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Autore: sissi149    08/07/2019    3 recensioni
Il mondiale femminile è giunto al termine con la vittoria degli Stati Uniti, ma come sarà andata per le nostre ragazze nel mondo di Captain Tsubasa? Sequel di "Notte prima del mondiale"
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly, Yayoi Aoba/Amy, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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L'ispirazione ha colpito anche per la finale dei mondiali, vista anche l'accoglienza ricevuta dalla precedente shot, di cui vi ringrazio ancora. Non sono riuscita a pubblicare ieri  sera, prolunghiamo di un giorno questo mondiale appassionante. XD
Nella realtà la finale non è stata giocata a Parigi, ma ho voluto chiudere nello stesso stadio in cui avevo fatto iniziare l'avventura alle nostre ragazze, per chiudere il cerchio.

PS: L'estate prossima ci saranno le olimpiadi  in Giappone. ;)

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Tsubasa raggiunse il letto trascinandosi, convinto che i suoi amici stessero tentando di farlo morire per indigestione durante le vacanze. Dopo la serata brava organizzata da Ryo, Genzo si era inventato una cena a tema tedesco a Villa Wakabayashi. Da una parte non aveva resistito ad assaggiare ogni pietanza sconosciuta, dall’altra sapeva che se ne sarebbe pentito.
Sanae lo osservava ridacchiando mentre trangugiava il digestivo.
“Mi stupisco che il capitano della nazionale abbia uno stomaco così delicato!”
Ozora squadrò la moglie senza riuscire a celare l’invidia per il fatto che la donna sembrasse non risentire dei postumi della cena.
“Buonanotte.” Borbottò.
 
 
 
 
La partita era quasi terminata ed il risultato era bloccato sul 2 a 2 dalla metà del secondo tempo. La finalissima dei mondiali femminili, tra Giappone e Stati Uniti, aveva regalato un grande spettacolo ed entrambe le tifoserie erano ancora palpitanti in attesa di sapere chi avrebbe conquistato l’ambita coppa. Per le ragazze Mister Gamo avevano segnato un gol entrambi i membri della Golden Combi: Sanae Nakazawa aveva segnato la prima rete della partita, decretando il momentaneo vantaggio del Giappone, mentre Kumi Sugimoto aveva riportato le squadre in pareggio nel secondo tempo. Entrambi i portieri  si erano superati per difendere strenuamente le loro porte. Chi era leggermente sottotono era Maki Akamine, una delle migliori realizzatrici del mondiale, ancora a secco durante l’incontro, forse perché atterrata male dopo uno scontro aereo con un’americana, rimanendo infastidita durante il suo gioco.
I tempi supplementari si stavano delineando sempre più nitidamente all’orizzonte, c’era tempo solo per un’ultima azione offensiva innescata da Fujisawa per il Giappone, dopo aver neutralizzato l’attaccante di punta statunitense. Hayakawa raccolse il passaggio dalle retrovie, avanzò qualche metro ed allargò il gioco sulla fascia per Aoba che aveva trovato un corridoio libero. Yayoi dribblò agilmente un paio di avversarie ed entrò in area: era in buona posizione per tentare il tiro in porta, magari con un colpo ad effetto, quando venne atterrata bruscamente.
L’arbitro fischiò il fallo e senza esitazioni assegnò un rigore.
“Aoba, tutto a posto?” Domandò Sanae, porgendo la mano alla compagna per aiutarla ad alzarsi.
“Tranquilla, il dolore sta già passando.”
La numero 14 afferrò il pallone con le mani e lo porse ad Akamine:
“Puoi pareggiare con la Smith in classifica marcatori!”
Maki allontanò la sfera con un gesto sprezzante.
“Principessa, hai guadagnato tu il rigore, è giusto che lo batta tu.”
“Ma…”
“Niente ma!”
Anche le altre compagne sopraggiunte annuivano decise a lasciare ad Aoba l’onore e l’onere di poter cambiare la storia della partita.
“Ragazze, sapete che i rigori non sono il mio forte.”
Kumi si strinse nelle spalle:
“Male che vada, andremo ai supplementari.”
Yayoi annuì e cominciò a dirigersi verso il dischetto, mentre nelle sua mente passavano come in un film i mille modi diversi in cui avrebbe potuto battere il rigore, non riuscendo a decidersi. Sanae la seguì e le appoggiò una mano sulla spalla, permettendosi di dare un consiglio da capitano, prima di lasciare da sola la sua centrocampista:
“Fidati dell’istinto, non pensarci troppo.”
Il numero 14 appoggiò delicatamente il pallone sull’erba sporca di gesso bianco e si allontanò per prendere la rincorsa. Alzò lo sguardo verso le tribune: se possibile il Parco dei Principi era ancora più gremito rispetto alla partita inaugurale. La zona dei tifosi giapponesi era una macchia di colore e bandiere talmente densa da rendere difficile riconoscere le fisionomie dei presenti.
L’arbitro fischiò.
Yayoi abbassò la testa e per una frazione di secondo incrociò lo sguardo del portiere statunitense e seppe cosa fare. La rincorsa fu veloce, il tiro potente e preciso si insaccò sotto l’angolo sinistro della traversa, lasciando il portiere spiazzato.
Lo stadio esplose in un boato, Aoba si gettò a terra e tutte le compagne la raggiunsero gettandosi sopra di lei. Machiko Machida tolse il suo immancabile cappellino e lo sventolò al cielo dalla sua porta al lato opposto del campo.
“Ragazze, ora  basta, altrimenti soffochiamo la Principessa! Non vorrei averla sulla coscienza proprio all’ultimo secondo dato che è resistita fino ad ora.”
“Quanto sei idiota, Maki!” Urlò Yayoi da sotto le compagne.
I minuti di recupero scorsero veloci, animati da un disperato tentativo di pareggio da parte degli Stati Uniti, ma Machida si esibì in una parata spettacolare che segnò la fine dell’incontro.
 
 
Per le ragazze giapponesi la premiazione fu quasi irreale, talmente erano frastornate da tutto ciò che accadeva intorno a loro e dal calore proveniente dal pubblico sugli spalti che le aveva sostenute per tutto il mondiale: man mano che il loro cammino proseguiva, avevano conquistato una fetta sempre maggiore di pubblico che non aveva fatto sentire loro la lontananza rispetto alla patria.
Machiko ricevette il premio come miglior portiere della rassegna, mentre Sanae si portò a casa il trofeo di miglior giocatrice.
Dopo le medaglie per le seconde classificate fu la volta della squadra vincitrice: una ad una sfilarono a ricevere la medaglia dal presidente della FIFA, seguite dall’allenatore e da tutto lo staff tecnico. Al momento della consegna della coppa, il capitano Nakazawa sentì le mani tremare e si sforzò di mantenere il controllo. Sollevò il trofeo al cielo e centinaia di coriandoli si librarono nell’aria ad avvolgere in un turbine il gruppo di ragazze festanti.
Terminata la parte ufficiale e le fotografie di rito, le ragazze poterono scatenarsi: chi rideva, chi piangeva, chi non riusciva a stare ferma e correva ovunque, chi abbracciava la coppa, chi la baciava.
“Guarda un po’ là!” Machiko indicò a Nishimoto la figura di Gamo circondato dai suoi collaboratori.
“Non ci credo! – esclamò il difensore – Il mister sta piangendo?”
“Adesso non esagerare!”
Entrambe restarono ancora un secondo ad osservare il burbero e severo allenatore che con gli occhi ludici e la coppa in mano veniva costretto a scattarsi un selfie dal preparatore dei portieri.
Ad un certo punto le porte degli spogliatoi si aprirono ed in campo furono ammessi i parenti e gli amici più stretti delle giocatrici, accuratamente selezionati da Katagiri e forniti di pass, guidati da Tsubasa Ozora armato di bandiera gigante. Alcuni erano attesi, come i signori  Sugimoto che abbracciarono con calore la figlia, altri erano del tutto inaspettati.
Non appena si rese conto di chi era arrivato, Yukari fece uno scatto gridando:
“Ryo!”
Senza preoccuparsi di essere ancora in collegamento televisivo in mondo visione, saltò in braccio all’uomo che le arrivava incontro e lo baciò davanti a tutti.
“Se avessi saputo che mi avresti riservato questa accoglienza, sarei arrivato ancora alla prima partita!”
“Non ti allargare troppo. Mamma! Papà!”
Anche i signori Nishimoto erano arrivati dal Giappone.
Azumi era stata raggiunta dai compagni di studi nel periodo trascorso a Parigi.
Yoshiko e Yayoi stavano chiacchierando tra loro e non si curavano molto dei nuovi arrivati.
“I tuoi non ci sono?” Chiese Aoba.
“Figurati, sono impegnati in qualche affare a New York da cui non possono schiodarsi nemmeno la domenica. I tuoi?”
“Volevano venire, ma il viaggio sarebbe stato troppo pesante per papà. E Misugi domani ha un esame che sta preparando da mesi.”
“Ci consoleremo con lo champagne!”
Yoshiko bevve un lungo sorso dalla bottiglia che reggeva in mano e poi la passò alla compagnia che la portò alle labbra.
“Fossi in te starei attenta a non esagerare con quello!”
Per la sorpresa Yayoi rischiò di far cadere la bottiglia e si voltò ad occhi sgranati:
“Jun! Cosa fai qui? E il tuo esame?”
L’uomo sorrise e la guardò negli occhi:
“Credevi davvero che mi sarei perso la finale del mondiale? L’esame lo darò alla prossima sessione.”
“E sei venuto ad impedirmi di bere?” Ironizzò sul tempismo del fidanzato.
“Non ti ho detto di non bere, ti ho detto di non esagerare! - Puntualizzò il diretto interessato – A proposito, per fortuna che sostieni di non essere capace di tirare i rigori!”
Ridendo, Aoba bevve un sorso e poi passò la bottiglia a Misugi invitandolo ufficialmente a festeggiare con loro. Si  presero poi per mano ed andarono a cercare la temporanea detentrice della coppa per fare una foto insieme col trofeo.
Alla scena aveva assistito in disparte un ragazzo alto  e bruno.
“Fujisawa – Chan, hai giocato una bella partita.”
“Grazie Matsuyama – Kun, non sapevo ci fossi anche tu.”
“Il signor Katagiri mi ha proposto di assistere, dato che le nuove magliette che ho disegnato pare vi abbiano portato fortuna.”
“Non solo quelle!”
Rispose la giocatrice, sfiorando l’hachimaki che non aveva smesso di indossare dalla partita del debutto, come del resto le sue compagne. Il ragazzo ebbe un sussulto al gesto.
“Che c’è? Ho fatto qualcosa di male?” Domandò Yoshiko.
Hikaru si affrettò a rispondere:
“No, no. Solo non mi aspettavo che le hachimaki avessero tutto questo successo. E…” Sospirò.
“E stai morendo dalla curiosità di sapere se ho trovato il tuo messaggio segreto?”
Matsuyama arrossì vistosamente.
“Io spero di non essermi spinto troppo oltre, sono solo un modesto sarto di Furano.”
Fujisawa sorrise:
“Potremmo vederci per un caffè quando tornerò e discuterne.”
Più in là Machiko, col suo trofeo  personale stretto in mano, raggiunse Maki.
“Machida, sei venuta a sfottere perché non sono riuscita a vincere il premio di capocannoniere ed a sventolarmi la tua coppetta sotto il naso?”
Il portiere fece un sorrisetto strafottente.
“Non ci avevo pensato, mi hai dato un’idea! – Sventolò i guanti d’oro davanti al volto della compagna – In realtà stavo constatando che a quanto pare siamo le uniche due che non hanno ricevuto visite speciali a fine partita.”
L’attaccante si strinse nelle spalle:
“Che ci vuoi fare, Hyuga avrebbe avuto una bella faccia tosta a presentarsi qui dopo che l’avevo minacciato di rispedirlo in Giappone a calci nel sedere se fosse venuto.”
“Problemi in paradiso?” Insinuò Machiko.
“Semplicemente, non mi va di avere conoscenti tra il pubblico allo stadio. Sono fatta così. Invece, Machida, qual è la tua giustificazione per essere stata abbandonata perfino dai tuoi genitori?”
“Sarà perché ho un carattere di merda!”
“Te lo sei detta da sola!”
Le due scoppiarono a ridere e, contro  ogni previsione, si abbracciarono.
 
 
 
Lo stadio era ormai quasi completamente vuoto: il pubblico era defluito e tornato alle proprie case, mentre la festa delle calciatrici e dei parenti si era trasferita in albergo e poi, forse, in qualche discoteca.
Sanae Nakazawa passeggiava a piedi nudi sul campo, con indosso ancora la maglietta col numero 10, voleva assaporare ancora le sensazioni che quel prato le aveva dato durante tutto l’incontro.
“Sei convinta di essere ancora in Brasile?”
La voce di Tsubasa la raggiunse alle spalle, facendola sorridere poiché lui era uno dei pochi che sapeva che l’abitudine di passeggiare scalza sui campi da calcio l’aveva appresa in Brasile, dove i calciatori giocavano spesso sulla sabbia. Le permetteva di entrare in contatto più diretto col terreno di gioco. Ovviamente non l’avrebbe mai fatto durante una partita o un allenamento, ma nei momenti di calma ne approfittava sempre.
Si voltò verso di lui.
“Credevo che fossi andato all’albergo col resto  del gruppo!”
“Senza di te non ha molto senso, Capitano.”
Sanae appoggiò le mani sui fianchi e squadrò il capo tifoseria che non aveva perso una sua partita da quando si erano conosciuti in sesta elementare.
“Devi essere proprio un santo, Ozora, a sopportarmi da quando eravamo piccoli.”
“Ma cosa dici?”
“Soprattutto nell’ultimo periodo, ti ho trattato davvero male. Non capisco come tu non mi abbia mandato al diavolo.”
Tsubasa portò una mano alla nuca, in imbarazzo.
“Ho cercato di capire il tuo punto di vista, non avrei dovuto metterti pressioni in un momento così importante.”
Nakazawa sentì gli occhi pizzicare, poiché l’uomo stava dimostrando di tenere moltissimo a lei. Prima di essere raggiunta da un groppo in gola si inginocchiò davanti a lui.
“Ozora Tsubasa, vuoi sposarmi?”
 
 
 
 
Tsubasa spalancò gli occhi ammirando il soffitto bianco. Non poteva credere di aver sognato ancora le ragazze giocare a calcio.
Tuttavia un sorriso gli spuntò sul volto: anche se il sogno si era interrotto in un momento cruciale, sapeva perfettamente quale risposta avrebbe dato il suo alter ego onirico.



 
  
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