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Autore: LaMusaCalliope    02/08/2019    0 recensioni
NINETEEN KLAINE KISSES:
1) A kiss on the cheek means "Friendship"
2) A hug means "I care"
3) A kiss on the forehead means "I comfort you"
4) Looking away means "Hiding your feelings"
5) Raising eyebrows and winking means "Flirting"
6) Smiling at each other means "I like you"
7) Looking your lips means "Waiting for a kiss"
8) A kiss on the lips means "I love you"
9) Holding hands means "You're a happy couple"
10) A kiss on the nose means "Laughter”
11) A kiss on the ear means "You are special"
12) A nibble on the ear means "Warming up"
13) A kiss on the side of your lips means "You are mine"
14) Playing with your hair means "I can't live without you"
15) A kiss anywhere else means "Be careful, you two!"
16) Arms around the waist means "You're mine and I need you"
17) A kiss on the neck means "I want you"
18) A kiss on the shoulder means "You are wonderful"
19) Something cute
Una raccolta di missing moments Klaine da un po' tutte le stagioni di Glee.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt, Finn/Rachel, Mercedes/Sam, Nick/Jeff
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando Kurt lo aveva invitato a cena al Breadsticks, Blaine aveva immaginato che volesse semplicemente rivederlo. Poi gli aveva stretto le mani e lo aveva guardato in quel modo, come se in lui vedesse il suo intero universo, con gli occhi accesi di entusiasmo e le labbra distese in un sorriso. Gli aveva fatto quella domanda, con la voce un po’ tremula e speranzosa, e a Blaine era caduto il mondo addosso. All’improvviso, il vociare continuo che li circondava si era trasformato negli insulti di quei ragazzi, nelle grida sommesse del suo amico e nei suoi stessi singulti trattenuti. Le mani morbide e gentili che stringevano le sue erano diventate pugni e calci ben assestati, dati per fare male, per ferire, per denigrare. 
Una stretta che doveva essere piena di preoccupazione di Kurt gli aveva fatto portare la mano al volto. Blaine aveva chiuso gli occhi un istante dietro il palmo. Non voleva piangere, non davanti a Kurt.
«Il Prom…» aveva detto con la voce ridotta ad un sussurro.
«Cosa non va nel Prom, Blaine?» il tono di Kurt era a metà tra il preoccupato e il deluso. Meritava una spiegazione, però. E gliel’aveva data, con gli occhi che un po’ gli bruciavano per le lacrime trattenute e il tono di chi sta raccontando un evento qualunque che gli era capitato durante la giornata, e non l’episodio che gli aveva cambiato la vita in tutti i modi possibili.
Mentre Blaine raccontava, i particolati gli erano tornati alla mente: il parcheggio illuminato dai fari delle auto accese, i ragazzi appostati contro gli alberi o nei sedili posteriori intenti a baciarsi, la voce del suo amico che ancora non riusciva a credere a quale meravigliosa serata avessero vissuto, la musica sparata ancora a tutto volume nonostante non fosse rimasto quasi nessuno, e poi quella voce che pronunciava quella parola. Blaine ricordava che, non appena l’aveva sentita, aveva avvertito il sangue gelarsi nelle vene e una morsa stringergli il petto. Aveva avuto paura e aveva quasi iniziato a pregare che il padre del suo amico si fosse sbrigato ad arrivare. Ma era stato inutile. Erano tanti, troppi per due ragazzi mingherlini, e i pugni e i calci troppo forti per non mettersi ad urlare e a piangere. Poi c’era stato l’ospedale, i genitori e Cooper che lo avevano guardato preoccupati mentre si riprendeva, i lividi che lentamente erano spariti dal volto e dal costato. Ma c’erano cicatrici che sarebbero rimaste per sempre e il ricordo di quella terribile notte era tra queste.
Per tutto quel tempo, Kurt lo aveva guardato con la stessa preoccupazione che aveva visto negli occhi della sua famiglia, e Blaine si era sentito in dovere di tranquillizzarlo, facendogli capire che quello che era successo non lo rendeva meno orgoglioso del suo coming out, e il volto di Kurt aveva assunto un’aria che avrebbe detto quasi cospiratoria.
«È perfetto» aveva detto infatti e Blaine aveva aggrottato le sopracciglia, giusto un goccio preoccupato per ciò che il suo fidanzato poteva avere in mente.
«Non sei riuscito ad affrontare i bulli alla tua scuola, ma puoi farlo alla mia. Possiamo farlo insieme!» aveva continuato, sempre con quell’espressione da furbetto che stava facendo girare la testa a Blaine.
«Ma ci tengo a precisare che se la cosa ti mette a disagio, allora possiamo anche lasciar perdere il ballo. Magari andiamo al cinema» ed ecco che era tornato serio di nuovo e, di nuovo, lo aveva guardato in quel modo, con un misto di tenerezza e dolcezza, e Blaine proprio non sapeva come avesse fatto a trattenersi dall’alzarsi in piedi e dal baciarlo lì, davanti a tutti.
«Sono pazzo di te» gli aveva detto invece e l’entusiasmo di poco prima era tornato negli occhi di Kurt, illuminandolo come una stella illumina il cielo.

Quando Kurt aveva deciso di invitare Blaine al Prom organizzato dal McKinley, si era immaginato che lo avrebbe guardato con gli occhi cangianti lucidi di sorpresa mista a felicità, che avrebbe accettato, annuendo semplicemente perché le labbra erano troppo impegnate a sorridergli per poter emettere anche solo un suono più o meno articolato. Si era immaginato la loro entrata nella palestra del liceo, abbastanza vicini per sentire la presenza dell’altro ma non troppo da toccarsi; aveva visto, sul nero delle palpebre chiuse, Quinn e Finn andare loro incontro, salutarli e, probabilmente, fare di tutto per assicurarsi il loro voto come Re e Reginetta. Poi sarebbe stata la volta di Mercedes, che avrebbe apprezzato l’outfit di Kurt e salutato Blaine con un sorriso. Aveva immaginato la musica, la band che alternava lenti a brani da discoteca, le mani di Blaine che lo stringevano a lui, i suoi capelli rigorosamente pieni di gel che gli solleticavano il mento mentre poggiava la testa sulla sua spalla e ballavano sulle note di un classico degli anni Ottanta.
Aveva immaginato questo e tanto altro nei giorni che avevano preceduto il Prom, ma quello che Kurt stava in realtà vivendo in quel momento era ben lontano da ogni sua più rosea aspettativa.
Quello che stava vivendo non poteva essere la realtà.
Era un incubo e, in quel momento, Kurt non riusciva a trovare un modo per risvegliarsi.
Perché il nome che era uscito dalle labbra del preside Figgins, quello che era scritto sulla busta che conteneva l’identità della Reginetta del McKinley, non era il nome di Lauren Zizes o di Quinn Febray, né quello di nessun’altra ragazza. Il nome e il cognome che il preside aveva pronunciato davanti al microfono, con la voce insicura e un po’ tremante, era il suo. Kurt Hummel era la Reginetta del ballo.
Non appena lo aveva sentito, non appena aveva riconosciuto quelle tre sillabe che lo componevano, con l’acca aspirata all’inizio del cognome e la r del nome che si confondeva tra la vocale e la T, Kurt aveva deciso che l’unica cosa che poteva fare era scappare. Lui, che non si era mai tirato indietro, che aveva affrontato a muso duro le minacce e le spinte, che non si era mai lasciato intimorire da un volo in un cassonetto, aveva deciso che non c’era nient’altro da fare che uscire da quel luogo gremito di persone che credeva suoi amici, compagni di scuola, insegnanti.
Come aveva potuto illudersi che li avrebbero semplicemente ignorati, loro che non si lasciavano sfuggire alcuna occasione pur di sminuire e ferire qualcuno?
Mentre correva per i corridoi quasi vuoti del suo liceo, si accorse che i passi che rimbombavano non erano solo i suoi. Qualcuno lo stava seguendo, qualcuno che lo stava chiamando con una voce che avrebbe riconosciuto tra mille e che gli chiedeva di fermarsi.
«Non mi sono mai sentito così umiliato» urlò Kurt quando Blaine fu davanti a lui, con in volto l’espressione più ferita che gli avesse mai visto.
«Siamo stati così stupidi!» lacrime calde iniziarono a cadere e Kurt non fece nulla per fermarle, non ne aveva la forza. «Abbiamo pensato che, dato che non ci stavano prendendo in giro o non ci stavano picchiando, allora voleva dire che non interessava a nessuno, come se ci fosse stato chissà quale tipo di progresso. Ma non è cambiato niente» Kurt si passò una mano sul volto, tentando di asciugare quelle lacrime che non volevano saperne di smettere di scendere.
«È stato solo uno stupido scherzo» disse Blaine e forse, per chi lo aveva fatto, lo era stato davvero: uno scherzo per divertirsi ancora una volta alle spalle della sofferenza e dell’umiliazione di qualcun altro.
«No, non lo è. Tutto quell’odio… Avevano solo paura di esprimerlo a voce, e così hanno usato il voto segreto. Sono diventato lo zimbello della scuola» le lacrime ripresero a scendere ancora più copiose di prima, e di nuovo Kurt non fece nulla per fermarle, non ne aveva la forza. Il solo pensiero di dover tornare nella palestra, di dover affrontare tutte quelle persone, lo paralizzava.
Blaine intanto si era seduto sul pavimento del McKinley, la schiena poggiata contro gli armadietti, e lo guardava.
«Non vorresti almeno sederti?» gli chiese, con quegli occhi cangianti e tristi fissi su di lui. Kurt smise di camminare avanti e indietro per il corridoio – non si era nemmeno accorto di averlo fatto per tutto quel tempo – e restituì lo sguardo al suo fidanzato. Nei suoi occhi arrossati, c’erano più lacrime ma rabbia; non per quanto era successo, o almeno non solo, ma anche per Blaine, a cui avrebbe voluto regalare un Prom degno di quel nome, per sostituire quella triste e terribile esperienza dell’anno prima.
«Questo ballo non doveva essere una sorta di redenzione?» sbottò quindi, «Non doveva toglierti quel groppo in gola che hai da quando hai lasciato il tuo vecchio liceo?» Blaine abbassò lo sguardo un istante, per poi rialzarlo su di lui, e fu ciò che servì a Kurt per continuare a parlare.
«Se ce ne andiamo, anche io vivrò con quel groppo in gola» ormai nella sua voce non c’era più alcuna traccia di debolezza e della tristezza che lo avevano assalito fino a poco prima, ma una nuova forma di determinazione.
«Quindi cosa vuoi fare?» chiese Blaine, ma la risposta la sapeva già, la sapevano entrambi.
«Tornerò in palestra e mi farò incoronare. Mostrerò loro che non mi importa se mi urleranno contro o sussurreranno alle mie spalle, non possono toccarmi» Kurt si inginocchiò davanti a Blaine, infischiandone dello sporco che si sarebbe trasferito sui suoi leggins, e lo guardò negli occhi con una sicurezza che non pensava di avere. «Loro non possono toccare noi o ciò che abbiamo». Vide Blaine sorridergli e fu l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Il ragazzo gli passò un fazzolettino e Kurt si soffiò il naso, asciugandosi con forza le lacrime. Blaine, nel frattempo, si era alzato e gli stava tendendo una mano.
«Sei pronto?» gli chiese, e Kurt, per tutta risposta, accettò il suo aiuto e si alzò in piedi. Intrecciò le dita a quelle del suo fidanzato e, insieme, si diressero verso la palestra.
Davanti le porte chiuse, Kurt lasciò la mano di Blaine e prese un profondo respiro lì doveva continuare da solo e vincere quella guerra che lo stava distruggendo da anni.
Aprì le porte della palestra ed entrò.

Blaine osservò Kurt farsi largo tra la folla. Lo vide salire sul palco, indossare la coroncina e stringere tra le mani quel ridicolo scettro. Sentì la sua voce, fiera come non mai, fare una battuta su Kate Middleton e l’applauso degli studenti – gli stessi studenti che l’avevano messo su quel palco e che erano stati la causa delle sue lacrime.
Vide Karofski indietreggiare, rifiutando il ballo con Kurt, e con questa l’unica occasione che avrebbe avuto quella sera di essere se stesso; vide il suo fidanzato, solo al centro della pista, che si guardava intorno smarrito, e non Blaine proprio non poté impedirsi di fare quel passo avanti e di fargli quella domanda.
«Posso avere questo ballo?» e il sorriso che apparve sul volto del ragazzo fu una risposta più sufficiente del suo “sì” sussurrato.
Finalmente, poté stringere Kurt tra le braccia, lo scettro tra le loro dita intrecciate, come se fosse un premio per il coraggio di entrambi: coraggio di essere lì, coraggio di esporsi, coraggio di essere se stessi senza il timore di essere giudicati.
Mentre Santana e Mercedes intonavano Dancing Queen degli ABBA, Blaine si sentì felice e orgoglioso insieme. Avvicinò le labbra all’orecchio di Kurt e gli lasciò un dolce bacio leggero sul lobo, un bacio solo loro, che nessun altro avrebbe visto.
«Sei una persona speciale, Kurt Hummel» sussurrò e poggiando la guancia accanto alla sua, la sentì riscaldarsi e tendersi in un sorriso.
Fu in quel momento, con il suo fidanzato tra le braccia e il significato di ciò che aveva fatto ancora nell’aria, che Blaine lo capì. Non fu una rivelazione o una scoperta, piuttosto si sentì come se avesse appena messo a fuoco qualcosa che aveva avuto troppo sotto gli occhi per vederlo chiaramente.
Perché a Blaine non piaceva solamente Kurt, non era solo pazzo di lui, ne era follemente, perdutamente innamorato.
   
 
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