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Autore: MackenziePhoenix94    15/07/2019    0 recensioni
PREQUEL DI 'LIKE A PRAYER'.
“Non stiamo parlando di pazzia, ma c’è il serio rischio che quel seme possa depositarsi e germogliare, signora, se non interveniamo in tempo. La società rischierebbe di doversi occupare, un giorno, di un soggetto pericoloso. Anche lei sa che è meglio prevenire che curare… Non sarà un percorso semplice o indolore, ma è necessario. Assolutamente necessario”.
Tutti sanno chi è Theodore ‘T-Bag’ Bagwell, e quali sono i crimini che lo hanno portato a scontare due ergastoli nel penitenziario di Fox River; ma nessuno, neppure Nicole Baker, conosce la storia che si cela dietro l’uomo ribattezzato dalla stampa: ‘Il Mostro Dell’Alabama’.
Perché alcune storie, come i segreti, anche se logorano interiormente, sono più semplici da custodire che da confessare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: T-Bag
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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“Theodore Bagwell, di ritorno dall’infermeria”.

Le parole pronunciate da Geary segnano il mio rientro nel Braccio A dopo alcuni giorni trascorsi in infermeria a causa di un’intossicazione di fumo, e dopo alcuni minuti trascorsi nell’obitorio in compagnia del corpo del mio ex compagno di cella; la porta davanti a me si spalanca e vengo accolto dagli applausi che provengono dal mio gruppo, e che riescono a strapparmi un sorriso.

Ricevo qualche pacca sulla schiena, e poi Trokey mi passa il braccio sinistro attorno alle spalle.

“Siamo contenti di riaverti qui con noi, T., e siamo tutti addolorati per quello che è successo a Maytag… Proprio per questo ti abbiamo preparato un piccolo regalo per la tua guarigione” mi sussurra ad un orecchio, con una risata divertita; comprendo appieno il senso delle sue parole solo quando arrivo di fronte alla mia cella.

Dentro, seduto su uno sgabello, c’è un ragazzino con il viso rivolto alle piastrelle del pavimento e con le braccia incrociate all’altezza del petto.

“Ohh!” esclamo, piegando le labbra in un sorriso compiaciuto “è della misura giusta. Grazie mille, ragazzi, adesso lasciateci soli”.

Chris ed il resto del mio gruppo obbediscono subito, con qualche risata divertita, lasciandomi da solo con il mio nuovo e giovanissimo compagno di cella: mi avvicino a lui, appoggio la mano sinistra su una parete e piego leggermente il viso, osservandolo con gli occhi socchiusi.

Gli ordino di dirmi il suo nome, e la risposta arriva sottoforma di un sussurro che faccio quasi fatica a comprendere.

“Seth”

“Sei nuovo, Seth? Hai paura? Alza gli occhi” ordino per la seconda volta, e riprendo a parlare solo quando obbedisce “quanti anni hai?”

“Diciannove”

“Avevo quasi la tua stessa età quando sono entrato per la prima volta in un carcere, Seth, e proprio come è successo a te, dei detenuti più grandi mi hanno convinto a cambiare cella dicendomi che i secondini mi avevano assegnato ad una che aveva il lavandino ed il cesso guasti. E così mi sono ritrovato a dividere la stessa cella, per sei lunghi anni, con un vero maniaco… Scommetto che ne avrai già sentite di storie su di me, vero?”

“Sì” il suo sussurro, seguito da un cenno del capo appena percepibile, mi fanno capire che non ha solo sentito alcune delle voci che circolano su di me a Fox River, ma che ne è letteralmente terrorizzato, e così distendo le labbra in un sorriso, per placare il suo disagio.

“Non sono tutte vere” sussurro a mia volta; infilo la mano sinistra nella corrispettiva tasca dei pantaloni e rovescio la stoffa bianca, mostrandola a Seth ed invitandolo ad afferrarla “forza. Andiamo a fare un giretto, dolcezza”.



 
La maggior parte dei detenuti odia la stanza delle docce a causa delle numerose dicerie che circolano.

Dicerie come, ad esempio, la classica storia della saponetta.

O che bisogna sempre fare attenzione ad avere le spalle contro il muro.

Io, invece, trovo che sia un momento molto rilassante, soprattutto quando chiudo gli occhi e sento il getto d’acqua fredda colpirmi il viso, per poi scendere in tanti rivoli lungo la schiena e depositarsi sulle piastrelle del pavimento.

Solitamente utilizzo i pochi minuti che ho a mia disposizione per riflettere o per schiarirmi le idee, ma quattro giorni dopo l’arrivo del mio nuovo compagno di cella, il mio momento di assoluta tranquillità e relax viene interrotto da una voce che proviene a poca distanza da me.

“Aiutami, per favore”.

È Seth a pronunciare quella supplica disperata.

Apro gli occhi e ciò che vedo mi irrita profondamente, oltre a lasciarmi senza parole: il ragazzino ha rivolto la preghiera di aiuto a Scofield ed ora sta aspettando una qualunque risposta da parte sua.

Chiudo il getto d’acqua e mi schiarisco la gola, in modo che i due si accorgano della mia presenza e così accade: Seth si gira di scatto e mi fissa con un’occhiata spaventata prima di dileguarsi velocemente, mentre Michael prende in mano un asciugamano bianco e se lo avvolge attorno ai fianchi, coprendo in parte ciò che la natura gli ha generosamente donato.

Lo raggiungo, mi passo entrambe le mani nei capelli, e vago con lo sguardo sui tatuaggi che occupano tutta la parte superiore del suo corpo: partono dalla base del collo e proseguono sulla schiena, sul petto, sulle braccia, sul ventre perfettamente piatto, per poi fermarsi bruscamente all’altezza dei fianchi.

“Devi scusare il mio protetto… Fraternizzare nella doccia di una prigione… Andiamo…”

“Forse dovresti lasciarlo in pace. È solo un ragazzino”.

Dopo essere stato interrotto in modo brusco, torno a fissare il ragazzo negli occhi e piego le labbra in un ghigno, riducendo la mia voce ad un sussurro, in modo che non giunga alle orecchie di qualche secondino.

“Vuoi davvero intrometterti nei miei affari, Scofield? Non credo che tu sia nella posizione migliore per ordinarmi che cosa devo o non devo fare a Fox River. Devo ricordarti che noi due abbiamo un conto in sospeso da chiudere?”

“Non sono stato io ad uccidere Maytag” prova a difendersi lui, inventando quella che alle mie orecchie suona come una bugia assurda “è stato uno degli uomini di C-Note a pugnalarlo, io l’ho semplicemente sorretto perché è caduto tra le mie braccia”

“Ed io dovrei credere a questa cazzata? Adesso ti dico io come i fatti si sono svolti veramente: tu volevi ad ogni costo quella maledetta vite che hai preso dalla mia panca, e quando hai visto che era Jason ad averla, lo hai disarmato e lo hai ucciso affinché non fosse più un problema. E oso dire che eri in procinto di fare lo stesso anche con me, se in quel momento i secondini non avessero sedato il regolamento di conti con i fumogeni. Molto probabilmente mi avresti attaccato alle spalle per tagliarmi la gola da orecchio ad orecchio” mi fermo per qualche istante, abbasso lo sguardo sulle piastrelle e sorrido: il piede sinistro del pesciolino è in parte fasciato con delle garze, ed è più che evidente che è sprovvisto del mignolo “ohh, ma guarda… Quella piccola amputazione ha tutta l’aria di essere molto recente. Come è successo? Quali altri nemici ti sei fatto, pesciolino? Aspetta… Non dirlo… Lasciami indovinare… Abruzzi, giusto? Si, ho indovinato. Forse dovrebbero iniziare a soprannominarlo ‘Il Macellaio di Fox River’ anziché ‘Il Leone di Fox River’”

“Lasciami in pace, T-Bag” sbotta Michael, provando ad allontanarsi da me, ma io non ho ancora finito con lui: lo raggiungo e mi posiziono davanti alla porta della stanza, impedendogli così di uscire.

“Quello che sto cercando di dirti, pesciolino, è che faresti meglio a dormire con entrambi gli occhi spalancati ed a guardarti attentamente alle spalle. Abruzzi è un mafioso, e come tutti i mafiosi si diverte a darti qualche piccolo avvertimento, un assaggio del suo potere, in modo da darti il tempo di tornare sui tuoi passi prima che sia troppo tardi. Io non sono così. Non do seconde possibilità a nessuno, in particolar modo alle matricole che entrano qui con presunzione…” faccio schioccare la lingua contro il palato e poi riprendo a parlare “come ti stavo dicendo, io e Abruzzi abbiamo due modi molto diversi di agire: io preferisco giocare con la mia preda. La spingo all’esasperazione, la faccio quasi impazzire di paura e poi attacco, puntando alla gola, ed a quel punto per lei non c’è via di scampo. Proprio come quei documentari in cui un branco di iene circonda un’antilope e si burla di lei prima di sbranarla. Hai presente? Indovina chi è la iena e chi è l’antilope adesso, Scofield”

“Lasciami in pace” ripete una seconda volta Michael, scansandomi con violenza, riuscendo finalmente a trovare riparo nel corridoio.

Almeno per il momento.



 
C’è un’altra faccenda di cui mi voglio occupare il prima possibile, e riguarda il mio nuovo e giovanissimo compagno di cella.

È chiaro che deve ancora ambientarsi in prigione, ed è altrettanto chiaro che non ha capito un semplice concetto: quando un detenuto ti offre la sua protezione, in cambio di un piccolo prezzo da pagare, bisogna portargli rispetto, abbassare la testa e soddisfare ogni sua esigenza; non bisogna tentare di voltargli le spalle e chiedere aiuto ad un suo nemico, proprio come Seth ha fatto.

Ed è per questo che merita una punizione esemplare e carnale, affinché capisca appieno chi comanda e quale è il suo posto, in modo che un episodio simile non si ripeta una seconda volta.

Lo cerco in cortile per tutta la durata dell’ora all’aria aperta, ma non riesco a trovarlo da nessuna parte, neppure all’interno dei capannoni.

Non me ne faccio un cruccio, però, per un semplice motivo: può sfuggirmi in cortile, ma non può fare lo stesso quando la porta scorrevole della nostra cella si chiuderà alle sue spalle e quando gli ordinerò di prendere in mano un lenzuolo bianco e di appenderlo davanti alle sbarre.

Rientro nel Braccio A pregustandomi mentalmente il pomeriggio movimentato che mi aspetta, ma la mia espressione cambia appena noto un gruppo numeroso di detenuti che si è formato vicino all’entrata dell’enorme stanza, e che m’impedisce di vedere che cosa è successo; a fatica riesco a farmi strada tra la piccola folla e quando raggiungo la prima fila, in cui c’è anche Trokey ed il resto della mia squadra, tutto mi è subito chiaro: Seth si è impiccato con un lenzuolo al corrimano del primo piano, ed il suo corpo ondeggia ancora ad una decina di centimetri di distanza dal pavimento.

Incrocio lo sguardo di Scofield, che si trova poco lontano da me insieme al suo compagno di cella, piego le labbra in un ghigno e ne approfitto per rivolgergli una provocazione.

“Ohh, non ha alcuna importanza!” esclamo, ad alta voce, perché voglio essere sicuro che le mie parole giungano anche, e soprattutto, alle sue orecchie “ormai, come tutti i giocattoli vecchi e usati, non mi divertiva più”.
   
 
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