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Autore: solemiosole    03/08/2019    0 recensioni
[Rise (serie televisiva)]
La messa in scena del musical Spring Awekening al liceo di Stanton, Simon ha pensato che la sua amicizia con Jeremy, suo partner nello spettacolo, si sarebbe pian piano disciolta con il tempo, in modo lento, graduale. L'attrazione che prova nei confronti del ragazzo č innegabile, non puņ negarlo a se stesso. Ma i principi morali della sua famiglia saranno uno scoglio da superare.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sinossi della trama.
Rise è una serie tv che narra la storia di un professore di inglese, Lou Mazzuchelli, che decide di prendere le redini del gruppo teatrale del liceo di Stanton. Insieme a Tracey Wolfe, sua co-regista, inizia a mettere in scena il controverso musical Spring Awakening. La storia si incentra sulle molte storie personali dei due insegnanti ma anche dei singoli studenti che partecipano al musical. Tra questi, anche Simon e Jeremy, protagonisti di questa breve storia. All’interno del musical, i due interpretano Hanschen e Ernst, due ragazzi che si conoscono nel corso di una notte e si innamorano, scambiandosi un bacio appassionato sulle note della canzone The word of your body. Nella vita fuori dal musical, i due ragazzi si avvicinano molto, complici anche le parti da loro interpretate, ma, anche se l’attrazione è chiara e reciproca, Simon rifiuta sempre, in quanto ostacolato dal pensiero di deludere i suoi genitori, fortemente cattolici, che hanno fatto molti sacrifici per lui e la sorella, affetta da una forma lieve di sindrome di down. In questa storia, ambientata dopo la messa in scena del musical (ipoteticamente rappresentato a febbraio, alla fine del secondo trimestre), Jeremy e Simon hanno continuato a vedersi come amici ma ormai l’attrazione è reciproca. Quello che si racconta della vita familiare di Jeremy è frutto della mia immaginazione, in quanto nella serie non viene esplorato l’argomento.
 
 



 

Ama mihi cum mererem minus, quoniam erit cum ne egerent 
Catullo



 
*


 

Jeremy non è mai stato in chiesa. Nella sua vita non ha mai fatto riferimento ad una bianca figura, predicante il bene tra le genti, e mai ne ha avuto bisogno. Non si definiva cattolico né credente nel modo pragmatico del termine e gli andava bene così.
Nonostante ciò, quando Simon gli aveva proposto, senza mezzi termini, guardando in basso, in quel modo imbarazzato così tenero, di andare ad ascoltarlo cantare nel coro domenicale, Jeremy non aveva saputo rifiutarsi.
La chiesa è grande, bianca e luminosa e la lunga navata termina in un abside decorato alle pareti con vetrate colorate simili a quella che Simon ha portato per il musical; Jeremy suppone che le immagini rappresentino scene bibliche ma non saprebbe interpretarle. Le file di panche in legno chiaro – che odorano di abete e sono talmente lucide che quasi ha paura a sedersi – sono occupate per buona parte da vari fedeli, che ascoltano, di tanto in tanto annuiscono pure, le parole del predicatore. Poi l’attenzione è catalizzata dal coro, sulla sinistra dell’altare, ragazzi dritti in abiti scuri eleganti e ragazze con i capelli ordinatamente divisi sul capo e il direttore in piedi dinanzi a loro.
Il brano che suonano, che deve essere un brano finale perché ha sentito il prete congedare l’assemblea con quella che è sembrata una benedizione, è sconosciuto alle orecchie di Jeremy, che tuttavia si reputa abbastanza competente di musica nel riconoscere l’andamento e la tonalità.
È una melodia lenta ma calzante e la musica del pianoforte accompagna i due solisti, che si sono distaccati dal resto del coro, rimasto in silenzio. La ragazza canta con voce sottile e delicata e trova il giusto equilibrio tra le parole e i suoni. Jeremy la classifica come soprano.
È in quella che decide essere la seconda strofa, che Simon, che è poi il secondo solista e Jeremy ha sorriso quando lo ha visto avanzare, inizia a cantare. E ne è sicuro, non ha mai sentito suono più bello.
-I sing because I'm happy
I sing because I'm free
His eye is on the sparrow
And I know he watches
He watches me

Jeremy è totalmente impressionato ed è sicuro che non riesce a staccare gli occhi da Simon. Il ragazzo è totalmente a suo agio a cantare in quel luogo ed è tangibile l’amore e la passione che lo pervade. A volte Jeremy vorrebbe avere quella forza e grinta che ha Simon. È semplicemente perfetto. E bellissimo.
Quando la funzione finisce, Jeremy ne è rattristato; non potrà più sentire la voce di Simon, anche nel mezzo della caotica sinfonia del coro. Attende in solitaria, lungo il vialetto che dal portone della chiesa conduce alla strada.
Sta pensando al motivo per cui Simon lo ha invitato. Dubita che voglia fargli conoscere i suoi genitori. In veste di cosa, poi? Se fossero una coppia lo capirebbe ma…è questo il problema di fondo, l’elefante nella stanza. Loro non sono una coppia, solo amici.
Non è passato nemmeno troppo tempo dal musical Spring Awakening e ancora Jeremy non riesce a togliersi dalla testa il ragazzo. Una parte di lui sa, lo sa, che non era solo finzione, perché Simon è un attore incredibilmente bravo ma la magia si interrompe fuori dall’aula del teatro. Sono rimasti amici, lo sono ancora, ma è una parola che a Jeremy sta stretta, una definizione semplicistica. Una visione codarda di come stanno le cose.
Fuori dalla chiesa, il prete si sta prodigando in ringraziamenti e saluti sulla soglia, stringendo le mani di ogni maschio bianco capofamiglia, in una perfetta imitazione di quella borghese e fatiscente società decaduta. Non comprende e non crede lo farà mai, quel bisogno primordiale, perché alla fin fine, non è segreto del suo secolo ma risale ai primi uomini, il trovare conforto e perdono in un dio invisibile e distruttivo. Un dio che ha raso al suolo un popolo, con cavallette, peste, piaghe e carestie, incurante delle vite innocenti solo per un errore di una persona sola.
L’uomo pecca di superbia ma Dio pecca di crudeltà.
Suo padre non la vedrebbe così. Si ricorda ancora, quando hanno provato a discutere delle Scritture, il dibattito che è uscito. Suo padre non è d’accordo su molte cose ed è per questo che ha imparato presto ad avere una visione sua del mondo.
La famiglia di Simon esce tra le ultime; con loro, una ragazza che tiene stretta la mano del ragazzo. Ha l’aria simpatica. Simon lo vede, perché lo aveva visto entrare a funzione iniziata ed era stato scioccamente felice di vederlo lì, presente, e sorride inconsciamente. Lo raggiunge, con la mano libera in tasca e lo sguardo sfuggevole di chi non ha idea di come comportarsi o cosa dire.
-Ciao.
-Ciao.
Jeremy non è mai stato tipo di molte parole ma si meraviglia sempre quanto Simon riesca a parlare ancora meno di lui, i questi momenti. È dall’inizio del musical e non è difficile capire il motivo del suo silenzio. Ritiene le parole futili in molti casi, ma non è ancora pronto al sordo silenzio dell’imbarazzo per una vita. Jeremy a volte vorrebbe semplicemente lasciarsi andare e stringere forte Simon perché sa che ce ne è bisogno. Di abbracci il mondo non potrebbe mai stancarsi.
-Ciao, io sono Emma. – dice la ragazza, mentre tende la mano paffuta e sorride di un sorriso genuino e storto.
-Piacere Emma, io sono Jeremy- Il ragazzo la stringe di rimando, con la gentilezza di chi ha capito e il buon cuore di chi è sinceramente felice di fare conoscenza.
-È vero che Simon è il migliore a cantare?
Jeremy osserva Simon che ricambia con intensità tale da farlo quasi sciogliere.
–Sì, il migliore davvero.
Sorride e Simon decide che per quel momento, quel sorriso è tutto ciò che vuole, sempre.

 
*
 

Una cosa che a Simon è sempre piaciuta di Jeremy è la sua completa e schietta sincerità in ogni situazione. E gli occhi. Dio ha proprio voluto regalare al mondo una perla rara di cui Jeremy è il possessore.
Da quando il musical è finito, in un misto di ovazioni e critiche, lui e Jeremy si sono ritrovati a parlare. Strano ma non sbagliato, ha pensato la prima volta.
Jeremy è una compagnia più che piacevole per Simon; se riesce a controllare il tremito della voce, il battito del cuore e il prurito alle mani. Stare con Jeremy è rilassante, perché alternano lo studio a conversazioni riguardo ogni branca di materia e si imparano sempre nuove cose. Per esempio, Jeremy è un amante dei libri e ne legge in continuazione e preferisce la montagna al mare e il gelato all’amarena. Insolito, per Simon, abituato a quelle classiche convenzioni di argomenti basici e stereotipati, così tipiche nella sua quotidianità.
Jeremy però non parla mai della sua famiglia, nemmeno una parola.
Se per Simon a volete capita di citare Emma con un sorriso sulle labbra o il padre con un’ombra negli occhi, per Jeremy è diverso perché non lo ha mai sentito accennare, abbozzare un quadro generale della sua vita. Non che sia d’obbligo, ma Simon odia avere informazioni a metà e preferisce tutte le variabili per risolvere l’equazione rispetto ad una striminzita e vaga ipotesi. Certe volte vorrebbe chiederglielo, ma poi si ricorda in che razza di rapporto si trovino loro due e decide di lasciare perdere.
Perché sì, sono amici, non di quelli che conosci dalla nascita e a cui venderesti l’anima se solo te lo chiedessero, ma amici; però Simon non è stupido e continua a vedere un barlume negli splendidi occhi di Jeremy, una piccola rivelazione dell’intimità del ragazzo. Sa bene che anche nei suoi occhi c’è quella luce e non sa se esserne spaventato o lieto.
Non sono più su un palco, non deve più recitare e può lasciarsi andare e vivere la sua vita. Ma come potrebbe, quando quello che sei guarda al tuo passato con la stessa insistenza delle critiche malevoli e delle raccomandazioni di un padre e una madre troppo ciechi per poter anche solo cercare di capire?
Alle volte, Simon vorrebbe davvero lasciarsi andare, fregarsene di tutto e andare da Jeremy, abbracciarlo e forse anche baciarlo, stringere la mano, il ginocchio, quei capelli come il grano. Ma si ferma sempre perché semplicemente è uno stupido desiderio irrazionale, dettato solamente da quella chimica a dir poco perfetta che si è creata tra loro due, per aver interpretato una coppia che di vero aveva forse più di quanto voglia ammettere.
Jeremy non fa nulla, d’altro canto, per indurlo in una reazione simile. Non lo tocca, se non per qualche breve istante e non è niente più che un tocco sulla spalla, al massimo sulla mano; lo guarda sempre con un’aria che ricorda molto un bambino smarrito ma che inconsciamente conosce la strada per casa. Simon molto spesso si domanda se potrebbe mai funzionare tra loro due. È un’altra di quelle domande che reputa stupide e irrazionali perché una relazione non può nascere basandosi sul livello di bravura attoriale su un palcoscenico. Però se lo chiede in continuazione e non sa dare una risposta.
È un cinquanta – cinquanta, una perfetta combinazione di possibilità.
Forse ma forse no, non ha una risposta e questo lo confonde, perché l’unico modo di sapere, è provarci.

 
*


Jeremy non avrebbe mai creduto che il secondo bacio al di fuori del palco e della magia che lega il teatro lo avrebbe scambiato in preda alla rabbia e alla frustrazione. Si reputa abbastanza romantico per sapere controllarsi per non mandare tutto in malora, abbastanza discreto per l’autocontrollo necessario a non rovinare l’atmosfera.
Ma Simon spezza i freni della sua volontà perché è così bello e anche dannatamente stupido e cieco. Ma Jeremy lo capisce e non lo biasima.
Il mondo non è il posto che nelle favole è sempre perennemente illuminato dalla consapevolezza del lieto fine.
E non c’è nulla di più difficile che ammettere chi sei e cosa ti piace e Jeremy lo sa bene.
Il bacio che si scambiano è pieno di rabbia e di furia, urgenza, come se sapessero che l’apocalisse si sarebbe scatenata l’indomani, all’alba di un giorno nuovo e più felice, e non li avrebbe risparmiati. Simon è impacciato ma si accorge che baciare Jeremy non è poi così diverso da baciare Grace e anzi, è più appagante. Perché la pelle di Jeremy profuma di sole e di fragole con la panna, come la pelle di un bambino, e il suo viso si incastra con perfezione millimetrica.
Simon è spaventato, perché se è impacciato con le ragazze, con Jeremy allora la preoccupazione si propaga al massimo grado e tutto diventa grigio e annebbiato.
Il bacio finisce con uno schiocco; Jeremy ha gli occhi che brillano di felicità e le labbra rosse, che risaltano sul suo viso pallido e con quei capelli biondi sembra quasi una visione angelica. Simon invece ha il cuore che batte a mille e una ruga che segna la fronte. È una di quelle persone che ogni volta che compie un’azione si sofferma a pensare alle conseguenze. Si allontana forse con più fretta di quanta sia necessaria, e scompiglia i capelli. Sente il respiro accelerare e la vista appannarsi. La mano di Jeremy gli stringe la spalla mentre gli chiede cosa succede. È strano pensarci ora, razionalmente, dopo che nemmeno un mese prima era stato proprio Jeremy a chiedergli di non toccarlo durante le scene del musical così come è strano vedere le parti invertite ed essere quasi confortato dal tocco del ragazzo biondo.
Si trascina fino a un muricciolo in pietra che costeggia il parcheggio in cui si trovavano. Che location banale, un parcheggio. Simon sente un peso all’altezza del petto e la testa pesante di chi troppo tempo ha trattenuto il fiato sott’acqua e ora può scegliere se annegare o risalire in superfice.
-Simon? Simon, va tutto bene? – la voce di Jeremy è dolce e Simon vorrebbe davvero crederci, che va tutto bene, che ora è finalmente se stesso, che ogni cosa va per il verso giusto. Ma no, il suo stupido cuore batte ancora troppo in fretta e sente gli occhi lucidi per delle lacrime che non ha idea da dove siano spuntate.
Alle volte dovrebbe trattenere il fiato, il cervello, tutto.
Scuote la testa in risposta, stringendo gli occhi così tanto da avere male ma davvero, i suoi pensieri sono troppo rumorosi da sopportare.
-Io…cioè tu mi…ci siamo baciati e questo…
La mano di Jeremy che si stacca dalla spalla di Simon ha il rumore della consapevolezza amara. Un bicchiere di cianuro sarebbe meno doloroso. Simon ha subito freddo quando non avverte più la calda presa del ragazzo. Gli occhi di Jeremy sembrano dire “Ancora Simon? Ancora con questa storia? È il ventunesimo secolo, a nessuno importa chi ti piace.”
Sì, ancora. E no, ai suoi genitori importa eccome. Simon sa di non essere affatto pronto per questa cosa, lo sa benissimo ed è talmente spaventato.
-Simon, non è un problema, lo sai vero?
-I miei genitori, loro non approveranno mai.
-E quindi? La vita è la tua ed è ora.
Simon scuote la testa, lo sguardo basso di chi ha sulla schiena un macigno.
Ad ognuno la sua croce.
Non può fare questo alla sua famiglia, ai suoi genitori, non dopo tutto quello che hanno fatto per lui. Sarebbe, ne è certo, la ciliegina sulla torta, la rottura definitiva di quel mosaico di vetro tenuto insieme da pezzi di nastro adesivo.
-No, non capisci. Per te è diverso, sei più libero e non hai idea…
A quel punto Jeremy si alza di scatto e davvero è inaspettato. Perché diamine, lui può anche avere tutta la pazienza fornita agli esseri umani ma non può certo sopportare tutto. Non è un santo né un martire.
-Non ho idea? Seriamente, Simon? Il mondo non bada ai tuoi problemi soltanto! È il ventunesimo secolo, dio santo, e ancora non vuoi vedere la realtà. Sì, forse ai tuoi genitori non andrà bene, ma allora cosa farai? Vivrai come ti dicono loro, in una perenne bugia?
Anche Simon si è alzato e fronteggia con il coraggio di chi non ha nulla da perdere.
-Non darmi lezioni sulla verità o sulla moralità! Non viviamo tutti nella fantastica famiglia perfetta che hai tu. Alcuni di noi hanno degli ostacoli, delle difficoltà e dei doveri.
Ecco, la parte della famiglia fantastica non sa se è del tutto vera. Ha fatto un po’ di calcoli nella sua mente e Jeremy è troppo perfetto per venire da una famiglia disfunzionale quindi ha eliminato a prescindere quella ipotesi, concentrandosi su altri aspetti.
Ora però lo sguardo di ghiaccio che gli riserva è tutt’altro che rassicurante
-Famiglia perfetta? Ma ti senti quando parli? Se non parlo della mia famiglia un motivo ci sarà, tu che dici?
È proprio arrabbiato, pensa Simon, tanto che si volta per andarsene, ma poi sembra ripensarci e torna indietro, affrontandolo con la spada sguainata. Un taglio preciso, al cuore, dove sa che farà più male.
-Se ti interessa, i miei sono divorziati e vivevo con mio padre fino a che non ho fatto coming out. Sai come ha reagito? Mi ha picchiato talmente tanto forte da rompermi una costola e un polso. – Jeremy ha gli occhi lucidi e sta tremando e Simon con lui. –Non pago, mi ha piantato un coltello nella spalla. E tu vieni a predicarmi di una famiglia perfetta? Mia madre non è perfetta, ma almeno mi ha accettato. Io ti parlerò anche di moralità ma la tua è ipocrisia.
Simon agghiaccia. Non è certo questo che si aspettava e Jeremy è un fiume in piena che non può essere fermato. Non gliene dà il tempo, perlomeno. Scompare con una velocità simile a quella dei banditi nei vecchi film western.
Rimane lì, con un senso di impotenza e il sentore di aver rovinato qualcosa di bello.
Il sapore del bacio e delle labbra di Jeremy persiste ancora e Simon si convince che sì, è stato proprio stupido.


 
*

 
Non è mai stato bravo ad aprirsi con le persone.
La logica che determina la sua vita è pura e semplice: meno cose sanno di te e meno possono controllarti.
Ha sempre avuto l’impressione che la sua vita fosse tutta uno sbaglio e ora ne ha quasi la certezza, mentre è disteso sul letto.
Il telefono squilla e il cuore trema ad ogni trillo vuoto.
-Pronto?
E gli manca il fiato.
Non ha mai avuto così paura di parlare perché anche solo una parola può rovinare tutto. Ed il fatto che ne sia consapevole è ancora più terribile
-Sono io.
Dall’altro capo non viene nulla se non il rumore di molle cigolanti. Si deve essere seduto, forse sdraiato sul letto.
-Cosa vuoi?
-Mi dispiace.
Il silenzio di solito lo aiuta a concentrarsi.
Quello invece è come una lama che squarcia la pelle. Freddo e indefinibile.
Simon ha le lacrime agli occhi e la voce rotta da un pianto che non aveva programmato. Aveva uno schema, una lista di cose da dire, di parole e segreti da ammettere, scuse da formulare. Tutto dimenticato. Non è su un palcoscenico, le battute che aveva predisposto non sono scritte su carta, non sono giuste, esatte, ineluttabili. Sono ammassi di rimorsi e paure troppo grandi per essere dette al telefono, sensi di colpa che non rotoleranno via al primo cambio di marea
-Lo so. Mi basta questo.
Non sa come faccia, davvero. È sempre perennemente così sincero quel ragazzo, non potrebbe fare del male ad una mosca.
-Mi dispiace per quello che ti è successo; mi dispiace per tuo padre e per tutto quello che ti ha fatto, non lo meriti, nessuno lo meriterebbe, ma tu meno di tutti perché sei una bellissima persona, Jeremy, lo sei davvero, e se qualcuno è in disaccordo, beh che si fotta. Mi dispiace di essere così riluttante, di scegliere sempre le parole e le situazioni peggiori, di non essere in grado a sopportare il peso della verità. È che tu sei così perfetto e non so cosa hai visto in me o perché mai mi hai baciato ma…
Jeremy, dall’altro capo del filo invisibile, sta sorridendo tra le lacrime, il cuscino bagnato. Il soffitto della sua stanza è illuminato da quelle stelle che ha attaccato da bambino, quando era ancora convinto che sarebbe stato nel cielo che avrebbe trovato la risposta ai suoi dubbi.
Vorrebbe fermare Simon perché vorrebbe dirgli che non ce n’è bisogno, che ha tutto sotto controllo, che va tutto bene. Non lo fa, perché sono entrambi umani e hanno entrambi un loro limite di capienza oltre il quale non si può andare.
Quel ragazzo regge un tale peso sulle spalle, è così ancorato ai valori in cui è cresciuto…
La cicatrice sulla spalla di Jeremy si è rimarginata da anni e non fa più male. Ora come ora, inizia a pizzicare lievemente, la pelle che pulsa là dove si è formato il cordolo della lama.
-Simon, ascoltami. Ascoltami. – attende che l’altro faccia silenzio perché sta piangendo e i singhiozzi sono come tuoni in un temporale: dei fragori che mettono paura –Va tutto bene, okay? Non hai fatto nulla di male, davvero, sarebbe venuto fuori prima o poi. Io te lo avrei detto. Non hai rovinato nulla, abbiamo solo affrettato le cose ma capita. Io sono qui, hai tutto il tempo del mondo.
Simon non sa cosa possa essere, quella persistente pace che sente ogni volta che Jeremy parla, sin dai tempi dello spettacolo. Se ci fosse il professore Mazzuchelli, direbbe che è la chimica che si è innescata. Simon preferisce pensare ad una bomba ad orologeria.
La voce di Jeremy è un ottimo rimedio contro la sua costante ansia. Dovrebbe brevettarla, se solo potesse.
-Simon? Sei ancora lì?
Mugugna una risposta, e Jeremy sorride. Simon sente il sorriso e tanto gli basta.
-Vai a letto ora. Cerca di dormire.
-Jeremy.
-Sì?
-Mi dispiace.
Sì, ora lo ha proprio sentito, il sorriso del ragazzo. Come un tuono che squarcia il cielo, ma più gentile e labile.
-È okay. Dormi un po’, ora.
Simon non sa quando ha permesso a Jeremy di fargli da balia, secondo padre o badante. Non che gli dispiaccia. Tutt’altro. Ma ora si ripromette di regalargli qualcosa di incredibile, qualcosa di unico. Perché se lo merita.
-Buonanotte.
-Buonanotte.
Nessuno dei due spegne la chiamata, almeno per i primi minuti. Osservano il riquadro verde del contatto sullo schermo, il dito a mezz’aria, in attesa di premere il pulsante. È come se avessero paura di fare la prima mossa. Come se ciascuno volesse controllare che l’altro si addormenti serenamente.
È Simon a terminare la chiamata ma Jeremy non se la prende. È una cosa così bella che lo spaventa e non crede di poterla gestire.
Con i polmoni pieni d’aria, o non riuscirebbe a dormire e anzi crede soffocherebbe, Simon si stende sul letto e osserva il soffitto.
Non ha proprio fatto pace con la sua coscienza, il senso di colpa è ancora nell’aria. Ma decide che per quel giorno le emozioni bastano e avanzano.
Chiude gli occhi e ciò che sente è il suono amaro del silenzio e il lieve battito del suo cuore.
Va tutto bene.
 
   
 
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