza dal fisico un po' appesantito e i capelli corti e brizzolati, ma con un volto che non dimostrava i suoi sessant'anni. Assistette con un sorriso commosso all'abbraccio tra madre e figlia … le sue due donne.

Dopo che si furono staccate, si avvicinò anch'egli con un sorriso fiero e commosso, e allargò le braccia, per poi stringerla a sé.

Fu il turno di Clara di assistere all'abbraccio tra il marito e la figlia.

Una piacevole sensazione di calore le invase il petto nel guardare nuovamente il suo viso … Elena era adesso determinata e combattiva.

Davanti a quello sguardo, le si fermò quasi il cuore al pensiero di ciò che sarebbero stati costretti a rivelarle, una volta a casa.

 

Durante il viaggio in auto, raccontò ai genitori alcuni tra gli aneddoti più interessanti del suo soggiorno nel Paese del Sol Levante, e arrivata nell'appartamento in cui abitavano nel quartiere del Prenestino, aprì la valigetta in cui aveva trasportato i manufatti acquistati a Shizuoka e li appoggiò sul tavolo, sotto lo sguardo stupito e ammirato soprattutto di sua madre.

«Anche noi ti abbiamo preparato una sorpresa.» annunciò Valerio, indicandole una delle pareti del salotto.

A Elena quasi si spezzò il fiato.

Avevano appeso un quadro con alcune delle fotografie che aveva inviato, nei mesi precedenti, dal Giappone.

«Così se dovesse venirti un po' di nostalgia, ti basterà alzare gli occhi e guardare queste foto.» le strizzò l'occhio e lei gli sorrise con gratitudine.

Poi si fece seria.

Una domanda le ronzava in mente da quando erano arrivati a casa e riguardava una questione che era rimasta in sospeso al tempo della sua partenza e su cui non aveva più ricevuto alcuna notizia.

«Allora, siete riusciti a ripianare quella pendenza con la banca?» chiese infine, con un po' d'apprensione.

Valerio aggrottò le sopracciglia e scosse la testa. «No. Abbiamo anche chiesto un prestito, un mese fa, ma ce l'hanno negato. Non siamo in grado di fornire garanzie di rimborso. Troppi debiti e troppi pagamenti arretrati.» disse, prendendo una lettera inviata da una società di finanziamenti da un cassetto di un mobile e porgendogliela.

Elena la prese e guardò la busta su cui erano scritti gli indirizzi del mittente e il loro, stringendo le labbra.

«Se non avessi fatto quelle sciocchezze, ora non saremmo in questa situazione.» si lamentò Clara, rivolta al marito.

«Mamma, papà, per favore! Non litigate.» intervenne Elena, posando la breve lettera sul tavolo dopo averla letta. «Ho guadagnato bene alla palestra Shiroyama e ho ancora dei soldi da parte. Possiamo usarli per pagare il mutuo.»

«Tu volevi iscriverti all'università, Elena. Non vogliamo rubarti il futuro.» replicò suo padre.

La ragazza alzò le spalle. «Non importa. Mi troverò un lavoro e così avremo un'entrata in più. E quando avremo sistemato tutto, penserò anche all'università.»

«Ci dispiace, Elena. Sappiamo quanto ci tenevi.»

Scosse la testa con un leggero sorriso. «Non vi preoccupate.»

«No, Elena. Troveremo un modo. Non puoi rinunciare al test alla LMU. E poi abbiamo già avviato l'Anerkennung, non ha senso fermare tutto.» insistette Clara.

«Per ora è fondamentale che mi trovi un lavoro. Poi vedremo.»

 

A pranzo, Elena non toccò quasi cibo. Fu facile far credere di essere solamente stanca per il fuso orario. In realtà, dall'espressione dei suoi genitori aveva capito che avevano semplicemente mangiato la foglia.

Andò nella sua stanza. Dal trolley tirò fuori il maneki neko e uno dei pupazzi di Diddl che aveva portato con sé anche in Giappone e si stese sul letto.

La sua stanza era spaziosa e colorata: era disseminata di altri pupazzi del suo amato topolino e dei suoi amici, alle pareti erano appesi poster delle sue due ginnaste preferite Nadia Comaneci e Nastia Liukin, due quadri con numerose fotografie che la ritraevano bambina e adolescente con le sue compagne della scuola di ginnastica artistica oppure con i ragazzi del Sant'Angelo. In alcune immagini c'era anche Taro.

Accostata alla parete opposta al letto, era collocata una libreria con dizionari, testi scolastici e numerosi libri tra cui racconti per l'infanzia e romanzi classici della letteratura italiana e tedesca, inglese e francese.

Sulla scrivania era collocato un computer, un portapenne pieno di penne a sfera nere e rosse, matite a mine ed evidenziatori, alcuni quaderni con anelli a spirale, un'agenda e un blocchetto di post-it. Su una mensola accanto, uno stereo portatile e due porta-cd.

Il Giappone … adesso era davvero lontano e non solo geograficamente.

La situazione era rimasta difficile come quando era partita, anzi era peggiorata.

Non ne aveva mai parlato ai suoi amici giapponesi, non avrebbero potuto fare nulla per lei e non voleva dare l'idea di essere in cerca di aiuto o di compassione.

Quando era in Giappone non aveva mai speso molto per sé, badando a mettere da parte un po' di denaro per aiutare i suoi genitori.

Le cifre da restituire erano troppo alte per poter ancora chiedere soldi in prestito ai nonni materni e a sua zia Inge. Carlo li aiutava quando poteva con versamenti sul loro conto, ma aveva delle spese anch'egli con la palestra. E comunque prima o dopo avrebbero dovuto ridare il denaro anche a loro. Dalla parentela di suo padre non c'era niente da aspettarsi: la nonna era vedova e viveva con una pensione sociale che bastava appena per provvedere a sé stessa e i rapporti con la zia erano ridotti a freddi e impersonali auguri in occasione delle feste di Natale e di Pasqua.

«E poi non sono mai andato a genio ai tuoi genitori. Lo so che non volevano che tu mi sposassi, perché ho quindici anni più di te, ho la terza media, faccio l'operaio e non il bancario …» udì la voce di suo padre attraverso la parete della stanza.

«Lascia stare, Valerio. Non è questo che intendo. Non ci troveremmo in questa situazione se tu avessi gestito meglio il denaro. Avresti almeno potuto lasciar fare a me, se proprio non ne eri capace!»

Elena sospirò. Pensò a Genzo, che sapeva soltanto che suo padre era un operaio e sua madre una commessa in un supermercato.

Delle loro difficoltà economiche non gli aveva accennato neppure una sillaba.

Né voleva dire niente di lui ai suoi genitori, per il momento. Suo padre era un grande appassionato di calcio e sapeva bene chi era, e soprattutto sarebbe stato felice di saperla legata a un ragazzo affermato nel suo lavoro e ricco, magari sperando in un intervento da parte sua.

Ma lei non aveva intenzione di chiedere alcun contributo a Genzo.

Ricordava bene le parole di Asami, che l'aveva accusata di aver messo gli occhi su di lui solo perché era un calciatore ricco e famoso.

Avrebbe finito per darle ragione e per instillare quel dubbio anche nel ragazzo.

No, ce l'avrebbe fatta con le sue risorse.

 

Era ormai sera inoltrata e si stava preparando ad andare a dormire quando sentì lo smartphone squillare.

Non poteva e non voleva negarsi.

«Sei arrivata a casa?» la voce pacata e premurosa del suo portiere le infuse un po' di conforto.

«Sì. Il viaggio è stato tranquillo.»

«Ero indeciso se chiamarti o no. In Italia devono essere le dieci di sera … avresti anche potuto essere già a dormire.»

«No, stavo per telefonarti io.» sorrise «Come va lì a Toluca? Ti sei abituato?»

«Tra poco cominciamo una seduta di allenamento. Qui l'altitudine è elevata, il clima caldo e l'aria rarefatta. I primi giorni sono stati tremendi e mi sentivo quasi scoppiare. Ora però va sempre meglio. Servirà ad aumentare la nostra capacità di resistenza.»

«Anche Misugi? So che il suo cuore non gli permette di fare sforzi troppo intensi e prolungati.»

«Sì, lui ha una preparazione differenziata rispetto alla nostra, ma reagisce molto bene. Ora giocheremo due amichevoli: una domani con la Nuova Zelanda e l'altra fra tre giorni con il Messico. Kira ha convocato trentatré giocatori e dal ritiro usciranno i ventitré della Nazionale Olimpica.»

Elena alzò le spalle. «Per te non dovrebbero esserci problemi.»

«Non bisogna mai dare niente per scontato, specie se l'allenatore è Kozo Kira. E ricordo bene cos'è accaduto l'ultima volta che ho dato qualcosa per già acquisito.» ribatté serio.

«Hai fatto vincere la tua futura squadra?» lo punzecchiò con tono divertito.

«Questa è una provocazione che non raccolgo.» rispose, ma una scintilla di divertimento era percepibile nella sua voce. Non poteva ancora ammetterlo, ma ci stava pensando e anche con attenzione.

«Va bene, tanto tra un mese al massimo sapremo la verità.»

Anche se non era dentro il mondo del calcio, aveva seguito e letto abbastanza da comprendere per quale motivo Genzo non potesse fornirle alcuna indiscrezione.

Il suo agente puntava a farlo ingaggiare al massimo prezzo possibile e se avesse disputato una buona Olimpiade, il suo valore di mercato sarebbe schizzato ancora più in alto.

«Anche tu hai la tua prima prova importante, tra non molto.»

«Sì, l'esame per la certificazione di lingua giapponese è tra due settimane. Sono un po' in pensiero per lo scritto. Mi chiedo se non ho osato troppo scegliendo il livello più difficile.» gli confidò, lanciando un'occhiata ai quaderni poggiati sulla scrivania.

«Ce la farai. Hai sempre comunicato con tutti noi, senza difficoltà. Non sei mai ricorsa al tedesco con me, o al francese o all'italiano con Misaki. Inoltre, ho parlato con Tokugawa quando eravamo ancora in Giappone e mi ha detto che eri tra i migliori allievi del suo corso. Detto da lui, è una specie di benedizione.»

«Davvero?» Elena sgranò gli occhi, piacevolmente sorpresa pensando a quell'uomo talmente imperscrutabile da sembrare altero, e che invece l'aveva tacitamente apprezzata.

«Vai e non pensare neppure per un momento di non poterci riuscire.» la esortò.

«Grazie, Genzo. Fammi sapere quando hai delle novità, ma sono sicura che in Spagna sarai tu il portiere titolare.»

 

La mattina dopo, Elena si mise a scartabellare alcuni giornali e riviste impilati in uno scatolone in attesa di essere smaltiti, e sull'edizione locale di un quotidiano che Valerio comprava abitualmente lesse un annuncio.

Una nota discoteca cercava bariste e cameriere per la stagione estiva.

Anche se la data stampata sul giornale era di una settimana prima, dovevano esserci ancora dei posti disponibili.

Era già stata tempo prima in quel locale ed era un posto rispettabile, ben frequentato e presente ormai da molti anni.  E si trovava a una decina di minuti di autobus.

Il pomeriggio stesso si presentò e chiese al proprietario e gestore del locale se era possibile lavorare part-time, visto che stava preparando un paio di esami d'ammissione.

Dopo un breve colloquio Lorenzo, un uomo sui quarant'anni dalla barba biondo-rossiccia ben curata, piuttosto magro ma con una pancia sporgente dovuta a robuste bevute di birra, decise di assumerla. Era un uomo dai modi spicci e non gli interessava comportarsi da amico o da figura paterna con le ragazze. Per lui erano soltanto delle lavoratrici alle sue dipendenze, ma a lei non importava, le bastava essere rispettata e ricevere regolarmente la sua retribuzione, come le aveva garantito.

Avrebbe cominciato dalla sera successiva.

 

Incamminandosi verso l'uscita del locale, incrociò una donna dai lunghi riccioli color mogano ravvivati da mèche rosse e occhi castani da cerbiatta.

Era truccata in modo vistoso e indossava un paio di pantaloncini e una canottiera che sottolineavano un corpo ben modellato su cui spiccava un petto generoso.

La squadrò dalla testa ai piedi, per poi farle un sorriso complice.

«Sei bella, lo sai?»

Elena spalancò gli occhi e alzò un sopracciglio. «Anche tu, ma francamente ho altri gusti.» rispose poi, affrettandosi a passare oltre.

La donna scoppiò a ridere. «Ma cos'hai capito? Intendo dire che con il tuo aspetto potresti anche non limitarti a fare la barista o la cameriera, part-time oltretutto e fare invece la ragazza immagine. Guadagneresti molto di più e se sai anche ballare un po' …» spiegò, seguendola e affiancandosi a lei.

«Non ho intenzione di dimenarmi mezza nuda attorno a un palo e farmi infilare banconote nel reggiseno o nell'elastico di un perizoma.» tagliò corto.

«Guarda che qui non funziona così. Non del tutto almeno. Va bene …» replicò alzando gli occhi al cielo, visto che Elena non accennava a cambiare espressione né a fermarsi, e aveva ormai quasi raggiunto la porta. «Ho già capito che soltanto con le parole non ho possibilità di convincerti. Ma almeno questa sera vieni qui e guarda quello che faccio. Io mi chiamo Sara.»

«Elena.» concesse infine, voltandosi verso la ragazza mentre posava una mano sulla maniglia. «Verrò, ma non ci sperare troppo.»

 

Sara aveva ventidue anni, anche se il trucco pesante la faceva sembrare un po' più vecchia.

Ma in quel locale era praticamente impossibile trovare ballerine sopra i trent'anni e lei era già considerata una "veterana".

Elena guardò lei e le sue colleghe con attenzione e ignorando i suoi pregiudizi, ma non cambiò idea. Era convinta di non aver bisogno di arrivare a esibire il proprio corpo e regalarlo alla vista e ai commenti di uomini famelici e volgari e donne maligne e gelose.

Non che nessuno avesse tentato di allungare le mani mentre serviva ai tavoli, ma era ben diverso dal muovere il proprio corpo in modo provocante al suono di musiche allusive.

Ribadì perciò che avrebbe fatto esclusivamente quello per cui era stata assunta.

Continuò così, per tre sere.

 

Tornò a casa, fece una doccia e poi contò, seduta alla sua scrivania, i soldi guadagnati. Fece il calcolo di quanti ne mancavano per saldare l'intero debito.

Sospirò scoraggiata.

Erano ancora tanti. Troppi. C'erano un paio di bollette e un altro di tasse arretrate e le quote d'iscrizione per la certificazione di lingua giapponese e per l'università.

Chinò la testa e mise una mano sulla fronte, le banconote sparse sul ripiano e le parole di Sara che le mulinavano nella mente come un richiamo che faceva sempre più fatica a ignorare.

 

«Quanto hai guadagnato, Elena?»

La serata era ormai terminata, i clienti se n'erano andati ed era quasi ora di chiudere.

Le comunicò la cifra che Lorenzo le aveva corrisposto in quei primi quattro giorni.

Sara sorrise, come se si aspettasse esattamente quella risposta.

«Guarda quante ne ho prese io soltanto stasera, invece.» sparse le banconote sul bancone e a Elena si mozzò il fiato. Erano il doppio delle sue e di taglio maggiore.

«Con queste mi pago le rette dell'università, l'affitto, il vitto e le tasse … e così evito di pesare sulle spalle dei miei.» le confidò.

«Lo so che agli occhi della gente passo per una puttana e forse anche tu l'hai pensato.» proseguì guardandola dritto negli occhi, ma senza rimprovero né provocazione.

«In realtà, molte di noi scelgono questo lavoro semplicemente perché è più redditizio e permette un'indipendenza economica che altri mestieri più "puliti" non consentono di avere.»

Per la prima volta vide la vera Sara, sotto la corazza di giovane donna spavalda e un po' impudente.

«Io vorrei aiutare i miei genitori a ripagare i debiti e potermi iscrivere a una prestigiosa università.» le confessò.

Sara annuì, comprensiva. «Come vedi, se fai solo la cameriera non riuscirai a guadagnare abbastanza rapidamente. Se ti può aiutare, pensa che di notte diventi un personaggio che esiste solo qui e non è la persona che sei nella vita di tutti i giorni. In fondo si tratta di un paio di mesi. E passano in fretta, te lo assicuro.»

 

Era in piedi dietro a una specchiera nello stanzino in cui Sara si vestiva e si truccava prima di entrare sul palco.

Il sole filtrava attraverso le imposte lasciate aperte per mitigare il caldo di quelle giornate.

«Sai ballare un po'?» le chiese, dapprima guardandola attraverso lo specchio, per poi alzarsi dalla sedia e mettersi di fianco a lei.

«Ho fatto ginnastica artistica per dieci anni.»

«Allora non dovresti avere problemi a muoverti in modo sciolto e aggraziato. Io prima di cominciare ero un pezzo di legno, e guarda adesso come mi muovo.» disse divertita, mettendosi a ondeggiare con le gambe e il fondoschiena. Poggiò le mani sulle ginocchia con la malizia espressa dagli occhi e dalla piega delle sue labbra.

Elena si sentì avvampare all'idea di ripetere quei movimenti e riprodurre quello sguardo. Scosse la testa.

«Non potrò mai fare una cosa del genere.»

«Elena! Non guadagnerai abbastanza per estinguere i debiti e per pagarti l'università e l'affitto dell'appartamento a Monaco e relative tasse, limitandoti a fare la cameriera.» le rammentò. «Anch'io ero imbarazzata all'inizio e mi credevo incapace di farlo, cosa credi? Ma alla fine è un lavoro che mi permette di essere indipendente. Spesso chi mi giudica una poco di buono è peggiore di me.» affermò, perentoria e orgogliosa. «Pensa ai tuoi genitori che saranno più sereni, e a te stessa quando sarai in Germania a costruirti il tuo futuro. C'è un prezzo per tutto e ti assicuro che non è nemmeno così salato.»

«Hai presente "Il grande sogno di Maya"? Ecco, pensa che stai per indossare una maschera e interpretare un personaggio. E magari chissà, potresti incontrare anche tu un bel giovanotto ricco sfondato che si innamorerà perdutamente di te.» scherzò infine, strizzandole un occhio, cercando di alleviarle un po' il senso di disagio.

Elena si sforzò di sorridere. Lei lo aveva già conosciuto, il ragazzo descritto da Sara … e di certo non sarebbe stato felice di sapere quello che stava per fare.

Ma se fosse riuscita a trasferirsi a Monaco, avrebbe potuto vivere nella stessa città in cui, lo sentiva, avrebbe aperto la nuova fase della sua carriera.

Sì … lo stava facendo anche per lui.

  

Mentre si guardava allo specchio, con addosso un costume con lustrini neri e fucsia, succinto e provocante, le sembrò di avere di fronte a lei un'estranea con cui aveva in comune soltanto il colore dei capelli e degli occhi.

Il top era di due taglie inferiori alla sua, per far sembrare i seni più grandi.

La gonna era cortissima e lasciava scoperte le gambe per intero, lasciando intravedere i glutei. Sorrise leggermente: in fondo, in questo non era molto diverso dai body indossati nelle gare di ginnastica artistica.

Il ventre era interamente scoperto, ombelico compreso.

Ai piedi, un paio di stivaletti dello stesso colore dell'abito con orli neri e tacchi alti.

Ma ciò che la sconvolgeva di più era il trucco.

Pesante. Vistoso.

Un rossetto di un rosso deciso, l'ombretto dorato a sottolineare l'azzurro dei suoi occhi. Il mascara e il fard la facevano apparire più vecchia di almeno quattro anni.

Così era ancora più difficile riconoscere sé stessa e più facile pensare di stare semplicemente andando in scena a recitare una parte.

Non era veramente Elena Rulli, ma una ragazza che si esibiva in quel locale e casualmente si chiamava come lei.

Esisteva solo lì, nessuno l'avrebbe conosciuta se non il gestore, le sue colleghe e gli avventori del locale.

Un'estate così, anzi poco più di due mesi … e poi sarebbe stato solo un ricordo.

Né i suoi genitori, né Genzo avrebbero saputo nulla.

Avvertì il tocco leggero di una mano dalle unghie laccate di rosso posarsi sulla sua spalla.

«Sei pronta?» la voce di Sara era poco più di un sussurro, ma i suoi occhi erano risoluti, come se quella domanda accettasse una sola risposta.

Elena piegò la testa in segno d'assenso. «Ho scelto. Non tornerò indietro.»

Uscì dal camerino ed entrò nella sala vera e propria, illuminata da luci abbaglianti e insistenti, con la musica che riempiva tutto il locale. Il palco era lì accanto.

Vi salì, insieme a Sara e ad altre tre ballerine.

  

 

 

***Note***

 

 

Il JLPT (Japanese Language Proficiency Test), è l'esame per la certificazione di lingua giapponese, gestito dalla Japan Foundation and Japan Educational Exchanges and Services.

La certificazione prevede cinque livelli di difficoltà: da N1, la più difficile, che attesta la capacità di utilizzare il giapponese in tutte le circostanze, a N5, che attesta un livello di conoscenza basilare.

Altre informazioni qui.

In Italia è prevista un'unica sessione, quella di dicembre. Per questa fanfiction mi sono concessa una piccola licenza inserendone una anche nel mese di luglio, peraltro prevista in altri Paesi europei.

 

 

Un saluto a tutti.

Cambiano i luoghi e cambia l'atmosfera.

Il Giappone è ormai lontano ed Elena deve fare i conti con una situazione economica difficile.

Per aiutare i suoi genitori e per non rinunciare ai suoi sogni fa una scelta controversa.

Da qui inizia la parte finale della storia.

Grazie come sempre a tutti i lettori, mi scuso per l'assenza prolungata.

Sandie

  
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