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Autore: Restart    02/08/2019    0 recensioni
Mia è in procinto di sposarsi con Gabriele, quando una bufera di neve improvvisa la costringe a passare il pomeriggio col suo vicino di casa Massimo. La convivenza porterà a galla questioni irrisolte.
Primo capitolo della serie "Per le vie di Firenze".
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Venerdì 4 Dicembre
La mattina dopo mi risveglio con un forte mal di testa, un terribile martellio che mi tiene compagnia tutto il giorno e diventa il mio migliore amico. 
Decido che sarei rimasta a letto fino almeno alle dieci, quando sarà troppo tardi per cazzeggiare. Mi rigiro tra le coperte rosa chiaro, pensando che è arrivata l’ora di cambiarle. Lo annoto mentalmente nella lunghissima lista di cose che devo fare oggi e che non riuscirò mai a completare. Almeno non tutte. 
Mi volto dall’altra parte, ma un debole spiraglio di luce filtra dalle persiane e mi colpisce in pieno viso. Quando si dice la sfiga. Ritorno alla posizione di prima e provo a riaddormentarmi ma niente. 
No, è ufficiale: non riesco a dormire di più. Non riesco mai a godermi il giorno off. Mi devo, sempre e comunque, svegliare alle sette e trenta, come tutti gli altri giorni. 
Dopo venti minuti ci rinuncio ufficialmente, ed è allora che comincio a ripensare alla notte appena passata. Lo champagne buonissimo, le scarpe che mi fanno male, il cibo delizioso, la compagnia interessante, Mara e Augusto Rossi, gli occhi di Massimo che spesso ho ritrovato addosso a me, quasi fastidiosi. Sentivo spesso il suo sguardo sulle mie spalle. Ha provato a parlarmi un paio di volte, ma l’ho evitato. Non riesco a sopportarlo. 
Solo una volta ci siamo scambiati due parole. O almeno ho provato a chiedergli delle cose, ma lui è diventato scuro in volto e ha cambiato discorso. Come sempre. 
Per la rabbia tiro un pugno sul cuscino e vi premo forte la faccia. Lo conosco da una vita ormai, e lui continua a trattarmi come una preda, come un animale. È uno stronzo, uno stronzo. Non ha nessun rispetto di me. E lo odio per questo.
Okay, sono ufficialmente furiosa. Per colpa sua mi sono già rovinata il giorno di festa. Mi alzo rabbiosamente dal letto e mi dirigo in cucina, sperando di trovarci ancora una bustina di thé agli agrumi che mi ha riportato mio fratello da Londra. Dopo qualche minuto di ricerche la scovo in un barattolo per biscotti. Sorrido vittoriosa e mi preparo la tisana. Appena riesco a berne un paio di sorsi sento la tensione diminuire, mi sento più calma e rilassata, pronta ad affrontare quella pila di foto che mia madre e mia suocera mi hanno preparato per scegliere gli abiti delle damigelle, i fiori, i centrotavola, i segnaposti, le tovaglie…
Va bene, mettiamoci a lavoro. Accendo la radio per avere un po’ di compagnia e inizio a sfogliare gli album, annotandomi tutto ciò che credo sia più interessante e utile. 
Verso le dieci, ho selezionato quattro tipi di centrotavola e composizioni, cinque abiti per le damigelle, due colori per la tavola che potrebbero andare bene con la sala. Uno è meraviglioso perché a tema natalizio (adoro! Ma sono sicura che Gabriele me la boccia, come vederlo) e uno tutto blu e argento; forse un po’ scontato, ma sicuramente questo mi viene passato anche dallo sposo (un altro era tutto sul bianco, nero e argento, ma a Gabri sarebbe presa una sincope se fosse entrato in una sala juventina. Al massimo si poteva fare giallorossa. Senza al massimo, sono sicura che l’avrebbe amata. Ma nein.).
Mi distendo sulla sedia e stiro i muscoli. Sono orgogliosa di me. Come premio posso concedermi una bella colazione da Vittorio, sull’Arno. 
Mando un messaggio a mio fratello proponendogliela e lui risponde tempestivamente. 
Come se ci fosse bisogno di chiedermelo
Sorrido: conosco i miei polli.
Mi alzo, non curandomi di rimettere a posto i raccoglitori e vado a farmi una doccia veloce per uscire.
Alle dieci e mezza sono davanti al bar di Vittorio (mio zio) a tremare per il freddo. Mio fratello è in ritardo. Tanto per cambiare. 
Me lo vedo arrivare solamente qualche minuto dopo, col cappotto aperto e i ricci al vento. 
«Alessio stava male, sono dovuto andare a prenderlo a scuola» si scusa, lasciandomi anche un bacio sulla guancia. «Mi volevi dire qualcosa di importante, o questo è solo uno sfizio?»
«Prima di tutto non me la bevo la storia di Ale perché oggi avevano programmata una gita al museo e Viola mi ha mandato le prove fotografiche. Se volevi rimanere a letto a poltrire con l’oca bastava che tu me lo dicessi. Punto secondo: ho una proposta da farti, ma non dopo un cappuccino, sto svenendo solo al pensiero.» Tommaso accusa il colpo e si limita ad annuire.
Ci sediamo al nostro tavolo e senza che nessuno dica niente, ci vengono servite due paste. Le nostre paste, quelle che mangiamo da quando abbiamo tirato fuori i primi denti. 
«Comunque, smetterete mai di chiamare Giulia “l’oca”? Tu e mamma. Siete veramente odiose» puntualizza Tommaso tra una cucchiaiata di crema e l’altra. 
«Sì. Abbiamo anche altre varianti lo sai? Melanzana, fico secco…»
«Ok, mi arrendo. Siete un caso perso. Mi chiedo cosa vi abbia fatto mai. È gentile, simpatica…»
«Tom, non arriva mai. Se arriva sempre due minuti dopo. Non ne prende mai una»
«Beh, meglio tardi che mai» ci prova, ma a me viene da ridere. In fondo ha ragione, ma come ho già detto, per lui era perfetta solo Viola. Io non ho proprio idea di cosa gli sia passato dalla testa di tradirla. Soprattutto con Giulia, che per l’amor del cielo, tanto cara, ma un po’ lenta dai. E poi non so di cosa possano parlare, visto che teoricamente non hanno niente in comune.
«Tommy, lei uccide tutto quello in cui credi. Ha anche ideali completamente all’opposto dei tuoi..»
«Mia gli opposti si attraggono»
«Smettila di scherzare, sai cosa intendo, io..»
«Mia, basta. Avete rotto. Ogni volta mi fate lo stesso discorso. So che vuoi sapere i motivi per i quali ho lasciato Viola. Lo capisco, è la tua migliore amica. Ma te l’ho già detto centinaia di volte. Non ci amavamo più. Punto. E poi io amo veramente Giulia. Se solo aveste un minimo di pazienza in più non sareste così. Ora, so che non mi hai chiamato per dirmi questo, quindi spara.» finisce in un sorso il suo caffè amaro.
«Ti volevo dire un paio di cose: Uno, Giulia è invitata al matrimonio»
«E questo l’avevo già dato per scontato» mi sorride maliziosamente. Vorrei rispondergli a tono, ma sorvoliamo. Teniamo il mio Jerry Polemica quieto per il momento.
«Sì, vabbé. Poi, la parte più importante. Volevo chiederti di farmi da testimone» lo vedo illuminarsi. Sorride, si avvicina e mi abbraccia. 
«Non aspettavo altro Mì. Lo sapevano già tutti ufficiosamente e io struggevo. Anche perché il matrimonio è a breve e mi pareva strano tu non avessi scelto il testimone» mi sorride un’altra volta, dandomi un bacio sulla guancia. 
«Ti voglio bene» mi dice prima di bere un lungo sorso del suo cappuccino. «Anche quando mi fai arrabbiare come prima». Guarda il suo orologio e sbuffa piano.
«Devo andare Mia, sono sicuro che in studio Anita stia già sclerando. Ci vediamo domani da mamma, ok?» mi lascia un altro bacio e si allontana di corsa. 
Intanto io allungo la mano verso la mia borsa ed estraggo la mia agenda. Gran parte delle cose che dovevo fare oggi sono spuntate, ne mancano solo un paio, tra cui andare a fare la spesa. Quando Gabriele non è a casa vado spesso e volentieri a mangiare da mia nonna perché le uniche cose che riesco a fare sono la pasta al burro e pane e formaggio. Sono talmente impedita ai fornelli che una volta, dopo un esperimento finito male mi sono bruciacchiata le sopracciglia. Però sono un’ottima forchetta, questo non me lo toglie nessuno.
Comunque, c’è da rifornire un po’ il frigo, visto che le uniche cose che ci sono rimaste sono un vasetto di marmellata e la pasta d’acciughe. Eh già, sono stata molto impegnata. 
Con la coda dell’occhio guardo fuori e vedo che ha iniziato a fare qualche fiocco di neve. Improvvisamente mi sento riempita di una gioia infantile che è difficile da sopraffare. Evvai! Erano anni che non vedevo Firenze innevata, cioè al massimo della sua bellezza. 
«Zio, segna, io devo scappare» con un sorso veloce finisco il cappuccino e mi infilo velocemente il cappotto. Devo arrivare al supermercato prima che la situazione possa diventare problematica con la neve. 
Dopo un’ora sono sotto il portone di casa mia, ma non so come scendere dall’auto. Il vento è aumentato terribilmente e la neve oscura quasi completamente la visuale. Diciamo che sono un po’ impaurita. Sposto nervosamente lo sguardo dal finestrino ai sacchetti strapieni. Che sfiga: una volta che vado a fare la spesa viene giù il mondo. 
Aspetto ancora qualche minuto e poi mi decido a uscire. Ora o rischio di rimanere bloccata qui per chissà quanto. Stringo a me i sacchetti e la mia borsa (grazie al cielo ho deciso di prendere quella con i manici lunghi che non mi scappano continuamente, sennò sarei stata del gatto) e guardo con aria di sfida i tre metri che devo percorrere. 
«Ce la puoi fare Mì» mi ripeto a mò d’incoraggiamento. Inspiro ed espiro un paio di volte e alla fine mi decido ad aprire la portiera. Un vento terribile mi prende in pieno e mi fa sbandare. La scatola di cereali vola via. Pace, sopravvivremo uguale. Mi lancio di corsa verso il portone e apro con difficoltà, un po’ per la mano congelata un po’ perché sto tenendo in equilibrio i due sacchi con l’altra mano. Quando sono dentro tiro un sospiro di sollievo. Il peggio è passato. Siamo al sicuro.
Mi incammino su per le scale lanciando ogni tanto delle occhiate fuori, come per controllare la situazione meteorologica. La tempesta (se mi è concesso chiamarla così) non accenna diminuire. Quando arrivo all’ultimo gradino tiro un sospiro di sollievo. Missione compiuta in maniera quasi eccelsa. Ad un tratto salta perfino la luce sulle scale. Meraviglioso. Di bene in meglio. Con la coda dell’occhio scorgo una figura seduta, forse addormentata, davanti al mio portone. Massimo.
«Che fai qui fuori al freddo e al gelo?» domando tirandogli un colpetto leggero alla gamba per svegliarlo. Lui mi guarda con gli occhi di chi si è appena svegliato e un sorriso da ubriaco.
«Ciao vicina» biascica tirandosi su. «Ti stavo aspettando»
«L’avevo notato» sottolineo, facendomi spazio per aprire la porta. «Che ci facevi qui?». Lui sbuffa e si passa una mano dietro la nuca. 
«Sirius mi ha chiuso fuori di casa e quindi speravo di passare dal tuo balcone per entrare in camera mia. Ma evidentemente tu non c’eri. E quindi ti ho aspettato qui fuori» si blocca per guardarsi attorno. «Che è successo? Perché non c’è la luce?»
«Guarda fuori dalla finestra genio. È l’apocalisse» gli dico invitandolo ad entrare e ad affacciarsi alle finestra. Anche in casa non ho il coraggio di togliermi il piumino. C’è l’Antartide. E questo perché mi sono stupidamente dimenticata di accendere il termosifone prima di uscire.
«Madonna, e io come faccio ad andare a prendere Fede? Mia posso usare il telefono per chiedere ad Anita di andarci lei?» faccio un debole sì con la testa. 
«Tommaso mi ha detto che stamani era abbastanza nervosa, quindi non fare come al tuo solito» gli dico, ma lui non sembra ascoltarmi. Un minuto dopo sta litigando con la sua ex moglie sul suo, secondo lui, essere per niente irresponsabile. Pf. Povero illuso. Solo uno come lui si sarebbe fatto chiudere fuori di casa dal suo cane, che tra parentesi è cieco. E anche un po’ sordo. 
Mentre sto sistemando la pasta sugli scaffali lo vedo riapparire.
«Sono riuscita a convincerla a mandarci suo padre» comunica lasciandomi il cellulare sul bancone di acciaio. «Mi dovrò decidere a studiare per prendere la patente.»
«È anche ora ciccio. Non puoi continuare a usare solo la bicicletta. In emergenze come questa…»
«Sono una persona che inquina in meno. Non la userei mai l’auto. Se devo andare a lavoro vado in bici o col tram, Fede torna sempre con il pullmino, dai miei vado col treno. Stop. La mia vita è tutta dentro questa città» si giustifica, gesticolando quasi arrabbiato.
«Sì ma datti una calmata Greenpeace. Ho capito il tuo punto, non c’è bisogno di arrabbiarsi»
«Scusa. È proprio una giornataccia. Ci mancava solo rimanere chiuso fuori casa» si siede sconsolato e tuffa la testa nelle braccia incrociate.
«Hai chiamato il falegname? Per farti aprire la porta» suggerisco, mentre finisco di svuotare l’ultima borsa.
«No. Posso usare ancora il tuo cellulare?» mi chiede tirando su la testa. Annuisco e lo osservo allontanarsi. Cammina ancora tutto storto, con quel braccio penzoloni. Ma sembra che le sue spalle siano un po’ più muscolose. Deve aver cominciato la palestra. Nah, non è da lui.
Ritorna poco dopo, lo sguardo ancora più afflitto di prima. 
«Brutte notizie. Almeno per te. Gigi è chiuso nel negozio. Mi ha detto di chiamare i pompieri. Oppure di usare la carta di credito» annuncia infastidito. «Ma sicuramente i pompieri oggi avranno di meglio da fare e non ho carte di credito o lastre… Ma poi che diavolo vuol dire?» alza le braccia al cielo innervosito e io sorrido. 
«Max, tu hai letto tanto, ma in realtà vissuto poco. Non sei mai entrato abusivamente in una casa? Come un ladro? Nemmeno quando avevi quindici anni?»
«Ma che razza di compagnia avevi a quindici anni?»
«Una con cui ci si divertiva» gli rivolgo un sorrisetto orgoglioso. «I ladri per entrare in casa fanno così, fanno passare la carta di credito per la fessura e… tac» gli dico mimando tutta l’azione sotto i suoi occhi divertiti.
«Vai allora mago del crimine, fammi vedere come si fa. Magari prendi una carta scaduta» mi dice in tono di sfida. Eh sì! Che sfida sia. Cerco la mia vecchia carta e con una torcia in mano mi dirigo verso la sua porta, con lui che mi segue a ruota.
   
 
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