LA DOCCIA
CAPITOLO 1:
RICORDI
Un getto d’acqua fredda. Solo un getto d’acqua fredda e il
sapone che ricopriva il mio corpo sparì lentamente. Ma non sarebbe bastato un
semplice getto d’acqua fredda per cancellare la schiuma di sapone che avvolgeva
il mio cuore, rotto e distrutto dall’ennesima relazione finita male.
Uscii dalla doccia, apparentemente pulita, ma dentro più
sporca di prima. Mi avvolsi nel mio accappatoio bianco, infilai le ciabatte e
mi guardai allo specchio. Riuscivo a scorgere i contorni del mio viso, ma non
riuscivo a mettere a fuoco i particolari. La mia vista si era notevolmente
abbassata e gli occhiali erano diventati per me ormai una necessità, non che
non lo fossero già prima. Avevo cominciato ad indossarli abitualmente già dalla
quinta elementare e per me non erano altro che un accessorio, un vezzo, che
avrebbe reso interessante il mio viso, altrimenti banale. E ora a distanza di
quindici anni, i miei occhiali erano ancora sul mio naso, come per dirmi che il
tempo non era passato, che tutto si era fermato nel 2009, eppure bastava
buttare uno sguardo sul calendario, appeso sulla parete azzurra della mia
camera per capire che non ero più una tredicenne speranzosa e fiduciosa in un
futuro, in cui il suo nome sarebbe stato noto a molti accanto all’appellativo
di scrittrice. Era il 4 novembre del 2024, chi credeva che nel 2012 sarebbe
finito il mondo si era sbagliato, erano trascorsi 12 anni e né alieni né guerre
né fenomeni atmosferici avevano minacciato il pianeta che fino ad allora,
pareva ancora l’unico abitato.
Riportai la mia attenzione sullo specchio, il mio viso
tondo, ma non paffuto, era incorniciato dai lunghi capelli castani, lisci per
il momento, ma una volta che il getto d’aria calda del phon avesse spazzato via
l’acqua fredda che ancora li intrappolava, sarebbero ritornati mossi, ne ero
certa. I miei occhi, grandi e di un intenso color nocciola, erano sormontati da
una fronte alta e spaziosa. Si diceva che chi avesse la fronte alta, avesse
anche un gran cervello. E d'altronde dovevo averne di cervello per il mestiere
che avevo scelto. Il mio lavoro consisteva nel prestare ascolto ai problemi
delle altre persone per un’ora, per poi tornare a casa e combattere con i miei.
No, non ero diventata una scrittrice, ma ero diventata una psicologa. Mi ero
laureata con il massimo dei voti all’università di Milano e poi ero tornata a
Pescara, per rimanere vicina alla mia famiglia.
Uscii dal bagno e mi diressi in camera. Mi gettai sul
letto, avevo ancora sonno. Ero sempre stata una mattiniera, ma non riuscivo più
a mantenere i ritmi di una volta. Di lì a poco tempo sarebbe cominciata la mia
consueta giornata lavorativa e quella mattina alle 9.00 avevo appuntamento con
un nuovo paziente. Bettini. Quel nome
mi fece pensare inevitabilmente alle medie. Ma non poteva essere lui, anche se
per la prima volta in vita mia speravo di sbagliarmi. Mi sarebbe piaciuto
riallacciare i rapporti con i miei vecchi compagni di classe, la 3D. Valentina, Lucrezia, Camillo, Simone,
Elisabetta, Felicia, Stefano, Luca, Francesca, Mikaela, Riccardo, Yari e
Francesco. Francesco Bettini. Era cambiato? Si
era sposato? Che lavoro faceva? E quale motivo lo aveva spinto a rivolgersi a
uno psicologo, e tra tutti proprio me? Si ricordava di me? Non sapevo la
risposta a queste domande, ma sapevo che prima o poi l’avrei rivisto lo avevo
sempre saputo e ora, l’avrei rivisto per davvero. Presi il phon e cominciai ad
asciugarmi i capelli, lasciando vagare i miei pensieri.
Con alcuni compagni avevo mantenuto dei contatti, Stefano,
alto, biondo e occhi azzurri, per esempio, era diventato il portiere della
squadra di calcio del Pescara, che si era risollevata e ora giocava addirittura
in serie A. Stefano ci aveva sempre creduto e ora viveva in prima persona
questo sogno. Si era fidanzato con Serena, una modella e ci sentivamo ogni
tanto per telefono.
Elisabetta, invece, era rimasta dalla seconda media, la mia
migliore amica, avevamo frequentato il liceo pedagogico insieme e ora viveva a
Grosseto. Era diventata professoressa di matematica al liceo linguistico e a
Giugno si sarebbe sposata con lo stesso fidanzato delle superiori, Filippo. Io,
amica di entrambi, avevo il ruolo di testimone e segretamente mi chiedevo
quando sarebbe arrivato il mio momento di indossare l’abito bianco.
Riccardo era diventato un abile e ingegnoso scienziato e si
era trasferito in Canada per fare delle sperimentazioni nel campo della
medicina e nella sua vita per il momento c’era solo il lavoro, non aveva ancora
trovato un piccolo spazio per l’amore.
Camillo, aveva invece ripreso l’attività del padre di
architetto, insieme ai suoi fratelli, Lanfranco e Leonardo e si era sposato,
ironia della sorte, proprio con la sorella di Riccardo, Valeria, e avevano già
due figli, Arturo e Clara.
Le vicende personali di Simone mi erano invece note,
tramite i giornali. Era infatti spesso e volentieri, protagonista del gossip,
per la sua relazione con la famosa cantante romana Benedetta Spadaccino, che
aveva anche vinto il Festival di San Remo. Lui si era trasferito a Roma, dove
ora era un noto imprenditore.
Felicia era invece la mia estetista e in
quanto a vita privata, frequentava il ragazzo del bar di fronte, Tommaso. Avevo
capito subito, i languidi sguardi tra i due, quando il giovane veniva a portare
le ordinazioni al suo locale.
Lucrezia, Mikaela, Valentina,
Francesca, Yari, Luca che fine avevano fatto? Speravo
davvero che Francesco potesse darmi queste risposte.
A riscuotermi dai miei pensieri fu la vista dell’orologio.
Erano le 8.30. Ero in piedi davanti allo specchio, vestita con i miei soliti
jeans e il mio maglione blu. Faceva decisamente freddo per essere solo
novembre. Indossai i miei lunghi orecchini d’oro, i primi che avevo avuto, un
regalo di mio nonno materno, e ancora i più belli che avessi mai avuto. Legai i
miei capelli in uno stretto chignon, che mi dava un’aria professionale e più
anni di quelli che in realtà avevo. A completare il tutto, un velo di trucco.
Sentii improvvisamente un rumore alle mie spalle, mi girai
e vidi il mio gattino bianco stiracchiarsi, ancora assonnato.
“Ben svegliato, Albus!” esclamai
sorridente. Il gattino si avvicinò a me, facendomi le fusa.
“La padroncina deve andare a lavoro!” dissi, scansandolo
dolcemente e prendendo in mano la borsa.
Albus mi guardò con i suoi occhi
azzurri. Fu quando vidi i suoi occhi cristallini, che decisi di chiamarlo come
Silente, uno dei miei personaggi preferiti della saga di Harry
Potter.
Buttai lo sguardo fuori dalla finestra, c’era una leggera pioggerellina,
e conscia che neanche quella pioggia avrebbe lavato il sapone del mio cuore,
presi l’ombrello, e uscii di casa, dopo una veloce carezza al mio gatto.
MY**SPACE
Ecco una
storia che vede proiettata la mia vita e quella dei miei amici e compagni di
classe tra 15 anni. Farò la psicologa eheh ^^
Lasciatemi
un commentino e vedrò di aggiornare almeno una volta a settimana.
Ci tengo a
precisare che questo è il capitolo più lungo che abbia mai scritto xD E poi sorpresina? Per restare in tema con Harry Potter…il mio gattino si
chiama Albus xD
Bacioni
Volpina_McGranitt