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Autore: Aittam    07/07/2019    0 recensioni
Quante domande lascia in sospeso questa serie? Quante cose ci proponiamo di risolevere seguendola eppure nulla viene mai rivelato completamente? Ecco a voi la prima parte del Ciclo dei Miracoulus (oppure, visto che recentemente l'italiano è da sfigati: The Miracoulus Cycle) ovvero un insieme di serie che vadano a rispondere ad ogni nostro dubbio amletico riguardo a questo affascinante mondo.
In questa prima parte vedremo ciò che è stato nel passato a noi conosciuto: chi furono i primi portatori? che ruolo ebbero nelle varie età storiche e come si interfacciavano ai Kwami in dati periodi in cui la magia era più semplice di quanto in realtà non sia?
ovviamente non sarà una specie di libro di storia: ogni capitolo racconterà un evento che avrà come protagonisti alcuni portatori, alcuni realmente esistiti e altri inventati di sana pianta da me medesimo con uno studio ben strutturato dei personaggi e uno sviluppo caratteriale, in molti casi, ben studiato e organizzato... il tutto sarà guidato dai Kwami principali che, in un certo senso, saranno i nostri agganci veri e propri alla serie... non mancheranno però riferimenti diretti alla serie originale o anche ad altri media... aspettatevi molte citazioni.
Genere: Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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ARMATURA ROSSA
 
Spesso i cavalieri e i fanti che scendono in battaglia non si chiedono perché lo fanno: spesso sono solo spinti dal desiderio di affondare le loro lame in qualche sconosciuto corpo per poi vederlo stramazzare a terra morto nella speranza che plachi la loro frustrazione di vita…. Che periodo disgustoso era quello!
Gli inverni si facevano più freddi e rigidi mentre le estati erano più aride e afose; la peste non aveva aiutato: era giunta improvvisa e tremenda e in un solo anno si era portata via migliaia di uomini, donne e bambini senza fare distinzione tra i meritevoli e i peccatori.
La peste era solo l’ultima e la più fatale delle piaghe di quel tempo: i quattro cavalieri erano arrivati come predetti dalle scritture e l’ordine era il medesimo.
Guerra giunse in groppa al suo cavallo ed era armato scoccando frecce dal suo arco d’argento quando Carlo Magno espanse i confini della Francia e sterminò tanti popoli quanti quelli che lo accolsero.
Carestia venne poi quando, poco tempo dopo, l’Impero Carolingio fu diviso crollando su sé stesso: governante incompetenti, leggi assurde e maltrattamento della popolazione portarono alla fame e ciò portò alle malattie.
E la Pestilenza venne sul cavallo scheletrico e ricoperta di bubboni pulsanti: la Peste Nera che colpiva ogni essere e non lo lasciava vivere se non tra atroci sofferenze per poi portarlo alla morte più crudele. Il castigo divino non perdonava nessuno.
E con la Peste venne la Morte, in sella a un cavallo verdastro e con l’inferno al suo seguito; null’altro che il colpo di grazia.
L’imperatore che estendeva il suo regno dalla Sassonia al territorio dei Longobardi continuava le sue inutili scaramucce con il papa che, come esponente supremo della chiesa, ne identificava tutti i pregi ma soprattutto ogni difetto: ogni peccato capitale gli apparteneva e a quel tempo non c’era papa che non amasse bere e mangiare, frequentare i bordelli, essere elogiato per meriti non completamente suoi, poltrire tutto il giorno affidando il suo lavoro a chicchessia per poi abbandonarsi a ingiustificati eccessi d’ira per poi rifiutarsi di spendere il proprio oro per il bene della chiesa ritenendo che invece fosse lui stesso la chiesa e che quindi, spenderli per se stesso, fosse uguale… ma soprattutto il papa invidiava l’imperatore: così potente e temuto, così forte militarmente e libero di fare tutto ciò che voleva… tutte scuse.
E tutto ciò portò alla devastazione finale: la guerra più lunga e sanguinosa che il mondo avesse mai visto e, sicuramente, la più attesa.
Inghilterra e Francia si odiavano da secoli (sebbene avessero molte affinità culturali) e il re di ognuna delle due potenze desiderava il possesso di quei territori al di là di quel braccio di mare.
E a un certo punto il fin troppo intraprendente Enrico III aveva colto l’occasione: in Francia era morto Carlo IV e con lui si sarebbe estinto il ramo principale della famiglia nobile di Francia… il fatto era che Edoardo era strettamente imparentato con il sopracitato e si reputava più legittimato al trono… scoppiò la guerra e fu tremenda.
Morirono centinaia di persone, alcuni ebbero successo ma pochi ancora li ricordano mentre molti caddero ingiustamente solo per una questione di contesa regale… a loro non importava: facevano a gara a chi aveva lo scudo più grande e la spada più affilata per battere il proprio nemico e chi vinceva otteneva fama per una cinquantina buona di anni per poi finire nel dimenticatoio o tra le braccia dell’amorevole Peste Nera.
La Francia perse molti territori e fu concordata una pace piuttosto sofferta: ora gran parte dei territori a Sud e ad Est erano controllati dagli inglesi e ai Francesi rimaneva il resto.
Ma poi tutto ricominciò attorno al ‘420: il vecchio re ormai era inadatto a governare la Francia e si percepivano i primi sintomi di una malcelata follia: perciò presero il suo posto due principi di Francia che sentivano di dover succedergli e iniziarono ovviamente a litigare come cani chiusi in una piccola gabbia assieme a un osso. 
Filippo di Borgogna fu seguito da una parte del popolo francese, i borgognoni e Luigi d’Orleans, conte d’Armagnac, fu seguito dagli Armagnacchi in uno scontro civile che fu tremendo e con orrende conseguenze.
Si da il caso che i borgognoni avessero delle piccole amicizie con gli inglesi e, appena questi fiutarono l’odore di conquista, non persero tempo e scesero in aiuto di Filippo conquistando il conquistabile: l’intera Normandia e persino Parigi che fu letteralmente saccheggiata (era dal tempo dei vichinghi che non si aveva qualcosa di così devastante) e ciò portò all’atto definitivo: il Trattato di Troyes.
Enrico V, nipote di Enrico III, stava letteralmente coronando il sogno di suo nonno e la sua stessa testa: entrò nel palazzo del vecchio Carlo IV con in mano un documento da controfirmare su cui erano messi, nero su bianco, tutti gli accordi per la pace: lui avrebbe ottenuto il torno di Francia in cambio della liberazione completa.
E Carlo IV, che come già detto era ormai in preda alla follia, accettò senza rimorsi parlando di uccellini che glielo avevano consigliato mentre dormiva. E la Francia finì sotto l’Inghilterra apparentemente per sempre.
 
Jeanne dormiva in quella notte fatidica, mentre la luna splendeva attraverso la finestra della baracca in cui dimorava con i genitori. Erano contadini figli di contadini che a loro volta erano figli di contadini.
E lei si sentiva a proprio agio in quella situazione ma si sarebbe sentita meglio se ogni volta non fossero venuti quei maledetti sceriffi inglesi a importunarli con le loro tasse e le loro pretese assurde.
Quella notte Jeanne si levò dal suo giaciglio e si guardò attorno con aria assonnata prima di guardare distrattamente fuori dalla finestra con un’improvvisa curiosità: qualcosa non andava nel giardino.
Uscì per osservare ciò che accadeva fuori e lo vide: uno strano bagliore tra alcuni alberi poco fuori il recinto di casa sua.
Inizialmente ebbe paura: sapeva di strane storie che riguardavano luci che apparivano nella notte e ti guidavano o a una grande ricchezza o ad un destino tragico, dipendeva tutto dallo spirito, ma anche di presenze demoniache che avrebbero potuto possederla.
Ma Jeanne non era spaventata: era più che altro incuriosita e l’unica cosa che voleva in quel momento era capirci qualcosa.
Camminò con circospezione per qualche decina di metri prima di arrivare a pochi centimetri dai primi alberi: in genere nelle storie le luci si muovevano ma queste sembravano ferme e provenire dal suolo.
Riuscì a raggiungere le luci e vide che erano emanate da due piccoli oggetti di una strana pietra rossa a pois neri che parevano avere vita propria.
La prima cosa che pensò era: “Non toccarli! Potrebbe viverci dentro il diavolo e potrebbe prenderti!” ma l’altro pensiero che gli venne in mente fu: “Ma no dai! Sono palesemente venute dal paradiso! Hanno le livree delle coccinelle e la coccinella è l’insetto sacro alla Madonna quindi deve averle inviate lei per benedirmi” e questo pensiero guidò le sue graziose mani che afferrarono i due piccoli orecchini.
Jeanne si infilò il primo orecchino nel lobo destro e vide un globo di luce rosa apparirgli davanti agli occhi (facendogli logicamente prendere un infarto) ma, prima di scappare via e chiedere aiuto ai genitori per la troppa paura che l’aveva nuovamente presa, Jeanne si sbrigò a infilare il secondo orecchino prima che avesse altri rimorsi: doveva essere per forza una presenza angelica se l’animale che recava come simbolo era la coccinella.
E le apparve… un demone.
Fu il primo pensiero che Jeanne fece: non assomigliava per nulla a un angelo: era piccolo e rosso come il fuoco con punti neri (forse la livrea della coccinella era solo una coincidenza o un modo per mascherare la sua natura malvagia) e appena Jeanne confuse le antennine di Tikki con due corna ricurve si sbrigò a sfilarsi il crocefisso dal collo e a gridare: «Vade retro Satana! Esci da questo luogo e lascia in pace quest’anima pura!»
Ma l’effetto non ebbe luogo: il demone non iniziò a gridare in modo convulso e a maledirla: rimase fermo, impassibile e leggermente contrariato.
«Mi hanno chiamato in molti modi» esordi l’essere con una voce femminile «ad esempio mi hanno dato dello scarafaggio, della dea, del mostro, della moira ma mai e poi mai mi hanno dato del diavolo!»
Jeanne si stupì: non poteva credere che una creatura così poco umana potesse parlare e con una voce così graziosa.
«Cosa sei allora se non sei un demone? Un folletto?»
«Ehm… non credo»
«Un elfo!»
«Macché?!?»
«Allora sei un angelo! Non trovo altra spiegazione!»
«No! Sono un Kwami!»
«Una che?»
«Una Kwami! Uno spirito Quantistico! Una custode dell’universo! Una…»
«…un falso dio! Allora sei davvero un demone! Chiamo il prete»
«No! Nessuno può vedermi a parte te! E non sono un falso dio!»
«Allora cosa sei? Una santa?»
«Ehm… una specie»
«Ma non hai alcuna caratteristica umana… allora sei un angelo! Non ci sono dubbi! E solo l’angelo più potente e bello può avere una voce così adorabile»
«Ehm… grazie?»
«Ma si è ovvio! Devi essere San Michele!»
«Cosa? San Michel… OK lasciamo perdere… si! Sono San Michele! Contenta? Ora: vuoi una mano per salvare il popolo di Francia dalla devastazione imminente?»
«Come? Davvero posso farlo?»
«Tu devi solo dire “Tikki trasformami” e sarai pronta ad affrontare qualsiasi esercito»
«Ma sono solo una ragazza… di quattordici anni tra l’atro!»
«Appunto! Prima lo fai meglio eh no?»
«Nel senso che: sono una ragazza! Mi è proibito combattere!»
«Con te faremo uno strappo»
«E cosa ne penserà la gente del fatto che sia una ragazza a guidarli?»
«Talvolta il popolo è più orbo di un vecchio»
«Capito! Mi devo travestire da uomo!»
«Non intendevo che… Jeanne?! Dove sei andata?»
Tikki fluttuò verso la casa dove la ragazza si era fiondata e la trovò seduta nella cucina dei suoi genitori mentre si stava tagliando i capelli con un coltello.
«Ma che diavolo stai facendo?»
«Mi fingo un ragazzo no?»
«Non posso crederci… un’altra Mulan… Ma perché?»
«È più sicuro così! Voglio fare in modo che la gente mi segui a prescindere dal mio essere uomo o donna e voglio che ci liberino dagli inglesi»
«Stanno creando così tanti problemi?»
«Beh… si. Gli sceriffi non fanno altro che disturbarci con imposte e leggi inutili che dobbiamo rispettare altrimenti ci frustano o ancora peggio… voglio solo liberare tutti da questa brutta gatta da pelare»
«È per questo che sono qui! Forza: di ciò che devi dire!»
«Va bene: Tikki, trasformami!»
Quando la luce si fu dissipata dalla sua vista Jeanne si guardò il corpo e lo scoprì in modo molto diverso dal solito: ora indossava un’armatura rossa a pois neri con bardature d’argento e al suo fianco pendeva una spada con un pomo dei medesimi colori.
«Wow… ma dove sei finita?» chiese lei a vuoto cercando Tikki con lo sguardo ma non la trovò… forse non era più così importante: ora doveva agire.
Si incamminò verso il bosco aperto sicura che, con la protezione di quella creatura angelica, non le sarebbe successo nulla.
Giunta davanti a un grosso albero estrasse la spada e menò un fendente contro il tronco convinta di essere diventata abbastanza forte da abbatterlo con un sol colpo. Mossa fallita.
In compenso scoprì di poter fare acrobazie e salti straordinariamente elevati e di poter individuare appigli e punti che la sostenessero anche quando si trattavano di rami sottili… non era abbastanza però.
Appena si fu stancata la trasformazione si annullò e le riapparve l’angelo.
«Non mi hai dato nulla di interessante: sono solo più agile di quanto già non fossi!»
«Ti devi solo impegnare: i poteri che conferisco non sono immediati: vanno sviluppati e possono portarti a grandi abilità… in più non hai solo una spada»
«Cioè?»
«L’elsa nasconde un sottile filo resistente quanto mille corde di ragno e lo puoi manovrare facilmente essendo lunghissimo: devi solo tirare il pomo e vedrai cosa sarai in grado di fare!»
«Altro? Ad esempio: come faccio a procurarmi un cavallo?»
«Puoi rubarlo!»
«Ma sono una pulzella pura e indifesa e sicuramente non sarei in grado di compiere una simile efferatezza!»
«Allora compralo!»
«Faccio prima a conquistare il regno a piedi»
«Allora ti dovrai allenare tantissimo per potertelo creare da sola: hai in dotazione un potere straordinario: dovrai semplicemente dire “Encanté dé la Fortune” e potrai creare ciò che io ti potrò suggerire»
«Quindi tu lo creerai! Non credevo che gli angeli avessero poteri così prodigiosi!»
«Si… certo… ora è il momento che tu passi il tuo tempo allenandoti… potresti andare in giro vestita da cavaliere – rigorosamente con l’elmo in testa – offrendoti di aiutare e difendere il popolo dai soprusi del popolo inglese»
«Ma così non rischierò di finire spesso nei guai?»
«Ti aiuterò: la fortuna è dalla tua parte!»
«Vuoi dire la grazia divina?»
«Si… lei… ora andiamo!»
 
Passò un anno in cui Jeanne vagò per le città e le campagne della Francia aiutando la povera gente e lavorando presso nobili di vario genere (doveva pur portare il pane in tavola) finché non fu abbastanza forte da poter rivaleggiare con un guerriero possente due volte lei sebbene il suo corpo rimanesse quello di una giovinetta magrolina e dal viso pallido: Tikki le aveva spiegato che era tutto frutto del suo potere.
Ora Jeanne vagava sia in forma di civile (con il cappuccio ben calato sul viso così da non poter essere riconosciuta da troppe persone) e armata di arco e fu soprannominata così Jeanne de l’Arc, poiché era solita proteggere il popolo dai soprusi della gente. E in forma di cavaliere si fece conoscere come il Cavaliere Vermiglio, che agiva talvolta come silenzioso mercenario e altre come nobile difensore del genere umano.
E non combatté solo umani: affrontò draghi e demoni, orchi e streghe per la difesa della buona gente.
Passò un anno ed ebbe sviluppato i suoi poteri di creazione fino a poter creare vita dal nulla: e così dette vita al suo cavallo poco prima che scoppiasse nuovamente la guerra.
E il suo cavallo le rimase fedele e fu chiamato come l’amato che aveva perduto poco prima, ucciso da due sceriffi inglesi per aver rubato alcuni cervi.
Giunse in quel periodo nei pressi di Orleans, zona limitrofa al luogo in cui era nata e luogo in cui ora gli inglesi avevano pianta stabile e se la godevano fin troppo.
Jeanne de l’Arc allora assunse il suo aspetto di cavaliere e si recò nella piazza della città pronta a far rivoltare il popolo: chiese ad un fruttivendolo una cassetta per le mele in prestito e lui gliela diede; lei portò la sua cassetta al centro della piazza, ci salì sopra e iniziò a parlare.
Sapeva che, innanzitutto, non c’era bisogno di parlare subito della situazione nazionale: altrimenti il popolo si sarebbe annoiato o spaventato, nel timore della punizione degli sceriffi: iniziò quindi raccontando qualche barzelletta, così da alleggerire la tensione e far agire in modo più collaborativo il popolo.
Essi risero alle prime battute e risero ancora più forte alle seconde per poi ridere nuovamente e con più fragore e clamore alle terze.
Ora tutto il villaggio era riunito ad ascoltare quella misteriosa figura che, da sotto quell’armatura per nulla intimidatoria, millantava di barzellette sempre meno edulcorate e sempre più spinte e sguaiate fino alla diretta critica cittadina.
Sapevano molti che agli sceriffi ciò non sarebbe piaciuto ma anche loro si erano uniti alle risate e sembravano non farci più tanto caso e, come sotto ipnosi, si sentivano parte della comunità che avevano il compito di controllare.
Quindi Jeanne decise di ironizzare sulle guerre passate tra Inghilterra e Francia e terminò ripercorrendo gli ultimi eventi per poi fare, come se fosse un gioco o una scommessa, questa proposta: ribellarsi!
E il popolo la ascoltò e la assecondò: prima presero il tutto come una simpatica burla poi, lo spirito di gruppo si fece più forte e Jeanne estrasse la spada gridando: «Allora! Per Dio Padre Onnipotente! Facciamolo!»
E la gente afferrò tutti gli oggetti che avevano sottomano e iniziarono uccidendo gli sceriffi che, inebetiti dalle risate, si resero conto fin troppo tardi di ciò che stava accadendo loro intorno.
Jeanne gridò ancora quell’incitamento e tutti si riversarono nelle strade a caccia degli inglesi e gridando: «Morte all’Oppressore! Morte all’Oppressore!» rivolgendosi probabilmente ad Enrico IV o a qualsiasi altra persona.
E la rivolta dilagò ovunque: prima ad Orleans e poi nelle altre città limitrofe finché l’intera Francia fu travolta da queste ondate di ribellione popolare.
Nel frattempo, Jeanne, che aveva diciotto anni al tempo, vagava per le strade di Parigi radunando più uomini possibile rivelandosi talvolta come la donna che era e talvolta come il cavaliere che voleva sembrare.
E cavalcò nelle pianure e nei boschi con il suo cavallo in testa a eserciti sempre più grandi finché non ebbe alle spalle l’intero ex esercito francese.
E Orleans tornò in mano ai francesi così come altre città, di cui l’ultima fu Parigi.
Ad un certo punto Jeanne de l’Arc capitò in un paese in cui si raccontava che vivesse l’ultimo discendente dei Capetingi, gli ultimi re di Francia prima della venuta di Enrico IV e ne fu felicissima: ora sapeva cosa doveva fare: convincere il figlio del Re Folle, Carlo VI, a riprendersi il trono.
Ella si recò alla sua casa e la trovò dimessa e povera: l’unico abitante era un giovane dall’aria trasandata e scialba che la guardò subito male come a dire “Che ci fai qui, vattene subito” ma lei riuscì a convincerlo attraverso le doti di eloquenza e anche qualche astuzia femminile (forse arrivò anche a sedurlo) portandolo quindi a Orleans, dove si sarebbe disputata l’ultima grande battaglia per la difesa della Francia dall’invasore.
E Carlo VI si pose in testa al suo esercito e a fianco a sé era Jeanne de l’Arc, l’eroina di Parigi, che scrutava gli uomini a cavallo attorno a sé: era la prima volta che non portava l’elmo e tutti poterono riconoscerla quale era: una donna.
Jeanne estrasse la spada e, dall’elsa, rivelò lo Yoyo che fece volteggiare sulla tua testa al grido di: «Morte a Enrico IV!» per poi gettarsi in battaglia al fianco del nuovo re di Francia.
E durante lo scontro lei combatté contro lo stesso Enrico IV che appena la vide le chiese: «Sei tu forse Jeanne de l’Arc? Quella che chiamano “La pulzella d’Orleans”?»
«Così dicono»
«Sei quindi disposta a morire per mano mia?»
«Questo pensi quindi?»
«Esattamente! Cos’è quell’armatura? Pensi davvero di intimidirmi con quattro pezzi di ferro in croce rossi a pois neri? Sei davvero una sciocca e una sconsiderata!»
Quando ebbe detto ciò Jeanne sollevò la mano in cielo e gridò: «Encanté dé le Fortune!» e tra le sue mani apparve una croce di legno.
«Porto tra le mani la croce di nostro signore Gesù Cristo! Tu non puoi nulla contro una paladina del signore!»
«Cosa? Ma quindi il tuo ordine viene dall’alto?!»
«Esattamente!» e detto ciò abbatté la sua spada sulla calotta cranica del re dividendola in due come un melone per poi passare attraverso il collo e metà addome: il sangue schizzò ovunque come se esplodesse e tutti i soldati attorno si ritirarono spaventati; ora Jeanne si voltò e, colta da una sorta di desiderio definitivo di vendetta, ne falciò uno dopo l’altro recando in mano la croce (vera o falsa, sta a voi deciderlo) che le attribuì in seguito il titolo di santa.
Jeanne avanzò in mezzo al campo sterminato e i soldati francesi la videro: armata di arco e spada, il suo Yoyo roteava vorticosamente lasciando dietro a sé spirali di sangue che ricadevano a terra come neve d’inverno; il suo corpo intero non presentava più alcun pois nero: era solo rosso.
Essi fuggirono presi da un terrore primordiale: era una paladina di Dio eppure aveva falciato tutto l’esercito come la morte e, in quella guisa, iniziarono a sospettare che non fosse davvero una dea e che il suo corpo fosse stato preda di un demonio.
Passarono gli anni e, dopo quella schiacciante vittoria, la Francia era nuovamente libera. Quanto a Jeanne ora stava bene: non aveva accettato alcun titolo nobiliare e continuava a farsi conoscere come Jeanne de l’Arc e il popolo la amava. Si dice che anche Carlo VI la amasse e che la desiderasse alla sua corte per renderla la sua regina ma lei non accettò mai: non desiderava essere una signora vestita con strati di seta e inghirlandata con pizzi e ghirlande così da sembrare più una statua d’oro che una persona e preferiva piuttosto continuare il suo lavoro di paladina del popolo: se mai Carlo VI fosse caduto nella spirale del potere, giurò un giorno Jean, avrebbe fatto la fine degli inglesi…. Anche se pare che in determinati periodi Jeanne non prestasse servizio al popolo e rimanesse alla corte di Carlo… e ogni tanto saltava fuori qualche suo figlio bastardo che il popolo attribuiva alla maternità della donna in armatura che li difendeva.
Erano passati alcuni anni ma, come accadde per Eracle, per Achille e per Artù, ogni eroe è destinato a una fine ingiusta.
Una notte Jeanne fu rapita e condotta oltre i confini del regno capetingio: ora era in terra d’Anglia e si trovò di fronte a una corte ecclesiastica che, senza alcun processo o tribunale, come voleva a loro Magna Carta Libertatum, fu processata per eresia contro la chiesa di nostro signore Gesù Cristo dal Santo Seno di Maria.
Le ultime parole che ricordò furono le seguenti: «Io, Frederich Munster, giudice divino, dichiaro la qui presente Jeanne de l’Arc come un’eretica che ha sterminato il buon popolo d’Anglia, servo di Dio, e la condanno per stregoneria e relazioni corrotte con la stirpe di Satana e sarò io stesso a dare alle fiamme il rogo su cui il suo corpo impuro sarà esposto!»
Tikki pianse quel giorno: non si era affezionata mai così tanto ad una portatrice e pianse soprattutto per l’ingiusta fine che aveva ottenuto.
Jeanne la consolò: «Non piangere per me: ci rincontreremo presto»
«In paradiso?»
«Nel tuo paradiso»
«Come?»
«Dopotutto tu non sei un angelo vero? E nemmeno un demone? E nemmeno un santo… sei un’emanazione di Dio»
«Ma cosa… come diavolo hai fatto a… no, non c’è bisogno che io lo sappia, mi spiegherai poi, quando tutto questo sarà finito e ci incontreremo nuovamente nel mio… come lo chiamava Doosu… Valhalla? Paradiso degli eroi personale? Non lo so… Nirvana forse»
Jeanne rise e prese per l’ultima volta Tikki tra le mani, la baciò e le sussurrò: «Ci vediamo dall’altra parte mio angelo custode» e si staccò gli orecchini per poi dirigersi, con passo sicuro e rilassato, verso la porta della casa in cui l’avevano confinata e che dava direttamente sulla piazza al cui centro era stata allestita la catasta che le avrebbe dato il colpo finale.
Salì con disinvoltura le scale di legno che erano state allestite con cura per sbeffeggiarla: una salvatrice del popolo aveva bisogno di una pira trionfale no? Si pose addossata al palo centrale e si fece legare le mani e i fianchi con corde strette e fili spinati che le ferirono i polsi e la vita; le posero un mantello di porpora sulle spalle e lei non poté fare altro che chiedere al boia, con una pesante linea di sarcasmo: «Ora mi calerete anche una corona di spine e mi farete bere dell’olio di ricino con una spugna? Dividerete le mie veste e mi trafiggerete il petto? E pensare che credevo che il popolo cristiano non volesse fare gli stessi errori che condussero sulla croce il primo martire»
«Non sei una martire, sei una strega che si crede tale» disse il boia con malvagia soddisfazione.
Venne il vescovo… come si chiamava? Frederich forse? Che portava in una mano il pastorale, nell’altra una fiaccola accesa e indossava una tunica riccamente decorata con intarsi d’oro e d’argento e portava, sulle spalle, il mantello porporino delle grandi occasioni.
«Ti conduco all’inferno facendoti assaggiare le fiamme del supplizio eterno» decretò lui con voce grave e solenne e accostò la fiaccola alla pira attendendo che il ramo prendesse fuoco; presto la fiamma si innalzò come un serpente e si mosse rapida diffondendosi su tutta la pira.
La gente applaudiva e rideva e Jeanne non fece altro che chiedere, con naturalezza e tranquillità: «Ridete come i romani prima della morte di un gladiatore… siete disgustosi»
Risero più forte.
«Eppure, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo… io vi consacro perdonandovi»
Le fiamme toccarono la sua povera veste che, nel giro di tre secondi, prese violentemente fuoco incenerendosi in pochissimo tempo e rivelando il suo corpo nudo e bruciato dal fuoco agli occhi della gente mentre il suo capo ricadeva verso il basso, coprendo il volto con la sua chioma corvina con riflessi bluastri che, alla luce delle fiamme, erano come rossi “un crine da strega” dicevano molti, mentre pochi pensarono: “Anche Maria aveva gli stessi capelli”.
 
E qui si conclude la tragica storia di Jeanne de l’Arc, la prima grande eroina di Francia che ora risiede nel Valhalla personale di Tikki, dove ogni portatore si ricongiunge con quelli passati all’interno del miraculous.
Per il prossimo racconto: andiamo nel nuovo mondo e vedremo cosa succede quando raduni due miraculous e, per coincidenza, la gente ti confonde per il loro messia mentre tu non hai buone intenzioni nei loro confronti.   
   
 
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