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Autore: Mannu    26/07/2019    0 recensioni
Mai come stavolta Veruska è convinta di aver fatto il passo più lungo della gamba. Ma ormai è in ballo e deve ballare! Che le piaccia o no sarà coinvolta nuovamente in un pericoloso gioco a base di spionaggio internazionale dove nulla è ciò che sembra... oppure sì? Non ci si può tirare indietro di fronte al cupo Capitano Grimovski, agli agenti del Kaiser colmi di risentimento oppure sottrarsi agli altri giocatori per nulla intenzionati a lasciarsi beffare di nuovo.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Veruska'
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Flugzeug!
6.

Tornò spedito sui suoi passi alla ricerca di un'auto pubblica. Giunto sulla Spandauer Damm non fu un problema trovare un taxi libero. Avrebbe voluto una vettura elettrica: i loro motori erano più prestanti al prezzo però di una minore autonomia del veicolo. Dovette accontentarsi di una a vapore, libera e pronta alla partenza immediata.
«Berlino Ostbahnhof. Pago quello che chiede più dieci demark per fare più in fretta possibile. Non importa quante regole lei infranga.»
Grimovski non attese che il conduttore gli rispondesse: a metà della frase aveva già aperto lo sportello posteriore per accomodarsi sul lindo sedile della vettura con la caldaia già calda.
«Mi sospenderanno la licenza, mein Herr...»
«Venti demark.»
«Ma io...»
«Trenta. E ora si metta alla guida.»
Grimovski mostrò un rotolo di banconote. Il conduttore non ebbe più esitazioni e partì facendo fischiare le gomme.
Il viaggio fu davvero spedito come il capitano desiderava. L'auto mancava un po' di spunto in accelerazione ma la potenza del vapore si sprigionava presto nei lunghi rettilinei e ogni volta che il traffico si diradava un poco di fronte alla vettura. Il conduttore non si fece scrupoli: dimentico perfino di far partire il tassametro, portò il capitano a destinazione davvero in fretta sfidando il codice della strada e i suoi tutori, i neri agenti della polizia stradale riconoscibili dal caratteristico elmetto chiodato e decorato da intricati arabeschi di lucido ottone.
Si fece lasciare alle partenze nazionali. Non aveva idea di cosa frullasse per la bionda testolina di Veruska Meinhertz, ma da qualche parte avrebbe pur dovuto cominciare.
Col mantello aperto a ruota tale la velocità della sua falcata si diresse agli ingressi. L'atrio era colmo di gente: viaggiatori e accompagnatori, gente in cerca di informazioni, personale di servizio, facchini sovraccarichi, poliziotti in divisa, militari, perfino qualche fuligginoso macchinista. C'era una gran folla e cercare una persona in particolare in quella confusione sarebbe stata un'impresa impossibile. Ma questa volta le carte in mano a Grimovski erano migliori. Andò subito a comprare due biglietti, poi si lanciò verso le scale affollatissime.
A lato delle scalinate che salivano ai binari c'erano dei mendicanti. Ve n'erano sempre: senza fissa dimora, bivaccavano elemosinando e bestemmiando la sorte loro avversa. Chi era caduto in disgrazia per aver perduto il lavoro, la casa e la famiglia, chi era rimasto menomato al fronte, chi privo di impiego stabile aveva troppi figli da mantenere. Venivano tollerati solo perché una volta lì a mendicare era più facile tenerli sott'occhio. La maggioranza di costoro infatti era composta da zingari travestiti, abili attori capaci di interpretare ruoli diversissimi. Mendicanti, ma anche ladri e lesti borseggiatori, capaci di rubare il portafogli a chi si fermava a dar loro l'elemosina senza indurre il minimo sospetto nella vittima.
Ne avvicinò uno che sembrava molto male in arnese: puzzava tanto che il capitano provò l'istinto di portarsi una mano al naso. La barba grigia era incolta e tanto aggrovigliata che si sarebbe fatto prima a raderla del tutto che a pettinarla per acconciarla meglio. Gli abiti laceri erano ricavati dai resti di divise di eserciti di almeno tre nazioni diverse. Occhi cirrotici e lucidi si agitavano in un viso scuro e rugoso, sporco in modo pietoso. Gli porse l'elemosina e quello tese le mani sporche e rovinate a riceverla.
«Dovresti avere qualcosa per me» gli sussurrò il capitano chinandosi su di lui vincendo il ribrezzo.
«Eccome» biascicò quello, la bocca sdentata schiusa. L'alito era un tanfo terribile con un marcato accento di alcol. C'era una bottiglia di Schnapps che faceva capolino da sotto una lercia coperta.
La moneta da un demark cadde nel palmo del mendicante e sparì subito.
«Non capita tutti i giorni di vedere una bella giovane inseguita, per esempio.»
Un'altra moneta apparve. Il mendicante sembrò illuminarsi sotto lo sporco. La mano destra tremante salì a palmo insù verso Grimovski, che però si ritrasse.
«Te la devi guadagnare.»
«Inseguita, sì. Da... agenti di stazione» completò l'informazione alzando indice e medio.
«Da che parte?» lo sferzò il soldato dello Zar.
Alla prima mano si aggiunse l'altra a formare una coppa. Il mendicante uggiolava come un cane, sul volto la grottesca parodia di un sorriso. La moneta cadde e, come la prima, sparì in un lampo.
«In cima a queste scale, non più di dieci minuti fa... l'avevano quasi presa.»
Grimovski tornò a drizzarsi in tutta la sua statura, degnando il mendicante di un ultimo sguardo sprezzante e riconoscente insieme.
«Continua a servire lo Zar, soldato.»
Il mendicante roteò gli occhi all'altissimo soffitto color panna dell'atrio emettendo un flebile lamento.
«Ho già dato le mie gambe allo Zar... ho già dato le mie gambe allo Zar... le mie gambe...» disse ciondolando la testa e scoprendo i due moncherini mal cicatrizzati che spuntavano dagli strappi nei pantaloni. Ma Grimovski era già lontano.
Divorò le ampie scale più rapidamente che poté. La folla non lo agevolò: soprattutto coloro che portavano bagagli lo rallentarono più volte fino a fargli perdere la pazienza.
«Случайно вам! [4]» sbottò contro una fin troppo prosperosa giovane che lo ostacolava trascinandosi dietro un bagaglio pesantissimo, troppo pesante perfino per il facchino che la stava aiutando.
«Chistu u curnutu!» si sentì apostrofare alle spalle, superato l'ostacolo un po' troppo bruscamente. La deroga alle buone maniere era senz'altro giustificata.
Di fronte a lui vi erano i binari, inaccessibili per chiunque non fosse titolare di un documento di viaggio valido. Numerosi scrupolosi funzionari controllavano gli affollati varchi di accesso affinché la norma venisse rispettata. Le file a ciascun varco erano molto lunghe e ordinate. Era quindi escluso che la bella Veruska avesse trovato rifugio su un treno. Inseguita dagli agenti, i funzionari l'avrebbero di certo bloccata. Rimanevano solo decine di chioschi di tutti i generi, qualche negozio di lusso e il presidio della polizia della stazione. Oltre ai bagni delle signore, ma quelli decise di ispezionarli per ultimi. Si trattava di un pericoloso vicolo cieco e una persona in fuga non vi si sarebbe mai infilata volontariamente.
Si rassegnò a fendere la folla in direzione del presidio di polizia, una piccola scatola di legno e vetro che sembrava ben poca cosa all'interno della monumentale galleria delle partenze nazionali, più di trenta binari serviti da una singola ala della stazione berlinese. Ma quella scatola era capace abbastanza da ospitare diversi uffici con tavoli e sedie per una dozzina di poliziotti, una piccola prigione per trattenere furfantelli, ladruncoli e altra fauna del luogo nonché l'ufficio del comandante del presidio di polizia. Lì era diretto Grimovski, deciso a far valere l'esperienza accumulata in tanti anni al servizio dello Zar in terra germanica.
Avrebbe finto di avere una denuncia da sporgere. Un po' di fortuna e avrebbe presto individuato la posizione della bionda domestica: forse era stata presa. In cuor suo sperava ardentemente di no. Visto com'era uscita da una situazione ben peggiore presso l'officina di Schmeisser, pensò non fosse il caso di sottovalutarla. Questa fuga precipitosa inoltre poteva nascondere qualcosa... era determinato a scoprire cosa.
Tutti i suoi piani andarono all'aria non appena varcò la soglia della piccola stazione di polizia. Veruska, la domestica così ricca di iniziativa lo sorprendeva un'altra volta.
Si era fatta catturare dai poliziotti. Era lì, seduta al tavolo dell'agente in divisa che stava compilando minuziosamente un verbale. Impettita e seria, sul viso dalle gote arrossate non affioravano emozioni evidenti: pareva che quanto le stesse accadendo non la riguardasse. Grimovski rimase senza parole. Un istante di smarrimento che avrebbe potuto pagare caro.
«Buongiorno – disse il poliziotto alzando gli occhi dal verbale – come posso aiutarla?»
«È inaudito!» protestò con vigore Grimovski, sudando freddo. Non sapeva che pesci pigliare. Avrebbe dovuto soffermarsi a sbirciare da una finestra prima di entrare, ma non l'aveva fatto e ormai era tardi. A prima vista c'era un solo agente, quello intento a redigere il verbale.
«Sono il barone Aleksandr Grigorevic Stroganov Terzo! Da generazioni gli Stroganov siedono alla corte dello Zar! Inaudito! Pretendo rispetto! Esigo soddisfazione!»
Fu uno scherzo calcare il proprio accento russo fin quasi a ottenere una parodia del personaggio che intendeva imitare. Si agitò in preda alla furia, come se intendesse trovare una gola da stringere, ma si preparò impugnando saldamente il bastone da passeggio. Si ricordò di avere un monocolo: lo pose davanti all'occhio destro e protese il viso oltremodo corrucciato verso l'agente pronunciando a voce alta il nome e la matricola incisi sul distintivo dorato che quello portava sul petto.
«La metto a rapporto, agente! Tutto questo è inammissibile, qualcuno dovrà pagare! Voglio la testa di qualcuno per questo oltraggio!» continuò Grimovski mulinando le braccia in modo molto teatrale.
«La prego, signor barone, si calmi...» l'agente, intimorito dalla minaccia diretta si alzò dalla sedia.
Finalmente, esultò Grimovski assestandogli un colpo secco e deciso alla tempia col legno del bastone. Aveva una certa esperienza nell'uso di quell'arma dissimulata: colpendo col pomolo argentato invece, una testa di levriero di acciaio massiccio, avrebbe ucciso la sua vittima anziché stordirla come accadde all'agente che si afflosciò a terra come un sacco vuoto, accompagnato da un breve ma acutissimo strillo della giovane domestica.
«Svelta» Grimovski la afferrò per un braccio visto che quella non accennava a muoversi né a distogliere lo sguardo dal poliziotto colpito.
Quella strattonò via il braccio liberandosi dalla presa non per guadagnare la libertà ma per tornare indietro di un paio di passi e recuperare la borsa da viaggio.
La trascinò fuori dalla piccola stazione di polizia e la guidò a braccetto verso i binari.
«Non dica niente, non faccia niente se non lo dico io» le intimò duramente. Gli era spiaciuto di aver dovuto usare la violenza di fronte a lei: era sembrata sinceramente scossa e anche in quel momento continuava a tremare: la sentiva fremere tenendola a braccetto ed era certo che non si trattasse di una conseguenza dell'accompagnarsi a un bell'uomo come lui era.
Raggiunta la banchina fecero vidimare i biglietti e, trovato il binario giusto salirono a bordo del treno per Amburgo.
   
 
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