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Autore: lady lina 77    17/07/2019    2 recensioni
Una nuova fanfiction, una AU (che sarà molto lunga), che parte dal tradimento di Ross della S2. Cosa sarebbe successo se Elizabeth si fosse accorta prima di sposare George, della gravidanza del piccolo Valentine? Cosa sarebbe successo se avesse obbligato Ross a prendersi le sue responsabilità?
Una storia dove Ross dovrà dolorosamente fare i conti con le conseguenze dei propri errori e con la necessità di dover prendere decisioni difficili e dolorose che porteranno una Demelza (già incinta di Clowance) e il piccolo Jeremy lontano...
Una storia che, partendo dalla S2, abbraccerà persone e luoghi presenti nelle S3 e 4, pur in contesti e in modalità differenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Nuovo personaggio, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Jeremy non ricordava di essere mai stato tanto bagnato in vita sua.

La pioggia era scrosciante, l’umidità gli stava penetrando nelle ossa e il terreno dei sentieri di montagna, reso denso e scivoloso dal fango, lo faceva incespicare e cadere ogni due passi. E la compagnia di Clowance che si lamentava per il freddo, per i capelli bagnati e il vestito non più fresco e lindo, non aiutava il suo umore.

Era difficile scappare, era stato difficile deciderlo e sembrava ora impossibile portare a termine quel piano. La strada era impervia e sconosciuta, il terreno fangoso e insidioso e il pensiero di cosa stesse provando sua madre in quel momento gli toglievano il fiato.

Jeremy sapeva che sua madre, che sorrideva sempre, in realtà nella vita aveva affrontato tante prove difficili e dolorose e di certo MAI avrebbe voluto essere lui ad infliggerle un nuovo dispiacere, ma che doveva fare? Aveva sempre cercato di essere buono, ubbidiente e responsabile soprattutto per lei ma ora si rendeva conto di non essere che un bambino spaventato che, come ogni bimbo in difficoltà, scappa e si sente smarrito.

Jeremy aveva osservato a lungo in quei giorni Ross Poldark, cercando nella sua mente immagini che lo riportassero alla sua prima infanzia in Cornovaglia. Ma di lui, eccetto qualche sfuocato ricordo, non aveva nulla. Se pensava a un padre gli veniva in mente Hugh che gli insegnava a leggere e a fare lavoretti da dare in dono alla mamma, a Hugh che con lui aveva costruito la casetta sull’albero, a Hugh che portava tutti di notte ai giardini di Kensington per far dormire i gemelli, a Hugh che inventava storie di fate e folletti per lui e Clowance…

Non aveva ricordi di Ross Poldark eccetto uno, molto sfuocato, di una promessa mai mantenuta. Se avessero mai fatto cose insieme, se avesse giocato con lui, se gli fosse stato vicino in Cornovaglia, Jeremy non sapeva nulla.

Era difficile capire chi lui fosse eppure sua madre, nonostante tutto, sembrava felice di riaverlo vicino. Gli aveva dato un’altra occasione e anche se Jeremy sapeva che sua madre aveva un cuore grande e sapeva perdonare, era anche consapevole di quanto fosse acuta ed intelligente. E una persona intelligente fa sempre passi pensati e precisi, non fa errori di valutazione. Quindi se sua madre si fidava, perché lui e Clowance non riuscivano a fare altrettanto? Semplice, perché non lo conoscevano e lui non si era fatto conoscere e quel poco che aveva fatto, spesso a Jeremy non era piaciuto. Non voleva, non sopportava che Ross Poldark si mettesse in competizione col ricordo di Hugh e con ciò che era stato, mai avrebbe permesso a qualcuno di offuscarne l’immagine! In lui e in chi Hugh aveva amato! E Ross Poldark questo, sembrava voler fare!

Sembrava diverso da Hugh ed era difficile per lui capire come sua madre avesse potuto amare due uomini tanto differenti fra loro! Ross Poldark era forte, a volte invadente, dai modi decisi e poco incline alle buone maniere e alle mezze misure. Era un uomo… di comando… Un leader, avrebbe detto suo zio! Era una buona cosa essere leader? Nemmeno questo, Jeremy sapeva. Lui ricordava Hugh e in lui aveva trovato un modello da seguire e a cui ispirarsi, anche se sua madre ultimamente, gli aveva più volte detto che aveva la testa dura dei Poldark e non l'animo poetico e giudizioso degli Armitage. Ma non voleva essere testone, voleva essere davvero un bravo e tranquillo bambino. A lui piaceva costruire le cose dal nulla come la casetta sull'albero, piaceva leggere e raccontare storie ai suoi fratelli e cercava di essere il modello di uomo educato, elegante e che mai esce dalle righe che era stato Hugh. Così voleva essere, da grande! Non come Ross Poldark, lui aveva fatto cose orribili a lui, a sua sorella e soprattutto alla sua mamma. Non voleva diventare un uomo che tradisce sua moglie, che abbandona i suoi figli e poi si fa per anni i fatti suoi. Sua madre diceva che Ross Poldark soffriva per i suoi errori passati, che li aveva ammessi tutti e aveva fatto ammenda, che li amava e che avrebbe dato la vita per loro ma Jeremy non gli credeva. Dare la vita per un bambino che nemmeno porta il tuo cognome? Sarebbe stata la più folle delle decisioni!

Con questa marea di pensieri che gli annebbiavano l'animo, accelerò il passo, cadendo nuovamente nel fango. "Al diavolo! Che si porti via questa dannata pioggia!".

Clowance, col fiato corto, le gote rosse dalla sforzo e il vestito chiazzato di terra, gli corse vicino, cadendo pure lei. "Jeremy! Non si cade e se lo fai, non si impreca! Anche io sono caduta senza imprecare!".

Jeremy alzò gli occhi al cielo. Santo cielo, non era proprio il caso di fare la Lady in quel posto dimenticato da Dio in Scozia, in montagna e sotto una pioggia incessante. Però in effetti aveva ragione, aveva imprecato! Hugh non lo avrebbe fatto, forse Ross Poldark sì! Uffa, non voleva somigliare a lui, c'era già Daisy che diceva parolacce che la rendevano poco Boscawen! "Scusa, ma sono stanco di cadere! Alla fine uno le parolacce le dice!".

"Non un Lord!" - rispose Clowance, allungando la manina per aiutarlo a rialzarsi.

Il bambino si tirò su, cercando di pulirsi i pantaloni con le mani, anche se con scarsi risultati. "Cado e mi sporco, mi alzo e la pioggia mi lava e poi ricado e mi risporco. E sarà così fino a Londra".

Terrorizzata da quelle previsioni catastrofiche, Clowance si guardò attorno, sconsolata. "Manca molto?".

"A cosa?".

"Londra".

Jeremy le diede una leggera spinta scherzosa. Il fatto che fosse una somara negli studi le rendeva impossibile capire le distanze. "Mancano dieci passi meno di prima, quando me l'hai chiesto di nuovo!".

Clowance si imbronciò, prendendolo per mano in cerca di coraggio e supporto. "Forse scappare così non è stata proprio un'idea perfetta. Forse dovevamo parlare con mamma, dirle di cosa avevamo paura...".

Era d'accordo – in parte – anche se... "E il signor Poldark? Dove ce lo metti?".

"E' un orco cattivo, secondo te? Ha salvato Queen" – tentò di argomentare la bambina.

"Non era moribonda, Clowance! Queen aveva solo una spina nella zampa e anche a Fox è successo molte volte".

"Ma Queen è una lupa di razza e i cani di razza sono delicati! Non come il tuo stupido cane NON di razza! Non lo sai, somaro?".

Jeremy si imbronciò, guai a chi gli toccava il suo Fox che gli mancava da morire e avrebbe voluto con se. Ma poi capì che non era il momento di litigare. "Non so se lui è un orco. Il signor Poldark, intendo... Una volta lo è stato, il più cattivo di tutti. Mamma dice che lo sa...".

"E ora?" - chiese Clowance.

Jeremy alzò le spalle. "Ora piace a tutti! A mamma, allo zio, ai gemelli e anche a Prudie! A noi no, però! Bisogna capire chi ha ragione e chi sbaglia".

Clowance ci pensò su mentre a tentoni, procedevano nella boscaglia più fitta. "E' quì il problema! Ma tu ce lo vedi a farci da padre?".

Jeremy scosse la testa, mentre un groppone gli si formava in gola. "No... Io solo un padre vorrei, Hugh! Non uno che vuole cancellarlo! Sembra che tutti vogliano cancellarlo! Anche la mamma! E i gemelli!!! Loro sono i peggio di tutti, era il loro padre vero e ora se Daisy piange perché è preoccupata, gli sta bene! E' una traditrice!".

Clowance calciò un sassolino, nervosamente. "No, dai! I gemelli non sono traditori, non Daisy! Demian forse, che per stare attaccato a mamma venderebbe tutti i suoi giochi e pure noi, ma non Daisy! Loro non lo hanno conosciuto il loro papà vero. E...".

Clowance si bloccò e Jeremy la guardò incuriosito. "E?".

La piccola sospirò. "E nemmeno noi... Forse non è che uno che è papà, non deve sbagliare per forza! Magari anche le mamme e i papà a volte sbagliano".

Jeremy si alterò! Accidenti a lei, era stata un'idea sua la fuga e ora già ci stava ripensando, quando tornare sarebbe comunque stato difficile. "Lo dici solo perché ti sei accorta che si fa fatica a scappare".

Lei, punta sul vivo, picchiò il piede in terra. "No, lo dico perché ci ho pensato!".

Jeremy scostò il viso da lei, guardando per terra come se il fango fosse stato improvvisamente molto interessante da osservare. Forse Clowance non sbagliava, non del tutto, forse se lasciava da parte dolore e rancore poteva vedere un uomo che aveva sbagliato e che stava cercando di porre rimedio ai suoi errori e di avere vicino le persone che amava... Forse... Scosse la testa, non voleva pensarci. "Andiamo!" - disse, risoluto, prendendola per mano.

"A Londra?".

"Per ora, mi basta uscire da questo bosco e superare queste montagne!" - rispose lui, nervoso e spaventato. Come avrebbero potuto farcela? Ora che stava vivendo quell'avventura, Jeremy si rese conto dell'enormità di quanto avevano deciso lui e Clowance. C'era una terra straniera ed insopitale da attraversare, pioggia, fame e mille altri pericoli sulla strada che portava alla bella residenza dei Boscawen a Londra. Tanto, troppo per due bambini soli...

Pensò a quanto detto da Clowance e in silenzio, in cuor suo, sperò che avesse ragione e che non esistesse nessun orco ma solo un uomo che aveva sbagliato e ora voleva fare ammenda con la famiglia che aveva lasciato. Ci sperò, sperò di essere lui a sbagliare, quella volta. E non sentì di tradire la memoria di Hugh nel fare questo, Hugh sarebbe sempre rimasto nel suo cuore. Ma la voglia di essere salvato e di 'appartenere' a qualcuno, fu più forte di tutto il resto. E meno speditamente, forse nella speranza di essere trovato, proseguì nel suo cammino. Anche se c'era ancora una questione da risolvere, ora che ci pensava... "Clowance?".

"Sì?".

"Fox non è uno stupido cane NON di razza!".

"Ma non è di razza" – gli fece notare lei, col fiato corto.

"Sì, vero! Ma questo non importa, non è stupido ed è fedele quanto Queen! E se fosse quì ci sarebbe più d'aiuto di una lupa".

Clowance lo fissò, con aria di sfida. "Una lupa ci procurerebbe cibo, cacciandolo... Fox giocherebbe tutto il tempo e correrebbe come uno smidollato avanti e indietro con un bastone in bocca, nella speranza che tu lo prenda e glielo lanci. E questo non ci riempirebbe la pancia" - osservò con fare furbo.

Jeremy rise, non la faceva tanto pratica e temeraria. Era un lato di lei che non conosceva e che di certo non poteva aver sviluppato a Londra, fra lustrini, case delle bambole e fiocchi. E se sua madre avesse ragione? Se in loro fosse presente un lato che ancora non conoscevano, che derivava dalle loro origini Poldark? Decise di metterla alla prova... "Urleresti e piangeresti in modo isterico se vedessi Queen attaccare ed uccidere qualche coniglio. Quando i lupi attaccano, scorre molto sangue... E a te fa impressione".

Clowance alzò le spalle, dimostrandosi ancora una volta molto pratica e molto poco Boscawen. "Non se ho fame! Se ho fame, nessun cibo e nessun modo in cui mi viene portato, mi fa impressione".

A bocca aperta Jeremy la osservò, trovando finalmente divertente quella loro fuga, durante quello scambio di opinioni e botta e risposta che mai potevano avere a tu per tu a Londra, con tanta gente e amici attorno a loro. "E i tuoi vestiti sporchi?".

Clowance si guardò, sconsolata. "Questi sì, questi sì che mi fanno impressione" – concluse, definendo perentoriamente quali fossero le sue priorità, nonostante tutto. "E comunque Jeremy, no... Fox non è stupido. Ma un pò ordinario...".

"A me piacciono le cose ordinarie, sono le più semplici da amare".

Clowance sospirò, non trovando modo di ribattere.

E silenziosamente proseguirono il loro difficile cammino fatto di momenti difficili in cui pensieri complessi prendevano possesso di loro e momenti più semplici, dove essere solo bambini che litigavano per chi avesse il cane migliore.


...


Forse tanta pioggia così l’aveva presa solo a vent’anni, quand’era soldato in Virginia. Anche allora correva sotto la pioggia per qualcosa di fondamentale, spesso per salvarsi la vita. E ora, ora non correva come un forsennato, percorrendo quei sentieri impervi e fangosi, per qualcosa di forse più importante? Non la sua vita, stava correndo per la vita dei suoi figli. E questo gli dava l’energia di scalare ogni montagna del mondo, se fosse stato necessario.

Ross lo sapeva benissimo di non essere mai stato un buon padre per Jeremy e Clowance. Dopo la morte di Julia aveva rifiutato non solo la paternità ma anche gli intrinsechi valori di un matrimonio, quei valori in cui credeva ciecamente ma che, con la morte di un figlio, ti fanno capire che oltre alle gioie, amare significa a volte anche soffrire. Era sfuggito da quella sofferenza, cercando il mondo perfetto dei vent’anni, degli amori idealizzati e senza crepe, illusori come ogni chimera. E così facendo aveva perso non solo il rispetto verso se stesso ma anche la donna che davvero amava e che con lui, come promesso il giorno del loro sì, aveva sempre condiviso gioie e dolori. Aveva perso Jeremy e forse non l’aveva mai avuto perché di fatto, onestamente, non poteva dire di essersene mai preso cura. Hugh Armitage l’aveva fatto, non lui. MAI! Mai, nemmeno quando Jeremy era nato e viveva a Nampara. Poteva dirsi, raccontarsi di aver avuto paura ma questo si era tradotto nel peggiore dei peccati per un genitore, aver abbandonato a se stesso un figlio che quando la sera tornava a casa sempre gli correva incontro, ma lui non era mai stato capace di prenderlo davvero e stringerlo a se. Correva da Elizabeth, ogni sua fibra e risorsa erano per lei e Jeoffrey Charles perché così era più facile, bello, ideale e perfetto. Non si rendeva conto del male che faceva a Demelza e a Jeremy, egoisticamente aveva sempre pensato a se stesso in quel momento fosco della sua vita. A se stesso, a Trenwith, alla miniera, ai minatori, a qualsiasi cosa che non fosse famiglia perché la famiglia lo aveva lacerato, ferito, sconfitto e gli aveva lasciato una grossa scia di dolore nel cuore e lui quel dolore lo voleva lontano, voleva sfuggirgli e lo aveva fatto, con ogni mezzo a sua disposizione. E si era perso tutto, non solo la sofferenza e la brutalità che poteva avere il destino sull’esistenza delle persone a lui legate, ma anche e soprattutto il bello e la vera essenza del vivere con chi ci ama e amiamo davvero.

Demelza era fuggita, con Jeremy e con una piccola bimba che nemmeno aveva avuto il coraggio di andare a conoscere perché troppo aveva sbagliato per tornare indietro e vedere Clowance e ritrovare in lei tracce di Julia, l’avrebbero reso incapace di proseguire nel cammino di espiazione delle sue colpe che si era imposto.

E così aveva ritrovato sei anni, per puro caso dopo che a lungo li aveva creduti persi per sempre, una Demelza diversa, una grande Lady di una grande città, a capo di uno dei casati più nobili e potenti di Londra, Jeremy ormai quasi ragazzino che non lo ricordava più e che aveva scelto un altro come padre e poi Clowance, piccola fiera, testarda principessa che aveva ottenuto persino il rispetto e l’obbedienza di una selvaggia e sfuggente lupa albina.

La sua famiglia e allo stesso tempo, a lungo, tre estranei…

E ora doveva riconquistarli. Non solo Demelza, che in fondo lo aveva sempre conosciuto con i suoi pregi e le sue ombre, ma i suoi figli. Loro no, non lo conoscevano e forse mai avrebbero voluto farlo ma doveva tentarci. E essere capace di accettare la sconfitta nel caso, ma solo dopo una battaglia all’ultimo sangue per loro. Perché per quanto avesse avuto paura li aveva sempre amati fin dall’inizio e nonostante il buio della sua mente e i suoi errori, loro erano stati la luce che aveva illuminato la sua vita e voleva che lo sapessero.

Si arrampicò sui sentieri sterrati, stretti e scivolosi, invasi da una vegetazione sempre più fitta e minacciosa. Aveva preso l’unico sentiero che portava alla montagna, il più vicino quanto meno, e aveva camminato a grandi falcate seguendo il consiglio di Daisy che gli aveva indicato quella via da seguire.

Il fiato gli si fece più corto a causa del freddo e dello sforzo. No, non aveva decisamente più la stessa resistenza dei suoi vent’anni… Ma aveva dalla sua che i due fuggitivi erano ancora piccoli, con le gambe corte e probabilmente lenti. O almeno, lo sperava!

Un improvviso tuono lo fece sobbalzare e alcune lepri, nascoste fra la vegetazione, gli saltellarono veloci davanti agli occhi in cerca di riparo. Ecco dove si era rifugiata la preziosa cacciagione di Falmouth…

Sorrise, quasi rasserenato dal vedere quegli esseri veloci, liberi ed indipendenti che saltellavano via, lontani da fucili e pericoli. Ma poi tornò serio. I suoi figli, doveva recuperarli!

Allungò il passo e arrivò a un piccolo altipiano fra alberi e grotte, dove il dislivello era quasi nullo. Le piante erano alte e rigogliose e impedivano alla poca luce di arrivare a terra, rendendo tutto ancora più cupo e freddo. Ma quanto meno riparavano dalla pioggia e in parte rendevano il terreno meno scivoloso.

Ross si guardò attorno, attento a fiutare ogni minimo movimento e alla fine, a terra, vide quattro piccole impronte infantili che proseguivano nella direzione che lui stava percorrendo. Erano loro, era sulla strada giusta! Nessuno poteva essere passato di lì se non Clowance e Jeremy! E le impronte parevano fresche, segno che i due bambini erano transitati di lì da poco.

Si sentì stranamente orgoglioso di loro, nonostante la pioggia e le scarpette di vernice di Clowance, ne avevano percorsa di strada. Pure lui da piccolo, forse a sette anni, era scappato, ma era arrivato solo alla spiaggia e suo padre lo aveva riacciuffato subito, facendogli diventare il sedere viola a suon di sculacciate.

Ma se erano tanto veloci da essere arrivati fin lì, lui doveva sbrigarsi. La giornata era talmente cupa che presto sarebbe diventato buio e non voleva assolutamente pensare all'ipotesi che i suoi figli trascorressero da soli la notte in quel luogo. Per quanto svegli, sarebbe stata una sfida troppo grossa per loro e Demelza sarebbe morta di preoccupazione. Aveva promesso di riportarli a casa subito e lo avrebbe fatto!

Accelerò il passo e percorse a grandi falcate il falsopiano, arrivando poi nei pressi di un nuovo fitto bosco. La vegetazione era più selvaggia e il sentiero lasciò il posto e un piccolo acciotolato sconnesso che si inerpicava su per la montagna.

Ross prese a salire, di nuovo, mentre il freddo gli penetrava nelle ossa. Santo cielo, che luogo orribile che era la Scozia! L'unica cosa buona nata in quel posto erano i gemelli, per il resto era un luogo che avrebbe volentieri cancellato da ogni mappa!

Stringendo i denti salì ancora, costretto talvolta a sorreggersi agli spuntoni di roccia per non cadere giù. Se il sentiero era stato fonte di guai con il fango, quì rischiava di cadere a causa delle rocce bagnate che non davano ai suoi piedi un appoggio fermo.

Improvvisamente un urlo ruppe lo strano stato di quiete dell'aria. Ross si guardò attorno preoccupato, mentre il sangue gli gelava nelle vene. Era la voce di Clowance, poteva giurarci! E se aveva urlato, voleva dire che era vicina ed in pericolo!

Salì ancora più rapidamente, chiamandola a gran voce. "CLOWANCE, JEREMY! Sto arrivando, non muovetevi!". Certo, era sciocco, se lo avessero sentito avvicinarsi sarebbero scappati ma doveva almeno provarci.

Spinto dalla disperazione salì rapidamente verso la direzione da cui aveva sentito provenire l'urlo e finalmente li vide.

Infreddoliti, bagnati e sporchi, camminavano con passo poco convinto fra gli alberi, aiutandosi a far presa con le mani dove la salita era più ripida.

Tirò un sospiro di sollievo, sembrava stessero bene... "Jeremy, Clowance!" - li richiamò, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse difficile essere genitore e fare la cosa giusta.

I bimbi si voltarono, spalancando gli occhi. Della sua presenza, si erano resi conto solo in quell'istante.

Ross si bloccò per non spaventarli. Clowance aveva un ginocchio sbucciato, poteva vederlo bene e anche se non sembrava nulla di grave, doveva essere per quello che aveva urlato. "Bambini, state fermi, ora vengo a prendervi".

Jeremy guardò Clowance poi lui, con sguardo duro. "No, state lontano! Non vi vogliamo quì, noi stiamo andando via per i fatti nostri!".

Ross si morse il labbro. Fino a quel momento era stato arrendevole e si era attenuto ai consigli dati da Demelza ma adesso basta fare la pecora silenziosa, ora doveva fare il padre e un padre prende in mano la situazione nel modo che ritiene più giusto, anche andando contro ai suoi figli se è per il loro bene. "Jeremy, sta piovendo, siete in un luogo isolato e sconosciuto, siete senza cibo e soldi e presto sarà buio".

"Non sono affari vostri!" - tuonò il ragazzino, senza muoversi di una virgola. "Chi vi ha detto che eravamo quì? Daisy la spia?".

Ross non si fece scoraggiare e decise che difendere Daisy era la cosa primaria in quel momento, per il bene della piccola e anche perché i suoi fratelli capissero quanto lei li amasse. "Daisy non è una spia, Daisy vi vuole bene ed è più assennata di voi due!".

"Noi siamo assennati!" - borbottò Clowance, massaggiandosi il ginocchio.

Jeremy annuì. "Esatto! Abbiamo soldi e cibo, non siamo due bambini scemi!".

Ross si avvicinò di alcuni passi. "Lo so che non siete scemi e proprio per questo Jeremy, sei grande abbastanza da capirlo da solo! Con poche monete non arriverai a Londra e non basterà un tozzo di pane a tenervi in piedi. Vostra madre è preoccupata, su torniamo a casa!".

Clowance divenne rossa in viso, come se la rabbia stesse esplodendo in lei tutta in una volta. "Noi stiamo tornando a casa! La NOSTRA! A Londra! La casa che ci volete far perdere!".

Ross sospirò, allargando le braccia. La pioggia si era fatta ancora più battente ma era come se non la avvertisse, tanto era concentrato sui suoi figli. "Perdere! Io non voglio farvi perdere proprio niente e se veniste quì e ne parlassimo, ci chiariremmo meglio!".

"No!" - rispose Jeremy, voltandosi e correndo via.

Ross entrò in panico ma la sua reazione fu veloce. Con un balzò corse verso di loro e anche se Jeremy fu abbastanza veloce da sfuggirgli, Clowance non lo fu altrettanto, con le sue scarpette di vernice e il ginocchio sbucciato. La raggiunse, la afferrò per la vita e la prese in braccio, bloccandola.

"Lasciami!" - gridò la bambina, divincolandosi.

Jeremy si bloccò, voltandosi. Sembrava spaventato ora, e decisamente meno capace di controbattere e prendere decisioni. "Clowance!" - sussurrò. "Lasciatela signor Poldark!".

"Solo se vieni quì" – rispose. Non avrebbe lasciato Clowance, era la sua arma per riavvicinare Jeremy e in braccio a lui sarebbe stata più al sicuro che in qualsiasi altro posto.

Arresosi all'evidenza di essere il meno forte fra i due, Jeremy si avvicinò di alcuni passi, appoggiandosi al tronco di un grosso albero. "Voi non potete dirci cosa fare e non fare. Se vogliamo andare a Londra, ci andiamo".

Lo sguardo di Ross si indurì. Era testardo Jeremy e se per questo faceva degli errori, lui doveva aiutarlo a capirli, anche senza mezze misure. "Io posso dirvi cosa fare e non fare, che ti piaccia o no sono tuo padre!".

"Il mio cognome è Armitage, non Poldark" – rispose in bambino, a tono, mentre Clowance silenziosa assisteva al battibecco fra i due.

Quella frase ferì Ross, lo ferì mortalmente. Ma non poteva farsi sconfiggere. "Jeremy, a me di quello che dicono la legge e i documenti, importa meno di zero. Sei mio figlio e mai ho pensato a te in termini diversi. Ho fatto degli errori enormi ma questo non ha mai intaccato l'amore per voi e l'orgoglio di essere vostro padre".

Jeremy tremò lievemente a quelle parole, ma poi si ricompose subito. "Non vi credo. Hugh è stato mio padre, voi mi avete abbandonato! Senza nome, senza casa, da solo con mamma, Clowance e Prudie! Se mi amavate, restavate con me!".

Ross sospirò, stringendo ancora più a se Clowance. Jeremy aveva ragione e giustificarsi sarebbe stato inutile e controproducente perché non era quello che suo figlio si aspettava di sentirgli dire. Forse doveva solo essere sincero, chiedere scusa, cospargersi il capo di cenere e soprattutto dire la cosa più importante, che lo amava, che lo aveva sempre amato e lo avrebbe fatto per sempre, anche se nel suo cuore avrebbe dovuto convivere col ricordo di un altro padre. "E' vero, Hugh è stato tuo padre e io lo rispetto e lo ringrazio per questo. Nessuno ti toglierà mai i ricordi con lui e quello che ti ha insegnato... E' altrettanto vero che ho fatto un errore orribile e anche se i motivi che mi hanno portato a commetterlo erano umani e forse evitabili o forse no, io ho sbagliato. Ho sbagliato e ho cercato di porre rimedio ai miei errori e ai miei rimorsi commettendo altri errori. Non mi rendevo conto di quello che facevo, non mi rendevo conto delle conseguenze. Tua madre sì, lei ci arriva sempre per prima alle cose, sicuramente prima di me. E tu lo sai bene, giusto?".

"Giusto" – rispose Jeremy. "Ma ora è troppo tardi. Voi siete un Poldark e io un Boscawen. E mi piace esserlo! Io non voglio essere come voi, io da grande voglio essere come Hugh! O simile... Mi piacciono le cose che piacevano a lui, mi piace come faceva e parlava, mi piace ricordare come trattava la mamma".

"Papà Hugh amava la mamma, non la lasciava mai" – mormorò Clowance.

Faceva male sentire quelle cose e di certo le meritava, faceva male non essere un modello di riferimento per suo figlio ma in fondo niente e nessuno poteva garantirgli che Jeremy, anche se fosse cresciuto con lui, avrebbe potuto provare interesse per le cose che interessavano a lui. Avevano temperamenti diversi e questo Ross lo aveva comunque capito fin da quando Jeremy era molto piccolo e quindi non doveva prenderlo come un affronto personale ma rispettare la sua personalità che forse un temperamento pacato come quello di Hugh aveva aiutato a sviluppare. "Nemmeno a me piacevano le cose che piacevano a mio padre... Tuo nonno Joshua era molto diverso da me, non c'è alcun male in questo. E puoi diventare l'uomo che vuoi, non sarò certo io ad impedirtelo ma vorrei aiutarti ad esserlo".

"Davvero?" - chiese Jeremy, in tono di sfida.

"Davvero, te lo prometto".

Il bambino fece uno strano sorrisetto, freddo e sarcastico. "Voi siete bravo a promettere, ma poi non mantenete la vostra parola".

"A cosa ti riferisci?" - chiese Ross, un pò confuso.

Jeremy strinse i pugni, rabbioso, mentre la voce gli tremava. Sembrava davvero sofferente ora, più che arrabbiato. "Vi ho aspettato, a lungo! Che arrivaste e mi insegnaste a cavalcare! Io non ricordo niente, solo una cosa...". Allungò la mano, mostrandogliela. "Ricordate?".

Ross impallidì. "Di cosa parli?".

Jeremy si voltò, dandogli le spalle. "Quando la mia mano diventava grande la metà della vostra, mi dovevate insegnare a cavalcare. Mi ha insegnato un maestro, solo i maestri mi hanno insegnato qualcosa, non voi! Voi non mi avete insegnato niente!".

Lo urlò, rabbioso, poi scappò via fra la vegetazione. Fu talmente veloce che Ross fu preso alla sprovvista e ci mise un attimo a reagire.

Clowance ne approfittò per mordergli il braccio e liberarsi della sua presa, cadde a terra ma si rialzò subito, agile come una gatta. O una lupa... "Tutti mi amano, un papà doveva amarmi per forza!" - urlò, ferita quanto Jeremy, prima di correre via.

Scappò in mezzo agli arbusti, in quel dedalo di vegetazione fitta, rocce e scarpate. Pioveva forte, era pericoloso, loro non conoscevano la strada, erano turbati e potevano farsi male.

Gli corse dietro, chiamandoli a gran voce. Ma la loro stazza minuta li aiutava a divincolarsi da quell'intricata foresta piena di rovi e pericoli mentre lui incespicava sui suoi passi. "Fermatevi!" - urlò loro.

I bambini però correvano, forse senza nemmeno sapere dove. Il sentiero principale era sempre più lontano, il terreno sempre più zuppo d'acqua e sdruciolevole e rimanere in piedi era ormai un'impresa quasi impossibile.

Improvvisamente un rumore sordo sopra le loro teste fece fermare tutti e tre. Alcune pietre iniziarono a rotolare dalla montagna, sempre più grandi e sempre più numerose.

A Ross si gelò il sangue. Tutta quella pioggia stava creando uno smottamento e loro ci erano proprio sotto. E finire sotto una valanga in quel posto isolato e dimenticato poteva equivalere alla morte.

Corse veloce, verso i bambini che si erano fermati spaventati. E appena li ebbe raggiunti, li afferrò forte e loro si lasciarono prendere. "Dobbiamo andarcene da quì!" - urlò loro.

"Cosa succede?" - domandò Clowance, terrorizzata.

Ross li strinse a se. "Siamo un pò nei guai, questo succede!". Si guardò attorno con urgenza per cercare riparo mentre la pioggia di pietre si faceva sempre più minacciosa e alla fine intravide una piccola grotta a una decina di metri da loro, nascosta fra i rovi. Mise i bambini a terra, gli diede una spinta e la indicò loro. "Correte! Veloci più che potete!" - ordinò, disperato.

I bambini ubbidirono e Ross fu subito dietro di loro, a proteggergli le spalle.

Corsero ma a un certo punto i suoi stivali lo tradirono e scivolò.

Jeremy si bloccò e fece per tornare indietro ad aiutarlo e nonostante questo gesto istintivo ed inaspettato lo rendesse felice, suo figlio non doveva farlo. "No, va avanti, va alla grotta con tua sorella!" - urlò disperato, cercando di alzarsi. Ma ricadde a terra, con la caviglia dolorante.

Jeremy rimase fermo, terrorizzato e immobile, fra lui e la grotta. Clowance lo chiamò, tentò di raggiungere il fratello ma Ross urlò di nuovo! "VIA, VIAAAA! Andate in quella dannata grotta!!!".

Jeremy decise di non ascoltarlo, mentre le schegge e le pietre cadevano ormai come in una cascata su di loro. Si chinò, lo prese per il polso e tentò di farlo rialzare ma il dolore alla caviglia era troppo e non c'era più tempo. Non importava, la cosa fondamentale era la salvezza dei bambini, non la sua! Avrebbe voluto abbracciare Jeremy ma l'unico atto d'amore verso di lui in quel momento non poteva che essere una spinta. Lo spinse indietro con tutta la forza che aveva, lontano, facendolo indietreggiare. "VATTENE!" - ordinò fra i denti, mentre Clowance piangeva. "Va da lei in quella grotta!". Poi non vide più nulla...

Un pioggia di grossi detriti lo colpì senza pietà annebbiandogli la vista e i sensi. E tutto divenne nero e polveroso, inconsistente e lontano...

  
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