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Autore: Carmaux_95    28/07/2019    5 recensioni
[Maylor + accenni Freddie/Jim]
-Ti ricordi l'anno scorso quando abbiamo suonato per quella festa hawaiana? Abbiamo indossato degli assurdi gonnellini di paglia e dei finti orecchini!- e mentre parlava Freddie mimò una sorta di balletto ondeggiando i fianchi e le braccia. -Basterebbero due belle parrucche e un paio di quei seni finti che si gonfiano!-
Roger lo osservò senza dire una parola, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo indecifrabile, fino a quando fu John Reid, che non aveva ascoltato una parola ma aveva visto il pianista esibirsi in quella sottospecie di danza, a rompere il silenzio:
-Cos'ha il suo amico? Si sente male?-
-Lo spero.- rispose il biondo senza staccare gli occhi dal coinquilino.
-Ma Rog, sono tre settimane in Florida!-
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, Jim Hutton, John Deacon, Roger Taylor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUINDICI

Freddie si guardava intorno mordendosi le labbra con tale forza che avrebbe potuto farle sanguinare. Si muoveva in fretta, correndo di salone in salone, scandagliandone gli interni e qualunque persona che assomigliasse a Jim.

Eppure non lo trovava da nessuna parte: non era al bancone, dove lavorava solitamente; si era avvicinato alle cucine e aveva chiesto ai camerieri che ne uscivano, se fosse lì dentro, ma aveva ricevuto solo risposte negative.

Che brutto scherzo del destino... si era ritrovato a pensare, affranto. Non voleva andarsene senza averlo prima rivisto, senza nemmeno salutarlo...

Di nuovo nel salone dove solitamente si esibivano, stava girando su se stesso quando sentì qualcuno appoggiargli una mano sulla spalla. La sua prima reazione fu di panico, pensando che potesse trattarsi dei gangster, ma si rilassò quando riconobbe i ricci disordinati di Brian. Solo dopo che questi lo ebbe salutato rifletté: se Brian era lì – con quel suo sorriso cordiale, per altro – significava che anche Roger non aveva avuto fortuna con quell'ultimo saluto che avrebbe voluto fargli telefonandogli. E certo non poteva scendere e buttargli le braccia al collo vestito di tutto punto come Clare... e ancora meno poteva uscire da camera sua senza quel travestimento.

Quasi non sentì la voce di Brian quando questi si scusò per averla spaventata e le domandò se andasse tutto bene. Cogliendo il suo sguardo confuso, il professore specificò che sembrava agitata. E come dargli torto?

Scosse rapidamente la testa. Non aveva tempo per parlare in quel momento – voleva trovare Jim! – ma una morsa al cuore gli fece mordere il labbro inferiore, pensando al suo migliore amico.

-Roger...- disse, distraendolo dalla domanda che quest'ultimo gli aveva appena posto. -Roger voleva parlarle: Clare dice che ha provato a telefonarle, al suo yacht, invano.- la serietà con cui aveva pronunciato quelle parole aveva fatto corrugare la fronte di Brian. -Dovrebbe contattarlo: telefoni alla camera di Clare e le chieda di metterla in contatto con lui.-

Non era sicuro che avergli consigliato di telefonare a Roger fosse stata una buona idea: non aveva avuto modo di rifletterci su a sufficienza.
Ma, se non aveva ancora avuto modo di conoscere a fondo l'uomo che aveva fatto perdere la testa al suo fratellino, conosceva quest'ultimo fin troppo bene: aveva capito quanto profondamente Brian si fosse insinuato sotto la sua pelle, quanto il batterista gli si fosse affezionato; sapeva quanto gli sarebbe mancato quando se ne sarebbero andati.

Quando, prima di uscire dalla propria camera, in un disperato quanto inutile tentativo di consolarlo, gli aveva detto che, con il tempo, lo avrebbe dimenticato. Roger aveva annuito senza guardarlo e Freddie aveva capito che gli aveva dato ragione non perché ci credesse davvero, ma solo per non doverne parlare in quel momento, per non inoltrarsi in quella conversazione che, onestamente, non sapeva ancora esattamente come affrontare.

Ora che si trovava a salutare Brian con un gesto accennato della mano appena prima che questi si chiudesse in una delle cabine telefoniche all'ingresso dell'hotel, realizzò di avere torto; che, ovunque fossero andati, per quanto tempo potesse essere trascorso, a Roger sarebbe bastato un distratto sguardo verso il cielo per ricordarsi di quel premuroso professore di astrofisica.


 


 

Freddie era uscito da qualche minuto, lasciando Roger in compagnia solo dei suoi pensieri, nessuno dei quali, in quel momento, lo stava aiutando a dare un senso alla situazione. Osservava la cornetta del telefono senza decidersi a sollevarla. La cosa migliore da fare sarebbe stata quella di fregarsene di tutto e di tutti e di andarsene: quelli erano i maledettissimi piani! Li avevano stabiliti nel momento in cui erano arrivati a Miami. Eppure adesso che dovevano essere messi in atto, non era sicuro di volerlo fare. O meglio, sapeva per certo di non volerlo fare...

Possibile che in poco meno di tre settimane fossero cambiate tante cose?

Il vecchio Roger, per salvarsi la pelle, avrebbe tranquillamente mollato la sua ragazza del momento senza avvertire. Il Roger musicista squattrinato avrebbe fatto le valigie e, la polizia alla porta, sarebbe scappato dalla finestra senza pensarci su.
Ma ora non era quel Roger.
Mentre cominciava a comporre il numero si rendeva conto di essere un'altra persona, una persona che non avrebbe mai lasciato la sua ultima conquista amorosa... anche se, riflettendoci, Brian non era affatto stata una sua conquista. Non aveva mai avuto intenzione di attirare la sua attenzione, né aveva mai pensato che avrebbe potuto provare qualcosa per lui fino a quando non era stato proprio lui a farglielo capire. Se caso, si poteva dire che lui fosse stato una conquista di Brian.

Aspettando una risposta, la cornetta appoggiata all'orecchio, si guardò allo specchio, senza soffermarsi sui vestiti femminili che ancora indossava, quanto sul suo sguardo, sulla sua espressione leggermente stravolta: si rese conto di essere ancora lo stesso Roger di sempre.

Era Brian ad essere diverso.

Diverso da qualunque altra persona per la quale avesse mai provato interesse: non voleva andarsene senza dirgli nulla...

La telefonata rimase senza risposta.

Amareggiato, rimise la cornetta al proprio posto: in quel subbuglio di emozioni e fretta di andarsene, non gli vennero in mente altre opzioni per contattarlo...

Ma forse, da un altro punto di vista, era meglio così: che non gli avesse risposto. In fondo, cosa poteva dirgli? Che storia poteva inventarsi per la sua improvvisa scomparsa?

Dirgli che era ricercato tanto dalla polizia quanto dalla malavita di Chicago era fuori discussione. Quello che preoccupava il giovane batterista non era che, sconvolto, potesse consegnarlo alla giustizia, quanto il contrario: sarebbe stato tanto pazzo da offrirsi di aiutarlo, attirandosi contro le inimicizie dei gangster responsabili della Strage di San Valentino. E questo, Roger non poteva permetterlo. Senza contare che non voleva assolutamente approfittare di lui sfruttandolo come mezzo di fuga: per quello c'era Mallett.

Andarsene nel silenzio, lasciandolo nell'ignoranza, sembrava la scelta migliore...

Ma non lo faceva sentire in pace con sé stesso.

In ogni momento che avevano trascorso insieme, Brian lo aveva sempre fatto sentire bene, bene come non si sentiva da anni ormai. Gli bastava così poco: un sorriso, una carezza... uno sguardo apprensivo di cui Roger ormai non era più abituato ad essere il destinatario. Erano anni che gli unici a preoccuparsi di lui e Fred erano solo loro stessi.

Gli pareva così ingiusto andarsene senza nemmeno un saluto e farlo soffrire così, gratuitamente.

Perché, concedendosi un pizzico di autostima, immaginava che Brian avrebbe sofferto della sua partenza immediata...

Si domandò se ne avrebbe mai parlato con John...

John!

Attraversò la camera in un paio di falcate: aveva appoggiato la mano sulla maniglia della porta quando il telefono della camera squillò.


 


 

Lo osservava con disinteressata superiorità.

In silenzio.

Se la risposta negativa che John gli aveva dato lo avesse turbato non lo dava a vedere in alcun modo, così convinto di avere tutta la situazione perfettamente sotto controllo.

-No?- chiese, semplicemente, come a dire “ho capito bene?”.

La cosa che inquietava John era la tranquillità di quelle intimidazioni velate che gli rivolgeva sempre. Quella semplice domanda monosillabica sottintendeva un universo intero di ipotetiche minacce. E lui lo sapeva bene.

Nonostante questo, prese fiato, il consiglio e il sostegno di Brian ad aiutarlo: -No.-

-Forse non mi sono spiegato a dovere: non era un suggerimento.-

-Sono un informatore.- dichiarò, e quell'ammissione, per qualche strano motivo, lo fece sentire bene. Il fatto di non essere più l'unico a saperlo, di avere finalmente qualcuno dalla sua parte, aveva dissipato gran parte della paura che si annidava in quel pensiero. -Non un agente sotto copertura.-

-Sei alle mie dipendenze.-

-Sono alle dipendenze della polizia. Non alle tue.-

Per la prima volta percepì qualcosa incrinarsi nello sguardo impassibile di Prenter, ma non avrebbe saputo dire cosa significasse...

Qualunque cosa avesse intravisto, scomparve subito: -E dimmi, pensi che la polizia sarebbe lieta di riprendere in considerazione il tuo caso per valutare un cambio di pena o un'assoluzione basandosi su questo tuo comportamento? La commissione non sarebbe contenta di vederti così poco collaborativo.-

-Preferisco arrivare davanti alla commissione da “poco collaborativo” che da morto.-

-Non fai che avvalorare la mia tesi.-

Quell'insinuazione lo aveva preoccupato non poco... però non si poteva dire che non fosse stato d'aiuto in quegli ultimi tempi nella risoluzione di numerosi problemi riguardanti il traffico di alcolici e locali illegali che erano stati puntualmente chiusi. Stava per parlare di nuovo, ma Prenter lo anticipò: -Hai ordinato la colazione come ti avevo chiesto?-


 


 

Non si sentiva meglio. Al contrario.

Quella telefonata forse era stata un errore. Non avrebbe dovuto rispondere. Sarebbe dovuto uscire dalla camera, come stava per fare.

Il modo in cui aveva ancora una volta nascosto la verità, “trasferendo la telefonata da Clare a Roger” lo aveva abbattuto ancora prima che avesse avuto modo di spiegare a Brian che quello sarebbe stato un addio. Aveva impiegato qualche secondo di troppo a sollevare di nuovo la cornetta e parlare senza falsare la voce.

-Roger! Pensavo che fosse caduto il collegamento.- non gli aveva risposto subito. Di nuovo si era trovato a pensare che non aveva idea di cosa dirgli, nonostante volesse disperatamente parlargli. Brian, non sentendolo, parlò di nuovo: -Hai dormito bene? Sembravi un po' su di giri quando ti ho riaccompagnato a terra, ieri sera. Saranno state tutte quelle “bollicine”...-

Quella presa in giro lo avrebbe divertito, instillando anche una goccia di competizione tramite la quale, normalmente, avrebbe tentato di rispondere alla provocazione, ma il suo viso rimase inalterato: -No, non ho dormito troppo bene... per la verità non ho chiuso occhio...-

-Oh, mi dispiace, ma se vuoi posso aiutarti: questa sera potrei provare a raccontarti di nuovo del mio ultimo saggio. Basandomi sulle precedenti esperienze mi basteranno cinque minuti per farti addormentare.-

Questa volta un sorriso aveva incurvato le sue labbra, il pensiero a quando la voce di Brian e le sue coccole lo avevano cullato in un sonno rilassato e senza preoccupazioni.

Aveva rapidamente cacciato quei ricordi – in quel momento non erano per niente d'aiuto – e aveva scosso la testa: -Ecco io... purtroppo non posso questa sera.-

-Magari...-

-Nemmeno domani. È successo qualcosa di inaspettato: devo andare via.- aveva pronunciato quelle parole rapidamente, affidandosi a quella che Freddie chiamava “la teoria dei cerotti”: tirare un cerotto lentamente, tentennando, sapeva essere particolarmente doloroso, ma strapparlo con un gesto secco era la scelta migliore per provare meno dolore possibile. O, come avrebbe più semplicemente detto lui, quasi dentista: via il dente, via il dolore.

Che bella teoria del cazzo. Si rendeva conto che un cerotto non era paragonabile alla situazione nella quale si trovava in quel momento, ma non sapeva più cosa pensare e affidarsi alle parole dell'unica persona che gli era, e sarebbe sempre stata, vicina gli era sembrata l'unica opzione.

Era rimasto in silenzio, trattenendo il respiro in attesa di una qualsiasi risposta da parte di Brian.

-Cosa vuol dire che “devi andare via”?- si era aspettato quella domanda, ma non aveva risposto.

Come aveva già deciso, non lo avrebbe mai coinvolto nel disastro che lo inseguiva da Chicago. Sfortunatamente questo comportava non avere una storia di riserva da raccontare. Non che, avendola, la situazione sarebbe migliorata: sarebbe stata, ancora, solo l'ennesima bugia. Sotto una certa luce sarebbe stato il giusto modo di chiudere quella storia che non sarebbe mai dovuta nascere. Quella storia di mezze verità. Ma solo l'idea lo disgustava. La domanda che gli aveva posto Brian, dopo interminabili secondi di silenzio, gli fece chiudere gli occhi e abbassare la testa: -Quando tornerai?-

-Brian... non tornerò affatto.-

-Perché...?-

-È complicato.-

-Spiegami.-

-Non posso.-

-Sì che... non puoi semplicemente dire che te ne vai senza giustificarne il perché!- la sua voce aveva cominciato a scaldarsi e Roger era riuscito ad immaginare perfettamente la sua espressione ferita.

-Mi dispiace...-

-Ho fatto qualcosa di male?-

-No... al contrario...-

-Dove andrai?- aveva scosso la testa, quasi si aspettasse che potesse vederlo.

Avrebbe davvero voluto vederlo, in quel momento. O meglio, avrebbe voluto che Brian lo vedesse, che leggesse la sincerità dei suoi occhi, che non riusciva a trasparire dalla sua voce. Avrebbe voluto che vedesse che non stava dicendo quelle cose perché voleva, ma perché era costretto. -Non me lo puoi dire?-

-Mi dispiace...-

-Sì... me lo hai già detto.- quelle parole, sommate al suo tono di voce, lo avevano ferito: serrando gli occhi, aveva stritolato la cornetta e si era obbligato a pronunciare quelle ultime parole:

-Brian: devo andare...-

-No, aspetta... Roger! Aspetta, ti prego.- su quelle parole Roger si costrinse ad appoggiare la cornetta sul suo alloggio, troncando la telefonata: non sarebbe riuscito ad aggiungere altro, neanche volendo. E di certo non avrebbe retto sentendo come gli chiedeva di concedergli qualche minuto in più. Qualche risposta in più.

Aveva reclinato la testa indietro, per impedire ad un paio di lacrime di sfuggire alle sue palpebre, e aveva respirato profondamente, come per calmare il suo cuore in subbuglio.

Si era stropicciato gli occhi e, alla fine, ricompostosi, era finalmente uscito dalla camera: doveva cercare di reggere ancora un po'... poi, una volta lontani da lì e da quegli uomini che li volevano morti si sarebbe anche potuto affogare nell'autocommiserazione e nello struggimento. Ma non era ancora il momento.

Aveva sospirato e aveva bussato alla porta di Veronica – prima che lei aprisse fece in tempo a cancellare con una mano una lacrima traditrice che gli era sfuggita – certo che lei avrebbe saputo dirgli dove si trovasse John. E così era stato.

Tuttavia, in quel momento, non pensava più che fosse una buona idea quello che aveva intenzione di fare. Il corridoio sul quale dava la camera di Prenter era silenzioso e non si udiva niente dall'interno della stanza, come se non ci fosse nessuno.

Era una pessima idea...

Aveva già abbastanza problemi senza accollarsi anche quelli degli altri!

Allo stesso tempo non gli sembrava giusto lasciarlo nelle grinfie di quel poliziotto: avrebbe voluto dirgli che, nella stessa stanza dove si trovava ora per fare colazione, si trovava anche l'unica copia dei documenti che lo incriminavano... e che nessuno ci avrebbe fatto caso se quelle fotografie fossero improvvisamente sparite...

Ma bussare ed entrare in quella camera significava mettere a rischio la sua copertura: Prenter avrebbe potuto riconoscerlo... era anche vero che non aveva riconosciuto Freddie, parlandoci il giorno prima, ma tentare così spudoratamente la sorte non era un gioco divertente. Non in quel momento almeno.

Quando la campanella dell'ascensore in fondo al corridoio tintinnò e ne uscì un cameriere spingendo un carrello ingombro di vassoi coperti per non lasciar raffreddare il cibo, gli tornò in mente il racconto di quando Freddie aveva incontrato Jim per la prima volta. Cosa gli aveva detto questo Jim in quell'occasione? “Essere un cameriere ha dei vantaggi: siamo anonimi, invisibili. Possiamo camminarvi vicino senza che ve ne accorgiate e preoccupiate.”

Era un'altra pessima idea...

Ma ormai ci aveva fatto l'abitudine.

Sfoderando un sorriso si avvicinò e controllò che sul carrello ci fosse effettivamente un cartellino che indicasse che la sua destinazione era proprio la camera di Prenter.


 


 

-Hai visto Jim?- la domanda cominciava a diventare monotona, ma ancora non aveva trovato una singola persona che sapesse dove diavolo si trovasse il suo cameriere. Esasperato, era persino entrato nelle cucine, incurante del fatto che fosse un luogo riservato unicamente al personale dell'albergo.

Bloccò due cuochi e altri tre camerieri prima di trovare qualcuno che gli rispondesse con più di una semplice scrollata di spalle: -Sta lavorando: l'ho visto uscire qualche minuto fa con un carrello della colazione ingombro. Andava verso gli ascensori. A dire il vero a quest'ora dovrebbe essere già tornato. Non ho idea di cosa lo stia trattenendo.-

Ringraziò quel giovanotto che era finalmente riuscito a infondergli un briciolo di speranza e seguì le indicazioni fornitegli, optando immediatamente per le scale nel momento in cui si accorse che l'ascensore era occupato. Percorse tutte le rampe di corsa, quasi senza respirare, riuscendo miracolosamente a mantenersi in equilibrio su quelle scomodissime scarpe con i tacchi.

Raggiunse il piano che gli era stato indicato e si guardò intorno. Il corridoio era vuoto, silenzioso. L'unico rumore che Freddie sentiva era il battito del proprio cuore che gli rimbombava nelle orecchie. Attraversò il corridoio un paio di volte, senza sapere cosa fare. Dove si trovava Jim? L'unica cosa che poteva fare era aspettare: certo non poteva mettersi a bussare a ciascuna camera per controllare dietro quale porta Jim stava servendo la colazione.

Aspettare... era la cosa peggiore che potesse fare in quel momento...

Un rumore distolse la sua attenzione da quella snervante attesa. Si volse di scatto, identificando lo sgabuzzino come l'origine di quel suono. La maniglia si abbassò un paio di volte, come se, dall'altro lato, chi aveva cercato di uscire non fosse riuscito a stringere la presa al primo tentativo.

Quando riconobbe la sagoma che emerse dalla porta, sgranò gli occhi.


 


 

-Ti ricordi dove ci siamo conosciuti?-

John chiuse per un istante gli occhi, sospirando dal naso. Quando li riaprì, fissò Prenter, che non ricambiava affatto il suo sguardo, più interessato alla tazza di tè che il giovane cameriere biondo che era appena entrato gli aveva preparato.

Non aspettò a rispondere e non gli importò della presenza di quel dipendente dell'albergo: -In prigione.- sibilò, con la consapevolezza che il poliziotto non si aspettava affatto quella risposta.

John sapeva che Prenter voleva metterlo a disagio: per questo gli aveva posto quella domanda quando anche altre orecchie estranee avrebbero potuto ascoltare la sua risposta. Dall'alto della sua cattiveria pensava che il bassista avrebbe risposto in modo vago, nominando il nome del locale dove lo aveva colto in flagrante. Risposta che gli avrebbe permesso di rigirare il coltello nella piaga, portandolo all'umiliazione di una seconda e di una terza risposta.
La tranquillità con cui, invece, non si era curato di nascondere che il loro primo vero incontro faccia a faccia era avvenuto attraverso le sbarre di una cella lo aveva sorpreso e destabilizzato.

Impassibile, John segnò un punto a suo favore.

-Alla luce di questa consapevolezza, ti viene in mente qualche idea?-

Ormai a John sembrava di riuscire a leggere fra le righe delle sue parole che se apparissero scritte davanti ai suoi occhi nel momento in cui Prenter apriva bocca.

-Mi dà un'idea di lei.- dichiarò.

-Il tuo lavoro è fare quello che ti dico: poco mi importa di quello che puoi pensare di me.-

-Dovrebbe. Io non mi fido di lei.- e quando fu sicuro di avere gli occhi di Prenter su di sé, scosse la testa: -Non affiderò la mia vita a lei.-

-Di nuovo sembra sfuggirti un sottile dettaglio che...-

Ma John, coraggioso come non si sentiva da troppo tempo, lo interruppe: -Mi mandi pure davanti ad una commissione di suoi colleghi: avrei tanto da raccontare... e da chiedere. A che punto si deve arrivare per poter parlare di abuso di potere?-

L'accusa fece scattare in piedi il poliziotto. Lasciò che la tazza cadesse a terra, senza curarsi del fatto che avrebbe sporcato il pavimento, e si avventò sul bassista, afferrandolo per il colletto della camicia con entrambe le mani, costringendolo ad alzarsi in piedi, tanta fu la violenza con cui lo strattonò. Preso alla sprovvista, John non riuscì a nascondere la sorpresa e, soprattutto, l'improvviso panico.

-Stammi bene a sentire: chi credi di essere? Pensi davvero di poter stabilire le regole, dato i tuoi precedenti? Pensi di poter scegliere se e quando accettare i compiti che ti assegno? Tu fai quello che ti dico perché se non lo fai io ti...-

Il rumore improvviso fece chiudere gli occhi a John, che per un momento temette di essere colpito di nuovo come al loro primo incontro. Quando sentì venir meno la stretta delle mani del poliziotto e qualche goccia di acqua calda schizzare sulle sue guance schiuse le palpebre, trovandosi davanti una scena inaspettata: Prenter era in terra, il viso paonazzo per la rabbia, i cappelli fradici, così come la camicia, con rivoli d'acqua che andavano a scurire, dal collo verso il basso, strisce di tessuto lungo il petto; in terra, i cocci di quella che fino a qualche istante prima era la teiera.

La bocca spalancata e il fiato ancora spezzato per la paura, John alzò lo sguardo dal poliziotto svenuto al cameriere. Non lo aveva osservato prima, nemmeno nel momento in cui era entrato in camera.
Adesso, invece, percepì qualcosa di familiare in lui, nel suo viso, nel sorrisetto soddisfatto con cui stava osservando il suo operato per poi commentarlo in due semplici parole: -Bon vojage.-


 


 


 


 


 

Angolino autrice:

Shalve! Avevo detto che avrei aggiornato ieri, ma mi sono resa conto che parto lunedì... e non avevo tre quarti di ciò che avrei dovuto mettere in valigia! BENISSIMO! Per cui ieri sono stata molto indaffarata con spese dell'ultimo minuto e lavori domestici vari...

Ma oggi fortunatamente sono ancora qui e posso stare un po' più tranquilla, per cui aggiorno questa storia ora e Anyway the Windows (grazie al cielo avevo il capitolo già pronto XD) nel primo pomeriggio! ^^

Che dire di questo capitolo?

Difficile da scrivere per diversi motivi: volevo rendere interessante il cambiamento di John, un po' più sicuro di se stesso, dopo aver parlato con Brian nello scorso capitolo; volevo dedicare un po' di spazio all'addio di Roger e Brian, che ovviamente non ho potuto trascrivere paro paro a quello del film XD ma che spero sia risultato sufficientemente... beh, volevo qualcosa di un pochino doloroso ma con un pizzico di tenerezza on the side...

Spero in bene '^^

MA sono contenta che Prenter si sia preso una bella botta in testa! XD

Come sempre ho cercato di mettere altri rimandi al film, come la scena in cui Joe/Josephine dice a Sugar che dimenticherà Junior della Shell Oil e lei risponde che non potrebbe mai perché ovunque andrà ci sarà sempre un distributore con il simbolo della conchiglia.

Il prossimo capitolo sarà... interessante ;-P

Non vi trattengo oltre! ^^ Mi scuso per l'attesa, per aver lasciato passare più di un mese dallo scorso aggiornamento, ma quanto mano non posso dire di essere rimasta proprio con le mani in mano XD ho scritto e aggiornato anche altro... insomma, tutto questo per chiedervi di non tirarmi troppi pomodori addosso pliz :-*

Grazie, vi voglio bene <3

Vi mando un bacione enorme!

Come sempre ringrazio tutti quanti, dal primo all'ultimo! Siete fantastici! <3

E vi auguro, se non ci siete già andati, buone vacanze! ^^

Io torno fra una decina di giorni e sarò pronta a riprendere gli aggiornamenti con un ritmo decisamente diverso! ^^

Di nuovo un bacione! <3

A presto!

Carmaux


 

P.S. Scusatemi, ho scritto queste notine molto di fretta XD spero che sia tutto comprensibile XD di nuovo buone vacanze :-*

  
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