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Autore: WiseGirl    08/07/2019    3 recensioni
Dalla storia:
"-Nicole- ti introducesti con quello che credevo, e credo, essere il più bel sorriso. I tuoi occhi mi squadrarono e mi sentii disarmato, come se non potessi scappare in alcun modo. Li sollevasti nei miei, quasi a volermi tranquillizzare. Come se già avessi capito l'effetto che eri in grado di farmi.
-William- mi presentai, abbozzando un sorriso a quegli occhi blu di cui avevo notato il colore quel pomeriggio, quando li sollevasti al cielo inspirando l'aria di quella meravigliosa giornata di sole, più unica che rara.
[...]
In che modo bizzarro era iniziato tutto: un calzino nero."
I ricordi sono ciò che di più prezioso abbiamo, in grado di farci rivivere ogni momento come fosse la prima volta.
I ricordi sono un rifugio sicuro dove trovare la felicità.
I ricordi sono tutto ciò che William ha.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nota: Benvenuti a tutti! Volevo solo rendere noto che questa storia l’avevo già pubblicata in passato, ma l’ho dovuta poi eliminare. Scrivo questo per chiarire a chi l’avesse già letta (se mai ci fosse qualcuno) che la storia è mia e non ho rubato nulla. Probabilmente nessuno l’avrebbe mai pensato, ma la mia testolina ha instillato il dubbio e mi sono sentita in dovere di spiegarmi. Ringrazio in anticipo chi sceglierà di leggere, chi di rileggere e chi di recensire questa one shot che è la storia di cui sono più fiera in assoluto.

Quel calzino nero

Era iniziato tutto così: con un "maledetto calzino nero". Ecco come lo definisti quel pomeriggio soleggiato d’inizio marzo.
Con gli auricolari nelle orecchie ti avevo vista portare a fatica lo stendi panni, nel cortile in porfido di quella tua squisita casetta in Chester Road, qui ad Holmes Chapel. Mi ero appena trasferito con mamma dopo il divorzio dei miei, stavo sistemando delle strane piante in veranda e tu fosti ciò che attirò la mia attenzione: una vaschetta arancione straboccante di panni da stendere tra le braccia, i lunghissimi capelli color caramello, intrecciati comodamente sulla spalla destra e quei ciuffi che ti solleticavano il naso sospinti dal vento. Tu, vestita di un semplice paio di jeans strappati all'altezza delle ginocchia ed una maglia blu coperta da un lungo cardigan nero, probabilmente eri appena tornata da scuola. Il simbolo sulla maglia apparteneva ad uno di quei nuovi supereroi. Ebbi l'occasione di identificarlo solo il giorno dopo, quando tu ed i tuoi genitori veniste a darci il benvenuto. Mamma vi invitò per un tè e ne fui più che felice.
Hannah mi aveva detto di presentarmi, il pomeriggio precedente, ma non ne avrei mai avuto il coraggio.
-Nicole- ti introducesti con quello che credevo, e credo, essere il più bel sorriso. I tuoi occhi mi squadrarono e mi sentii disarmato, come se non potessi scappare in alcun modo. Li sollevasti nei miei, quasi a volermi tranquillizzare. Come se già avessi capito l'effetto che eri in grado di farmi.
-William- mi presentai, abbozzando un sorriso a quegli occhi blu di cui avevo notato il colore quel pomeriggio, quando li sollevasti al cielo inspirando l'aria di quella meravigliosa giornata di sole, più unica che rara.
Ti vedevo bearti delle note delle tue canzoni che sembravano trasportarti lontano da me.

-Ed Sheeran- rispondesti sicura quella sera alla mia stupida domanda sul tuo cantante preferito, fatta per nascondere l'imbarazzo che avevi creato in me solamente accettando di spostarci in giardino, lontano dai nostri genitori intenti a discutere su chissà quale nuova tassa. Eravamo grandi, ma non abbastanza per trovare piacere nell'annoiarci.
Scoprii dalle tue parole che eri più piccola di un paio di anni, non l'avrei mai detto. Quando ti vidi raddrizzare con minuzia tutti i calzini, quel pomeriggio di marzo, pensai che potessi essere mia coetanea. Tutto me lo faceva credere: la tua altezza, gli splendidi lineamenti del viso ed il tuo sguardo, sempre così concentrato. Non lo perdesti mai. L'attenzione e l'indagine, caratterizzanti del tuo viso, mi mettevano anche in soggezione. Ho sempre avuto paura di muovermi di fronte a te, di fare qualcosa di sbagliato e che potesse non piacerti.
A me, invece, di te piaceva tutto. Piaceva anche stare a guardarti dalla veranda quel pomeriggio. La vaschetta ai tuoi piedi da cui prendesti prima un paio di calzini completamente neri e piuttosto simili per stenderli. Il tempo di abbassarti la seconda volta ed una folata di vento ne fece cadere uno. Lo raccogliesti spolverandolo con delicatezza, la stessa che mettesti nelle parole che mi rivolgesti offrendoti di guidarmi nella nostra piccola cittadina. Quei pomeriggi in tua compagnia mi facevano star bene. Fu lì che mi annientasti completamente. Mi portasti in quella panetteria che era la tua preferita, ma a me del gusto di quelle focacce non importava. Ciò che amavo era il sapore delle giornate con te, vederti ridere di cuore a ciò che non capivo e che, con il tempo, mi lasciai sfuggire di proposito, pur di vedere il tuo viso illuminarsi. Sapevi che lo facevo apposta e mi reggevi il gioco.
Quel pomeriggio d’inizio marzo tenevi ancora il calzino tra le mani, caduto per la terza volta. Non voleva davvero saperne di stare al suo posto. Cercasti di incastrarlo tra gli altri.
Tutto iniziò così: da quel calzino.

Ricordo che mi ci volle un mesetto prima di chiederti di uscire, prima che trovassi il coraggio. Ancora ho di fronte agli occhi il tuo volto ed il sorriso più bello che ti avessi mai visto fare.
-Finalmente- mi sussurrasti all'orecchio quando mi abbracciasti entusiasta. Ti strinsi forte sorridendo ed inspirando il profumo di te che stavo iniziando ad amare. Era ciò di cui si trattava: amore. Mi stavo innamorando, forse già era successo quel pomeriggio. Il giorno soleggiato in cui, dopo aver steso una giacca da cuoco che scoprii appartenere a tuo padre, ti abbassasti ancora una volta sbuffando per raccogliere quel calzino nero troppo affezionato al pavimento del tuo cortile.
Mi raccontasti di quella peste la sera che passai a prenderti con l'automobile per portarti in un discreto locale che mi ero fatto consigliare. Finsi di non sapere del calzino solo per sentirti descrivere quel pomeriggio che avevo trovato così magico. Fu una serata stramba, non era la prima volta che uscivamo soli, ma su quella cena sembrava esserci un grande velo di imbarazzo. Qualcosa ti bloccava, già temevo quale sarebbe stato l'esito della serata. Pensavo avessi chiarito con te stessa che io non fossi ciò che credevi, ero e sarei rimasto semplicemente il nuovo vicino di casa. Posso dire che, fortunatamente, mi sbagliavo. Mi confessasti tutto d'un fiato, durante la passeggiata che seguì, che da tempo desideravi una svolta in quello che c'era tra noi. Ricordo che tremavi, i sospiri accelerati per la tensione che ti era costata quell'unica frase detta. Non mi guardavi, fissavi le scarpe alte che indossavi. Come trovai quel coraggio ancora lo devo definire, ma uno dei miei ricordi preferiti fu ciò che accadde in seguito. Ricordo di averti sollevato appena il viso per poter vedere quegli occhi blu terribilmente preoccupati per ciò che era appena stato detto. Io sorrisi, lo facevo sempre quando ti guardavo, e ti baciai. Come amavo anche le tue labbra. Ti sfiorai leggermente lo zigomo con il pollice, allora tu ti aggrappasti alle mie braccia e ti stringesti a me. Immaginai stessi sorridendo e ti soffiai un piccolo bacio sulla fronte.

Anche il vento soffiava quel pomeriggio d’inizio marzo. Ancora cadde il calzino.
Avevi già sistemato metà dei panni quando ti vidi estrarre il cellulare dalla tasca, forse per cambiare canzone. Digitasti poche parole e tornasti ad occuparti di quello che era diventato il tuo capo d'abbigliamento più odiato. Gli cambiasti ancora una volta posizione, sperando fosse la fine di quel pellegrinaggio interminabile.
Il nostro, di percorso, era solo all'inizio. L'inizio di quell'anno che la mia vita la scosse.
Ricordo come mi impegnai per sorprenderti il giorno del nostro primo mese insieme. Sei sempre stata terribilmente sveglia e trovare qualcosa che non ti aspettassi fu abbastanza difficile. Il parco divertimenti fu quel che esclusi a priori perché era la nostra serata, ci dovevamo essere solo noi.
Quando ti vidi percorrere il piccolo vialetto di casa verso la mia macchina, in quel sette maggio, vestita di un abito color corallo, capii quanto fossi fortunato che mi appartenessi. Sì, si può dire così... Eri mia. Mi resi conto di quanto ti amassi.

Io mi ricordo com’era iniziato tutto: da quel calzino nero che ancora ti scappava.
Sorrisi nel pomeriggio di marzo in cui ti vidi abbassarti per raccoglierlo. A distanza di due mesi, la sera del nostro primo mese insieme, ti avevo portato in un buon ristorante, dove ti dissi quanto eri bella. Quanto fossi sempre stata bella. E tu arrossisti, t’imbarazzasti e, con il naso che sfiorava il mio, mi baciasti dolcemente. Io mi abbandonai a quelle farfalle inquiete che creavi in me. Quanto amavo i tuoi capelli, la liscia chioma color caramello che si fermava giusto sotto il tuo seno. Ricordo tutte le volte che mi perdetti ad osservarli ed accarezzarli. Lo feci anche quella sera, quando ti portai nel giardino della villa in cui non ti avevano mai fatto entrare prima d'allora. Non ti dissi che avrei dovuto fare il doppio turno in panetteria per una settimana per potermi permettere quell'occasione. Alte siepi ci nascondevano dal resto di Holmes Chapel ed io pensai che ne valeva più che la pena. Vidi i tuoi occhi brillare quando ti posai un esile pacchetto mal incartato sulle ginocchia, mi ringraziasti con un sorriso ed un semplice bacio; poi lo apristi. Speravo davvero potesse piacerti, un libro di poesie di quell'autore francese che tanto mi nominavi. Ti vidi commuoverti e nasconderti contro il mio petto. Io ti amavo, Nicole. Cinsi il tuo fianco con un braccio e con una mano presi la tua. Ti trascinai con me, pessimo ballerino, in quello che doveva sembrare un momento romantico. Io ti volevo sorprendere. Iniziai a cantare i versi di quella squisita canzone d'amore di un ragazzo dai capelli rossi. Mi dicesti che l'amavi, chissà che se te l'avessi dedicata avresti iniziato ad amare anche me. Sperai davvero che fosse così, ma mi sbagliavo.
Ancora. Tu già mi amavi.
Quando conclusi mi baciasti ed io sapevo di essere privilegiato.
-Ti amo- me lo lasciai sfuggire sulle tue labbra, su quel vociare di grilli e cicale in mezzo alle siepi. Quando ti sentii fremere non potei fare altro che scostare lo sguardo, non avrei retto.
-Anche io- mi sorprendesti ancora. Il suono di quelle parole fu la musica più bella che avessi mai sentito e mi lasciai trasportare in un sorriso, che subito tu accompagnasti. Congiungemmo le fronti, l'unico rumore che ero in grado di sentire era il mio cuore martellante nelle orecchie, la sensazione più bella che potessi regalarmi.
Io ricordo da dove cominciò.
Quel pomeriggio di marzo, quando ti vidi interrogarti sul come un paio di guanti in pile fossero finiti in lavatrice.
Ho sempre tenuto a mente tutto, anche il tuo sguardo stanco del mese di giugno. Gli esami finali ti schiacciavano ed io non potevo regalarti nulla. Non potevo alleviare la fatica se non con tranquille serate in casa con te tra le braccia ed un film che mai vedevi per intero, perché troppo stanca. Ti addormentavi stesa su di me, con la testa sul mio petto. Sapevo di essere un ragazzo più che fortunato. Ti sentivo smettere di accarezzare il mio fianco e i respiri rallentare sempre più; mi addormentavo anche io con una mano tra i tuoi capelli sciolti.
Un giorno mi sfuggì che adoravo vederti senza averli legati: da allora smettesti di racchiuderli in quella treccia con cui ti vidi la prima volta.

Forse meditasti di attaccare quel calzino allo stendi panni con una molletta, nel pomeriggio soleggiato di marzo che ricordo. Io ho in mente tutto, Nicole.

Mi piace ripensare a quella frase che mi dicesti nel pomeriggio appena uscisti dall'aula in cui avevi affrontato il tuo esame orale nel giorno del tuo compleanno: il sette di luglio.
-Stasera un regalo te lo faccio io-.
Non avevo minimamente riflettuto che fosse il nostro terzo mese insieme. Mi avevi espressamente detto di voler stare tranquilla quella sera, ma i piani cambiarono. Dedussi che lo facesti di proposito: regalare un weekend con spa e hotel ai tuoi genitori per l'anniversario appena passato. Avevi appena conseguito la patente ed insistetti per guidare tu fino a casa. Avevamo cenato in un fast food sulla strada del ritorno. Ricordo come non capivo ciò che ti stesse succedendo, le chiavi di casa ti caddero mentre cercavi di aprire la porta e sussultasti quando accompagnai la tua mano con la mia per aprire. Intesi solamente quando ti vidi posare la borsa e sospirare ancora tesa. Sapevo che dovevo muovermi io. Mi davi le spalle ed allora ti strinsi da dietro, nascondendo il viso nel tuo collo e iniziando a baciarlo dolcemente. Ti sentii rilassarti e ti voltasti, mi concedesti quei baci che mai mi avevi dato. La notte fu magica. Decidesti di appartenermi. Eri mia ed io ero tuo.
Ero tuo già quel pomeriggio di marzo, in cui la quantità di magliette a mezze maniche che dovesti stendere ti sorprese. Lo vidi sul tuo viso quando sbattesti la decima prima di metterla sull’asta di ferro dello stendino. Con il colpo d'aria facesti cadere ancora una volta quel calzino nero ribelle. Sorrisi nel vederti sbuffare eloquentemente, prima di raccoglierlo e rimetterlo al suo posto.
Cosa mi regalasti in quell'anno e mezzo insieme…i migliori ricordi in cui potessi sperare, i pomeriggi e le serate fatti di sorrisi, baci e sussurri; i "ti amo" detti a fior di labbra per paura che qualcun altro potesse sentirli. Erano nostri. Nostri e basta.

Vividi ancora i ricordi di quel viaggio che ci regalammo per l'anniversario. Londra: il tuo sogno di vita. Ricordo come ci giurammo che un giorno ci avremmo vissuto, in quelle parole ci credevamo davvero.

In che modo bizzarro era iniziato tutto: un calzino nero.
Ancora oggi sorrido al pensiero. Sorrido pensando al momento in cui sospirasti di sollievo nel vedere che nella vaschetta era rimasto un solo paio di pantaloni da stendere.
Un po' triste lo ero, sai? Poco e te ne saresti tornata in casa, chissà quando ti avrei rivista.
Ero malinconico come quando partisti con le tue amiche per una gita in montagna, agli inizi di novembre, e non ci saremmo visti per una settimana. Una di loro aveva la casa in un piccolo paesino e decideste di prendervi un momento insieme. Mi raccontavi sera con sera tutto ciò che facevate: scarpinate, partite a carte e lunghi discorsi fino a tarda notte. Mi dispiaceva non poterti stringere e sempre più mi cresceva nello stomaco una strana sensazione: iniziavi a mancarmi davvero. Era puro dolore, il non tenerti tra le braccia mi distruggeva. L'unica cosa che avevo erano i ricordi di come tutto era iniziato.

Io mi ricordo di te, Nicole.
Ricordo tutto di quel sei marzo soleggiato in cui prendesti la vaschetta arancione che fino a prima era stracolma di panni. Ancora una volta cadde quel calzino nero spinto dal vento, sbuffando lo raccogliesti per l'ennesima volta. Ancora. Spazientita cercasti quello uguale per formare la coppia, ma ti rendesti conto essere spaiato. Un'espressione dubbiosa increspò il tuo viso e pensierosa mettesti quel calzino sul ferro ad asciugare, sapendo che l'altro non l'avresti più trovato, non sarebbe tornato. Lo mettesti a riposare, solo. Spaiato come lo sono io da quando mi hai lasciato definitivamente: solo ad Holmes Chapel quella mattina di un freddo novembre.

A dire il vero tu tornasti da quella maledetta gita che ti portò via da me. Il "vestito" in legno chiaro che ti fecero indossare trovo ancora che non ti donasse per niente.


Angolo autrice
Se siete arrivati qui senza odiarmi credo sia un traguardo! Dovete scusarmi, ma io adoro scrivere questo tipo di storie e spero di essere riuscita a trasmettervi tutte le emozioni di William che erano anche le mie man mano scrivevo questa storia.
Se avrete voglia di lasciarmi una piccola recensione (anche solo per insultarmi) sarò la persona più felice del mondo.
Un abbraccio,
WiseGirl
   
 
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