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Autore: Neneko    01/08/2019    0 recensioni
Al termine della Guerra, Sora ed i suoi migliori amici ritornano sull'Isola. Non è perfetto come aveva immaginato.
Di come Sora si ritrovi a lottare con i ricordi del passato, un presente soffocante ed una cotta più grande di lui. Come al solito, è l'unico ad essere ignaro.
(canon divergence, aged-up!characters, spoiler KH3)
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Kairi, Riku, Sora
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Threesome, Triangolo | Contesto: Altro contesto
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Warnings: in questo capitolo è descritto un attacco di panico (sebbene in maniera non dettagliata).



La villa è una sagoma scura in fondo al vialetto, immersa nel buio della sera che la singola lanterna all’ingresso non riesce a scacciare del tutto. Anche se a quell’ora i genitori di Riku dovrebbero essere in salotto, nessuna luce filtra dalle tende. Sembra vuota, priva di vita.

Il corpo di Sora scatta in modalità allerta prima che la sua mente abbia il tempo di prendere una decisione razionale. Solo la totale assenza di tensione nella figura di Riku -ed il fatto di avere entrambe le mani occupate- lo ferma dall’evocare il keyblade. Rilassare i muscoli tesi ed allentare la mascella sono esercizi di volontà. Va tutto bene. Deve ripeterselo un paio di volte prima di esserne convinto. Va tutto bene- se si ignora il suo battito impazzito, chiaramente percepibile attraverso i punti in cui le loro dita continuano a toccarsi.

Durante la salita, Kairi è rimasta indietro e la loro stretta si è allentata al punto che solo i loro mignoli sono ancora uniti (come in una promessa tra bambini). Quando si ritrovano a camminare tutti insieme, finisce spesso ad arrancare dietro di loro; per quanto lei possa essere veloce, le lunghe falcate di Riku mettono in difficoltà perfino lui!

“Siete entrambi troppo alti, ormai!” si è lamentata mentre venivano entrambi trascinati su per la scarpata dal ritmo serrato di Riku. Gambette corte, la chiama lui quando vuole farla arrabbiare, con una dolcezza che vanifica la presa in giro e gli smuove qualcosa dentro. È sempre gentile con lei -anche con Sora, certo, ma non allo stesso modo. C’è una sfida nascosta dietro alle sue parole quando gli parla, mentre tratta Kairi come se fosse ancora la stessa bambina apparsa all’improvviso sull’Isola; fragile, sperduta. Speciale, e su questo ha pienamente ragione.

Il pollice calloso di Riku traccia circoli casuali sulla sua pelle mentre si fruga nelle tasche con la mano libera fino a trovare la chiave di casa, e nella testa di Sora il campanello d’allarme riprende a suonare -c’è decisamente qualcosa di strano, o almeno diverso. Il villaggio è un luogo pacifico dove tutti si conoscono, dove chiudere la porta a chiave viene visto più come un segno di malafede che una precauzione necessaria.

Nessuno ricorda che l’Isola è già stata divorata in passato, o che gli Heartless non sono la sola minaccia.

Trattandosi di Riku, è comunque probabile che quella porta venga chiusa a chiave tutte le notti. Sora, per quello che vale, si assicura personalmente di chiudere la propria a doppia mandata ogni sera prima di andare a dormire, ma per gli isolani quella stranezza va a perdersi nel lungo elenco delle sue particolarità da viaggiatore. La capacità di scalare le pareti correndo, quella sì che attira l’attenzione...

La chiave gira nella serratura; una, due volte. E Bravo Riku.

È divertente -non lo è affatto- come la vita possa portarti a considerare diversamente anche un gesto scontato, tipo aprire aprire la porta di casa propria. L’idea di usare il keyblade come chiave gli è passata per la testa più di una volta, fosse solo per abitudine: si chiede se si potrebbe sigillare una casa, se basterebbe a trasformarla in un piccolo mondo protetto… almeno fino alla mattina dopo.

“Non c’è nessuno in casa?” domanda nell’attraversare la soglia, al di sopra del clic dell’interruttore. L’intensa luce artificiale che gli buca gli occhi lo costringe a schermarsi gli occhi, e Kairi si accuccia per togliersi le scarpe, ed ecco che non si stanno più tenendo per mano. Sora ignora il senso di freddo improvviso. Riku, intento a togliersi la giacca, gli lancia giusto un’occhiata distratta da sopra la spalla. “Mh? Sono andati a teatro” è la sua stringata risposta. Grazie mille, ora è tutto più chiaro, pensa Sora, con una tale dose di sarcasmo da rendere Paperino orgoglioso. Non ha la minima idea di cosa stia parlando.

“Il Sindaco ha organizzato uno spettacolo per l’apertura della stagione estiva” gli viene in aiuto Kairi. Da quand’è tornata ha preso l’abitudine di chiamare il padre adottivo con il suo titolo, almeno quand’è con loro. Sora non sa se dipenda dalle ultime scoperte sulla sua infanzia; in ogni caso trova ingiusto che il suo unico vero parente sia morto anni prima, lasciandola orfana anche del suo ricordo. Prima che ripartissero, Aqua aveva trovato il tempo di raccontarle del loro incontro di tanti anni fa; di come Kairi, ancora bambina, avesse chiesto a sua nonna di narrarle la vecchia fiaba che non poteva certo sapere avrebbe significato così tanto per lei in un lontano futuro.

Kairi gliel’ha ripetuto sulla via del ritorno, parola per parola, assaporandone ognuna come se bastasse a riprenderne possesso.

Sora si affretta a togliersi le scarpe quando si accorge di essere l’ultimo ad indossarle, avendo cura di sistemarle con un calcio perché non vadano proprio in due sensi opposti. “Perché sono sempre l’unico a sapere le cose, comunque?!” I suoi migliori amici sono già a metà della scala che porta al piano di sopra e lui è costretto a rincorrerli. “Perché non ascolti!” rimbomba la voce di Riku, che non ha nemmeno avuto la decenza di girarsi -o di fermarsi, se è per quello! Kairi ridacchia e scuote la testa, aspettandolo a metà strada. Due gradini alla volta, le è accanto in un attimo. Potrebbe anche decidere di prendere una scorciatoia e battere Riku sul tempo, ma l’idea del muro ruvido sotto i piedi nudi non lo entusiasma un granché.

Insieme varcano la soglia della camera di Riku. La stanza ha un odore unico che ricollega alla sua infanzia; diverso da quello salmastro del mare, ma altrettanto familiare. Sa di legno e carta stampata; di notti estive passate a raccontarsi storie avventurose nel letto matrimoniale che troneggia in mezzo alla stanza, nascosti sotto le coperte perché la luce della torcia non li tradisse. Da piccolo trovava quella stazza quasi comica, ma se considera quante poche volte abbia usato il secondo lettino (quello comprato apposta per lui dopo segretissime discussioni tra i loro genitori) invece di crollare addormentato fianco a fianco a Riku alle prime luci dell’alba, forse si è trattata di una fortuna.

Se l’odore è ancora lo stesso, la stanza è cambiata parecchio nelle ultime settimane, fino a rispecchiare l’attuale identità del suo proprietario. Riku è un adulto a tutti gli effetti, ormai; nessuno si sognerebbe di trattarlo come un ragazzino, come continuano a fare con lui.

Sora è consapevole che da fuori potrebbe sembrare abbia mantenuto dei comportamenti infantili. Sa cosa pensano gli altri di lui; non è uno stupido, ma a volte è più facile fingere di esserlo. Aggrapparsi a quei tratti che risalgono a prima dell’Oscurità è il suo modo di combattere il dolore -una scelta quotidiana che gli costa fatica ed impegno. Ci sono giorni in cui ha la sensazione di stare pagando con gli interessi la propria spensieratezza… è estenuante. Anche così, non può fingere che viaggiare per i mondi non l’abbia cambiato, in più di un modo.

Ventus l’ha cambiato, regalandogli un briciolo dell’introspezione che gli è sempre mancata. La rabbia di Roxas, intensa quanto le fiamme di Axel, gli è stata utile quando aveva ormai perso la speranza. Con i loro ricordi, hanno consolidato l’importanza dell’amicizia nel suo cuore. Roxas… Il suo sorriso è un’immagine che lo perseguita ancora. Disteso tra le braccia di Lea con il nome di Xion sulle labbra, il suo Nessuno l’ha guardato e ha piegato le labbra nell’espressione più viva che gli abbia mai visto addosso, soddisfatto di ciò che avevano compiuto insieme.

Roxas non esiste più. È tornato ad essere un tutt’uno con lui, definitivamente; questa volta ha percepito l’unione con maggior intensità, forse perché consapevole di cosa stava succedendo. Non esiste più, perché Sora è Roxas.

Da allora non ha più avuto il coraggio di guardare Lea negli occhi, incapace di sopportare il misto di risentimento e malinconia che è sicuro ci troverebbe. Vedersi strappare i propri migliori amici sotto gli occhi può fare quest’effetto, Sora lo sa bene quando gli sono stati tolti, il dolore l’ha quasi fatto perdere eppure ha dovuto trattenersi dall’urlargli non sono lui, smettila di cercarlo più di una volta.

Era già abbastanza difficile ritrovarsi la mente affollata da pensieri che non gli appartenevano, e se un’indigestione da ghiaccioli al sale marino può sembrare una buffa disavventura da raccontare per far ridere gli amici, rendersi conto di non riuscire a fermarsi -di non sapere quanti ne aveva trangugiati senza nemmeno sentirne il sapore, preso da un impulso spasmodico- l’aveva spaventato. Il tramonto è sempre stato il suo momento preferito della giornata, ma adesso alle memorie se ne sono aggiunte molte altre -nessuna delle quali lo vede protagonista. Gli capita di sognare Roxas e alla mattina non saprebbe dire se si sia trattato realmente di un sogno o di un viaggio in una parte del suo cuore che gli è inaccessibile di giorno.

Ha dovuto imparare ad essere di nuovo solo. Dopo la battaglia, Sora si è dovuto confrontare con la difficoltà di capire quanto ci fosse di lui e quanto fosse appartenuto alle altre parti di sé. Chi sono io? Chiuso nella stanza di Twilight Town che non apparteneva a Roxas, ha passato giorni senza voler vedere nessuno... fino a quando, svegliandosi, ha trovato Riku addormentato sul pavimento davanti al suo letto, composto perfino nel sonno; la vista del suo viso pacifico -morbido nella luce calda- comparabile solo a quella di Kairi, seduta alla finestra con il tramonto a circondarle la chioma rossa di un’aureola fiammeggiante… un’immagine degna di un libro di poesie. Chi sono io...?

La risposta è venuta da sé: Sora riconosce sé stesso nell’amore che prova per loro.

Non sa se per Ventus sia stato lo stesso -è un discorso che ha evitato accuratamente, temendo di riaprire delle ferite che non hanno ancora avuto il tempo di guarire del tutto. Accettare Vanitas come parte del suo essere non dev’essere stato un compito piacevole. Eppure sarebbe così semplice, parlarne con lui… Semplice, ma sbagliato. Ventus ha quattordici anni di vita da recuperare con Aqua e Terra, dopotutto.

Riku si chiude la porta alle spalle e pronuncia un thunder! in tono quieto, ma imperioso; la lampada sul comodino si illumina di una luce soffusa. Kairi alza gli occhi al cielo, le labbra piegate in un sorrisetto. “Potevi premere l’interruttore come tutti senza fare sfoggio della tua potenza magica, sai…? Siamo capaci anche noi!” Sottolinea quelle parole con uno svolazzo della mano e la candela sul comodino sfavilla e prende vita.

Sora sussulta come se la fiamma l’avesse bruciato; non pronuncia un incatesimo da settimane, incapace di scrollarsi di dosso la sensazione che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato nell’usare la magia tra le pareti di casa sua. La vita sull’Isola è così diversa; qui, i bambini giocano con spade di legno, e le ginocchia sbucciate si curano con un cerotto ed un bacio frettoloso prima di ricominciare a correre, non certo con un energia ben eseguito.

Ha un attimo di esitazione, prima di scegliere di accomodarsi sul lettino. È la prima volta che entra in quella camera dopo anni, e all’improvviso l’idea di sedersi sul letto di Riku gli appare come un’intrusione. Quanto tempo è passato dall’ultima volta che hanno dormito insieme? Non è sicuro riuscirebbe a trattenersi dall’affondare il naso contro il suo cuscino.

Kairi si è seduta sul pavimento a gambe incrociate, un blocco da disegno poggiato sulle ginocchia. Ormai disegna quasi ogni giorno; si è abituato a vederla tracciare una linea dietro l’altra con un solco di profonda concentrazione tra le sopracciglia, spesso insoddisfatta del risultato. I suoi disegni non saranno più in grado di manovrare il cuore di Sora, ma anche senza il potere di Naminé sono sempre in grado di strappargli un sorriso.

Osserva Riku muoversi sicuro da un lato all’altro della stanza, recuperando gli oggetti che gli devono essere serviti durante la giornata. C’è un grosso volume sul cuore dei mondi, aperto sulla scrivania di legno scuro, e gli scaffali sono pieni di libri ordinati per colore e tematica dai titoli importanti, proprio come ci si aspetterebbe da un Maestro. Riku è un Maestro. Prima o poi, arriverà il momento in cui dovrà scegliersi degli Allievi. È ciò che si aspettano da lui -è ciò che si aspettano da tutti loro, ma Sora non è sicuro di esserne in grado.

Si lascia cadere contro il materasso, pensando ai vestiti sparsi un po’ ovunque sul pavimento della propria cameretta, alle pareti colorate di tinte vivaci -ed è il nuovo cambio di visuale a fargli scoprire un dettaglio della stanza che, contro ogni aspettativa, è rimasto lo stesso: sul soffitto laccato di blu brillano le stelle fosforescenti che hanno attaccato insieme da piccoli, ispirandosi al cielo d’estate sopra l’Isola dei bambini. Era ancora così basso che Riku aveva dovuto tenerlo sollevato sulle spalle, in precario equilibrio, perché riuscisse a raggiungere il soffitto. Non si aspettava certo di ritrovarle ancora lì dopo qualcosa come quattordici anni, ma soprattutto-- “Come fanno a funzionare ancora?!”

Riku si blocca con un libro in mano ed i suoi occhi saettano agli adesivi senza un attimo di esitazione -e se non fosse al limite dell’inquietante, direbbe che stiano guardando esattamente la stessa stella. “È un mistero. Dovremmo attaccarne di nuove, una di queste volte.” C’è una sfumatura quasi malinconica nella sua voce, ma è difficile decifrare la sua espressione, ammantata com’è dalle ombre pesanti che gettano le due luci.

Kairi osserva il loro scambio in silenzio; ha inclinato la testa di lato come un grazioso uccellino, le sopracciglia sollevate. Gli occorre qualche secondo per rendersi conto che si tratti di un ricordo che non le appartiene, uno precedente al suo arrivo -è strano pensare ci sia stato un momento nella loro vita in cui Kairi non esisteva.

Forse dipende dal fatto che fossero davvero piccoli, ma quei momenti sono diapositive sbiadite nella sua mente, sovrastate dalla costante presenza di tre punti focali… e dire che non avevano parlato per un sacco di tempo a causa sua, quand’era apparsa. Sora si era autoproclamato suo protettore e per settimane l’aveva accompagnata ovunque, e Riku si era ingelosito, e per un mese non gli aveva parlato. Tidus è il mio migliore amico adesso, gli aveva detto, lasciandolo a domandarsi perché non avesse il diritto di stare con lei, quando tutti gli altri potevano parlarle senza che Riku protestasse.

Già, perché solo io...?

La realizzazione lo colpisce con la forza di uno schiaffo e per un attimo è come essere tornato nella Scala ad Caelum collassata su sé stessa il cielo e la terra si capovolgono, si confondono e non sa più dove si trovi la voce di Riku è un ronzio indistinto ed è consapevole che li stia fissando e deve sembrare più stupido del solito ma accidenti Riku era geloso di lui Riku È geloso di LUI

Sora fa l’unica cosa plausibile, rispondendo all’imperativo del suo cervello sovraccarico -SCAPPA! Incespica nei suoi stessi piedi, rischiando di finire lungo disteso prima ancora di riuscire ad alzarsi. Le gambe gli tremano al punto che le ginocchia sbattono una contro l’altra con uno schiocco secco. “Vado a prendere qualcosa da bere” riesce a dire con voce malferma, e poi fugge al piano di sotto.

   
 
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