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Autore: armen66    29/07/2019    0 recensioni
Sage Noren ha tempo di riflettere in viaggio
Questa storia partecipa alla Parole Intraducibili Challenge indetta sul gruppo facebook Il Giardino di Efp
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Ilunga

Gli avvenimenti non seguivano sempre un ordine logico nella vita di Saga Noren, anche se il suo desiderio, la sua tensione massima, era che tutto fosse chiaro, preciso e in ordine.
Per tanti anni, dopo Jennifer, dopo il dolore e l’essersi arresa alle emozioni, dopo le notti a pensare se l’idea di accusare i genitori era davvero l’unico modo per salvare sua sorella, la sua vita era stata una serie di giorni dedicati solo al lavoro.
Settimane.
Mesi.
Anni.
Orari folli, cibo irregolare, panini anche la sera e calorie in eccesso, un metabolismo che riusciva a reggere tutta la su e giù della sua alimentazione, libri da digerire, tanti, e uomini da assimilare, pochi, che passavano veloci senza un collegamento a un futuro fatto solo di solitudine.
E ora Saga doveva pensare, a lungo, bene, doveva decidere che cosa fare della sua vita e della sua libertà.
Una sola cosa era certa, c’era un solo punto fermo, una sola roccia la ancorava dopo avere perso tutte le altre certezze.
Per la prima volta, qualcuno e non solo qualcosa l’attendeva al ritorno.

La receptionist di colore dell’albergo di Parigi aveva da un lato tre treccine sottilissime e una pelle scura con riflessi lucidi di seta.
Dopo anni, Saga ricordò la sua compagna di classe, nera come il nero più saturato di alcune fotografie, scappata dalla fame e dalla siccità dell’Africa per finire in una terra di freddo e ghiaccio e neve.
Con la sua pelle strana seduta accanto a quella chiara di Saga. Una rifugiata, come tante altre.
Il colore della pelle era irrilevante, la ragazzina era silenziosa, conosceva poco lo svedese, a Saga questo piaceva, lei non era il tipo da conversazioni lunghe.
Ricordava come a scuola dei compagni prendevano in giro Msolu – era il nome della ragazzina – e come lei aveva reagito in crescendo, difendendosi dalle aggressioni, la prima volta con silenzi, la seconda a parole, la terza con gesti decisi; era alta e sottile, sapeva correre veloce e sapeva colpire forte.

In crescendo.
Saga era rimasta sempre a parte, senza aggredirla, senza difenderla, finché quando vide la lama del coltello balenare alle spalle di Msolu si mosse con rapidità per colpire con un calcio il polso dell’aggressore.
E Msolu le spiegò il significato della parola dalla sua lingua lontana.
Ilunga.
In crescendo.
Per vivere. Per sopravvivere.

Così Saga attaccò e distrusse i suoi genitori, la sua stessa fonte di vita, duramente, senza pietà. Per salvare e difendere sua sorella.
E la polizia divenne espiazione e colpa, perché se era già partita da un’azione così decisa e forte, cosa sarebbe stato Ilunga per lei?
Se già non era possibile perdonare sua madre e suo padre, ma doveva annientarli, usando la legge, cosa sarebbe potuta diventare? Un’assassina? Si sarebbe lasciata dominare da istinti di cui aveva letto ma che erano solo sogni misteriosi nella notte, quando Jennifer piangeva e lei la cullava come fosse sua madre?

Martin, dopo.
Il suo amico, l’unico amico in quaranta anni di vita.
Quanto aveva accettato Martin, imparando ad apprezzare la sua risata, la sua barba sempre più bianca – lui non diventava grigio ma argento, qualcosa di prezioso –  Martin era solo Martin.
E il calore della casa di Martin e Mette, legno, in mezzo al bosco, guidando nella foresta nera la sembrava di essere vicina a loro. Il rifugio, poi diventato pericolo, e Saga non era riuscita a salvare uno dei cuccioli del branco.
Quel fallimento la rese più tollerante dell’errore di Martin, anche se la sua logica la costrinse comunque a denunciarlo, a rivelare al mondo il crimine commesso.


E poi, Henrik. 
Quello che non sarebbe dovuto succedere, che non poteva essere vero, un nuovo Martin, così diverso, opposto, il buio dei suoi occhi chiari contro il bianco del sorriso di Martin.
Henrik, scuro e misterioso e subito con lei, in lei, sotto la pelle, più intimo che un pene dentro una vagina, le loro menti unite dal primo giorno del caso.
La parte mancante, ciò di cui Saga pensava di non avere bisogno, fino a quando non l’aveva incontrato e aveva capito il vuoto che lei aveva dentro e che lui poteva colmare..
E perdonarlo fu facile, giusto, la scelta migliore della vita di Saga, perché il perdono portò salvezza, siglata con il nastro del treno a legarli per sempre.
Come Henrik l’aveva salvata e come lo stesso giorno lei aveva salvato lui.


Essere perdonati diventava dolce, un balsamo riparatore, una benedizione, perche anche lei, Saga Noren, la donna che divideva da sempre il mondo in giusto e sbagliato, poteva commettere un errore, per inesperienza, per paura, per amore.
Forse se avesse detto subito a Henrik che il bambino era troppo, troppo presto, troppo difficile, se si fosse aperta a lui invece di decidere da sola, Henrik avrebbe capito e l’avrebbe seguita ancora nella ricerca delle figlie.
Era impossibile per Saga comprendere, allora, che per Henrik un nuovo figlio, da lei, era il miracolo più bello.
Invece quell’embrione, feto, bambino era diventato tutto per lui e la più grande paura per lei.
La sua mente era entrata in un territorio, dove non c’erano punti di riferimento, solo il viso impassibile di Henrik e poi le sue parole dure, di ghiaccio, nel mandarla via.


Ma Henrik l’aveva perdonata, l’avrebbe fatto anche senza il ritorno di Astrid, perché - come Henrik aveva sussurrato piangendo al telefono, la notte in cui Saga era sotto il Mont Saint Michel e gli aveva inviato una foto del monte con il cielo stellato - Saga era tutto quello che gli rimaneva, tutto quello che amava.
E Saga era pronta a tornare, il suo ciclo era completo, aveva anche lei adesso una famiglia.
Risalì in auto con un ultimo saluto alla baia e diresse verso nord est, verso casa. 
 

 

   
 
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