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Autore: kissenlove    16/07/2019    0 recensioni
– Devi lasciarla andare, Ikuto. Dalle la tua benedizione e permetti al suo corpo di abbandonare questo mondo. O non potrai andare avanti ed essere felice. –
– Vorrei ma non posso. - rispose il ragazzo, accovacciato sul pavimento.
La donna continuò: – Ricorda Ikuto, dopo un'estenuante fine, c'è sempre un grande inizio. –
Genere: Drammatico, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amu Hinamori, Ikuto Tsukiyomi
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Breathe Again 💔 


 





Come avevo previsto una volta rientrata nella camera mi è toccato subire anche la ramanzina di mio padre, che non smetteva di fissarmi con il suo sguardo contrariato. Capisco le loro preoccupazioni per il mio penoso stato di salute. Io non li colpevolizzo di nulla, voglio solo che accettino le mie ultime volontà, che si mettano in testa una buona volta che detesto la mia vita controllata in questo modo. 

Voglio godermi fino alla fine quello che mi rimane. Non voglio sentirmi spaventata quando chiudo gli occhi. Non voglio più avere paura aggrappandomi a una falsa speranza, come quella del trapianto. Ho voglia di scoprire e conoscere il mondo che c'era dietro la finestra di quest'ospedale e che mi è stato per troppo tempo negato. Voglio poter vivere come farebbe una qualsiasi altra ragazza di ventitrè anni; voglio uscire, divertirmi, tornare a casa ubriaca perché ho alzato il gomito. Voglio prendere una multa per aver superato il limite di velocità o perché non ho rispettato un segnale. Voglio fare un bagno nuda, senza il timore di prendere un semplice raffreddore. Voglio saziarmi di cibo spazzatura senza il timore che l'aumento di peso affatichi il mio cuore, o perché i troppi zuccheri o alimenti troppo fritti incidano sulla mia salute. Voglio poter fare quelle cose sbagliate, commettere gli errori che farebbe qualsiasi ragazza della mia età.

Perchè è così difficile da capire? 

Io ho bisogno di tutte queste piccole cose, perché non le ho mai conosciute. Voglio avere degli amici e condividire con loro le mie giornate, senza che siano degli inferiori, dottori o pazienti conosciuti durante i ricoveri o i day ospital. Voglio poter avere dei ricordi, e sorridere quando mi capiterà di riportarli alla mente. Ma anche mio padre, come mia madre, non accetta che mi voglia condannare. 

Credono che mi sia arresa e non voglia più vivere. Ma si sbagliano, io voglio vivere, ma devo trovare una ragione più importante per farlo. Una ragione che non sia constantemente la mia malattia. Anche io ho paura della morte, convivo con questo pensiero da quando sono nata. Ma ho ancora più paura di sapere che non ho mai vissuto, in realtà. 

Ho paura che, una volta arrivata alla fine, non avrò nulla a cui pensare. Nessun ricordo che mi faccia sorridere, nessun rimpiato, o di non aver detto un "ti voglio bene" o "mi manchi, scusami" ad un amico, restando intrappolata in questa realtà distorta, dove non potrà accadermi nulla – o almeno è quello che spero; Non voglio morire sola e triste, e questo mi fa molto più paura della morte stessa, perchè sarebbe la conferma che la mia malattia ha vinto molti anni fa. 

Principessa, posso farti un po' di compagnia?

– Papà, non credi che sia ormai troppo grande per questo nomignolo?

Mi siedo sul ciglio del letto con la testa abbassata e la mente offuscata dai troppi pensieri. Mio padre non smette di fissarmi, mentre prende posto accanto a me. Ora che ci penso, mi ha sempre chiamato "principessa", secondo lui, questo mi avrebbe reso speciale agli occhi degli altri. Mi piaceva tanto questo nomignolo, mi sentivo davvero una principessa... rotta

– Hai ragione. Ormai sei una giovane donna, ma per un padre la propria figlia rimane sempre la sua principessa. O preferisci che ritorni a chiamarti "orsetta?"

Lo fisso, imbarazzata. – Smettila, papà. E' imbarazzante... 

Ed entrambi scoppiamo a ridere, ricordando quei tempi così lontani dalla mia infanzia. Ero triste per aver discusso con lui, e non sopportavo tenergli il muso. Era da un paio di giorni che stava accarezzando l'idea di lasciare l'ospedale firmando le mie dimissioni e niente mi avrebbe fatto cambiare opinione.

– Ho riflettuto su quello che hai detto prima... - comincia, facendomi voltare nella sua direzione.

Oh no, ho parlato troppo presto. Ora riprendermo a discutere.

– Per favore, papà. Non ho voglia di tornare sull'argomento. - lo interrompo.

– Hai ragione. 

Le sue ultime parole mi straniscono completamente.
Un'ora fa mi dava dell'irresponsabile, e quella dopo mi appoggiava? Cos'era successo? 

Si gira verso di me, stringendomi la mano. – E' la tua vita. Sei adulta, ed è normale che sia tu a decidere quello che ritieni giusto per te. Noi, come genitori, possiamo solamente darti consigli o non essere d'accordo e arrabbiarci, ma rispettiamo le tue scelte. 

Non riesco a credere a quello che ho appena sentito. Mio padre ha messo da parte l'orgoglio! 
I miei occhi si riempiono di lacrime, ma questa volta sono felice. So ch'è difficile da accettare e so che vorrebbe fare qualcosa per aiutarmi, ma è giusto così, e avevo bisogno del loro consenso per proseguire in questo mio intento.

Non appena mi stacco dal suo abbraccio, gli accarezzo il viso e gli schiocco un bacio sulla guancia.
– Grazie, papà. Non puoi capire quanto sia importante il vostro appoggio, per me. - dico fra le lacrime, e lui porta una mano alla guancia con gli occhi lucidi, ponendomi un bacio sulla fronte.

Il suo sguardo si fa' serio. 

– Ma che sia chiara una cosa! Dovrai prometterci che non interromperai le cure prescritte e verrai in ospedale almeno una volta al giorno, e che non farai nulla di sproposito.

– Certo, papà. Te lo prometto. Non farò sciocchezze.

Mi sembra un giusto compromesso, non potrei comunque sospendere le cure: il mio cuore dipende da questo.

Da oggi, vivrò la mia vita normalmente, non dovrò più preoccuparmi delle cose che posso o non posso fare. Ora, finalmente, scriverò un nuovo capitolo molto più interessante dei precedenti.









Ikuto




 
Non potevo più restare un'altra ora lontano da lei. Dopo essermi svegliato mi sono precipitato in ospedale. Ho parcheggiato la macchina al solito posto e percorso rampe di scale e file di corridoi con il cuore in gola e il presentimento che fosse successo qualcosa. Prima di arrivare nella stanza il pensiero di non trovarla più nel suo letto, circondata dai fili, aveva preso il sopravvento tanto da affrettare il passo. Ma non appena arresto la corsa alla soglia, la vedo, è ancora lì, non si è sposata di un millimetro, e il mio cuore si alleggerisce.
Le ferite al volto si sono quasi rimarginate. La sua mano è calda e la tengo stretta alla mia per tutto il tempo, con la paura che possa scomparire da un momento all'altro nell'aria. L'anello di fidanzamento è sempre al suo dito, ma guardarlo mi fa' ripiombare in quella sensazione di vuoto e amarezza. Quella sera le aveva chiesto di sposarmi; i suoi occhi, la sua risata, le sue braccia attorno al mio corpo.

L'ultima notte in cui lei è stata mia.

Non so cosa pagherei per riavvolgere tutto, per convincerla a non prendere la macchina per rimanere in quel letto, lontano da tutti e tutto. Ma mi sono arreso troppo presto, l'ho lasciata andare via perché sapevo quanto fosse importante per lei il suo lavoro. Non potrò mai darmi pace per non averla persuasa. La polizia ha impedito che incontrassi il colpevole dell'incidente, e anche se avrei voluto è stata la cosa giusta, perché l'avrei ucciso con le mie stesse mani. Lui mi ha strappato la felicità dalle mani, mi ha portato via tutto in pochi secondi, e non credo che avrò mai pace sapendo che lui è ancora vivo, mentre la mia ragazza non c'è più. Lui è sopravvissuto all'incidente, se l'è cavata con un paio di escoriazioni, mentre la mia ragazza è in uno stato vegetativo e rimarra così per sempre.

Stringo le mani così tanto, che le nocche mi diventano pallide. 

– Signor Tsukiyomi, le devo chiedere di uscire qualche minuto dalla stanza. Devo sistemare la paziente. - i miei pensieri vengono interrotti dall'infermiera che, puntualmente, ogni sera viene per sistemarla. Mi alzo riluttante dalla sedia, dopo averle lasciato un bacio ed esco dalla stanza per dirigermi alla finestra. 

Ormai è da due settimane che il tempo si è bloccato. Niente e nessuno ha più senso.

 






 
 
 

 
   
 
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