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Autore: empathy    02/08/2019    1 recensioni
Ciao a tutti! Questa storia parla di Lexa, come sarebbe andata se fosse sopravvissuta alla terza stagione di the 100 e del suo destino di Heda.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Lexa, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Un giorno intero era passato quando Lexa aprì di nuovo gli occhi. Questa volta era sola nella stanza illuminata dalle candele, non un volto né un rumore, neanche in lontananza. Per un istante pensò di essere morta. Cercò di mettersi in piedi ma anche solo quel piccolo sforzo la fece star male, comunque riuscì ad avanzare piano verso la porta con un braccio stretto in vita.

Vide Titus che si incamminava nella sua direzione, il suo sguardo cambiò appena alzò gli occhi su di lei e si precipitò ad aiutarla.

«Heda non puoi stare in piedi» le disse.

«Devo rimettermi in forze il prima possibile!» ribatté «I clan non devono vedermi così!»

 

Titus e Clarke lavorarono insieme per trovare una buona scusa a giustificare l’assenza di Lexa dalla capitale. Era un periodo di grande insicurezza per via dell’instabilità dei rapporti con il tredicesimo clan. Clarke era tornata dalla sua gente; sperava di riuscire a guidare tutti verso una serena convivenza con i grounders così aveva lasciato la capitale.

Quando riuscì a camminare dritta, senza inciampare, Lexa decise che fosse giunto il momento di farsi vedere e convocare tutti i capi dei tredici clan. Erano passate settimane, e se voleva portare la pace tra il popolo doveva mostrarsi forte e in grado di sopprimere ogni contrasto o disappunto: nessuno doveva mettere in discussione le sue decisioni.

 

Nella sala grande erano seduti su alti scranni i capi dei tredici clan, Lexa era in alto sul suo trono e li guardava. Sedevano divisi ai due lati opposti del comandante e la guardavano in attesa, i volti, illuminati dai raggi del sole, rivolti su di lei si interrogavano su quanto ancora avrebbero aspettato: Clarke non era ancora arrivata.

Titus era in piedi accanto a Lexa, e preoccupato per le conseguenze che l’assenza di Clarke avrebbe comportato per Lexa parlò:

«Heda...»ma si bloccò quando vide la mano alzata di Lexa.

Candele accese depositate su candelabri di altezze differenti conferivano alla stanza un’aura antica accentuata dai drappi appesi alle pareti alte quasi tre metri. Non c’era molto colore, anzi nessuno ad eccezione delle facce abbronzate che la fissavano: alcune coperte di cicatrici, altre da folte barbe scure o bianche, con i capelli lunghi sulle spalle legati sulla nuca.

Lexa si alzò voltando le spalle a quegli occhi ansiosi e a Titus, le mani incrociate dietro la schiena, il lungo mantello che le scivolava dalle spalle.

All’improvviso le due ante della porta si aprirono, Clarke si stagliava ansimante tra queste. Quando si girò vide che era sconvolta e capì che tra gli SkiKru qualcosa non andava.

Un mormorio si sollevò nella sala.

«Silenzio!» gridò Heda. E le facce tornarono su di lei.

«Comandante… Heda…» iniziò Clarke, «abbiamo bisogno del tuo aiuto. Siamo stati attaccati… un nemico comune minaccia la sicurezza della coalizione e di tutti noi!»

«Mente, Heda!»

«L’unica minaccia alla coalizione e il popolo del cielo!»

Gridavano i capi dei clan, il cui astio per gli SkiKru era fin troppo evidente.

«Silenzio!» gridò di nuovo, e tutti tacquero. «Chi vi ha attaccati?»

«Vivono al di là dei confini dei clan, il loro grido di guerra è Gonpure: non parlano la nostra lingua» spiegò «ma conoscono il tuo nome… Lexa».

Nessuno fiatò. Questa volta solo occhi allarmati la guardavano.

   
 
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