La
vita insieme a quella nuova, stramba famiglia era assurda. Sembrava
quasi il nome di una sit-com, quando lo pensava nella sua testa: Sam
tra i mutanti.
O
la mia nuova famiglia di mutanti.
Non
che Sam avesse intenzione di dirlo ad alta voce, ma tutti loro la
facevano sentire come se per davvero avesse una famiglia. La sua
prima famiglia.
C'era
Isabel, tanto per iniziare, che sembrava come una sorella maggiore.
Dopo il momento che avevano condiviso, di confronto e conforto, tra
loro era sorto un buon legame: Isabel era dolce e premurosa, eppure
tosta; la sua presenza era rassicurante, ma non assillante.
Sapeva
quando palesarsi e parlare con lei e quando tenersi alla larga, e in
più sembrava non temerla per niente, anche se Sam ci
provava, di
tanto in tanto.
Donatello
e Leonardo erano molto gentili, emanavano un'aura di pacatezza e
tranquillità che all'inizio l'aveva confusa e irritata: non
era
brava a relazionarsi con persone che la trattavano così, la
facevano
sentire vulnerabile e fragile, come se dovesse rompersi da un momento
all'altro.
E
non sapeva come gestire la cosa. Sapeva confrontarsi con pugni e
sarcasmo, ma non contro genuina, pura gentilezza.
Raphael
le piaceva molto. Non in quel senso, Isabel l'avrebbe uccisa se solo
avesse provato a guardarlo in modo strano e ad essere sincera, erano
troppo simili perché potesse piacerle in quel senso; ma lui
la
capiva.
Sembrava
capire quella rabbia che aveva dentro e come la dominasse, come la
rendesse intrattabile. Come le rendesse tutto insopportabile.
Fin
dal suo primo giorno ufficiale al rifugio, dopo che aveva portato
tutte le sue cose e si era trasferita nella stanza di Isabel, Raphael
le aveva messo a disposizione il suo sacco da boxe, esortandola a
prenderlo a pugni ogni volta volesse sfogarsi.
E
Sam lo ringraziò, segretamente. Amava la sensazione delle
nocche
contro il cuoio consunto, il peso che si spostava sotto i suoi colpi,
la rabbia che si consumava pian piano ad ogni pugno.
Non
curava il suo dolore, ma la faceva sentire un po' meglio.
Splinter era il più enigmatico, almeno per lei. Era sempre calmo e silenzioso, attento ad osservare i figli e gli stati d'animo di tutti, e le poche volte che interveniva nei discorsi era per dispensare una massima filosofica che sembravano capire tutti tranne lei.
Aveva
conosciuto gli umani della famiglia: I Jones, Casey e April, lei
dolce e furba tanto da compensare alla schiettezza e ruvidezza di
lui, le erano piaciuti molto, erano una coppia assurda ma
assolutamente perfetta. I piccoli Jones erano abbastanza tranquilli,
Sam non amava particolarmente i bambini, ma erano buoni e curiosi,
non invadenti, perfino spassosi, nel caso di Carl, il maggiore;
August era un fagottino di sei mesi che non faceva che gorgogliare,
non le dava fastidio e in realtà lo trovava perfino carino,
anche se
si rifiutò di prenderlo in braccio. Avrebbe potuto farlo
cadere
troppo facilmente.
Steve
appariva quasi tutte le mattine per la colazione e la sera per le
lezioni nel dojo: era un ragazzino timido e fin troppo educato, ma
con buon potenziale, e si era già accorta che metterlo in
imbarazzo
era uno spasso, perciò si era mentalmente ripromessa di
farlo
spesso.
E
Angel era stata una rivelazione: si era costruita una buona
reputazione per le strade, in passato, -tanto che perfino Sam ne
conosceva il nome,- prima di sparire nel nulla. Si erano salutate con
un pugno chiuso, entrambe colpite dalla tostaggine dell'altra,
spiriti affini.
Tutti
loro avevano conosciuto Melissa, anche se come Mork, e le
raccontavano quello che ricordavano, con affetto e dolore, con
pazienza e nostalgia.
Erano
un gruppo decisamente variegato eppure interessante. E le piacevano
più di quanto non volesse.
E
poi c'era Michelangelo.
Il
sempre presente, sempre entusiasta, sempre chiacchierone
Michelangelo. Che appariva dal nulla ogni volta in cui si sentiva
prendere dallo sconforto, quasi come se lo percepisse, e la
trascinava in mille cose da fare: tornei infiniti di videogiochi,
-che Sam adorava,- lezioni di skateboard, serate a guardare film
trash commentando con la bocca piena di popcorn, sessioni a leggere
fumetti assieme, e ogni volta che lui le spoilerava qualcosa si
beccava un pugno sulla spalla, mentre rideva.
Michelangelo
era chiassoso, invadente, solare, logorroico, allegro, euforico e
casinista. Non accettava un no come risposta, rideva se lei si
arrabbiava con lui e perfino le sue minacce fisiche non sortivano
nessun effetto su di lui.
Michelangelo
era una presenza totale, travolgente, riempiva ogni spazio, riempiva
ogni momento e ogni pensiero, e Sam ne era intimamente grata, a
dispetto della sua aria burbera. Le anestetizzava il dolore, le
rendeva le giornate leggere, le impediva di soffrire troppo.
Solo
la notte, chiusa nelle quattro mura della stanza di Isabel, i
pensieri tornavano a sua sorella e allora si lasciava andare al
pianto, scossa da singhiozzi e gola bruciante, senza nessuno che la
potesse distrarre.
In
quei momenti sentiva la mancanza di Michelangelo, e più di
una volta
si era bloccata un attimo prima di andarlo a chiamare per stare con
lei.
Perché
non era giusto, lo sapeva.
Michelangelo
non era il suo clown, non era il suo pupazzo o svago e non poteva
approfittare della sua gentilezza, anche se era allettante.
Perché
rendeva le cose migliori e disperdeva la sua rabbia. Perché
si
interessava genuinamente a lei.
Ma
Michelangelo non sarebbe stato sempre con lei. Non era per sempre.
Una volta che tutto fosse finito le loro strade si sarebbero divise e
lei sarebbe andata via, senza sapere più nulla di lui e
della sua
stramba eppure perfetta famiglia allargata.
Era
così che funzionava. Lei non serviva a nessuno, non era mai
stata
voluta da nessuno.
Era
passata già una settimana da quando era arrivata, erano
entrati nel
mese di Settembre.
Da
una parte fervevano i preparativi per l'imminente matrimonio, quasi
maniacali, dall'altra quelli per trovare almeno la più
piccola
traccia di Hersen; Sam aiutava per entrambi, non poteva fare
altrimenti dato che era bloccata là sotto, preda di una
lieve
inquietudine che cresceva ogni giorno più forte.
Donatello
aveva saltato parecchi turni di ronda per continuare ad investigare,
e Sam glien'era davvero grata, ma aveva trovato pochissime
informazioni, che già conoscevano: Hersen non aveva
possedimenti,
famigliari o amici, e non c'erano tracce di suoi avvistamenti in giro
per la città.
“Ma,
e se non fosse a New York? Potrebbe essere andato lontano”
disse
Leonardo una sera, in cui erano tutti nel laboratorio di Don per
discutere.
“Potrebbe
essere. Sa che noi siamo qui e che lo fermeremmo se lo
trovassimo.”
“Avete
detto che la seconda mutazione l'ha reso pazzo. Potrebbe essere morto
in un attacco di follia” si intromise Isabel, pensierosa.
“Magari
si è fatto del male da solo. Magari è morto di
fame.”
Michelangelo
emise un mugolio soffocato, attirando la loro attenzione.
“Ne
dubito. Per come parlava, penso invece che intendesse rifare da capo
tutto quanto. Nel senso di rapire altri innocenti e mutarli per
potersi curare.”
“Donnie,
cerca segnalazioni di sparizioni nelle città
confinanti” suggerì
Leo, immediatamente.
Le
dita del genio volarono sulla tastiera del pc, mentre loro
attendevano con apprensione, un innaturale silenzio nella stanza.
“Ci
sono... oh cavolo!” esclamò Don un istante
più tardi,
l'espressione del suo viso grave.
Si
avvicinarono tutti alla scrivania inconsciamente, ma ovviamente non
potevano vedere tutti lo schermo.
“Ci
sono state molte sparizioni negli ultimi sette mesi: donne caucasiche,
bionde, occhi grigi, fisico atletico, intorno ai venti anni di
età.
Le ultime quattro lo scorso mese nel Jersey” lesse per loro,
lasciando che arrivassero alle sue stesse conclusioni.
Si
voltarono tutti in sincrono verso la ragazza che fino a quel momento
era stata fin troppo tranquilla ad ascoltare e il viso di Sam
esprimeva un orrore che non riusciva a celare.
“Sta-
quel pazzo sta rapendo e mutando donne che mi somigliano? Che
somigliano a Melissa?” domandò con un filo di
voce, mentre il suo
sguardo vagava smarrito, fino a trovare quello di Michelangelo.
Lui
annuì piano, con premura.
“Allora
dobbiamo trovarlo! Adesso! Sappiamo dov'è, cos'altro vi
serve?”
saltò su la ragazza, infervorata. Non poteva lasciare che
altre
soffrissero come Melissa, come stava soffrendo lei.
“Piano.
Sappiamo dove è all'incirca. E ti prometto che concentreremo
le
ricerche in quel punto per trovarlo il prima possibile, ma non
possiamo andare alla cieca. Dobbiamo fare un piano, prima. E quel
piano comprende trovare una cura per quel maledetto siero”
sibilò
deciso Leonardo, prendendo in mano la situazione.
Don
si fece pensieroso, perso in ragionamenti.
“Abbiamo
ancora i campioni di Mor- di Melissa. E forse anche il DNA di Sam
può
aiutarci. Ma penso che ci sarà utile chiamare Leatherhead.
Sarebbe
anche il caso che lei lo incontri, in fin dei conti” disse il
genio
con un sorriso triste che Sam proprio non capì.
Michelangelo
aveva lo stesso sorriso sghembo, il fantasma di un ricordo.
“Lo
penso anche io” aggiunse con un sussurro.
Leatherhead
era decisamente una sorpresa. Quando le avevano detto che era il
momento di incontrarlo non si era aspettata di trovarsi davanti un
coccodrillo umanoide di quasi due metri e mezzo col camice da
laboratorio e un sorriso incerto sul muso puntuto.
Sembrava
quasi spaventato da lei.
Rimase
ad osservarla per interminabili minuti, immobile e silenzioso,
mettendo a dura prova i suoi nervi.
“Mi
dispiace” disse infine e la sua voce era molto profonda e
molto
calma. E molto addolorata.
Sam
capì che stava parlando della morte di sua sorella e ne
rimase
colpita, anche se fece un gesto per dissimulare, per fargli capire
che non doveva.
“Non
credo che te lo abbiano detto, ma il DNA che l'ha fatta mutare era il
mio” confessò lui con lo sguardo nel suo e Sam
spalancò gli occhi
di sorpresa.
“Bishop
ha preso campioni del mio sangue e del mio corpo, quando mi ha
catturato e torturato. E so che Hersen lo ha usato per mutare tutte
quelle persone innocenti. Mi dispiace, sono davvero dispiaciuto per
tua sorella. Era speciale.”
Sam
rimase spiazzata dalla rivelazione. E non era un genio come Melissa,
ma capì molte cose. Si avvicinò a piccoli passi
verso l'enorme
mutante, e lo vide indietreggiare inconsciamente, le pupille negli
occhi gialli si strinsero per un secondo a fessura.
Con
la coda dell'occhio vide Michelangelo e gli altri irrigidirsi sul
posto e Isabel alzare le mani verso di loro, pronta a fare non sapeva
cosa.
La
ragazza si fermò ad un passo e sollevò la testa
per poterlo
guardare in viso.
“Le
volevi bene?” chiese con genuino interesse.
Leatherhead
rimase colpito dalla domanda e dal suo tono calmo.
Piegò
la testa piano, con imbarazzo.
“È
difficile da spiegare. Aveva i miei geni, era come se fosse mia
figlia. È qualcosa di atavico, che risuona dentro. Il
desiderio di
proteggere il tuo stesso sangue” cercò di
spiegare, senza suonare
patetico.
Non
aveva conosciuto Melissa per molto tempo, e non con quel nome o con
la forma della ragazza di fronte a lui, ma le loro vite si erano
legate e le aveva voluto bene e aveva pianto la sua morte.
Sam
gli sorrise
“Sì,
lo capisco” rispose, e lo sorprese prendendo una delle sue
manone
tra le sue. “Sono sicura che anche Melissa te ne voleva.
Saresti un
padre molto fico.”
Quel
commento non passò inosservato a nessuno di loro. Melissa
aveva
avuto dei genitori adottivi che le avevano voluto bene, mentre Sam
non ne aveva mai avuto nemmeno uno.
Il
pensiero che perfino Leatherhead fosse stato come un padre per sua
sorella mentre era mutata da una parte le faceva piacere, dall'altra
la faceva sentire ancora più sola.
Lasciò
andare la sua mano e indietreggiò di un passo, rimettendo su
la sua
maschera.
“Ne
saresti stato orgoglioso, sai? Era una scienziata in gamba, un genio.
Ha preso la laurea a soli diciotto anni, era brillante. Sareste
andati d'accordo” gli disse con un sorriso sincero.
“E
tu? Parlami un po' di te” la sorprese lui, dopo qualche
attimo di
silenzio.
Sam
si stupì del genuino interesse nel fondo della domanda e
prese un
brusco respiro che udirono tutti. Poi fece spallucce.
“Io
non sono intelligente” fu la laconica risposta.
Leatherhead
le rivolse un sorriso incoraggiante e un po' triste.
“Cosa
fai nella vita?” incalzò allora, cercando di
vincere la sua
reticenza.
Avrebbe
voluto poter dialogare con Melissa allo stesso modo, in passato, ma
la sua mutazione le aveva impedito di parlare e i suoi geni in lei
rendevano il controllo sulla sua parte animale ancora più
difficile.
Sam
si mosse un po' a disagio, quasi come odiasse essere al centro
dell'attenzione e che le rivolgesse domande così personali.
Quasi
come non si sentisse all'altezza delle loro aspettative.
“Sono
una cameriera” rispose infine con un filo di voce che
riuscirono a
sentire solo perché c'era uno spesso silenzio.
Nel
muso del coccodrillo non c'era pietà o derisione per lei e
invece
che farle piacere la fece sentire più vulnerabile.
“È
un lavoro onesto e onorevole” asserì lui con
convinzione.
“Ma...
in realtà... vorrei fare la poliziotta. Ho mandato la mia
domanda di
iscrizione all'Accademia di polizia, sto aspettando una loro
risposta” confessò Sam, senza sapere nemmeno bene
perché.
Era
un sogno che non aveva mai confessato a nessuno se non a Melissa, ma
in quel momento le era sfuggito dalle labbra, forse nel tentativo
inconscio di colpire positivamente quel mutante, per potergli
mostrare che poteva essere di più.
Ma
che fosse dannata se capiva lei stessa cosa le era preso.
Leatherhead
le sorrise con dolcezza e poterono giurare di aver visto una
scintilla di orgoglio negli occhi gialli, per un istante. Tese
temerariamente una manona verso la ragazza e le diede una pacca
gentile sulla testa.
“Sono
sicuro che sarai accettata. E che sarai una magnifica
poliziotta”
pronunciò deciso, e un po' dello stoicismo di Sam si
sgretolò dalla
sua maschera, per quella genuina premura e fiducia nei suoi
confronti.
Si
schiarì la gola con imbarazzo, rivolgendo un fugace e
impacciato
sorriso al coccodrillo, prima di mettere un po' di distanza tra loro.
“Allora...
ho sentito dire che sei un grande scienziato e che sai come invertire
la mutazione, è vero?” domandò con tono
casuale, arrischiandosi a
guardare finalmente verso gli altri.
Erano
tutti quieti e attenti lì accanto, e il sorriso di
Michelangelo le
fece qualcosa, dentro, che non voleva sapere al momento.
“Non
proprio” disse Leatherhead con modestia. “Ma io e
Donatello ci
lavoreremo e troveremo il modo per riportare quelle giovani donne
alla loro condizione di umane.”
Sam
annuì convinta; c'era qualcosa nella voce profonda e gentile
di
Leatherhead che le trasmetteva tranquillità e le infondeva
uno
strano senso di protezione.
Se
diceva che poteva trovare un modo per invertire la mutazione, allora
sentiva che sarebbe stato così.
Acconsentì
a fornire campioni di sangue, capelli e perfino un frammento di
pelle, con stoicismo, poi rimase lì con loro nel
laboratorio,
cercando di capire cosa stessero facendo: Leatherhead le
spiegò ogni
loro passo e teoria con pazienza e parole che lei poteva capire, e
Sam si dimostrò davvero interessata e sinceramente attenta.
Donnie
sorrideva di tanto in tanto tra sé, colpito dalle loro
interazioni:
sembravano davvero un padre paziente e una curiosa bimba che gli
chiedeva mille cose sul suo lavoro; e se la presenza di Leatherhead
sembrava dare a lei un senso di protezione, quella di Sam sembrava
stimolare in Leatherhead una sorta di serenità inusuale per
il
grosso coccodrillo.
Lei
se ne stette seduta su un mobile per ore, le gambe ciondolanti e gli
occhi attenti ad ogni loro mossa, mentre gli altri erano impegnati in
ricerche e giri di ronda, soprattutto per cercare segno delle ragazze
scomparse.
Michelangelo
era stato il più deciso su quel punto e il più
veloce ad uscire per
cercare degli indizi, quasi fosse la sua missione, salvare tutte.
E
Sam aveva già capito che era la verità. Tutti
loro si facevano in
quattro per gli altri, erano altruisti e generosi e prendevano a
cuore le sorti di chiunque, ma in quel caso per Michelangelo era
praticamente personale.
E
se da una parte le scaldava il cuore che lui avesse voluto
così bene
a Melissa, dall'altra le ricordava che lei non era che una nuova
missione per lui, niente di così speciale.
Andò
a coricarsi a notte inoltrata, ma nessuno era ancora tornato dal giro
di ronda e i due mutanti scienziati non accennavano a voler smettere
coi loro esperimenti; salutò Leatherhead con un sorriso
sincero e
Donnie con un gesto della mano, augurando loro la buona notte.
Nel
percorso verso la stanza, il cervello lavorava ancora febbrilmente,
nonostante il sonno. Si stava abituando in fretta a quella vita
lì
sotto con loro e le sensazioni che provava via via la confondevano e
la disorientavano.
Sicurezza,
tranquillità, serenità, gioia, a dispetto del
dolore nel quale era
ammantata. Si sentiva in colpa per provare quei sentimenti e se
possibile quello la faceva arrabbiare ancora di più, con
sé stessa.
Non
sapeva nemmeno come dovesse sentirsi e quello la rendeva solo
più
confusa.
La
stanza la accolse coi suoi colori tenui e rilassanti. Le piaceva,
anche se non era arredata nel suo stile e più di una volta
si era
bloccata nel bel mezzo di una fantasia mentale in cui aggiungeva
questo o quello per renderla più sua, ricordando che sarebbe
stato
inutile.
Quella
non era la sua stanza, e anche se Isabel sarebbe andata via dopo il
matrimonio, non voleva dire che potesse diventarlo.
Andò
a letto ancora vestita, un'abitudine che faticava a togliersi, e
rimase a fissare il soffitto come in trance, sperando che il sonno
arrivasse prima del dolore.
Quello
era il momento della giornata che più odiava, quello che
più
temeva. Quello in cui il ricordo di Melissa si faceva prepotente:
ogni secondo passato assieme, il legame quasi co-dipendente che
avevano avuto da piccole, quando la loro madre non si occupava di
loro e dovevano essere l'una il sostegno dell'altra, l'abbraccio in
cui si erano avvolte quando si erano ritrovate dopo anni di
lontananza, la sua presenza così maturata che cercava di
guidarla
attraverso la difficile vita che viveva.
Sentì
le lacrime scendere giù fino al cuscino e la vista
annebbiarsi di
altre che ancora premevano per uscire. Morse le labbra per non
urlare.
Perché
non era toccato a lei? Melissa era speciale, era migliore, la
metà
perfetta della loro simbiosi. Lei meritava di vivere, avrebbe avuto
un futuro splendido e avrebbe aiutato molte persone, migliorato il
mondo. Aveva così tante persone che le volevano bene,
così tanto da
dare.
Perché
era morta Melissa e non lei? Lei, Sam, non sarebbe mancata a nessuno.
Un
lieve tocco alla porta la sorprese e le strappò un singulto,
e si
mise a sedere di scatto.
Si
passò in fretta le mani sulla faccia e sentì di
nuovo bussare,
appena più deciso.
Era
molto tardi, chi poteva mai essere a quell'ora? Sentì di
sapere già
la risposta.
“Michelangelo,
vai a dormire” sbuffò con il tono più
seccato che le riuscì di
fare.
L'uscio
si aprì e la faccia del mutante apparve nello spiraglio, con
un
mezzo sorriso.
“Ho
detto vai a dormire, non 'entra pure', idiota” lo
investì con
ostilità, ma non sortì l'effetto sperato.
Invece
che andarsene, lui entrò nella stanza e si chiuse la porta
dietro.
Si
beccò un cuscino dritto in faccia e la sua risata si
sentì attutita
da dietro.
“Tranquilla,
rimango solo un attimo. E non faccio nulla di strano,
promesso”
assicurò in tono gioviale, mostrandole le mani in segno di
resa. Il
cuscino cadde a terra senza un rumore.
Sam
rollò gli occhi al cielo e sbuffò di derisione.
Lui lo prese come
un segno positivo, evidentemente, perché si
avvicinò a passetti
corti e rimase per un secondo vicino al letto, prima di sedercisi di
peso.
“Volevo
solo parlare un po'” disse quasi in impaccio, così
inusuale per
lui.
“Di
cosa?” rispose lei, che proprio non voleva saperne di
rendergli le
cose semplici.
Michelangelo
fece spallucce e continuò a guardare di fronte a
sé.
“É
già passata una settimana da quando sei qui, volevo sapere
come ti
trovi, come stai, se c'è qualche cosa che ti serve o di cui
ti vuoi
lamentare.”
“In
effetti, c'è qualcuno che entra in camera mia senza essere
stato
invitato, vorrei che ne teneste conto, non mi piace”
soffiò
sarcastica lei, strappandogli una risata.
Sam
la ascoltò gioendone segretamente, rilassandosi un poco.
“Va
tutto bene, davvero” disse dopo qualche attimo, portandosi le
gambe
al petto e circondandole con le braccia.
Si
era allontanata un po' da lui, in quel modo, ma era meglio
così.
“Sto
bene qua sotto, anche troppo, forse” confessò con
un filo di
voce. E Michelangelo capì parte delle paure che lei
nascondeva in
quelle parole.
“Sono
tutti magnifici, vero? Sono casinisti, e troppi, ma sono
fantastici”
le confessò con un gran sorriso. “Amo davvero
questa famiglia. E
Leatherhead è davvero forte.”
Sam
non disse nulla, affondò un po' la testa nel riparo delle
braccia.
Non le piaceva il modo in cui lui la leggeva così facilmente.
“Sono
contenta che Melissa abbia avuto voi, prima di...”
Lasciò
la frase a metà e Mikey non la finì per lei,
rimase ad osservarla
per qualche istante, assorto e afflitto.
“Tu
hai conosciuto i genitori adottivi di Melissa?” le
domandò con
tatto, infine.
Sam
non si mosse dalla sua posizione, forse si era già aspettata
che
prima o poi qualcuno le facesse quella domanda.
“I
Williams? Certo, sono a posto. Quando io e Melissa ci siamo
ritrovate, i Williams hanno giurato e spergiurato che non sapevano
che fossimo due gemelle, che non glielo avevano detto, altrimenti
avrebbero adottato anche me. Si sono detti molto dispiaciuti”
iniziò a raccontargli con tono neutro, quasi indifferente, e
fu
quella arrendevolezza che fece più male a Michelangelo.
“Ma
non lo so... non credo che mi avrebbero voluta. Sono troppo difficile
da gestire. Melissa era più calma e ubbidiente, dava
soddisfazioni
ed era una studiosa, una vera secchiona.”
“Secondo
me tu sei intelligente. Sei furba, a dire il vero. E a volte essere
furbi è meglio che essere intelligenti”
Sam
sentì un gran calore dentro a quelle parole dette con
sincerità, ma
esteriormente non diede alcun cenno del tumulto interiore, nascosta
dal riparo delle braccia e dai capelli biondi.
Anzi,
dopo un attimo di imbarazzo gli allungò un pugno leggero
contro
l'avambraccio, che lui accolse con una risatina.
“Non
so cosa dirgli” sussurrò lei titubante, quando gli
ultimi
strascichi di risa di lui si erano spenti e il silenzio si era fatto
troppo pesante.
“Adesso
so, ma non posso dirglielo. Di Melissa e … Non ho prove ed
è tutto
così assurdo. Mi prenderebbero per pazza e mi farebbero
internare.
Non so cosa potrei dirgli... eppure il pensiero di sapere la
verità
e di non potergliela dire mi fa arrabbiare. Volevano bene a Melissa e
io non posso dirgli che fine ha fatto, che non la rivedranno mai
più.”
Michelangelo
sentì il rumore delle lacrime trattenute nel suo tono e
trattenne il
fiato, indeciso se buttare al vento la prudenza e abbracciarla, in
barba a qualsiasi pugno lei gli avrebbe rifilato.
Ma
forse era solo un desiderio egoistico il suo, il volerla stringere a
sé, e non un gesto di conforto. Allungò una mano
e dopo aver
lasciato andare il respiro trattenuto fino a quel momento, la
poggiò
dolcemente sulla testa di Sam.
Rigida
all'inizio, in attesa di una sua reazione negativa, ma poi, quando
lei non si mosse, il tocco divenne dolce e gentile; le dita scesero
tra la cascata di capelli biondi, lentamente, ed entrambi ne
beneficiavano, quietamente.
“Io
non so che farei, se fossi in te. In effetti, dal punto di vista di
un umano, è tutto assurdo. Sicuramente. Ma forse puoi
chiamarli
comunque, sentire come stanno. Perfino passare del tempo con loro, se
può servirgli ad andare avanti. E se può servire
a te.”
A
volte Michelangelo sapeva essere così maturo e anche quello
la
faceva arrabbiare.
“Loro
non sono la mia famiglia” gli ricordò, con un
lieve sottotono di
amarezza.
“Ma
erano la famiglia di Melissa. Non potrai dire loro la
verità, ma
questo forse glielo devi. Almeno per lei.”
Sam
tirò su con il naso, impercettibilmente, e cercò
di coprirlo con un
colpo di tosse che risultò come un gracidio. Si
arrabbiò con sé
stessa per l'imbarazzo e tirò su le spalle con stizza,
schiaffeggiando via la mano di Michelangelo dalla sua testa.
Lui
ridacchiò, leggermente.
“Ora
di andare via o chiamerò Splinter e lo avviserò
che sei entrato qui
con intenzioni poco pulite” minacciò con tono
irato eppure
stranamente leggero.
Michelangelo
le mandò un'occhiata dubbiosa, poi si alzò con
lentezza e con gesti
altrettanto calmi e calcolati si sporse verso di lei, torreggiando
con tutta la sua altezza.
Sarebbe
potuto sembrare minaccioso, invece era stranamente protettivo.
“Di'
la verità, hai sperato che avessi intenzioni poco
pulite” soffiò
allusivo, ad un passo dal suo viso. Lei divenne rossa, così
rossa
che un po' gli venne da ridere, mentre una parte di lui si sentiva
quasi in colpa per averla messa così in imbarazzo.
Sam
comunque aveva già agito, preda del nervosismo e del rossore
che
rendeva la sua pelle incandescente, e gli rifilò un pugno
deciso
contro la spalla, più forte che poté.
Mikey
indietreggiò di un passo, con le mani in alto e un sorriso
colpevole.
“Scusa,
scusami!”
Eppure
quello scintillio nello sguardo, malizioso, non gli dava un'aria
così
contrita.
Si
diresse verso la porta prima che lei potesse mollargli qualche altro
pugno e si fermò solo per un attimo prima di uscire.
“Buona
notte, Samantha! Sognami!” esclamò mandandole un
bacio,
chiudendosi poi subito la porta dietro, lasciandola lì a
fissarla
con sgomento.
Sam
rimase ad osservare l'uscio, così sconvolta dall'uragano che
era
Michelangelo che non aveva avuto nemmeno la prontezza di lanciargli
qualcosa addosso.
Da
una parte si sentiva arrabbiata, anche se non sapeva se con lui o con
sé stessa, dall'altra aveva l'assurdo impulso di ridere.
Si
lasciò cadere sul letto di schiena e rimase a fissare il
soffitto,
confusa; la tristezza era ancora lì, nelle macchie di
lacrime
lasciate sul cuscino, eppure quella notte cadde nel sonno pensando ad
un irriverente e malizioso mutante verde chiaro.
Nei
giorni seguenti la routine non cambiò di molto, a parte la
presenza
di Leatherhead nel rifugio, che con Donatello lavorava
incessantemente ad una cura per le umane mutate: si prendevano poche
pause per mangiare e qualche ora per dormire.
Sam
andava a trovarli spesso e rimaneva lì con loro per
chiacchierare
con il coccodrillo mutante, e a parte con Michelangelo, quelle erano
le conversazioni più lunghe che la ragazza intraprendeva.
Ascoltava
ogni parola che Leatherhead diceva con interesse e gli faceva anche
molte domande, mostrandogli non solo che lo seguiva, ma che capiva
quello che le spiegava. A dispetto della sua sfiducia, Samantha non
era affatto stupida come diceva di essere. Tutt'altro.
I
due facevano così tenerezza nelle loro interazioni che ogni
tanto la
testa di qualcuno spuntava dalla porta del laboratorio per
osservarli, incrociando lo sguardo di Don, che se lo aspettava. Tra
di loro, di nascosto, avevano iniziato a chiamarlo affettuosamente
papà Leatherhed e si chiedevano quando il mutante avrebbe
semplicemente adottato Sam.
Lei
ne sarebbe stata felice.
Per
un po' di giorni Sam tenne Michelangelo sulle spine, gli dava poca
corda, non rispondeva alle sue provocazioni né reagiva ai
suoi
approcci: doveva pagare per averla messa in imbarazzo. In
più, si
divertiva a vederlo trotterellare dietro di lei come un'anima in
pena.
Comunque,
non durò molto, la solita esuberanza di Mikey la vinse
infine e
smise di tenergli il muso e ritornò a colpirlo quando la
faceva
arrabbiare, ritornò a giocare con lui ai videogiochi,
ritornò a
godere della sua compagnia.
E
le sue parole di quella notte continuavano a ronzarle nella mente,
perché Michelangelo aveva ragione.
Forse
i Williams non erano la sua famiglia, ma li avrebbe aiutati al posto
di Melissa.
Infine
prese una decisione e il coraggio. Avrebbe chiamato i Williams e li
avrebbe incontrati. Se loro avessero voluto, ovviamente. Pregava solo
di riuscire a non crollare con loro, a non scoppiare a piangere
davanti alle loro facce ignare di ciò che ne era stato della
loro
figlia adottiva.
Sarebbe
stato meglio se fosse morta lei e non Melissa,ne era sempre
più
convinta.
Prese
un paio di respiri profondi per calmarsi e un altro paio ancora di
sicurezza, poi premette il pulsante di chiamata e attese col magone
che rispondessero, ascoltando i trilli del telefono.
Sentiva
il battito del cuore che le rimbombava nella gola.
Il
lieve click della chiamata connessa la congelò sul posto e
in fretta
pronunciò un “pronto”, un po' troppo
acuto.
La
voce maschile rispose con cortesia, e forse era la ricezione
lì
sotto, ma non le sembrava quella del padre adottivo di Melissa.
“Pronto,
signor Williams? Sono Samantha Parker, volevo-”
La
voce dall'altra parte la interruppe, con tono fermo ma gentile e Sam
spalancò gli occhi via via che ascoltava quello che le
veniva detto,
con orrore misto a stupore.
Isabel e Mikey si
accorsero che lei
era impallidita e si affrettarono a correrle incontro, ma il suo
sguardo vitreo non registrò la loro presenza.
Annuì
come un'automa, poi forse dall'altra parte chiesero una conferma e si
affrettò a rispondere a voce, ma suonava artificiosa e
stridula.
La
sentirono dare risposte automatiche, come per riempire un casellario
di informazioni personali e Isabel e Mikey si scambiarono un'occhiata
preoccupata, cercando di capire, attirando anche l'attenzione degli
altri.
Infine,
Sam mise giù il telefono e rimase ad osservare il vuoto.
Michelangelo
allungò una mano e la poggiò titubante sulla sua
spalla,
scuotendola piano. Lei sembrò accorgersi del calore del
tocco e alzò
il viso verso di lui.
“I
Williams sono morti il mese scorso in un incidente stradale e mi
hanno lasciato tutto in eredità”
annunciò con un filo di voce.
E
nessuno lo disse, ma sentirono tutti il sentore di qualcosa di sbagliato.
Note:
Adoro il pensiero di Leatherhead come padre adottivo di Sam, sarebbe dolcissimo.
Sono tornata dopo tantissimo tempo, eppure ho trovato un caloroso benvenuto e la dolcezza di allora. Grazie di cuore!