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Autore: Sweet Intoxication    07/05/2005    10 recensioni
Questa è la mia prima fanfic ed è ispirata al film/musical "Andrew Lloyd Webber's The Phantom Of The Opera" ed in piccola parte al romanzo "Il Fantasma dell'Opera" di Gaston Leroux. Il Phantom dei miei sogni è e rimarrà sempre quello interpretato da Gerard Butler.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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SAVE ME - A POTO FAN FICTION

Save me, save me, save me

I can't face this life alone

Save me, save me, save me

I'm naked and I'm far from home.

(Queen)

Cap. 1

“You alone can make my song take flight….It’s over now The Music Of The Night!”

Erik lasciò che rabbia e disperazione prendessero il sopravvento; Christine, la sua allieva, la sua amata, il suo angelo se n’era andata per sempre….lui l’aveva lasciata andare. Le aveva permesso di scegliere, e lei così aveva fatto: aveva scelto l’amore puro, solare ed innocente di Raoul, abbandonando l’Angelo della Musica nelle tenebre della sua passione insana.

Erik afferrò un candelabro ed in un impeto d’ira ruppe tutti gli specchi che si trovavano nel suo rifugio: odiava se stesso più che mai per tutto il male che aveva causato, ed odiava quel viso deforme che lo aveva condannato ad una vita di disprezzo ed oscurità…..sì accanì con tutta la sua forza contro quell’odiosa immagine riflessa nello specchio, come a volerla finalmente cancellare dalla faccia della Terra.

Pensò quindi di uccidersi, di porre fine a quell’immenso dolore una volta per tutte; ma le grida dei gendarmi e dell’inferocito popolo dell’Opera Populaire si facevano sempre più vicine, ed in lui prevalse l’istinto di sopravvivenza:

“Non permetterò loro di prendermi ed umiliarmi ancora! Se devo morire, intendo farlo da uomo libero, e per mia stessa mano!” fu il suo primo pensiero.

Doveva fuggire, il più velocemente possibile. Tirò una tenda che nascondeva uno dei numerosi passaggi segreti da lui costruiti. Afferrò una delle maschere poste sul tavolo lì accanto e la giacca di velluto scuro del costume di Don Juan, e si addentrò nel cunicolo segreto.

Quindi, rapido e silenzioso come un’ombra, scomparve nell’oscurità dei sotterranei dell’Opera.

Le grida dei suoi inseguitori si fecero più lontane ma Erik non rallentò il passo: finalmente, raggiunse il canale sotterraneo che scorreva al di sotto dell’Opera Populaire. Attraccata ad un palo vi era l’imbarcazione che egli utilizzava nelle sue incursioni notturne per Parigi: era una semplice barca a remi, spartana ma più maneggevole della gondola con cui aveva trasportato Christine nel suo rifugio. Saltò nella barca, slegò la corda che la assicurava. Le grida dei gendarmi erano fievoli in lontananza: ormai era in salvo. Esausto e febbricitante, Erik si accasciò sul fondo della barca e lasciò che la corrente la trasportasse. Infine chiuse gli occhi, sopraffatto dal dolore e dalla stanchezza.

Il canale sotterraneo, dopo circa un chilometro, confluiva direttamente nella Senna: fu così che dopo alcuni minuti la barca, trasportata dolcemente dalla corrente, si trovò a navigare nelle grigie acque del fiume parigino. Erik si accorse di essere all’aperto dalla fredda brezza che soffiava sul suo viso e dalla sottile pioggia che iniziava a cadere. Aprì gli occhi, e nonostante il buio della notte potè notare le nere nubi che celavano le stelle. Gocce di pioggia cadevano sul suo viso e sul suo corpo, quasi a voler lavare via le lacrime ed il dolore. Sentì uno strano sollievo, nonostante le membra dolenti ed il freddo. La sua mente cominciò a vacillare, troppo provata per pensare. Chiuse di nuovo gli occhi, abbandonandosi completamente quella sensazione di deliquio, e trasse un lungo sospiro; prima di perdere i sensi, nella sua mente passò lieve l’immagine di due dolci occhi castani incorniciati da lunghi e morbidi riccioli.

“Oh Christine…mio angelo…perdonami…..”

Cap. 2

“Vento sottile

vento del mattino

vento che scuoti

la cima del mio pino

vento che danzi, che canti

la gioia tu ci porti

vento sottile!”

Era una bellissima giornata: la pioggia della notte precedente, dopo due settimane di eccessiva arsura per quel finire di Maggio, aveva finalmente portato un fresco sollievo. La campagna era uno splendore: il verde delle messi, l’azzurro del cielo e gli alberi in fiore creavano un tripudio di colori incantevole.

Mano nella mano, la mamma e la bambina tornavano dal mercato cantando allegramente nella brezza mattutina.

“Vento sottile,

vento del mattino!”

Le due voci limpide e cristalline come le loro risa.

“Maman, stasera mi racconterai la fiaba di Cenerentola?”

“Mon petit ange, te l’avrò raccontata centinaia di volte! Ormai la conosci meglio di me!”

“Ma Maman, la racconti così bene! Mi piace tanto la parte in cui Cenerentola balla col Principe….”

Estelle sorrise tra sé. La sua piccola Colette era un’avida ascoltatrice di fiabe: amava in particolare quelle dove belle fanciulle in pericolo venivano salvate da Principi affascinanti e coraggiosi dopo mirabolanti avventure, per poi concludersi con il trionfo del bene e dell’amore.

“Maman, possiamo andare in riva al fiume a raccogliere i fiorellini? Per favore!” chiese la bimba.

“Va bene, Colette, ma facciamo presto. Maman deve finire il vestito di Madame DeGuy entro stasera, lo sai.” Rispose Estelle.

“Grazie!” disse Colette con uno dei suoi grandi sorrisi, e scappò verso il fiume.

Estelle la guardò correre allegra attraverso il prato e sorrise; dopodiché alzò gli occhi al cielo e ringraziò ancora una volta la Vergine per averla benedetta con quel piccolo angelo biondo. Si avviò attraverso il prato verso il luogo dove la bimba amava raccogliere i fiori. Lo chiamavano il loro “posto segreto”: era una piccola radura circondata da alberi lussureggianti lambita da una breve diramazione del fiume, che qui scorreva tranquillo. Sulla riva crescevano molti fiori spontanei, che Colette amava raccogliere per fare ghirlande di fiori ed abbellire la loro casa.

Estelle si sedette all’ombra di un albero. La schiena appoggiata al tronco, sospirò di piacere per la frescura della vegetazione. Vedeva la testolina biondissima di Colette spuntare tra le felci, e la sentiva canticchiare la sua canzoncina. Estelle sapeva che lì non c’era pericolo: Colette era una bimba giudiziosa, nonostante avesse solo quattro anni (“quasi cinque!” avrebbe detto lei con la sua limpida vocetta) ed amasse l’avventura. Ma entrambe conoscevano quel piccolo angolo di campagna come le loro tasche, perciò Estelle si rilassò e chiuse gli occhi, la testa reclinata indietro sul tronco dell’albero.

Pensò ai due anni appena trascorsi, due anni da quando si era trasferita con Colette in quel paesino di campagna alle porte di Saint Germain. Sì, la scelta che aveva fatto si era rivelata la migliore per entrambe: Colette era felice, e lei riusciva a mantenere entrambe col suo lavoro di sarta, anche se modestamente. Certo, in quel piccolo centro contadino il suo talento era davvero sprecato, ma non sarebbe mai tornata indietro, a Parigi. Parigi…..quella città meravigliosa e maledetta, che le aveva dato le più grandi gioie ed i più grandi dolori…..no. Parigi era il suo passato, un passato che solo ora stava riuscendo a dimenticare.

Colette non era per niente soddisfatta del suo mazzo di fiori: solo ranuncoli e margherite, mentre lei amava più di ogni altra cosa violette e nontiscordardimé. Ma non si perdette d’animo: conosceva un angolino segreto nella “sua” radura dove sapeva che avrebbe trovato i suoi fiori preferiti.

Col mazzolino stretto nella piccola mano, camminò lungo la riva fino ad un imponente salice piangente, i cui rami lambivano la superficie dell’acqua. La bimba spostò i rami con la mano come se fossero una e tenda passò sotto l’albero (che era il suo nascondiglio preferito) per poi sbucare sull’altro lato. Lanciò un piccolo grido di gioia: finalmente un’intera fioritura di violette! Improvvisamente, però, la sua attenzione fu attratta da qualcosa di insolito: vicino alla riva, arenata sulla sabbia del basso fondale del fiume, c’era una barca. Era simile a quella con cui il papà del suo amico Guillaume li portava in gita sul fiume in estate, ma quella era dipinta di un bel colore azzurro, mentre questa era scura. Incuriosita (e per niente impaurita) si avvicinò all’imbarcazione.

Si issò sulla punta dei piedi per guardare dentro, ed il suo piccolo cuore fece un balzo per l’emozione: nella barca giaceva addormentato un bellissimo Principe.

Cap.3

Colette non poteva credere ai suoi occhi: in quella barca c’era un vero Principe, come quelli delle fiabe che la mamma le raccontava la sera prima di dormire!

Per qualche minuto rimase incantata a guardarlo; era elegantissimo: indossava un abito di velluto scuro, dalla cui giacca spuntava una candida camicia di stoffa finissima dal collo ricamato. Il suo volto era bello e nobile, i capelli scuri pettinati all’indietro, e portava una maschera…..quest’ultimo particolare colpì la bambina: lo straniero aveva il lato destro del viso coperto da una mezza maschera bianca.

Sempre più incuriosita, Colette decise di provare a svegliare l’elegante sconosciuto: allungò una mano nella barca e lo tirò per la manica: l’uomo non si mosse, ma la bimba si accorse che la giacca che indossava era completamente fradicia, così come il resto dell’abbigliamento. Osservandolo più attentamente Colette si accorse che lo straniero respirava in modo lieve ed affannoso, e tremava visibilmente. Subito la bambina capì che qualcosa non andava.

“Questo bel Principe sta male” fu il pensiero che attraversò la sua testolina bionda, e corse via in cerca della madre.

“Maman! Maman!”

Estelle aprì un occhio: si era quasi addormentata all’ombra dell’albero, quando udì la vocetta di Colette che la chiamava. La vide arrivare di corsa, trafelata.

“Maman! Ho trovato un Principe! Sta male! Devi aiutarlo!”

Di primo acchito, Estelle pensò che si trattasse di un altro degli scherzi di sua figlia, che aveva una fervida fantasia. Poi però, dallo sguardo allarmato della bimba e dal suo affanno angoscioso capì che non si trattava di un gioco.

“Cos’è successo, Coco? Chi è che si sente male?”

“Il Principe! Vieni, presto!”

Senza capire cosa stesse succedendo, Estelle seguì sua figlia al di là del salice, e lì notò la barca arenata.

“E’ qui! E’ qui!”

Si avvicinò all’imbarcazione e finalmente vide l’uomo febbricitante sdraiato sul fondo.

“Oh cielo. Monsieur! Monsieur! Vi sentite male ? Rispondete!”

Lo afferrò per un braccio e tentò di destarlo.

“Mio Dio, i suoi abiti sono completamente fradici. Si prenderà un’infezione” pensò.

L’uomo tremava fortemente. Le sue mani erano gelide. Estelle gli tastò delicatamente la fronte: scottava di febbre.

“Devo portarlo via di qui. Monsieur! Mi sentite?”

Lo straniero si mosse continuando a tremare. Aprì gli occhi ed Estelle lo udì dire con un filo di voce:” …Christine….”

“Signore, devo portarvi via di qui. Riuscire ad alzarvi?”

Estelle lo aiutò a mettersi seduto e poi cercò di farlo alzare. Riuscì a fatica a farlo uscire dalla barca, ma appena mise piede a terra le sue gambe cedettero e l’uomo cadde sulle ginocchia. Estelle gli passò un braccio intorno alla vita e mise quello di lui sulle proprie spalle, riuscendo a rimetterlo in piedi.

“Ce la fate a camminare?”

“S…Sì….” Fu la debole risposta.

Con grande fatica, Estelle riuscì a portare lo straniero verso la casetta dove lei e Colette abitavano e che, fortunatamente, non si trovava molto lontano dal fiume.

Con grande sforzo, riuscì a fargli salire i tre gradini che portavano alla piccola veranda, mentre Colette apriva la porta. La bambina non aveva detto una parola durante l’intero percorso, preoccupata ma allo stesso tempo emozionata per l’incontro con quello strano personaggio.

Estelle, sempre sorreggendolo col proprio corpo, condusse l’uomo nella propria stanza e lo fece sdraiare sul letto; il poveretto era in condizioni pietose: dal suo petto uscivano respiri stertorosi e tutto il suo corpo tremava terribilmente. Estelle ordinò a Colette di andare in cucina e di fare bollire dell’acqua. La bambina obbedì prontamente.

“Devo assolutamente liberarlo da questi abiti fradici” pensò, ed gli tolse gli stivali. Poi gli sbottonò la giacca e sfilò prima un braccio, poi l’altro, non senza una certa fatica perché intanto l’uomo aveva nuovamente perso i sensi. Gettò la giacca bagnata su una sedia , poi si dedicò ai bottoni della camicia. Colette fece capolino dalla porta:

“Maman…sta molto male?”

“Ha la febbre alta, Coco. E’ rimasto troppo tempo con addosso quegli abiti fradici, e probabilmente ha preso un’infezione ai polmoni”

Gli occhioni blu della bimba si riempirono di sgomento.

“Allora….il Principe morirà?”

“No, cara, se lo cureremo. Ma è meglio che tu stia lontana da lui. Potresti ammalarti anche tu, standogli vicino, ed io ho bisogno del tuo aiuto per farlo guarire. Capito, mon trésor?” disse con tono rassicurante. La bambina annuì, il visetto serio e compunto: comprendeva la gravità della situazione, ed avrebbe fatto tutto quanto Maman ritenesse necessario per salvare il bel Principe.

“Ora torna di là e prepara delle pezze di cotone. Le faremo bollire e le useremo per fare degli impacchi caldi.” Coco annuì ancora e tornò in cucina.

Estelle continuò a sbottonare la camicia del malato, la sfilò dalle braccia e la gettò sulla sedia, insieme alla giacca, dopodiché gli tolse i pantaloni, che raggiunsero il resto del vestiario.

Quindi, prese una coperta e delle lenzuola pulite. Mentre lo copriva, il suo sguardo indugiò sul corpo dell’uomo: era molto alto, le spalle larghe e forti, i muscoli del petto ben definiti, e le gambe lunghe e muscolose. Quando gli rimboccò le lenzuola sotto il mento, il suo sguardo cadde sulla mezza maschera che copriva il lato destro del suo volto. L’aveva notata subito, ma nella concitazione del momento non vi aveva prestato troppa attenzione. Si soffermò a studiare il viso dell’uomo: i suoi lineamenti erano perfetti e virili, le labbra ben disegnate, e la maschera seguiva perfettamente le linee del viso, quasi fosse stata una seconda pelle.

“Chi sarà mai costui?”

In base all’elegante quanto bizzarro abbigliamento, ed alla maschera, Estelle pensò si trattasse si qualche riccone vestito per un ballo in costume che probabilmente aveva alzato troppo il gomito e aveva passato la notte sotto la pioggia, completamente ubriaco…..sì, ma cosa ci faceva sdraiato in una barca, ed in aperta campagna? Non vi erano case di signori fino a St.Germain. L’unico era il palazzo dell’anziana Madame DeGuy, dove certamente non si dava un ballo in maschera da almeno dieci anni….

“In ogni caso, la festa è finita, e questa non vi serve più, bel cavaliere…” pensò Estelle.

Quindi, con delicatezza rimosse la candida maschera dal viso dello sconosciuto.

Cap. 4

Estelle sorrise: la maschera celava un viso deforme, certamente opera di un abile truccatore. Con ogni probabilità, lo sconosciuto si era fatto fare quel trucco spaventoso per giocare qualche scherzo agli altri invitati al ballo. Poteva immaginarlo mentre si toglieva la maschera di fronte a qualche impressionabile fanciulla, la quale sarebbe certamente svenuta tra le sue braccia…..

Appoggiò la candida mezza-faccia sul comodino e si accinse a rimuovere quella che riteneva fosse una seconda e orribile maschera. Quando però sfiorò il volto dell’uomo, sentì il calore pulsante della pelle piagata ed il poveretto emise un gemito: allora, capì. Improvvisamente sentì una morsa allo stomaco, la sua schiena fu scossa da un brivido e si allontanò con repulsione; ma l’uomo gemette ancora, cominciò a tossire violentemente e ad agitarsi nel letto. Dalla sua bocca uscì un grido strozzato:

“Christine! Amore mio….non lasciarmi….”

La pietà prevalse sul ribrezzo nell’animo di Estelle: appoggiò la propria fresca mano sulla fronte del malato, sussurrando dolcemente:

“State tranquillo, guarirete presto.”

Quel tocco gentile sembrò dare sollievo allo sconosciuto che smise di agitarsi ne letto, pur continuando a tremare.

Estelle sentì una stretta al cuore: certamente quell’uomo, nel suo delirio, stava invocando il suo amore perduto….probabilmente la donna era morta, lasciandolo solo e disperato. Commossa, accarezzò lievemente con la punta delle dita la guancia piagata dello sventurato.

“Povera creatura, chi ti ha fatto questo? Devi soffrire molto…”

Il malato necessitava di cure immediate. Estelle uscì dalla stanza, chiuse la porta ed andò in cucina, dove Colette aveva preparato le garze di cotone per fare gli impacchi.

“Sei stata bravissima, Coco.”

“Come…come sta?” chiese la bambina, la preoccupazione palese nei suoi grandi occhi blu.

“Non bene. Ma noi lo faremo guarire. Adesso, Coco, vai nel campo dove crescono la lavanda e la malva e raccogline una grande quantità. Prepareremo un decotto che calmerà la sua tosse. Intanto io gli farò gli impacchi caldi.”

La bambina annuì e si avviò, dopo aver preso il cestino per la raccolta delle erbe.

Estelle chiuse la porta, dopodiché mise a bagno nell’acqua bollente le pezze di cotone. Poi aprì l’armadietto di legno dove riponeva i medicinali e prese la boccetta con l’estratto di laudano. Ne versò alcune gocce in bicchiere d’acqua e tornò nella stanza da letto. L’uomo aveva ricominciato a tossire. Estelle lo aiutò a sollevare la testa e gli fece bere la medicina. Il fresco liquido calmò la tosse, e la donna lo fece sdraiare di nuovo sistemandogli il cuscino dietro la testa. Vide che l’uomo la stava guardando, ed i suoi occhi febbricitanti erano pieni di lacrime: allungò una mano tremante a sfiorare la guancia di Estelle.

“Tu sei….un angelo…..” mormorò prima di ricadere nel deliquio.

La donna rimase attonita: il tocco della sua mano era stato così delicato da riscaldarle il cuore.

“Chi è costui?” si chiese ancora una volta mentre tornava in cucina. Estrasse le garze dall’acqua e le strizzò, poi rapidamente preparò degli impacchi con i semi di lino che aveva in casa, quindi tornò della stanza del malato.

Sollevò le coperte ed appoggiò con cura un impacco sul petto dell’uomo. Subito il calore e l’effetto balsamico sei semi di lino sembrarono dare sollievo al suo respiro difficoltoso. Gli rimboccò ancora una volta le lenzuola sotto il mento, ed ancora una volta si soffermò a guardare quel viso. Quale beffardo destino aveva fatto in modo che quel volto bellissimo risultasse per metà sfigurato? E qual era la triste storia di quest’uomo che, in preda al delirio della febbre, invocava il nome della donna amata? Chi era costei? E per quale motivo l’aveva abbandonato?

Estelle decise di lasciarlo riposare. Ci sarebbe stato tempo per le risposte. Intanto decise di frugare nelle tasche della giacca dello sconosciuto sperando di trovare qualche documento o qualche indizio sulla sua identità. Non trovò nulla. Ma nella tasca interna, proprio all’altezza del cuore, scoprì che c’era qualcosa: uno splendido anello tempestato di diamanti.

Cap. 5

Estelle continuò a rigirare l’anello tra le dita: era di splendida fattura, e certamente di grande valore. Improvvisamente, un’ondata di ricordi la travolse: ripensò a quando, ancora bambina, accompagnava i suoi genitori all'Opera Populaire di Parigi, dove sua madre lavorava come costumista e suo padre come liutaio. Ricordò i magnifici abiti di scena della Primadonna, ricamati con cristalli che luccicavano come diamanti, e le splendide parure sfoggiate dalle nobildonne la sera della prima di qualche opera importante: diademi, collane e bracciali tempestati di pietre preziose, ed anelli come quello che ora aveva in mano. Ripensò a come, nascosta dietro una quinta, rimaneva incantata ad osservare le ballerine leggere come libellule, e ad ascoltare la voce meravigliosa del soprano che s’innalzava cristallina fino al grande e risplendente lampadario di cristallo……..era stato il periodo più felice della sua vita. Ma era finito, relegato in un angolo segreto del suo cuore. Anche se erano ormai trascorsi molti anni, ricordare era ancora doloroso per Estelle. Si asciugò una lacrima e ripose l’anello in un piccolo scrigno sul suo comodino, dove sarebbe stato al sicuro. Prima, però, non potè fare a meno di chiedersi quale fosse la provenienza di quello splendido gioiello….probabilmente si trattava di un dono per la misteriosa donna che lo sconosciuto invocava nel suo delirio, Christine. Forse lei lo aveva respinto, spezzandogli il cuore….

Osservò l’uomo addormentato nel suo letto: ora riposava tranquillo; l’impacco dei semi di lino e il laudano cominciavano a fare effetto, ed il respiro era tornato regolare, anche se rauco. L’espressione sul suo viso era più serena, ed Estelle non potè evitare di notare ancora una volta la perfezione del volto guastata da quelle orribili piaghe sul lato destro…..

“Come se fosse….un angelo caduto…….”

I suoi pensieri furono distratti dal rumore della porta che si apriva. Tornò in cucina e vide Colette col cestino delle erbe pieno zeppo di fiori di lavanda e di malva, e dietro di lei vi era la sua amica Constance con un fagotto in mano.

“Bonjour Constance!”

“Bonjour Estelle! Ho incontrato Coco nel campo e mi ha raccontato che avete trovato un uomo svenuto in riva al fiume e che lo state curando! Ma chi è?”

“Ehm…..Coco, perché non vai fuori a giocare? Maman e Constance devono parlare di cose importanti. Poi mi aiuterai a preparare il decotto per il Principe, va bene?”

Coco avrebbe voluto restare per ascoltare, ma non osava disobbedire alla mamma, perciò prese le sue bambole ed uscì in veranda, con una punta di delusione negli occhi.

Estelle fece accomodare l’amica. Constance era di alcuni anni più vecchia di lei e viveva con il marito Pierre e i tre figli Didier, Jeannette e Guillaume (rispettivamente di dieci, sette e quattro anni) in una piccola fattoria non lontano dalla loro casetta. Erano i loro “vicini”, nonchè più cari amici. Li avevano conosciuti due anni prima, quando Estelle si era trasferita laggiù con la bambina, e l’avevano aiutata a trovare la casa ed a farle “pubblicità” per il suo lavoro di sarta. Erano persone generose e gioviali, e si erano affezionati molto ad Estelle ed a Coco, ricambiati. Coco e Guillaume, poi, erano inseparabili.

Estelle mise sul fuoco il bricco per il tè e raccontò a Constance tutta la storia, escluso il particolare dell’anello. Constance ascoltò stupita ed interessata, e quando il racconto finì esclamò:

“Una maschera? Beh, ma chère, non si può negare che questo tuo misterioso signore abbia portato una bella ventata di novità in questo piccolo e sonnacchioso paesino di campagna!”

Risero entrambe, ma poi Estelle le rivelò ciò che quella maschera nascondeva. Il sorriso scomparve dal viso di Constance.

“Oh povera anima! E tu pensi che questa “Christine” lo abbia respinto per questo? Che donna insensibile!”

Estelle sorrise: quello era un argomento che stava molto a cuore alla sua amica.

“Non tutte le persone sono come te e Pierre, Constance”.

Constance sorrise, ma con malinconia: “Sai come la penso Estelle: quando si ama veramente, si può superare ogni difficoltà. Il potere dell’amore è il più grande che ci sia.”

“Hai ragione, Constance”.

“Ad ogni modo, Coco mi ha detto che il tuo paziente ha una brutta tosse, perciò ho pensato di portarti il mio famoso unguento di erbe: ha un potere calmante e lenitivo, sarà utile anche per la pelle arrossata dagli impacchi”.

“Grazie, Constance, sono certa che gli farà bene. Sta già meglio, se la febbre calerà stanotte, domani mattina dovrebbe riuscire ad alzarsi in piedi. Ah, Constance…..

“Sì?”

“Ti prego, non raccontare in giro questa storia, dillo solo a Pierre. Non so perché, ma sono certa che quest’uomo nasconda qualche segreto, e non voglio che si scateni intorno a lui una curiosità morbosa come accadde con me, anche se io non avevo nulla da nascondere”.

“Hai ragione. Sarò muta come una tomba” disse Constance, con un’aria di mistero che fece ridere di cuore Estelle.

Le due donne continuarono a chiacchierare mentre sorseggiavano il tè.

Nel frattempo, Coco era seduta sulla sedia a dondolo in veranda, le bambole abbandonate in grembo, lo sguardo perso nel vuoto: dalla finestra aperta aveva sentito tutto quello che Maman e Constance si erano dette, e ne era rimasta turbata. Maman aveva parlato di “un’orribile piaga, simile ad un’ustione” riferendosi al bel Principe ed alla sua maschera: non era certa del significato di quelle parole, ma sapeva di averle già sentite da qualche parte. Risoluta, decise che avrebbe chiesto a Maman di spiegarle tutto: del resto, lei aveva trovato il Principe, e se non fosse stato per lei probabilmente sarebbe morto!

Sì, anche Coco aveva il diritto di sapere.

Cap. 6

Constance salutò Estelle ed uscì dalla porta. Sulla veranda incontrò Colette che fingeva di giocare con le bambole.

“Au revoir, Coco!”

“Au revoir, Madame Constance! Posso venire a giocare con Guillaume, domani?”

“Ma certo, cherie! Quando vuoi!” rispose Constance, e si avviò cantando verso casa.

Era ormai pomeriggio inoltrato: il sole cominciava a scendere all’orrizzonte e tingeva di rosa piccole nubi che si stagliavano contro l’azzurro del cielo. Coco si accorse che nella concitazione di quell’emozionante giornata non avevano pranzato, ed il suo pancino cominciò a gorgogliare rumorosamente. Indi tornò in casa.

“Maman, ho fame”

“Hai ragione tesoro, scusami. Siediti a tavola, ti preparerò pane e marmellata con un po’ di latte.”

La bimba mise due cuscini sulla propria sedia e vi si arrampicò sopra, mentre la mamma portava in tavola un bel panino dolce con marmellata di lamponi ed un bicchierone di latte.

“Ecco qua. Mangia pure, io devo tornare di là a cambiare l’impacco al signore.”

La bambina si gettò famelica sulla gustosa merenda; intanto pensava a come formulare la fatidica domanda.

Estelle ritornò dalla camera da letto.

“Maman, come sta il Principe?”

“Meglio, ma tossisce ancora molto, per cui non è bene che tu gli stia vicino. Comunque, se la febbre passerà entro stanotte, domani mattina dovrebbe potersi alzare dal letto, ed allora potrai chiedergli chi è e dov’è il suo castello! “

Colette non reagì alla provocazione di sua madre, ma continuò a fissare il piatto vuoto con aria pensosa.

“Cosa c’è, Coco?”

La bimba alzò timidamente lo sguardo.

“Maman……cos’è una piaga?

Estelle trasalì.

“Coco, hai origliato mentre parlavo con Constance? Quante volte ti ho detto che è da maleducati?”

“Non ho fatto apposta! La finestra era aperta…..e poi voglio sapere! Ho trovato io la barca!”

Aveva un’espressione così seria che Estelle non ebbe il coraggio di sgridarla. Sospirò e si sedette sulla poltrona vicino al camino. Era giusto che sua figlia sapesse. Era una bambina molto intelligente per la sua età, ed avrebbe certamente compreso. E poi, prima o poi l’avrebbe visto, quindi sarebbe stato opportuno prepararla. Invitò la bimba a sedersi sulle sue ginocchia, e Coco obbedì prontamente.

“Maman, perché il Principe porta la maschera?”

“Perché ha una brutta ferita, Coco. Hai presente il papà di Guillaume? Ti ho raccontato cosa gli è successo.”

Colette annuì.

“Ecco, non ne sono certa, ma credo che al viso del Principe sia accaduta la stessa cosa.”

Il visetto di Colette si rattristò. Due grossi lacrimoni le colarono sulle guance.

“Ma è……sembra così bello….” Disse con voce rotta.

“Lo so, Colette. Ma cosa ti dice sempre la mamma riguardo alla bellezza?”

“Che….che la vera bellezza è quella che risiede nel cuore.”

“Esatto, mon ange. E tu vuoi bene allo zio Pierre, non è vero?”

“Sì, tanto….”

“E quindi continuerai a voler bene al Principe, anche se non è bello come ti sembrava?” disse asciugando le lacrime della bimba.

Coco tirò su col naso. “Sì, Maman,” rispose convinta.

“Brava piccola. Sapevo che avresti capito. Sei un vero tesoro.” E le stampò un sonoro bacio sulla fronte. La bimba emise un risolino di felicità, ed abbracciò stretta stretta la sua adorata mamma.

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Giunse la sera.

Terminata la cena, Estelle mise a nanna Coco e finì di lavare i piatti.

Aveva molto lavoro da fare: la mattina seguente avrebbe dovuto consegnare a Madame DeGuy il suo abito da pomeriggio accomodato, e doveva ancora finire di cucire i polsi.

Ma prima, c’era un malato che necessitava delle sue cure.

Tornò nella camera da letto, e cambiò la pezza umida sulla fronte del paziente. La febbre si era alzata ancora verso sera, ma Estelle sapeva che ciò era normale.

La sua tosse si era fatta da secca e stizzosa ad umida, e questo era un buon segno: l’infezione ai polmoni evidentemente non era grave, e si stava sfogando. Era di costituzione sana e forte, e sarebbe completamente guarito in poco tempo.

Estelle versò alcune gocce di laudano nel bicchiere, e lo fece bere, senza che lui aprisse gli occhi o dicesse qualcosa, ancora stordito dalla febbre.

Quindi, lo scoprì fino alla vita per cambiargli l’impacco. Il calore del medicamento gli aveva portato giovamento, ma aveva irritato la pelle.

La donna trovò la pomata lenitiva di Constance, ne prese una piccola quantità ed iniziò a spalmarla con movimenti circolari sul petto dell’uomo. L’unguento aveva un inebriante profumo di fiori, ed il delicato massaggio di Estelle sembrò dare immediato sollievo al paziente, il quale trasse un lungo sospiro.

Lo guardò: aveva gli occhi chiusi, la bocca semi aperta per respirare meglio, le labbra dischiuse. Estelle le trovò stranamente…..invitanti, ed una sensazione a lungo dimenticata scorse lungo la sua spina dorsale. Le sue mani indugiarono sui pettorali scolpiti dello sconosciuto, e sul suo addome muscoloso. Aveva davvero un corpo perfetto, pensò. Non aveva più toccato un uomo da due anni, cioè da quando…..

Il ricordo la trafisse come una spina nel cuore.

“Che sto facendo?” pensò, e ricoprì prontamente l’uomo con le coperte.

Scosse la testa, come per cacciare un pensiero indesiderato, e tornò in cucina per dedicarsi al suo urgente lavoro. Si lavò le mani e tirò fuori gli aghi e gli strumenti per il cucito.

All’improvviso, le venne un’idea.

Prese l’abito da finire ed il cestino da lavoro e tornò in camera.

Si sistemò sulla poltrona a lato del letto ed iniziò a cucire il primo polsino. Ogni tanto alzava lo sguardo per controllare il malato.

In quel momento, le sembrò di essere meno sola.

Cap. 7

Il nuovo mattino spuntò azzurro e luminoso.

Gli usignoli cantavano con gioia il loro saluto al giorno nascente.

I caldi raggi solari facevano capolino dalla finestra ed accarezzavano con dolcezza il viso di Erik.

Si svegliò da un sonno senza sogni e rimase a lungo immobile senza aprire gli occhi, la mente ancora annebbiata. Con calma, cercò di riordinare i propri pensieri…..ricordò la bella voce di Christine mescolata alla sua in un canto d’amore e passione, le sue mani che gli strappavano la maschera dal volto, l’incendio, la corsa verso i sotterranei, l’arrivo di Raoul, la morbidezza delle labbra di lei contro le sue….poi la sua disperazione, gli specchi in frantumi, il desiderio di morte, la fuga dai gendarmi, la barca, la pioggia…….la pioggia. La sensazione di freddo ed umidità lo fece rabbrividire, ma poi realizzò di trovarsi al caldo e all’asciutto, sdraiato in un comodo letto. Si rese conto di essere completamente nudo, e la sensazione delle morbide lenzuola di cotone sulla sua pelle era piacevole. Esalò un lungo sospiro.

“Sono vivo” realizzò, anche se sentiva dolore in tutte le membra ed i suoi polmoni erano oppressi da un peso fastidioso.

Finalmente, aprì gli occhi e si guardò intorno. Rimase attonito per lo stupore.

La stanza dove si trovava era piccola e modesta, ma arredata con gusto: le pareti erano bianche e pitturate di recente e vi erano appesi piccoli quadretti ad acquerello rappresentanti alberi e paesaggi agresti; tende azzurre squisitamente ricamate pendevano dalle finestre, ed un vaso pieno di freschi fiori di campo ravvivava il semplice tavolo di legno scuro contro la parete opposta al letto di ferro battuto.

Erik girò lo sguardo dall’altro lato, e ciò che vide gli tolse il respiro: su una poltrona accanto al letto giaceva, addormentata, la donna più bella che avesse mai visto. Doveva avere al massimo venticinque anni: i suoi lunghi capelli erano di un luminoso color castano dorato e le ricadevano lisci e lucidi come la seta sulle spalle. Incorniciavano un viso dall’ovale perfetto: gli occhi chiusi erano ornati da lunghe ciglia, la piccola bocca sembrava un bocciolo di rosa. Indossava una camicetta moderatamente scollata, ed Erik notò il candore della pelle ed il collo di cigno. La testa era reclinata da un lato con grazia inconsapevole, il seno di alzava ed abbassava regolarmente nel sonno, le mani dalle dita lunghe ed affusolate abbandonate in grembo. Sembrava una Madonna di Raffaello che Erik aveva visto in una chiesa di Roma molti anni prima, durante uno dei suoi avventurosi viaggi in giro per il mondo.

Rimase a guardarla incantato per un lungo minuto. Poi la pressione nei suoi polmoni si fece insostenibile, e la tosse gli squassò il petto.

Estelle si svegliò improvvisamente e lo vide tossire. Subito riempì un bicchiere d’acqua e lo fece bere.

L’accesso di tosse finì ed Erik si accasciò di nuovo sui cuscini, cercando di respirare regolarmente.

“Vi siete svegliato. Come vi sentite?”

Erik la guardò. I suoi occhi erano di un blu così intenso da far quasi male alla vista.

“Acciaccato, ma vivo….”

Estelle sorrise. Gli posò una mano sulla fronte, e notò con piacere che era sfebbrato. La sua mano era così morbida e gentile, ed Erik non potè evitare di chiudere gli occhi al suo tocco. A quel contatto, però, si accorse di essere privo della maschera. La sua reazione improvvisa colse Estelle di sorpresa: si mise a sedere di scatto, respingendola, e si coprì il lato destro del viso con la mano. La donna lo guardò stupita: i suoi occhi avevano il colore della giada, così intensi che la fecero quasi rabbrividire. Nel suo sguardo vi erano paura e stupore, la sua bocca distorta in una smorfia, i muscoli del tronco contratti in una posizione di difesa, come un animale braccato.

Estelle cercò di rassicurarlo parandogli con dolcezza:

“Se cercate la vostra maschera, è sul comodino accanto al letto” disse indicandola con la mano.

Erik si girò e vide la maschera appoggiata sul mobile, vicino alla boccetta del laudano. Il suo animo fu scosso da sentimenti contrastanti. Quella donna bella come un angelo lo guardava con preoccupazione, ma non sembrava affatto turbata dalla sua orribile deformità.

“Non è possibile. Sono morto, e questo è il Paradiso. Ma come può un essere dannato come me trovarsi in Paradiso?” pensò, sconvolto, poi la ragione tornò: no, era vivo e vegeto, e quello non era un sogno, ma una strana, inaspettata e spaventosamente piacevole realtà.

Afferrò la maschera e fece per indossarla, ma la voce della donna lo fermò:

“E’ bene che non la mettiate: potrebbe rendere il vostro respiro difficoltoso, ed i vostri polmoni non sono ancora guariti. E poi, con me non ne avete bisogno” disse con un sorriso così dolce che Erik sentì le lacrime salirgli agli occhi.

Rigirò la maschera tra le mani. Poi alzò lo sguardo e chiese timidamente:

“Chi siete? E…. dove mi trovo?”

“Mi chiamo Estelle Delpy e questa è la mia casa. Ieri mattina mia figlia vi ha trovato svenuto e fradicio in una barca in riva al fiume. Avevate la febbre molto alta, e siete rimasto incosciente. Ho cercato di curarvi meglio che ho potuto, e vedo con piacere che oggi vi sentite meglio, Monsieur……”

“Erik. Mi chiamo Erik.”

Cap. 8

“Erik. Mi chiamo Erik.”

Cercò di ricomporsi e, consapevole della propria nudità (e decisamente imbarazzato), si sdraiò di nuovo sui cuscini ricoprendosi con le lenzuola.

Estelle gli sorrise incoraggiante: quest’uomo sembrava così solo e spaventato, e lei voleva rassicurarlo.

“Enchantèe, Monsieur Erik. Perdonate il mio ardire, ma posso chiedervi da dove venite e cosa ci facevate tutto vestito elegante e bagnato fradicio in una barchetta?”

Formulò la domanda in tono scherzoso nel tentativo di metterlo a suo agio, ma ottenne l’effetto contrario: lo sguardo di Erik si rabbuiò e gli angoli della sua bocca si incurvarono in una smorfia.

“Io….sono di origini scandinave, ma vivo qui a Parigi da molti anni, ormai……”

Estelle sgranò gli occhi. Erik colse la sua espressione e la guardò con aria interrogativa.

“Questa non è Parigi, Monsieur. Siamo in aperta campagna, poco lontano da St. Germain”

Erik trasalì. St. Germain? Questo significava che…..aveva navigato un’intera notte sulla Senna e senza rendersene conto era finito così lontano……..

Estelle notò il suo sguardo perso nel vuoto: gli prese delicatamente una mano tra le sue e chiese con calma:

“Ve la sentite di raccontarmi cos’è successo, Monsieur Erik? Qui non avete nulla da temere.”

Erik volse lo sguardo verso di lei: nei suoi occhi vide bontà e comprensione, e sentì un peso levarsi dal suo cuore. Certo, non poteva raccontarle tutta la verità, ma quell’angelo lo aveva salvato e curato con amore quasi materno, un amore che lui non aveva mai conosciuto. Esalò un lungo sospiro.

“Ecco, io……volevo uccidermi.”

Estelle trasalì.

“Amavo una donna. Una creatura giovane e splendida alla quale ho dedicato la mia vita e la mia arte………ma lei mi ha respinto, perché spaventata dal mio viso deforme e perché innamorata, ricambiata, di un visconte giovane e bello, suo amico d’infanzia. Ho cercato di separarli……l’ho rapita, tentando di costringerla ad amarmi, ho minacciato di uccidere il mio rivale imponendole un ricatto d’amore……poi, infine, compresi la mia pazzia, e li lasciai andare. Ma io mi sentivo perduto. Bruciai la mia casa e distrussi tutto ciò che avevo di più caro, poi decisi di gettarmi nella Senna……ma qualcosa mi trattenne, forse la paura…..presi la barca e…..non ricordo altro.”

Lo straniero tacque.

Estelle si sentì stringere il cuore, e provò una gran pena per lui: mentre parlava, nei suoi splendidi occhi verdi vi erano una solitudine ed una tristezza così profonde da superare la disperazione……..era la tristezza della rassegnazione, di chi non aveva più nulla per cui valesse la pena gioire o lottare. La donna comprendeva bene quel sentimento: anch’ella aveva provato la stessa disperazione, tempo addietro.

Gli strinse leggermente la mano tra le sue:

“Vi capisco, Monsieur. Anch’io so cosa significa perdere ciò che si ama di più.”

Erik la guardò supito; notò che portava la fede, ma non fece domande.

Estelle continuò:

“Non dovete lasciarvi abbattere. Posso dirvi per esperienza che c’è sempre qualcosa per cui vale la pena vivere. Non siete più solo. Ora siete tra amici: resterete qui finchè sarete completamente guarito, ed io vi aiuterò.”

Erik sospirò: la testa gli doleva fortemente, ma trovò la forza per parlare.

“Grazie, Madame Delpy. Siete un angelo, ed io non merito la vostra gentilezza.”

Estelle notò la sua stanchezza.

“Ogni uomo merita di essere amato, Monsieur Erik. Ma ora è meglio che dormiate un po’: tirerò le tende perché possiate riposare meglio.”

Si alzò dalla poltrona raccogliendo l’abito finito ed il cestino da lavoro che ancora le giacevano in grembo, chiuse le persiane delle finestre per schermare la luce del sole, ed uscì.

Erik sospirò ancora una volta. Non poteva ancora credere a quanto era successo…..ripensò a Christine, la sua amata, odiata, idealizzata Christine:

“Ora sarà felice, tra le braccia del suo innamorato….”

Il pensiero gli trafisse il cuore: pensò a quanto fosse stato pazzo ed egoista nel volerle imporre il suo amore, quell’amore che lui era andato cercando per tutta la vita.

Prima di addormentarsi, le parole di Estelle risuonarono nella sua mente:

“Ogni uomo merita di essere amato…….”

Cap. 9

Estelle camminava di buon passo sulla strada maestra, di ritorno dalla villa di Madame DeGuy. L’anziana signora era rimasta molto soddisfatta del vestito accomodato, e le aveva commissionato altri due abiti per le sue nipoti.

Era felice: con i soldi guadagnati avrebbe comprato un bel regalo a Coco, e magari anche un cappello per sé. Era passato molto tempo dall’ultima volta che si era concessa un capriccio, e pensava di meritarselo!

La campagna era un tripudio di colori: i fiori di campo riempivano l’aria di un dolce profumo, e gli alberi di mele erano stracarichi di frutta ancora acerba, ma promettevano un succoso raccolto. Il verde tenero delle foglie le ricordò gli occhi del suo misterioso ospite, ed il suo pensiero si rivolse ad Erik: quell’uomo doveva aver sofferto davvero molto nella sua vita, più di quanto lei potesse immaginare. Non poteva dimenticare la sua reazione quando si era accorto di essere privo della maschera: nei suoi occhi vi erano un dolore ed una paura tali da farlo assomigliare ad un felino ferito davanti al cacciatore.

Il racconto che aveva fatto, poi, le aveva quasi spezzato il cuore: dedicare la propria esistenza alla donna amata per poi venirne respinto, decidere di farla finita……sembrava quasi una storia da libretto d’opera, come quelle che rappresentavano all’Opera Populaire quando lei era bambina e che la facevano piangere per la commozione, tanto erano struggenti.

Non era in grado di spiegare come e perché, ma quell’uomo, anche se non lo conosceva affatto, l’aveva colpita profondamente: si sentì in dovere di aiutarlo a guarire non solo nel corpo, ma anche nell’animo.

Cap 10

Pityful creature of darkness

What kind of life have you known?

God gave me courage to show you

You are not alone!

Christine era lì davanti a lui, bellissima e pura nel suo abito nuziale: lo guardò sorridendo, le sue mani gli accarezzarono il viso, le sue labbra si dischiusero per baciarlo…….

“Diavolo! Il figlio del diavolo” il viso di Christine era scomparso, ed la suo posto c’era il volto butterato del suo carceriere zingaro.

“Sei e sempre sarai un mostro! Il figlio del diavolo!”

Erik poteva sentire il suo fiato sulla faccia, l’acre puzzo di alcol che gli bruciava le narici…..

“No! Nooooooo!”

“No!”

Erik si svegliò di soprassalto, ansante, il cuore che batteva all’impazzata. Si coprì il viso con le mani, cercando di respirare lentamente per calmare il cardiopalmo. Quei maledetti incubi lo avevano perseguitato per tutta la vita, e adesso si era aggiunto anche il ricordo di Christine.

“Troverò mai la pace?” pensò, ma senza speranza.

Un improvviso raggio di sole gli accarezzò la fronte. Qualcuno aveva aperto le persiane, e la luce del mattino inoltrato entrava trionfante nella stanza.

Erik alzò lo sguardo, e per la seconda volta quel giorno credette di essere morto e di trovarsi in Paradiso.

Accanto a lui c’era un angelo. Più che un angelo, era un putto. Ma non aveva ali…..

Erik sbattè le palpebre, incredulo. Poi realizzò che si trattava di una bambina, ma dalle fattezze così perfette da sembrare davvero una creatura celeste: doveva avere quattro o cinque anni, il visetto paffuto era incorniciato da lunghi boccoli del colore dell’oro più puro, i suoi grandi occhioni avevano il colore del cielo nelle sere di primavera…….

“Sono gli occhi di Estelle” notò.

La bimba lo guardava con seria curiosità, ferma in piedi con le mani dietro la schiena.

Lo osservò per un buon minuto. Erik vide che lo stava studiando con attenzione, e nonostante fosse privo della maschera, la bimba non sembrava assolutamente impaurita dalla vista del suo viso piagato.

“Com’è possibile che non abbia paura di me?” pensò, quasi sconvolto.

Finalmente, la bimba sfoggiò un timido sorriso e chiese piano piano:

“Voi siete un Principe?”

Erik rimase così stupito da quella domanda che la fissò a bocca aperta per qualche secondo.

“Ehm…….veramente……..no.”

Il bel visetto della bambina assunse un’aria così delusa che Erik si sentì quasi in colpa.

“E allora chi siete?”

“Io……ehm…..mi chiamo Erik. E…posso sapere il vostro nome, ma jolie Mademoiselle?” chiese con tono galante.

La bimba sorrise e rispose con aria civettuola.

“Il mio nome è Colette, ma tutti mi chiamano Coco. Vi ho trovato io nella barca, giù al fiume.” disse giocherellando con l'orlo del grembiulino.

“Oooh, allora sei tu la mia salvatrice!” e le offrì la mano. Lei gli porse la sua manina, e lui le fece un baciamano da vero signore.

“Merci, ma Princesse.”

Coco arrossì di piacere e ritrasse la mano con un risolino, nascondendola dietro la schiena con finto imbarazzo.

Era così graziosa che Erik non potè fare a meno di ridere.

“Se non siete un Principe, allora cosa siete?” chiese con garbo.

“Io….sono un musicista.”

“Oooohhhhh, io amo tanto la musica! Da grande vorrei fare la cantante, sapete?”

“Davvero?”

“Sì, ma Maman dice che per diventare davvero brava devo studiare tanto, e con un buon maestro……voi mi insegnereste a cantare?”

Erik si sentì a disagio. La sua ultima (e unica) allieva era certamente diventata un grande soprano, ma le cose tra loro non erano andate esattamente come lui aveva sperato.

“Ecco, io…..non insegno più”

“Ooooh, che peccato.” La delusione tornò ad adombrare il faccino di Coco, e stavolta Erik non potè sopportarlo.

“Però potrei cambiare idea……vedremo quando sarai un po’ più grande, va bene?”

La bimba si illuminò tutta.

“Ooooooh grazie!” E gli strinse la mano tra le sue.

Erik era stupito: non aveva mai avuto a che fare con dei bambini, e la sua infanzia era stata talmente terribile che lui stesso non aveva mai saputo cosa significasse esserlo veramente; ma questo piccolo angelo aveva un sorriso così bello e sincero che gli scaldò il cuore nel petto.

Cap. 11

“Coco! Coco!, Dove sei?”

Estelle aprì la porta, vide Coco nella stanza del malato e le sue sopracciglia si incurvarono pericolosamente.

“Colette, cosa ti avevo detto? Il signore ha una brutta tosse e potrebbe passarti i germi! E poi ti sembra educato venire a disturbarlo?”

La bimba si fece tutta rossa e rispose:

“Ma Maman, gridava nel sonno, io volevo aiutarlo!”

Estelle guardò Erik, preoccupata. Lui si schiarì la voce, imbarazzato:

“Ho avuto un incubo, e mi sono svegliato di soprassalto….E Colette è stata molto gentile e premurosa.” Disse regalandole un sorriso complice che Coco ricambiò.

Estelle capì, e il suo sguardo si addolcì.

“Va bene, Coco, ma ora è meglio che tu esca. Perché non vai a scaldare l’acqua per riempire la vasca? Monsiur Erik vorrà fare un bagno.”

La bimba annuì obbediente.

“A dopo, Monsieur Erik!” ed uscì.

Estelle si girò verso di lui:

“Spero che non via abbia recato disturbo….è una bambina molto curiosa.”

“Oh no, è deliziosa. Sembra un piccolo angelo. Ed ha i vostri occhi.”

La sua ammirazione era sincera, ed Estelle lo ringraziò con un sorriso.

“Come vi sentite?”

“Molto meglio, grazie. I miei polmoni sono doloranti, ma sento che passerà presto.”

“Mi fa piacere. Ho lavato i vostri abiti, ma sono ancora bagnati. Cercherò qualcosa di adatto a voi tra i vestiti di mio marito, mentre farete il bagno. Forse vi andranno un tantino stretti, ma per oggi dovrete accontentarvi.”

“Vi ringrazio. Dov’è vostro marito?”

A quella domanda Estelle sì irrigidì, ed un’ombra passò nei suoi occhi blu. Erik lo notò, e la guardò con apprensione.

“Io….sono vedova.”

“Oh….io….mi dispiace. Vi chiedo perdono. Non intendevo essere indiscreto.”

“Non importa, non potevate saperlo. Vado a vedere se il vostro bagno è pronto. Nel frattempo, potete coprirvi con questo plaid” indicò la coperta piegata su una sedia ed uscì.

Erik si soffermò a pensare: era vedova.....anche lei aveva perduto il grande amore della sua vita, per questo sembrava comprenderlo così bene. Provò un grande dispiacere per lei e per Coco: non poteva concepire che due creature così belle e buone potessero soffrire.

"Il dolore è per i malvagi, gli assassini, i mostri....come me."

La stanza da bagno era molto piccola, ma confortevole. Anch’essa era arredata con mobili semplici come la camera da letto, ma le tendine ricamate, la composizione di fiori secchi sul davanzale della finestra ed i disegni a carboncino rappresentanti figure femminili al bagno appesi alle pareti denotavano un gusto molto femminile ed una ricercatezza estetica che colpirono piacevolmente Erik.

Si immerse nella vasca: la temperatura dell’acqua era perfetta, ed il profumo di rosa dei sali da bagno inebriante.

Erik appoggiò il capo all’indietro, chiuse gli occhi e si rilassò, inspirando la dolce fragranza. La rosa era sempre stato il suo fiore preferito; da esteta qual era, lo considerava il fiore perfetto: per la dolcezza del profumo, la bellezza della forma, la ricchezza della fioritura, la delicatezza dei petali. Prediligeva quelle rosse come il sangue perché pensava che si intonassero perfettamente con la sua natura passionale. Per questo ne aveva regalate tante a Christine: il rosso della passione nei petali del fiore, il nero del mistero e della notte nel nastro di velluto nero che la cingeva. Ma la sua amata non aveva colto la metafora: lei avrebbe dovuto essere la rosa, lui il nastro, legati in un nodo d’amore indissolubile…..ma quel nodo era stato sciolto. Da lei. Per sempre.

“Devo dimenticarla…….dimenticarla o morire”.

Queste erano le uniche due alternative possibili. Ma se fino a due notti prima la morte gli era sembrata la soluzione migliore, i bizzarri accadimenti delle ultime ore gli avevano fatto quasi cambiare idea; il Fato aveva voluto che incontrasse quella donna e sua figlia, due angeli che lo avevano accolto con tale gentilezza e semplicità da lasciarlo totalmente confuso: forse la vita non gli aveva riservato solo dolore ed amarezza…..forse, da qualche parte nel mondo, poteva esserci un po’ d’amore anche per lui.

Improvvisamente, Erik sentì la corazza di rabbia e disillusione intorno al suo cuore incrinarsi e, dopo tempo immemorabile, un piccolo, flebile barlume di speranza farsi strada nel suo animo.

Cap. 12

Estelle tornò in camera ed aprì il baule dove, due anni prima , aveva riposto gli abiti di Jacques, accuratamente lavati, stirati e piegati in fogli di carta velina. Li tirò fuori e li appoggiò sul letto con cura, ed un’ondata di nostalgia la travolse. Accarezzò lievemente quella che era stata la sua camicia preferita: era di foggia semplice ma raffinata, di un bel colore azzurro, e l’aveva cucita lei stessa con tutto il suo amore. Estelle ricordava ancora con quanta cura aveva scelto la stoffa, un morbidissimo lino delle Fiandre, e le risate di Jacques mentre lei gli faceva il solletico con la scusa di prendergli le misure……

Il loro matrimonio era durato solo quattro anni, ma era stato così felice…..si erano amati con tutta la tenerezza e la spensieratezza della gioventù: tra loro c’era una grande complicità, un’intesa perfetta, ed anche se non c’era mai stata una passione travolgente, di quelle da togliere il fiato come nei romanzi che leggeva Constance, Jacques ed Estelle erano legati da un affetto sincero e profondo. Estelle senti le lacrime salirle agli occhi al ricordo della sua gioia quando gli aveva annunciato trionfante che sarebbe diventato padre, e del suo orgoglio commosso la prima volta che aveva preso in braccio Colette, un frugolino con i grandi occhi blu di sua madre ed i capelli biondissimi di suo padre.

Estelle si asciugò una lacrima. Aveva giurato a se stessa che avrebbe dimenticato il passato, per il bene di Colette. Scosse la testa per cacciare via quei pensieri tristi, e scelse alcuni abiti che pensava potessero andare bene ad Erik. Aveva la stessa alta statura di Jacques, ma era più muscoloso. Li piegò, si alzò e si diresse verso la stanzetta da bagno.

Bussò alla porta:

“Monsieur Erik? Ho trovato dei vestiti che dovrebbero andarvi bene, li metto qui sulla sedia accanto alla porta" quindi aprì l’uscio quel tanto che bastava per appoggiare gli abiti sulla sedia. Dall’interno giunse un “grazie” lievemente imbarazzato, ed Estelle arrossì all’idea di quel pezzo d’uomo completamente nudo immerso nella sua vasca da bagno.

Si diede uno schiaffo su una guancia vergognandosi di se stessa: solo pochi minuti prima aveva pianto al ricordo del suo defunto marito, ed ora si permetteva di formulare pensieri lascivi su un uomo che conosceva appena! Però non poteva negare di provare una sorta di attrazione verso di lui……anche se non capiva bene di che tipo di attrazione si trattasse.

Erik uscì dalla vasca e si asciugò, poi si legò un asciugamano intorno alla vita: quel bagno caldo lo aveva rigenerato, contribuendo ad eliminare le tossine dal suo corpo e a dare sollievo alle sue membra doloranti, tuttavia si sentiva ancora debole: fu colto da un accesso di tosse, e fu costretto ad espettorare violentemente in un fazzoletto: la bronchite si stava sfogando, ma la sensazione del muco nei polmoni era decisamente fastidiosa.

Esaminò gli abiti piegati sulla sedia: erano di foggia semplice ma di ottima fattura, ed immaginò che li avesse cuciti Estelle. Notò con piacere che erano della sua misura, solo leggermente aderenti. Si vestì ed uscì dal bagno per andare a ringraziare la sua premurosa ospite.

La casetta era piccola ma accogliente: era composta da una luminosa cucina, la camera da letto di Estelle, una cameretta per Coco e le stanza da bagno.

Erik trovò Estelle in cucina mentre trafficava con la pentola sul fuoco: era quasi ora di pranzo.

Lei si girò e non potè trattenere un sorriso. Gli abiti che gli aveva portato gli stavano a pennello: i pantaloni scuri di fustagno erano leggermente stretti ma mettevano in risalto la muscolatura delle sue lunghe gambe, la camicia bianca di cotone gli illuminava il viso e la giacca di lana di un bel verde muschio faceva risaltare i suoi occhi. Estelle si sentì decisamente soddisfatta: del resto, il suo talento di sarta (ed il suo buon gusto) erano ben conosciuti quando viveva a Parigi.

La sua soddisfazione si trasformò in preoccupazione quando lo vide piegarsi in avanti. La differenza di temperatura tra la stanza da bagno e la cucina rinfrescata dall’aria che entrava dalla finestra aperta causò un violento giramento di testa ad Erik, che si sentì mancare. Le sue deboli ginocchia cedettero, ma Estelle lo prese prontamente tra le braccia, evitando di farlo cadere a terra. Erik si aggrappò a lei, serrando gli occhi nel tentativo di recuperare l’equilibrio. Per un attimo, entrambi si soffermarono inconsapevolmente ad assaporare quel contatto: Erik sentì la morbidezza dei suoi capelli di seta sul suo viso, ed il cuore di Estelle fece un balzo alla sensazione delle sue forti braccia intorno al suo corpo. Ma fu solo un momento: Estelle lo aiutò a sedersi sulla poltrona accanto al camino, ed Erik esalò un profondo sospiro.

“Perdonatemi. Mi sono sentito mancare”

“Oh, non preoccupatevi, siete ancora debole”. Estelle chiuse le finestre per evitare che la corrente d’aria potesse nuocergli.

La testa di Erik smise di girare.

“Io….vorrei ringraziarvi ancora per le vostre premure, Madame Delpy. Troverò il modo di ricambiare.”

“Non è necessario, credetemi. Per me e Coco è un piacere. E poi, questo paesino di campagna è così monotono! L’arrivo di un ospite è sempre gradito.”

“Grazie ancora, Madame.”

“Suvvia, non siate così formale! Chiamatemi pure Estelle.”

“Va bene, Estelle. Luminosa come una stella. Mai nome fu più adatto ad una fanciulla.”

Estelle lo guardò: nei suoi occhi c’era un’ammirazione sincera, e lei sentì le proprie gote farsi fuoco. Tornò a concentrarsi sulla pentola.

Cercando di mascherare l’imbarazzo, chiese:

“E così la vostra famiglia è scandinava?”

La risposta non giunse subito, e la voce suonò cupa:

“Ecco, io….non ho mai avuto una famiglia. Sono sempre stato solo.”

Lo guardò. Fissava il pavimento, ed aveva ancora quello sguardo sconsolato e smarrito. Estelle si sentì triste per lui, ed anche per se stessa. Capì di poter condividere con quell’uomo il suo grande dolore.

“Vi capisco. Anch’io avevo una famiglia, ma…….Parigi l’ha distrutta.”

Erik alzò lo sguardo su di lei, incuriosito.

Estelle continuò a guardare il focolare, mentre gli raccontava la sua storia.

Cap 13

“Sono nata e cresciuta a Parigi ventiquattro anni fa. I miei genitori lavoravano entrambi all’Opera Populaire, mia madre come sarta e mio padre come liutaio. Ho trascorso i miei primi dieci anni in quel teatro, ed è stato il periodo più bello della mia vita.”

Alla menzione dell’Opera Populaire Erik si irrigidì, ma lei non se ne accorse. Fece finta di niente, e la lasciò continuare.

“I miei genitori erano le persone più talentuose che abbia mai conosciuto: mia madre era una rinomata costumista, e le sue creazioni erano famose in tutta Parigi. Lei mi ha insegnato a disegnare e a dipingere” disse indicando i deliziosi acquerelli appesi alle pareti. Erik li guardò ammirato: erano dei piccoli capolavori, e lui sentì crescere il suo interesse verso quella donna.

“Mio padre, poi, nel suo mestiere era considerato un vero artista: giungevano richieste per i suoi strumenti persino dalla Svizzera e dall’Inghilterra.”

Erik ricordò di aver sentito parlare, molti anni prima, di un celebre liutaio di nome Delpy. In quegli anni egli non si trovava a Parigi, bensì in giro per il mondo impegnato ad apprendere tutte le arti con la maestria del suo sommo genio ed a cercare di dare un significato alla propria solitaria esistenza.

“I miei genitori mi hanno trasmesso la passione per l’arte e per la musica. Ricordo che passavo ore ed ore seduta in platea a guardare le prove delle opere; e poi, la sera della prima, me ne stavo nascosta dietro qualche quinta a spiare le signore elegantissime ed ingioiellate del pubblico……per una bambina romantica e sognatrice com’ero io, quello era il massimo della felicità.”

Erik non potè evitare di pensare a Christine: anche lei era una bambina piena di sogni e con un grande talento artistico; la ricordava ancora, piccola ed impaurita, la prima volta che le si era rivelato come l’Angelo della Musica….

“Ero una bambina felice ed amata come poche altre. Ancora oggi ringrazio il Signore per avermi concesso un’infanzia così serena e stimolante…….ma un giorno, purtroppo, tutto questo finì.”

Un’ombra di tristezza le scese sul viso, ed Erik la guardò con apprensione.

Cap. 14

“Quando avevo dieci anni, mio padre morì.”

Nella sua voce non c’era emozione, ma Erik sapeva che si stava controllando per non lasciarsi andare a quel doloroso ricordo.

“Secondo la versione ufficiale si trattò di un incidente, ma io so che non andò così.”

Estelle si pulì nervosamente le mani con uno strofinaccio.

“C’era un uomo che lavorava come addetto ai cambi di scena all’Opera Populaire. Si chiamava Buquet”.

Erik si sentì raggelare il sangue: Buquet, l’uomo che lui stesso aveva strangolato ed impiccato pochi mesi prima durante la rappresentazione de “Il Muto”.

“Costui rappresentava per me quanto di peggio potesse esserci in un uomo: era un truffatore ubriacone che molestava le ballerine, soprattutto le più giovani. Io ne ero spaventata a morte, e mia madre mi diceva sempre di stare lontana da lui.”

“Ebbene, Buquet, per pagare certi suoi debiti di gioco, aveva chiesto un grosso prestito in danaro a mio padre, che era tanto generoso da non negare il suo aiuto a nessuno.

Dopo molti mesi, però, Buquet si rifiutava di restituire i soldi, e mio padre lo minacciò di denunciarlo alla polizia.

La mattina dopo, il mio adorato papà fu trovato morto, il cranio schiacciato da uno dei pannelli mobili di scena, che solo Buquet era in grado di manovrare……ma lui esibì un alibi di ferro, sostenuto da altri malfattori come lui, suoi compagni di bevute……

La voce di Estelle si incrinò.

“Me lo ricordo ancora. il giorno del funerale venne da me, completamente ubriaco, e mi disse con quel suo sorriso beffardo: “Mi dispiace tanto per la tua perdita, piccola cara….ma se vuoi d’ora in poi sarò io il tuo paparino……” Una grossa lacrima rigò la guancia di Estelle.

“Maledetto bastardo!” fu il pensiero di Erik; non ricordava quell’avvenimento perché in quel periodo, quindici anni prima, si trovava in Persia per perfezionare le sue conoscenze di alchimia…..ma improvvisamente, l’immagine del volto di Buquet che lo guardava terrorizzato ed agonizzante mentre lui lo strangolava con il Punjab Lasso gli attraversò la mente, ed una strana sensazione pervase il suo animo: non era rimorso, non era soddisfazione, ma….giustizia.

Estelle continuò:

“Mia madre ed io ne fummo devastate. Giurammo che non avremmo mai più rimesso piede all’Opera Poulaire. Maman continuò a lavorare come sarta, insegnandomi il mestiere, per poterci mantenere….ma la morte di mio padre aveva segnato l’inizio della sua fine. Non ho mai conosciuto un uomo ed una donna che si amassero così tanto come i miei genitori, esclusi forse i miei amici Pierre e Constance; erano le due metà della stessa persona, e non potevano vivere l’uno senza l’altra. Così, mia madre andò spegnendosi lentamente, e due anni dopo morì di crepacuore.”

“Oh, Estelle….” Erik non potè trattenere il proprio dispiacere, ma lei proseguì col racconto.

“Venni affidata ad un convento di suore, dove completai la mia istruzione. Intanto, nei pomeriggi lavoravo come apprendista nella bottega di una sarta amica di mia madre, e lì perfezionai la mia conoscenza del mestiere.

Poi, quando avevo diciotto anni, conobbi Jacques.”

Il suo viso si illuminò al ricordo del marito.

“Era poco più grande di me e lavorava come mercante di stoffe insieme a suo padre. Era così buono, e gentile…….ci innamorammo quasi subito, e dopo un anno ci sposammo. Avevo ritrovato la serenità, finalmente…..ma non potevo immaginare che mi sarebbe stata tolta di nuovo dopo così poco tempo……”

Erik cambiò posizione nella poltrona, sentendosi a disagio: perché gli stava raccontando tutto questo? In fondo lui non era che uno sconosciuto….

“Un anno dopo il nostro matrimonio nacque Coco: era la cosa più bella che avessi mai visto, e Jacques ne era così orgoglioso…….ha i suoi stessi capelli d’oro” disse indicando un piccolo ritratto fotografico posto sopra il camino: raffigurava un giovane uomo dai capelli biondi e dal sorriso aperto e gioviale.

“Una sera di due anni fa, Jacques e suo padre stavano ritornando a casa dopo aver consegnato un carico di stoffe in un negozio di Montmatre: avevano con loro i soldi del pagamento, e caddero in un'imboscata tesa loro da alcuni criminali. Il padre di Jacques fu ferito a morte e lui, nel tentativo di proteggerlo, si avventò contro uno dei ladri, il quale lo accoltellò dritto al cuore….mi hanno riferito che prima di morire ha pronunciato il mio nome e quello di Coco…..”

Ora le lacrime scendevano copiosamente dagli occhi blu di Estelle.

“Volevo morire….avevo perso ciò che avevo di più caro per la seconda volta nella mia vita, ed il mio solo pensiero era di raggiungere Jacques ed i miei genitori……non mi sono uccisa solo per amore della mia piccola Coco, il mio angelo…..ma decisi di abbandonare Parigi. Fuggii da quella città maledetta che mi ha privata di tutto quello che amavo di più al mondo!”

Estelle scoppiò in un pianto dirotto: per due anni aveva trattenuto dentro di sé la rabbia e l’immensa disperazione che provava; non si era sfogata così neanche con Constance, che pure conosceva la sua storia e l’aveva tanto aiutata……non sapeva perché, ma tutto d’un tratto aveva sentito il bisogno di condividere il suo dolore con qualcuno che potesse davvero comprenderla, e per qualche misteriosa ragione che non era in grado di spiegare, nel suo cuore sapeva che questo qualcuno era l’uomo misterioso seduto sulla poltrona accanto al camino.

Erik non sopportò la vista della sua salvatrice scossa da quel pianto disperato. Si alzò e la prese tra le braccia, stringendola a sé con dolcezza. Estelle appoggiò il capo sulla sua spalla, continuando a singhiozzare. Erik le accarezzò piano i capelli, sussurrandole all’orecchio parole di conforto. Dopo qualche minuto, la donna si calmò e si staccò da lui, visibilmente imbarazzata.

Si asciugò gli occhi con lo strofinaccio e disse:

“Vi chiedo scusa…..penserete che sono una donnicciola piagnona…..”

Erik sorrise e le prese il viso tra le mani:

“No. Voi siete una donna forte che ha affrontato il dolore della vita con coraggio. Io stesso non avrei saputo reagire come avete fatto voi….”

Estelle colse nel tono della sua voce un grande rimorso.

“….ma ditemi solo una cosa. Perché vi siete confidata con me? Mi conoscete appena……”

Estelle lo guardò, ed i suoi occhi indugiarono sul lato destro del suo viso, il lato deforme:

“Perché sento che voi siete in grado di capirmi come nessun altro.”

Erik fissò i suoi begli occhi blu arrossati dal pianto, il cuore colmo di emozione:

“Sì, Estelle. Io vi comprendo pienamente.”

L’abbracciò di nuovo, ed il piccolo barlume di speranza acceso nel suo cuore si fece più luminoso e caldo.

Cap. 15

Nota: il brano musicale che viene riportato in questo capitolo è tratto dal film "Les Parapluies de Cherbourg" ed, ovviamente, al tempo in cui la vicenda si svolge non era ancora stato scritto! Comunque l'ho inserito lo stesso perchè trovo che si intoni perfettamente alla vicenda.....e poi è uno dei mei pezzi preferiti!

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Il resto della giornata passò serenamente.

Erik apprezzò moltissimo il pranzo preparato da Estelle, sia per le capacità culinarie della sua ospite sia perchè il fatto di trovarsi seduto a tavola con Estelle e Colette gli fece assaporare cosa significasse essere parte di una famiglia.

Coco, poi, era davvero adorabile: Erik trovò che fosse molto intelligente ed arguta per la sua età, e la bimba non perdeva occasione per attirare la sua attenzione in qualche modo, cosa che fece sorridere la sua mamma.

Dopo il pranzo, Estelle lo costrinse quasi con la forza a tornare a letto per riposarsi, nonostante lui giurasse di sentirsi bene. Ma lei lo guardò con un’espressione così autoritaria e severa che, alla fine, Erik dovette cedere.

Mentre giaceva nel dormiveglia, pensò che non aveva mai dormito in un letto così comodo: non che il triclinio riccamente decorato del suo rifugio nei sotterranei dell’Opera non fosse confortevole, ma tutti quegli anni di umidità avevano minato le sue ossa, e l’aria fresca ma secca della campagna gli parve un vero toccasana.

Sospirò di piacere, e finalmente si addormentò.

Quando si svegliò, era già pomeriggio inoltrato; si alzò e si rivestì, sentendosi riposato e più in forze. Dovette ammettere che Estelle aveva avuto ragione nell’insistere perché tornasse a letto.

Cercò le sue ospiti in cucina, ma non trovò nessuno.

Poi sentì dei movimenti nella veranda, e dalla finestra vide Estelle che stendeva i panni, cantando.

Erik si fermò ad ascoltarla stupefatto: aveva una voce meravigliosa. Non era una voce educata e raffinata da anni di studio come quella di Christine, ma era così calda e limpida da toccare il cuore.

Il suo orecchio assoluto gli diceva che era un mezzosoprano.

Aprì la porta ed uscì, per ascoltarla meglio. Estelle non si accorse della sua presenza, presa da quella sorta di estasi che solo chi ha la musica nell’animo conosce.

Cantava una romanza francese molto nota, che parlava d’amore e di lontananza:

Depuis quelques jours je vis dans le silence

Des quatres murs de mon amour

Depuis ton départ l'ombre de ton absence

Me poursuit chaque nuit et me fuit chaque jour

Je ne vois plus personne j'ai fait le vide autour de moi

Je ne comprends plus rien parce que je ne suis rien sans toi

J'ai renoncé à tout parce que je n'ai plus d'illusions

De notre amour écoute la chanson

Erik non potè resistere al richiamo della musica, la sua linfa vitale, l’unica cosa che lo aveva mantenuto in vita durante tutti quegli anni: si avvicinò a lei e con la sua splendida voce tenorile attaccò la seconda strofa:

Non je ne pourrai jamais vivre sans toi

Je ne pourrai pas, ne pars pas, j'en mourrai

Un instant sans toi et je n'existe pas

Mais mon amour ne me quitte pas

Estelle lo guardò rapita: non aveva mai sentito nessuno cantare così, nemmeno in tutti gli anni trascorsi all’Opera Populaire….quella non era la voce di un comune mortale, ma la voce di un angelo…..

Come ipnotizzata, senza staccare i propri occhi dai suoi, sentì la forza della musica pervaderla, e le loro voci si mescolarono in perfetta armonia nel cambio di tonalità della terza ed ultima strofa:

Mon amour je t'attendrai toute ma vie,

Reste près de moi reviens je t'en supplie

J'ai besoin de toi je veux vivre pour toi

Oh mon amour ne me quitte pas

Lui le prese le mani, e la passione del loro canto esplose nella chiusura:

Ils se sont séparés sur le quai d'un gare

Ils se sont éloignés dans un dernier regard

Oh je t'aim' ne me quitte pas.

Il canto finì, le voci si spensero, ma le loro mani non si distaccarono, così come i loro sguardi: Estelle si sentiva come se una forza sovrumana le avesse attraversato l’anima, il potere dell’Angelo della Musica le aveva dato ali magiche….per un attimo, le era sembrato di volare.

Sentì il potere occulto e straordinario di quell’uomo, un potere che le prometteva l’estasi più irraggiungibile, ma allo stesso tempo poteva farla cadere negli abissi delle tenebre.

Cap 16.

La magia si interruppe bruscamente quando Erik ricominciò a tossire. Estelle si destò come da un sogno: l’Angelo della Musica era tornato improvvisamente un comune mortale.

Lo ricondusse in casa, lo fece sedere e gli preparò una tazza di decotto di malva, che ebbe su di lui un immediato effetto corroborante.

Estelle si sedette accanto a lui, guardandolo con un misto di stupore, timore e venerazione, ancora scossa da quanto era successo tra loro pochi minuti prima. Erik alzò lo sguardo e vide l’espressione nei suoi occhi: un dolore sordo gli trafisse l’animo: era la stessa espressione che aveva visto sul volto di Christine la prima volta che le si era rivelato, portandola nel suo rifugio nei sotterranei dell’Opera. Tuttavia non potè fare a meno di sorriderle.

“Avete una bellissima voce, Estelle.”

Lo sguardo della donna si fece ancora più intenso.

“Grazie……ma voi…..voi…..cantate come un angelo…..siete l’Angelo della Musica!”

A quelle parole, il ricordo del suo orribile passato lo travolse: la fiammella della speranza si spense nel suo cuore, e l’astio e la devastazione che per anni avevano pervaso il suo animo esplosero di nuovo come un vulcano:

“No! NOOO!”

Si alzò di scatto rovesciando la sedia, e trafisse la povera Estelle con uno sguardo così carico d’odio e disperazione che le fece gelare il sangue nelle vene.

“Non osate mai più apostrofarmi in quel modo! L’Angelo della Musica non esiste! Non è mai esistito! C’è solo un mostro da cuore di tenebra!”

Estelle lo guardava terrorizzata senza capire le sue parole sconnesse.

“Voi credete di capirmi, vero? Avete sofferto, certo.” Il suo tono era astioso e sarcastico. “Ma non sapete cosa vuol dire vivere un’esistenza intera considerato come uno scherzo della natura, un fenomeno da baraccone, il figlio del demonio, rinnegato dalla mia stessa madre! Costretto a nascondermi dietro una maschera per trovare un po’ d’amore e comprensione…….Voi, con la vostra bellezza perfetta! L’orrore sul mio volto è l’immagine riflessa del mio animo! Perché non avete paura di me? Non vedete il mostro che sono?”

Le prese il viso tra le mani con forza, costringendola a fissare il suo volto devastato. I bellissimi occhi di Estelle si riempirono di lacrime, ma non erano lacrime di paura, bensì di compassione. A quella vista qualcosa s’incrinò dentro Erik: la lasciò andare, indietreggiando di un passo, tremando visibilmente.

“Perdonatemi, Estelle….io……io non volevo spaventarvi…..non volevo ferirvi…..oh Dio, cosa ho fatto…..”

Si mise le mani nei capelli, disperato, respirando affannosamente.

Estelle si sentì devastata: il dolore di quell’uomo era così grande da essere quasi palpabile……in confronto, la sua vita era stata un susseguirsi di gioie.

Gli tese una mano, senza dire niente, nel tentativo di offrirgli un appiglio dove aggrapparsi per non annegare nella disperazione. Erik colse il significato di quel gesto: lei voleva salvarlo. Lei POTEVA salvarlo. Il guscio di odio e tenebra si infranse definitivamente: Erik cadde in ginocchio davanti ad Estelle e scoppiò in un pianto liberatorio, il capo sul grembo di lei.

Pianse tutte le sue lacrime, singhiozzando violentemente, aggrappandosi a lei come un naufrago disperso nell’oceano. Estelle pianse con lui, accarezzandogli dolcemente il capo e le spalle: sentiva che il calore del loro silenzioso contatto gli avrebbe recato più conforto di mille parole.

La crisi di pianto cessò, ma Erik non ebbe la forza di staccarsi dal grembo di Estelle: per troppo tempo gli era stato rifiutata la dolcezza di un sincero abbraccio, e dentro di sé sperò che quel momento non finisse mai.

Le raccontò la sua storia: l’orribile infanzia come schiavo degli zingari, il Figlio del Diavolo, la fuga dai propri aguzzini, il suo errare per il mondo alla ricerca dell’Arte e dell’Amore. Ma mentre la sua musica nel corso degli anni aveva raggiunto i massimi livelli di perfezione, la mancanza d’amore aveva precipitato il suo animo negli abissi della solitudine e dell’odio verso i suoi simili.

Non le parlò del Fantasma dell’Opera, del suo rifugio nei sotterranei, dell’incendio del teatro, degli uomini che aveva ucciso con fredda lucidità: sentiva che la sua amica non era ancora pronta per tutta quella terribile verità.

“Oh, Estelle…..per tutta la vita ho anelato alla bellezza ed all’Amore…..ma ho ricevuto solo odio e disprezzo.”

“Erik.”

Gli sollevò il viso con le mai, ed Erik vide che aveva pianto, pianto per lui.

“Il passato non si può cancellare, né dimenticare. Voi avete sofferto ingiustamente, ed il vostro dolore è più che comprensibile. Ma ricordate che Dio distribuisce i Suoi doni secondo un disegno che spesso crediamo di non comprendere, ma se apriamo il nostro cuore a Lui, ci appare improvvisamente chiaro.”

“Voi portate un grande fardello” disse accarezzandogli dolcemente la guancia piagata “ma siete stato benedetto col dono dell’Arte. Ed attraverso la sofferenza del vostro passato potete raggiungere la perfezione, e con essa, la felicità. Ed io vi prometto che vi aiuterò ad ottenere questa felicità. Sarò la vostra amica sincera: vi sarò sempre accanto quando vacillerete sul vostro cammino, perché sento che nel vostro animo è celata la vera bellezza, e voi meritate tutto l’amore del mondo.”

E dopo queste parole gli posò un bacio sulla fronte.

Erik fu talmente sopraffatto dall’emozione che non potè far altro che posare di nuovo il capo sul grembo di Estelle e mormorare: “Grazie. Grazie, mio angelo”.

Chiuse gli occhi, ed in quel momento ebbe la sensazione che gli Angeli gli sorridessero dal cielo.

Cap 17

Quella serata fu una delle più belle nella vita di Erik.

Dopo cena, Coco gli chiese di raccontarle una storia.

“Volentieri, Colette”.

La piccola gli si avvicinò fiduciosa e fece segno di volersi sedere sulle sue ginocchia. Totalmente disarmato di fronte alla spontaneità di quel piccolo angelo biondo, si girò verso Estelle, la quale annuì con un sorriso. Così, la prese in braccio: sembrava una bambola di bisquit, tanto era bella e delicata.

Erik iniziò a narrarle le meravigliose fiabe che aveva letto durante i suoi viaggi in Oriente: la bimba lo ascoltava incantata mentre lui le parlava di splendidi palazzi pieni d’oro e d’argento, di bellissime principesse ed impavidi guerrieri armati di scimitarra, di draghi sputafuoco e maghi dagli immensi poteri.

Erik non aveva mai avuto un uditorio così attento ed appassionato. Anche Estelle, che ricamava seduta sulla sua poltrona preferita, lo ascoltava rapita.

Alfine, giunse per Colette l’ora di andare a nanna.

“Oh, per piacere Maman, ancora una storia!”

“No, Coco, è già molto tardi. Ringrazia Monsieur Erik e di’ buonanotte.”

Coco si girò verso di lui nella speranza di ottenere sostegno, ma invano.

“Maman ha ragione, ma petite mademoiselle: è ora di dormire. Ti prometto che domani ti racconterò una storia ancora più bella, va bene?”

La bambina ne rimase un po’ delusa, ma obbedì.

“Bonne nuit, Monsieur Erik, e grazie per la fiaba” gli gettò le braccia al collo e lo baciò sulla guancia sana.

Erik riuscì a stento a trattenere le lacrime: “Bonne nuit, ma princesse.”

Estelle prese la figlioletta per mano e sorrise ad Erik.

Quando tornò in cucina, dopo aver messo a letto la bimba, lo trovò ancora visibilmente commosso.

“Oh, Estelle…..è meravigliosa. Un piccolo angelo biondo.”

“Lo so. Coco è la mia ragione di vita. Senza di lei sarei perduta. Ogni giorno ringrazio il Cielo per avermi benedetto con la sua nascita.”

Erik annuì.

“Mi ha confidato che le piacerebbe studiare canto. Se ha ereditato la splendida voce di sua madre, diventerà una primadonna” le disse con un tocco di galanteria che la fece sorridere.

“Oh, la voce da primadonna non le manca, e nemmeno il carattere……” disse scherzando, ed entrambi risero di cuore.

“Voglio mostrarvi una cosa”.

Aprì un armadio e tirò fuori quella che era senza ombra di dubbio la custodia di un violino. Erik ne fu incuriosito.

“Questo l’ha fatto mio padre per me, come regalo per la mia nascita. Voleva che diventassi una violinista, ma purtroppo il Fato ha deciso diversamente.”

Aprì la custodia, ne estrasse il violino e lo porse ad Erik, il quale lo esaminò con la cura dell’intenditore quale era.

Si trattava di uno strumento dall’immenso valore. Era un vero capolavoro di artigianato musicale, ed era conservato perfettamente. Il legno della cassa armonica era pregiatissimo abete, e la tastiera ed il riccio erano squisitamente decorati, così come l’archetto. Erik pizzicò le corde e notò con piacere che erano perfette. Dovevano essere state cambiate di recente.

“L’ho conservato con ogni cura, secondo gli insegnamenti di mio padre. E’ l’unico modo che ho per mantenere viva la sua memoria.” Erik colse un’ombra di tristezza nella sua voce, e la guardò con comprensione.

“Posso?” le chiese, e lei annuì.

Grazie al dono dell’orecchio assoluto, accordò lo strumento senza bisogno del diapason.

Si mise in posizione, sollevò l’archetto, e la magia dell’Angelo della Musica scaturì nuovamente già dalle prime note.

Estelle chiuse gli occhi, lasciando che il potere dell’arte di quell’uomo straordinario le toccasse il cuore ancora una volta. Il preludio che stava suonando era triste, ed Estelle capì che si trattava di un canto d’amore negato, talmente pieno di passione e dolcezza che si sentì commuovere. Doveva averlo composto per Christine, il suo grande amore. Aprì gli occhi e lo guardò: era completamente rapito dalla sua musica, il suo corpo oscillava assorbito dall’impeto dell’esecuzione. Estelle sentì il proprio animo elevarsi col crescendo della musica, ogni nota era una parola d’amore e disperazione….calde lacrime le scesero dagli occhi lungo le guance, e dovette trattenere un singhiozzo per non rompere l’incantesimo. Il fraseggio cambiò in diminuendo, la disperazione lasciò il posto alla rassegnazione, ma le ultime note giunsero come un moto di speranza, la speranza di felicità che pervade ogni essere umano.

Il violino tacque, l’incantesimo finì.

Erik si voltò verso Estelle e vide le lacrime di commozione che le rigavano il viso: appoggiò lo strumento sul tavolo, ed il suo primo impulso fu quello di prenderle il viso tra le mani e baciare quelle lacrime che per lui erano come ambrosia, come un balsamo per le ferite del suo animo. Tuttavia si trattenne, e si limitò ad asciugarle delicatamente la guancia con il pollice.

“Oh, Erik….la vostra musica è….è meravigliosa…….”

“Vi ringrazio, ma chére. Sapere che la apprezzate è per me un grande regalo. E vostro padre era un grande artista: sono onorato che mi abbiate permesso di suonare un violino di così grande valore”.

Estelle si alzò. Ripose il violino nella custodia a la porse ad Erik.

“E’ vostro. Ve ne faccio dono.”

Lui la guardò stupito.

“Oh, no, Estelle, è il violino di vostro padre, io non posso accettarlo….”

“No, Erik. Ora è vostro. Nessuno potrà mai suonarlo come voi. Sono certa che mio padre ne sarebbe orgoglioso”.

Erik prese la custodia, commosso.

“Grazie. E’ un grande onore per me.”

Era ormai molto tardi, e si apprestarono a coricarsi. Erik insistette per dormire sulla poltrona e lasciarle la sua camera, ma Estelle non volle sentire ragioni.

“Ma vi assicuro che nella mia vita ho dormito in posti molto più scomodi!” tentò lui.

“Non se ne parla! Siete ancora convalescente, ed avete bisogno di riposare bene. Io dormirò nel letto insieme a Colette.”

“Però…..”

“Insomma! Non insistete! Sono o no la vostra infermiera?”

Erik scrollò le spalle rassegnato, ed Estelle scoppiò in una risata.

“E' così bello sentirla ridere……” pensò lui.

Raggiunsero la piccola anticamera che separava le due camere da letto.

“Bonne nuit, Erik.”

Lui le prese la mano e la baciò.

“Bonne nuit, mon ange.”

Quella notte, mentre dormiva abbracciata alla sua Coco, Estelle sognò di essere baciata da un angelo. Era l’Angelo della Musica.

Cap 18

NOTA: per la canzone vale lo stesso discorso di quella nell'altro capitolo.....del resto, è una fanfiction, no?

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La mattina dopo Estelle doveva recarsi alla villa di Madame DeGuy per prendere le misure per gli abiti delle sue nipoti.

Quando si apprestò ad uscire di casa, Erik e Coco avevano disseminato il pavimento della cucina con carta velina, bacchette di legno di salice, colla, spago e colori: Erik aveva promesso alla bimba che le avrebbe costruito il più bell’aquilone di tutta la Francia, secondo una segretissima tecnica che aveva imparato in Cina.

Estelle chiuse la porta sulla voce di Coco che rideva a crepapelle: tutti i suoi amici sarebbero diventati verdi per l’invidia! Sorrise dentro di sé: la piccola Colette sembrava andare molto d’accordo col suo “Principe”.

“Sente il bisogno di una figura paterna….” pensò. Jacques era morto quando la bambina aveva solo due anni e mezzo, e lei non ricordava nulla di suo padre. Si era affezionata molto a Pierre, che chiamava “zio”, ma Estelle sapeva che, nonostante fosse una bimba felice, la sua piccolina desiderava un vero papà tutto per sé.

Estelle sospirò: dopo la morte di Jacques non le erano certo mancati i corteggiatori, ma il dolore per quella perdita era stato così grande che lei aveva murato il suo cuore contro quel tipo di sentimenti. Ma da due giorni in quel muro si era aperta una breccia: il destino aveva voluto che un uomo misterioso e meraviglioso entrasse nella sua vita. Ma….

“Non illuderti, Estelle. Lui ama un’altra.” Cercò di autoconvincersi, ma non poteva negare di sentire qualcosa bruciarle dentro quando lui la guardava con quei bellissimi occhi dal colore del mare.

Quando verso mezzogiorno tornò a casa, la cucina sembrava reduce dal passaggio degli Unni:

“Che disordine! Qualcuno qui dovrà sistemare…..” pensò minacciosa.

Uscì dalla porta sul retro che dava su un ampio prato, e vide Coco che correva in tondo gridando di gioia mentre Erik manovrava un magnifico aquilone a forma di drago rosso e blu che si librava alto nel cielo: era legato da più fili, e le sue ali erano mobili, in modo che sembrava che le sbattesse al vento per davvero.

Estelle non potè trattenere un “Ooohhh!!!!” di stupore.

Erik si girò verso di lei e la salutò con un bellissimo sorriso.

Coco imparò subito a manovrare l’aquilone, ed Erik ed Estelle si sedettero sul prato.

“Oh, Erik, è magnifico! Non ho vai visto nulla del genere! Coco non ha mai ricevuto un regalo così bello!”

Lui la guardò con tenerezza e gratitudine.

“Era il minimo che potessi fare per sdebitarmi.”

“Non era necessario, davvero….a proposito, come state oggi?”

“Non mi sono mai sentito così bene in vita mia.”

Era vero: il suo viso aveva un bel colorito sano, le rughe di espressione sulla sua fronte erano sparite, e nei suoi occhi brillava una luce diversa; Estelle si sentì felice per lui.

Dopo il pranzo (e dopo che Erik e Coco ebbero sistemato il caos che avevano combinato), Coco chiese il permesso di mostrare l’aquilone al suo amico Guillaume.

“Va bene, Colette, ma fai sempre attenzione sulla strada, e non dare retta agli sconosciuti”

“Sì, Maman.”

La fattoria di Pierre e Constance si trovava ad un miglio scarso dalla loro casetta. Cocò salutò Erik, si mise l’aquilone sotto il braccio e si incamminò.

Estelle chiese ad Erik se aveva voglia di fare una passeggiata sulla riva del fiume, e lui accettò, ma prima volle indossare la maschera. Evidentemente non si sentiva ancora sicuro ad andare in giro senza, ma Estelle non fece obiezioni.

Presto giunsero alla piccola radura circondata da alberi vicino al salice piangente.

“La barca dove vi abbiamo trovato è proprio qui vicino” disse Estelle.

Erik rimirò incantato quell’angolo di campagna: il verde degli alberi, il profumo dei fiori, il dolce rumore dell’acqua del fiume che scorreva poco lontano ne facevano un piccolo angolo di Paradiso.

“E’ davvero un luogo incantevole” mormorò Erik.

“E’ vero. Coco ed io veniamo spesso qui.”

Si sedettero sul prato, dove l’erba formava un morbido tappeto.

Rimasero in silenzio qualche minuto, assorti nei propri pensieri, ascoltando il canto degli usignoli e il ronzare operoso delle api che succhiavano il nettare dai fiori.

Estelle si girò verso di lui, e notò che la stava guardando: era sdraiato sul fianco, la testa appoggiata ad una mano, ed aveva negli occhi una luce particolare; la mezza maschera, poi, gli conferiva un aspetto così misterioso ed affascinate che Estelle sentì ancora quella sensazione di fuoco nel profondo.

“Cantate per me, Estelle”.

La sua voce era profonda e suadente, e lei non potè far altro che obbedire.

Si girò verso il fiume ed intonò una dolce canzone d’amore che le aveva insegnato suo padre:

Se tu mi guardi in fondo al cuor vedrai

Un nome scritto con le nuvole

Che ombre disegnano di favola

Con la magia di un incantesimo

E se quel nome leggerai

La mia voce sentirai

La mia voce che ti dice t’amo, t’amo, t’amo…..

Con le parole che si spengono

Cadono mille note tenere

E per la mia felicità

Per la tua felicità

Questo incanto resterà.

Terminò il canto e tornò a guardare l’uomo accanto a lei: si era sdraiato sulla schiena, le mani incrociate dietro la testa, gli occhi chiusi. Aveva un’espressione così serena che Estelle fu certa che si fosse addormentato.

Continuò a guardarlo: era davvero bellissimo. Il lato sinistro del suo viso le ricordava la statua di un dio greco che aveva visto in un museo di Parigi, con quei lineamenti virili e volitivi, il naso dritto e ben fatto, e quelle labbra sensuali.……Estelle non potè resistere: gli si avvicinò, e tracciò lievemente il contorno della sua bocca con le dita. Sentì l’urgente necessità di baciarlo…….era stanca di essere sola, di svegliarsi ogni mattina in un letto vuoto; aveva bisogno di baci, di abbracci confortanti….ma il pudore la tratteneva: a parte lo sfogo del giorno prima, Erik si era sempre comportato da gentiluomo con lei e Coco, perciò non voleva rovinare tutto…..ma quell’uomo, col solo potere dello sguardo e della voce, riusciva a farle provare sensazioni che con suo marito non aveva mai conosciuto, nonostante l’avesse amato tanto.

Il bisogno si fece quasi doloroso ed Estelle non indugiò più: si chinò su di lui e gli sfiorò dolcemente le labbra con le proprie.

Cap 19

La dolcezza di quel contatto pervase Estelle come i primi raggi di sole dopo un lungo inverno. Fu tentata di approfondire il bacio, ma per timore si svegliarlo si staccò da lui. Indescrivibile fu il suo sconcerto quando si accorse che due bellissimi occhi verdi la stavano guardando con un misto di stupore e curiosità. La vergogna e l’imbarazzo furono tali che Estelle si alzò di scatto e pensò di fuggire lontano, ma Erik fu più svelto di lei: scattò in piedi e l’afferrò per un braccio; non poteva credere a quanto era successo: quella donna lo aveva baciato……così, spontaneamente, senza che lui se lo aspettasse…….era una sensazione così nuova per lui che per un momento si sentì disarmato.

Estelle tremava per l’imbarazzo, incapace di alzare lo sguardo su di lui.

“Estelle…..perché l’hai fatto?” Il tono della sua voce era rassicurante, ma Estelle era troppo sconvolta per replicare.

Tuttavia, trovò il coraggio di guardarlo.

Erik non ebbe bisogno di risposta: i sentimenti negli occhi di Estelle erano più espliciti di qualunque spiegazione. Erik vi lesse imbarazzo, solitudine e…..desiderio. La scoperta lo travolse come un’onda: quella donna voleva LUI, lo desiderava per quello che era veramente, nonostante il suo viso deforme, il suo passato oscuro, le tenebre del suo animo…..nessuna lo aveva mai guardato così, nemmeno Christine che, dopotutto, era stata la più vicina ad amarlo.

Il suo cuore iniziò a battere all’impazzata, ed Erik temette che gli scoppiasse nel petto.

Infine, ruppe ogni indugio: la prese tra le braccia e la baciò con tale tenerezza che Estelle sentì il desiderio di piangere. Chiuse gli occhi mentre il contatto delle loro bocche si faceva più profondo ed appassionato.

Estelle gli passò le mani tra i capelli e lo attirò più vicino a sé: il calore del suo corpo e delle sue forti braccia che la stringevano con dolcezza sciolse definitivamente il muro di ghiaccio che aveva circondato il suo cuore negli ultimi due anni.

Erik pensò che quello che stava provando fosse quanto di più vicino all’estasi: le labbra di lei erano morbide come petali di rosa, la sua lingua dolce come il miele……..sì, quello era Amore, la misteriosa forza che era andato cercando per tutta la vita e che ora, finalmente, aveva trovato nella forma di quella donna stupenda.

Le loro labbra si separarono riluttanti. I loro occhi si incontrarono, ed ognuno vide nello sguardo dell’altro la felicità che avevano anelato per lunghi anni.

Per la prima volta dopo tanto tempo, Erik ed Estelle sentirono finalmente di essere vivi.

Cap. 20

Rimasero abbracciati a lungo, in piedi in mezzo alla radura, in silenzio, lasciando parlare il battito dei loro cuori: non c’era bisogno di dire alcunchè.

Il tempo sembrava essersi fermato: entrambi ebbero l’impressione di poter restare così per sempre, l’uno nelle braccia dell’altra, senza muoversi, senza parlare, nutrendosi esclusivamente del contatto dei loro corpi, respirando la consapevolezza del sentimento che li univa.

“Maman! Monsieur Erik!”

L’allegra vocetta di Coco che li chiamava da casa li riportò alla realtà. Sciolsero l’abbraccio con riluttanza, si scambiarono un altro sguardo pieno di significato, dopodichè s’incamminarono verso la casetta. Senza che se ne accorgessero si era fatta quasi sera.

Colette era seduta sui gradini della veranda, e li accolse con un grande sorriso:

“Hallo! Dove siete stati?”

“Abbiamo fatto una passeggiata. Allora, l’aquilone è piaciuto ai tuoi amici?” chiese Erik.

“Oh sì, moltissimo! L’abbiamo fatto volare tutto il pomeriggio! Ah, Maman, zia Constance ci ha invitati a cena! Anche Monsieur Erik.”

Estelle colse immediatamente lo sguardo allarmato di Erik.

“Benissimo, Coco! Allora vai in casa a prepararti. Perché non indossi il tuo abitino nuovo, quello azzurro?”

“Oh sì! Corro!” e si precipitò in casa a farsi bella.

Erik si sentiva molto a disagio. Anni di emarginazione lo avevano reso sospettoso e misantropo, e l’idea di passare la serata con degli sconosciuti, per quanto fossero amici di Estelle e Colette, lo terrorizzava.

“Estelle, io non posso….non credo di…..”

Lei gli prese una mano tra le sue.

“Non devi proccuparti, Erik. Pierre e Constance sono i miei migliori amici e mi hanno aiutata moltissimo in questi due anni. E poi, conoscerli e parlare con loro ti farà bene, ho le mie buone ragioni per crederlo. Fidati di me.”

La dolcezza del suo sorriso dissolse le paure di Erik.

“Va bene, mon ange.”.

Poco più tardi si incamminarono verso la fattoria.

Coco si pavoneggiava tutta nel suo delizioso vestitino azzurro, che la faceva sembrare un angioletto. Erik la ricoprì di complimenti, e lei volle fare tutto il percorso tenendogli la mano, cosa che lo fece sciogliere come un ghiacciolo. Dovette ammettere con se stesso che quella piccola principessa bionda esercitava su di lui un potere che non era assolutamente in grado di contrastare, ma la cosa non gli dispiaceva affatto.

Anche Estelle si messa in ghingheri: indossava un vestito color verde acqua ricamato con un motivo di foglie. Quando Erik la vide rimase ammutolito: l’abito era di foggia semplice, adatto alla campagna, ma il colore ed il modello esaltavano la bellezza di Estelle tanto da farla sembrare una driade dei boschi. Estelle vide come la guardava e si schernì in quel modo tutto femminile e particolare che hanno le donne innamorate quando vogliono farsi notare dal proprio uomo.

Giunti a destinazione, trovarono Constance ad aspettarli sulla porta. La sua accoglienza fu così spontanea e gioviale che Erik la prese subito in simpatia, e la sua insicurezza scomparve.

“Entrate, ed accomodatevi! Oh, Monsieur Erik, vi presento mio marito, Pierre.”

Pierre si alzò dalla sedia dove era seduto e sia avvicinò loro con un gran sorriso di benvenuto.

Ma quando Erik lo guardò con maggiore attenzione, una strana sensazione di nausea e incredulità gli prese lo stomaco: il lato sinistro del viso dell’uomo era sfigurato da quella che era con ogni probabilità la cicatrice di una tremenda ustione. Ad un esame più attento, Erik notò che non solo il volto, ma tutto il braccio sinistro erano ridotti nello stesso modo.

Una serie di stranissime sensazioni gli attraversarono la mente:

“Ecco cosa prova la gente quando mi vede…….”

Tuttavia riuscì a controllare le proprie emozioni e strinse la mano destra che il suo ospite gli porgeva cordialmente.

“E’ un piacere conoscervi, Erik.”

“Piacere mio, Monsieur.”

La serata passò allegramente: Erik non ricordava di essersi mai divertito così tanto in vita sua. Estelle aveva ragione: Pierre e Constance erano due persone deliziose, ed i loro figli adorabili. Erik pensò che semmai avesse dovuto trovare una famiglia perfetta, sarebbe stata quella: l’amore, l’armonia ed il rispetto che correvano tra di loro erano palesi.

Terminata l’ottima cena, Coco chiese ad Erik di raccontare una delle sue magnifiche storie, e lui incantò (e terrorizzò) tutti quanti con un fantastico racconto di fantasmi che mandò in visibilio i bambini, i quali si rifugiarono sotto il tavolo per la paura, tra le risate degli adulti.

Si era fatto tardi, e per gli ospiti era giunta l’ora di tornare a casa.

“Oh, Maman, posso rimanere a dormire qui con i miei amici? Ti prego!” supplicò Colette.

“Per me va bene, Coco, ma devi chiederlo a zia Constance”

“Ma certo! Che domande! Forza ragazzi, tutti a nanna!” dichiarò Constance col suo solito entusiasmo, e le due donne salirono al piano di sopra per mettere a letto i bambini.

Pierre ed Erik rimasero soli in cucina.

“Un ultimo bicchiere di vino?” offrì Pierre.

“Sì, grazie.”

Mentre degustavano l’ottimo vino rosso, Erik si fece coraggio:

“Pierre, posso chiedervi come vi siete procurato quelle ustioni?”

Pierre sorrise tristemente ed iniziò a raccontare:

“Accadde circa cinque anni fa. Era estate, e diluviava come non avevo mai visto in vita mia. Didier, il mio figlio maggiore, allora aveva cinque anni, Jeannette solo due. Didier, spaventato dai tuoni, si era rifugiato nel fienile. All’improvviso, un fulmine ne colpì il tetto che prese subito fuoco. L’incendio divampò nel giro di pochi secondi. Mi gettai tra le fiamme per salvare mio figlio: riuscii a tirarlo fuori illeso, ma dovetti fargli da scudo, e fui ustionato sull’intero lato sinistro del mio corpo.”

“Rimasi sospeso tra la vita e la morte per giorni. Il dottore disse che non avevo scampo, ma Constance non si rassegnò. Mi rimase vicino senza mai dormire, curandomi e pregando, fino a strapparmi alla morte. Mi ha salvato con il suo immenso amore, ed ha continuato ad amarmi come prima nonostante il mio volto deturpato. E dopo due anni, siamo stati benedetti dall’arrivo di Guillaume. Ringrazio Dio ogni giorno per avermi dato quella donna.”

Nelle sue parole c’era un’amore così grande verso sua moglie che Erik ne fu commosso.

“Avete una famiglia meravigliosa, Pierre. Vi invidio molto.”

Pierre lo guardò intensamente:

“Estelle mi ha raccontato parte della vostra storia, e so che siete stato molto sfortunato. Vi capisco. Per molto tempo mi sono svegliato la mattina sperando che queste orribili piaghe fossero scomparse, e ancora oggi i bambini del paese mi deridono chiamandomi “l’uomo torcia” e mi guardano spaventati. Ma per fortuna i miei figli non sono così, mi vogliono davvero bene. Ha ragione mia moglie quando dice che l’Amore è la forza più grande che esista al mondo, e grazie ad esso si può ottenere qualunque miracolo. A me è successo. Ed anche a voi.”

Erik lo fissò.

“Il fato vi ha fatto incontrare quell’angelo di Estelle, e la maschera che portate non le ha impedito di leggere nel vostro cuore. No, non siate imbarazzato” disse vedendo Erik a disagio “il sentimento che è nato tra di voi è evidente, anche se forse non ve ne rendete ancora conto. Se saprete coltivarlo e nutrirlo nel modo giusto, vi porterà alla vera felicità.”

Erik annuì e ringraziò Pierre per le sue belle parole. Si sentiva stranamente felice: per la prima volta, aveva trovato dei veri amici.

Erik ed Estelle salutarono con calore i loro ospiti e si incamminarono verso casa.

Mentre li guardavano allontanarsi, Pierre mise una mano sulla spalla di sua moglie e le chiese:

“Ebbene, cosa ne pensi?”

Constance sorrise.

“Penso che il Destino li ha fatti finalmente incontrare. E l’Amore farà sì che non si separino mai più”.

Era una nottata splendida: l’aria era fresca e profumata, le stelle brillavano in tutto il loro splendore, ed il canto dei grilli risuonava nella campagna addormentata.

Erik ed Estelle camminavano tenendosi per mano, silenziosi. Entrambi ripensavano a quanto era accaduto in quei due giorni: sembrava un bellissimo sogno , e la paura di risvegliarsi li attanagliava.

Poi Erik ripensò alle parole di Pierre.

“Sono davvero due persone meravigliose” disse. “Avevi ragione, parlare con Pierre mi ha aperto gli occhi. Per tutta la vita ho maledetto il Fato per quello che mi aveva fatto, credendo di essere solo nella mia disgrazia. Ora so che la sofferenza fa parte della vita di tutti, in modi diversi. Ed ho imparato che dalla sofferenza si può sempre ripartire per trovare la felicità. Grazie a te, mio angelo.”

Estelle arrossì.

“Non devi ringraziarmi. Ho fatto solo ciò che mi diceva il mio cuore.”

Erik si fermò e le prese le mani tra le sue.

Bastò uno sguardo, e subito il fuoco della passione divampò nel loro animo. Spinti da una forza superiore, si ritrovarono l’una nelle braccia dell’altro, e le loro labbra si incontrarono con tale intensità che il mondo intorno a loro iniziò a girare vorticosamente. I loro baci si fecero sempre più appassionati, finchè furono costretti ad interrompersi per poter respirare.

Erik guardò Estelle: i suoi occhi si erano fatti di un blu profondo come il mare, profondo come il sentimento che la possedeva. Quella che stringeva tra le braccia ora non era più un angelo, ma una vera donna, fatta di carne, sangue e passione.

Estelle parlò in un sussurro, la voce arrochita dal desiderio:

“Erik. Voglio essere tua.”

Cap. 21

Le parole di Estelle lo sconvolsero a tal punto che dovette aggrapparsi a lei per non cadere, ed il battito del suo cuore accelerò in maniera quasi insostenibile.

Il sesso non era certo un campo sconosciuto ad Erik: una delle prime cose che aveva imparato nella sua triste esistenza era che con il denaro era possibile comprare qualunque cosa, compresi i piaceri della carne, anche per uno sfregiato come lui.

Ma si era ben presto stancato di quei rapporti mercenari: il suo animo voleva Amore e Bellezza, e la mera soddisfazione di un istinto animale non faceva per lui.

Ed ora quella creatura meravigliosa gli stava chiedendo, no, lo stava implorando di unirsi a lei secondo il più antico e sacro dei riti. All’improvviso, si sentì leggero ed euforico come se il fuoco dell’Amore avesse cancellato tutti gli orrori del suo passato: non c’era più nessun Fantasma dell’Opera, non c’era più nessun Angelo della Musica: la stessa Christine, che solo fino a poco tempo prima aveva rappresentato la sua ossessione, se paragonata ad Estelle non era che un’ingenua ragazzina.

Erik respirò profondamente. Le prese le mani e le baciò:

“Stanotte sarai mia, Estelle”.

Percorsero il breve tragitto verso casa come se stessero camminando sulle nuvole, nell’aspettativa di ciò che sarebbe accaduto.

Finalmente entrarono in casa e raggiunsero la camera da letto.

Estelle accese alcune candele profumate, poi si voltò verso di lui: aveva la schiena appoggiata mollemente alla porta chiusa, ed era bello da togliere il fiato. La luce delle candele danzava sul suo viso, sul suo collo, sul petto scolpito che appariva dalla candida camicia negligentemente sbottonata fino a metà. Sembrava Eros in persona. La sua maschera splendeva bianchissima nella fioca luce e gli conferiva un aspetto così misteriosamente tenebroso che Estelle rabbrividì come una terrorizzata sposina durante la prima notte di nozze.

Erik si staccò dalla porta e si avvicinò lentamente a lei, elegante e pericoloso come una pantera. Le appoggiò con delicatezza le mani sulle spalle e sussurrò dolcemente:

“Sei sicura che questo è quello che vuoi?”

Gli occhi di zaffiro di Estelle si fissarono su quelli di giada di lui, ed il desiderio che li dilaniava si fece quasi doloroso.

“Non sono mai stata così sicura.”

Erik si chinò a baciarla come un assetato ad una fonte di acqua pura: e lui di sete ne aveva moltissima, sete di amore, di comprensione, di pace. E quella donna sarebbe stata la sua fonte, per quella notte e per l’eternità.

Il fisiologico bisogno di incamerare aria li costrinse a fermare i loro baci.

“Questa non ti serve con me” disse Estelle, e gli tolse la maschera, appoggiandola sul tavolo.

Lui la guardò intensamente per un lungo istante, poi le prese il viso tra le mani e la baciò con selvaggio trasporto.

Estelle sentì l’urgenza di toccare la sua pelle ed iniziò a slacciargli i bottoni inferiori della camicia.

Le loro labbra non si staccarono mentre lui asportava lo spillone che le raccoglieva i capelli e lei gli sfilava le maniche della camicia e la lasciava cadere per terra. Le sue mani gli accarezzarono la pelle caldissima e le sue labbra abbandonarono la bocca di lui per posargli baci infuocati sul collo, sulle spalle, sul petto.

Erik gettò la testa all’indietro e chiuse gli occhi, assaporando la dolcezza delle labbra di Estelle sulla sua pelle, mentre il fuoco dell’eccitazione divampava inarrestabile nei suoi visceri.

Iniziò a slacciarle i nastri del vestito, indugiando sulla scollatura, ed emise un brontolio quando si accorse che l’operazione era più complicata del previsto: quell’abito le stava divinamente, ma l’intreccio di nastri che lo chiudevano sul davanti frenava l’urgenza della sua passione.

Estelle scoppiò a ridere nel vederlo in difficoltà col suo vestito, e lui la guardò con divertito disappunto. Si offrì di dargli una mano, e finalmente l’ostacolo fu asportato e gettato su una sedia.

Le accarezzò il collo e le spalle, sfilandole le spalline della leggera sottoveste che cadde a terra in un soffio.

Erik arretrò di un passo per contemplare la donna che stava davanti lui, nuda e bellissima. Pensò che certamente Botticelli doveva aver sognato Estelle prima di dipingere “La nascita di Venere”…….

Sopraffatto da quella visione, cadde in ginocchio davanti a lei e chinò il capo. La sua voce tremava per l’emozione:

“Oh Dio, sei troppo bella…….io…..io non merito di amarti…….”

Estelle gli sollevò il mento con una mano e nel suo sguardo c’era una tale dolcezza che Erik pensò che non gli importava di morire in quello stesso istante, perché sarebbe morto benedetto da una Dea, la Dea dell’Amore.

“Erik…..io ho bisogno che tu mi ami.”

A quelle parole, una grossa lacrima gli scese su una guancia, ed Estelle l’asciugò con le sue dita delicate.

Lui l’attirò vicina a sé e le baciò prima l’ombelico, poi il ventre, poi il solco del seno, risalendo il suo corpo con la bocca fino alla fossa del giugulo, al collo, al mento.

Estelle chiuse gli occhi, e ad ogni tocco delle sue labbra sentì brividi di piacere scorrerle lungo la spina dorsale ed in mezzo alle gambe.

Erik la sollevò tra le braccia e l’adagiò con delicatezza sul letto. Poi si liberò del resto dei propri indumenti e finalmente si sdraiò accanto a lei.

Estelle lo afferrò per il fianco attirandolo a sé: voleva sentire l’eccitazione di lui contro il suo corpo, e la sensazione fu così piacevole che gemettero entrambi.

Erik continuò a baciarla sul collo, indugiando sulla giunzione con la spalla, mentre con la mano destra le accarezzava il fianco. Poi i suoi baci e le sue carezze si concentrarono sul suo seno, ed Estelle si sentì incendiare tutta quando le labbra di lui le succhiarono dolcemente un capezzolo, mentre la sua mano stuzzicava delicatamente l’altro.

“Oh Erik…..ti desidero così tanto……”

Erik sentì il desiderio farsi insostenibile: si staccò da lei per contemplare la sua bellezza ancora una volta, i suoi capelli di seta sparsi sul cuscino, i suoi occhi resi lucidi dall’eccitazione, la bocca avida di baci ed il seno che si alzava ed abbassava affannato. Le accarezzò le cosce, ed infine le allargò le gambe con un gesto gentile ma così sensuale che le tolse il respiro.

Estelle inarcò istintivamente la schiena mentre lui si accomodava nel suo nido, e finalmente lo accolse dentro di sé.

L’unione dei loro corpi fu dolce ma intensissima: i movimenti di Erik iniziarono morbidi e delicati per poi farsi più rapidi ed avidi nel crescendo della loro passione. Estelle lo attirò ancora più vicino e si abbandonò completamente a lui, lasciando che la guidasse verso quell’estasi che ogni cosa in lui prometteva. Ed Erik mantenne le promesse: il corpo di Estelle iniziò a vibrare nel conseguimento del massimo piacere e si aggrappò a lui come per voler diventare tutt’uno col suo essere. Erik affondò il viso nei suoi capelli, ogni centimetro della sua pelle bruciò come le stelle cadenti nel cielo d’estate, finchè anche lui raggiunse il punto di non ritorno, lo zenith della passione.

Rimasero a lungo fermi così, cuore contro cuore, pelle contro pelle, anima contro anima mentre il fuoco dentro di loro si spegneva ed il respiro ritornava normale.

Erik si sdraiò sulla schiena abbracciandola stretta, e lei si accoccolò sul suo petto.

Estelle trasse un lungo sospiro e mormorò:

“Oh Erik, promettimi che resterai, promettimi che non mi lascerai più”.

Erik le sollevò il viso per guardarla negli occhi accarezzandole le labbra con il pollice:

“Estelle, mio angelo, la mia anima ti appartiene. Per l’eternità.”

E fu così, stretti l’uno all’altra, che Morfeo li accolse tra sue braccia, mentre la Luna, dall’alto del suo trono celeste, sorrideva benedicendo il loro amore.

Cap. 22

Estelle si addormentò quasi subito.

Erik, invece, rimase a lungo sveglio, l’animo scosso da un turbinio di emozioni. Non voleva addormentarsi, terrorizzato dall’idea di scoprire, al risveglio, che ciò che era successo non era stato che un bellissimo sogno. Guardò la donna che dormiva tranquilla tra le sue braccia: la luce della Luna che entrava dalla finestra illuminava di bagliori argentei la sua pelle ed i suoi capelli, facendola sembrare una ninfa addormentata. Ma il suo respiro regolare, il battito del cuore e la sua pelle morbida e calda erano più che mai reali, ed Erik sospirò di felicità: per la prima volta nella sua vita, dopo anni di squallidi incontri sessuali dovuti più alla disperazione della sua solitudine che ad altro, aveva finalmente conosciuto cosa significasse fare l’amore con una donna. Celebrare l’unione di due corpi e di due anime nel sacro rito dell’esistenza, come nell’antica festa primaverile dei Fuochi di Beltane, dove uomini e donne si univano per festeggiare il ritorno alla vita della natura in nome della Dea Madre…..questo era il significato di ciò che li aveva legati quella notte.

Erik ripensò a tutte le notti in cui aveva sognato di fare l’amore con Christine, di farla sua nel magnifico letto del suo rifugio nei sotterranei dell’Opera…….all’improvviso quell’idea lo disgustò e provò ribrezzo per se stesso per ciò che aveva fatto a quella innocente fanciulla. Solo tre notti prima le aveva dichiarato il suo amore……no, quello non era amore, ma un’insana e malata ossessione. Dovette ammettere che Christine aveva dimostrato un grande cuore e una grande saggezza per la sua giovane età cercando di aprirgli gli occhi e donandogli il suo anello di fidanzamento come pegno dell’affetto e della devozione verso il suo Maestro. In cuor suo Erik la ringraziò e le augurò di essere felice accanto a Raoul.

Sospirò ancora: finalmente si era lasciato alle spalle l’Opera Populaire e l’ossessione per Christine.

Il Destino, dopo una vita intera di sofferenza, aveva in serbo qualcosa di molto diverso per lui: un bellissimo dono, nella forma di una donna meravigliosa di nome Estelle: lei era la purezza, la luce, il sentimento; aveva scelto di amarlo consapevole della sua deformità e dei demoni che attanagliavano il suo animo.

Ora lo scopo della sua vita erano Estelle e Colette: loro sarebbero state il suo futuro, e le avrebbe amate e protette per sempre.

All’improvviso, però, Erik si sentì assalire dalla paura: il Fato gli aveva concesso improvvisamente la felicità, ma lui sapeva bene quanto potesse essere beffardo.

Tutto questo poteva finire da un momento all’altro, ed Erik non ebbe difficoltà ad immaginare come: il suo passato.

Il suo passato, per quanto fosse intenzionato a dimenticarlo, avrebbe potuto precipitarlo di nuovo nell’abisso della disperazione.

Erik decise che doveva rischiare: avrebbe raccontato tutta la verità ad Estelle, le avrebbe aperto completamente il suo cuore…..lei lo aveva salvato, lei lo aveva amato, aveva il diritto di sapere. E di scegliere. Scegliere se continuare ad amarlo nonostante l’orrore di ciò che era stato. Erik giurò a se stesso che avrebbe rispettato ogni sua scelta, ma la paura di perdere Estelle fu tale che la strinse forte a sé, versando calde lacrime sui suoi capelli.

Erik non era mai stato religioso: credeva in una qualche Forza superiore che governava l’Universo, ma la rabbia nei confronti del suo rio destino lo aveva privato di ogni spiritualità.

Eppure quella notte, per la prima volta, pregò:

“Oh Dio…….non ti ho mai chiesto niente. Ti ho odiato, è vero, per avermi dato questo viso deforme. Ti ho odiato per avermi privato degli affetti e dell’Amore. Ma ora sono cambiato, e ti chiedo perdono. Non portarmela via, ti prego…..permettimi di amarla, permettimi di dedicarmi a lei con tutto me stesso….ti giuro che sacrificherò la mia vita affinché lei e Coco siano felici…..non portarmele via, ti supplico, oh Dio…..”

Finalmente, la stanchezza e le troppe emozioni ebbero la meglio su di lui: chiuse gli occhi e prestò si addormentò.

Quella notte sognò la piccola Colette, tutta vestita di bianco e con due candide ali da cherubino, che gli saltava al collo e gli copriva il viso di baci.

E nel suo abbraccio la udì sussurrargli all’orecchio:

“Ti voglio bene, papà…..”

Cap. 23

Quando Estelle si svegliò, il sole non era ancora sorto e dalle finestre entrava quella pallida luce azzurra che prelude al mattino.

Le forti braccia di Erik la cingevano protettive, e lei chiuse gli occhi assaporando il profumo della sua pelle e ripensando a ciò che era accaduto quella notte: non avrebbe mai creduto che un uomo ed una donna potessero amarsi in una maniera così intensa e totale…..il ricordo delle mani di Erik sul suo corpo, dei suoi baci sensuali e del modo in cui l’aveva fatta sua era ancora così vivo da farle venire il batticuore.

Alzò il capo per guardare il suo amante che dormiva tranquillo: lo conosceva da così poco tempo, eppure sentiva che le loro vite erano legate da un filo indissolubile, secondo un disegno che non sarebbe mai stata in grado di comprendere….tutto ciò che poteva fare era seguire ciò che le diceva il suo cuore, ovvero che doveva amarlo, nonostante l’alone di tenebra che avvolgeva il suo passato. Quell’uomo era un mistero: un connubio perfetto e paradossale tra luce ed oscurità, ed Estelle ne era così attratta da sentirsi impotente davanti all’immenso potere che esercitava su di lei. Ma non ne era impaurita, anzi: da molti anni non si sentiva così amata e felice.

Continuò a guardarlo: era così bello…..nonostante la deformità del lato destro del suo viso. Ma quell’imperfezione nella perfezione lo rendeva ancora più affascinante ai suoi occhi.

Si chinò su di lui e gli baciò dolcemente quelle labbra irresistibili. Poi la sua bocca gli accarezzò il mento, il collo, per posarsi infine sul suo petto, quasi a voler restituire quei baci che la notte prima le avevano consentito di volare.

Quando lo baciò all’altezza del cuore, Erik si svegliò. Subito la sensazione di quei morbidi petali sulla sua pelle pervase il suo corpo, e chiuse di nuovo gli occhi per abbandonarsi a quella dolce percezione.

I baci di Estelle si fecero sempre più audaci, e presto Erik non potè più resistere: interruppe le deliziose attività di lei e si mise a sedere sul letto. Poi la prese tra le braccia, mettendole le gambe a cavallo delle sue, e subito i loro corpi furono di nuovo arsi dal fuoco di Eros; Estelle dovette mordergli una spalla per non gridare, mentre lui la mandava ancora una volta in estasi.

Si accasciarono sul letto, ansanti ma euforici dopo il loro appassionato amplesso. All’improvviso Erik scoppiò a ridere, ed il suono della sua risata era così bello che toccò il cuore di Estelle, quasi come quando lo aveva sentito cantare. Sollevò il capo dal suo petto e lo osservò incuriosita:

“Si può sapere cosa c’è da ridere?”

Lui la guardò, i suoi occhi splendevano come smeraldi nella luce del mattino.

“Ecco, stavo pensando……che non esiste al mondo un modo migliore per cominciare la giornata!”

Risero entrambi di cuore, e si abbracciarono. Rimasero a lungo stretti l’uno all’altra, continuando ad accarezzarsi e baciarsi fino a che le loro labbra divennero insensibili.

Il sole era ormai alto, e con riluttanza abbandonarono il talamo. Estelle doveva andare da Madame DeGuy per le prove degli abiti nuovi.

Mentre facevano colazione, Erik cominciò a pensare a come affrontare con Estelle il difficile discorso del suo passato.

Estelle notò la sua espressione cupa e si preoccupò:

“Cosa c’è, mio caro? Qualcosa ti turba.”

Erik sospirò:

“Ecco…..mia adorata, ci sono alcune cose del mio passato che è giusto che tu sappia. Si tratta di argomenti tristi, ma non voglio nasconderti……”

“Maman!”

Coco irruppe in casa allegra e colorata come la Primavera in persona. Si gettò ridendo tra le braccia di sua madre e cominciò a raccontare con un fiume di parole tutte le cose divertenti che aveva fatto con i suoi amici ed i progetti che avevano per il pomeriggio.

“Zio Pierre ci porterà a pescare sul fiume! Posso andare, Maman? Eh? Eh? Posso?”

Estelle ed Erik non poterono fare a meno di ridere davanti a tutto quell’entusiasmo.

“Ma certo, cara. Monsieur Erik ed io ti accompagneremo, sei contenta?”

“Oh sì! Che bello!” Ed iniziò a ballare in giro per la stanza.

“Ma prima devi sistemare la tua stanza! Ieri l’hai lasciata tutta in disordine! Al mio ritorno la voglio trovare perfetta, chiaro?”

“Va bene, Maman!” rispose la bimba, e si precipitò in camera sua.

Estelle raccolse la borsa da lavoro, ed Erik l’accompagnò alla porta.

“Estelle, io…..”

“Non preoccuparti, Erik. Parleremo al mio ritorno. E qualunque triste avvenimento ci sia stato nel tuo passato, beh, è passato, no?”

Gli sorrise con tanta fiducia che Erik sentì un dolore sordo nel proprio petto.

“Tornerò prima di mezzogiorno” disse lei, e gli posò un bacio lieve sulle labbra.

Ma prima che potesse scendere i gradini della veranda, Erik la fermò, la prese tra le braccia e la baciò con tanto sentimento che Estelle sentì le proprie ginocchia piegarsi per l’emozione.

La guardò intensamente, ed Estelle vide chiaramente nei suoi occhi la paura che tutta quella felicità potesse finire da un momento all’altro.

“Ti amo Estelle. Ti amo più della vita stessa.”

Cap. 24

Erik bussò alla porta della cameretta di Coco:

“Avanti!”

Aprì la porta e la trovò intenta a sistemare enormi mucchi di abiti e di giocattoli.

Erik si offrì di aiutarla, e la bimba accettò ben volentieri.

Mentre riponeva una bambola su una mensola, Erik notò uno splendido carillon che raffigurava un teatrino munito di figurini semoventi. Era di ottima fattura, e certamente doveva valere molto.

Coco notò il suo interesse:

“Vi piace? E’ un regalo che il mio papà ha fatto a Maman quando si sono sposati. Ma purtroppo non funziona più. Un giorno l’ho fatto cadere per sbaglio e si è rotto. Maman si è arrabbiata moltissimo, ha addirittura pianto. Mi è dispiaciuto da morire.”

Ad Erik si strinse il cuore nel vedere il suo visetto contrito. Per Estelle doveva essere stato un duro colpo: quello era certamente un caro ricordo del suo defunto marito, e lei doveva tenervi molto.

Si inginocchiò davanti alla bimba.

“Non funziona….per ora. Non ti ho forse detto che sono un mago? Ti prometto che riuscirò a riparare il carillon, così potrai fare una bella sorpresa a Maman quando tornerà a casa.”

Coco gli sorrise piena di speranza.

Estelle arrivò alla villa di Madame DeGuy col cuore che le svolazzava ancora nel petto……e lei non aveva nessuna intenzione di farlo fermare.

Quando raggiunse la stanza adibita alle prove degli abiti, fu accolta dalle due nipoti della signora, Hortense e Marguerite, due belle fanciulle di sedici e quattordici anni.

“Bonjour, Estelle! Che bell’aspetto avete oggi! Siete più radiosa del solito!”

Estelle si schernì e cercò di non arrossire.

In quel momento arrivò Madame DeGuy che aveva sentito tutto, e mentre si accomodava su un poltrona la osservò attentamente:

“Mia nipote ha ragione, ma chére. Oggi sembrate il ritratto della felicità. E’ forse accaduto qualcosa di particolarmente piacevole?”

Estelle arrossì violentemente.

“Oh no, nulla di particolare…”

Ma le due ragazze mangiarono la foglia:

“Sai Marguerite, mi sa che la nostra Estelle non ce la racconta giusta. Vuoi vedere che la Principessa ha incontrato un bel Principe Azzurro?” disse Hortense, e le due ragazzine risero civettuole.

“Suvvia, Hortense, non essere indiscreta.” Disse l’anziana signora, ma sorrise anche lei.

Estelle rise nervosamente, e si concentrò sul suo lavoro.

A proposito di storie romantiche, avete sentito dei misteriosi accadimenti dell’Opera Populaire? L’ho letto giusto stamane.” Cominciò Hortense.

“No, cara, raccontaci.”

La ragazza assunse un’aria misteriosa.

“Ebbene, conoscete la leggenda del Fantasma dell’Opera che infestava il teatro? Pare che non si trattasse di un fantasma, ma di un uomo in carne ed ossa, che per anni si è nascosto nei sotterranei dell’Opera Populaire. Sembra che fosse un musicista di straordinario talento, e che anni fa abbia scelto come discepola una delle ballerine del balletto, dotata di una splendida voce, e che le abbia insegnato a cantare senza mai rivelarsi, spacciandosi per l’Angelo della Musica”.

Le mani di Estelle tremarono leggermente.

“La fanciulla in questione è diventata un grande soprano e qualche mese fa ha debuttato con enorme successo, sostituendo la Primadonna.”

“E come si chiama questa cantante?” chiese la signora.

“Mmmm Christine…..Christine Daàe, mi pare…sembra sia la figlia di un famoso musicista….”

Estelle sentì una strana sensazione di nausea prenderle lo stomaco.

“Ebbene, la sera del debutto lui le si è rivelato, dichiarandole il suo amore, ma lei lo ha respinto, perché innamorata di un certo Visconte…..allora Il Fantasma ha dichiarato guerra a tutto il teatro! Prima ha strangolato un uomo nel bel mezzo di una rappresentazione, poi ha scritto un’opera imponendo ai proprietari di rappresentarla dietro indicibili minacce….”

“Cielo, ma costui è un pazzo!” esclamò Marguerite.

“E non solo! Pare che si mostrasse in pubblico col volto sempre coperto da una maschera, per non farsi riconoscere. Ebbene, tre notti fa, la sera della prima della sua opera, ha ucciso il tenore sostituendosi ad esso, cantando un sublime duetto d’amore con Christine…. ma sul più bello lei gli ha tolto la maschera….ed indovinate?”

“Cosa? Cosa?” Chiese Marguerite eccitata.

Estelle pregò di perdere l’udito in quel preciso istante per non sentire ciò che sarebbe venuto dopo.

“La maschera celava un volto orribilmente sfigurato…..il volto di un demonio! Alchè il Fantasma ha rapito Christine scomparendo in una nuvola di fumo e portandola nel suo rifugio. Ma l’impavido Visconte l’ha salvata rischiando la propria vita e sconfiggendo il mostro……Estelle!”

Le ginocchia di Estelle si piegarono, e la poverina cadde a terra: il peso di quelle rivelazioni la fu troppo opprimente.

“Estelle! Cara! Vi sentite male?” Le fanciulle Madame DeGuy cercarono di aiutarla e le offrirono un bicchier d’acqua.

“No, non è nulla….un piccolo mancamento, forse dovuto al caldo….”

“Mon Dieu, siete bianca come un lenzuolo. Sdraiatevi un momento.” Offrì Madame DeGuy.

“Oh, no vi ringrazio, ma sto bene….solo….se non vi dispiace vorrei tornare a casa…..”

“Ma certo cara! Vi farò accompagnare….”

“Oh, no, non è necessario, grazie….ce la faccio. Tornerò domattina per gli abiti. Scusatemi, ma…..Au revoir.”

E se ne andò di corsa tra gli sguardi attoniti e preoccupati di Madame DeGuy e delle sue nipoti.

Erik, seduto al tavolo della cucina, terminò di avvitare il pannello che chiudeva il carillon sotto lo sguardo speranzoso di Colette.

“Funzionerà?”

Lui la guardò con superiorità:

“Ma certo che funzionerà.”

Raddrizzò il carillon, girò la molla, e subito le dolci note di un romantico valzer pervasero la stanza e i figurini dei danzatori iniziarono a girare nel grazioso teatrino.

“Oooohhh, l’hai aggiustato! Sei davvero un mago!”

Erik le sorrise soddisfatto:

“Visto? Allora, sei contenta?”

“Oh sì! Grazie!” Esclamò la bimba e gli saltò al collo, abbracciandolo stretto stretto. Erik si commosse, e la strinse delicatamente tra le braccia.

Cocò lo guardò dritto negli occhi con un’espressione molto seria. Poi abbassò lo sguardo e parlò con tono triste:

“Sai, il mio papà è morto quando ero molto piccola……non ricordo nemmeno il suo viso…..o la sua voce.”

Erik la guardò con comprensione: sembrava così matura per la sua età.

“Lo so, piccola. La mamma mi ha raccontato tutto.”

“Maman dice che papà mi voleva molto bene……ma io non me lo ricordo proprio…..però…” alzò lo sguardo ed i suoi occhioni blu lo guardarono pieni di speranza:”…però so che voglio bene a te….e anche Maman ti vuole bene……senti……” la sua voce tremava per l’importanza del momento. “…vorresti essere tu il mio papà?”

Erik la guardò attonito: mai, in tutta la sua esistenza, avrebbe pensato di poter vivere un momento come quello. Subito ripensò al sogno della notte prima, e capì che si trattava di una premonizione. I suoi occhi si riempirono di lacrime: strinse a sè Coco e pianse copiosamente.

“Ma certo, mio piccolo angelo…..non ti lascerò mai, te lo prometto…”

La bimba sorrise, ma lo guardò incuriosita:

“Ma perché piangi, papà?”

Erik credette di toccare il cielo con un dito.

“Perché non sono mai stato così felice.”

Cap. 25

“No....oh Dio, ti prego no....”

Estelle si mise a correre, ma le sue gambe erano pesanti come macigni e la strada da percorrere sembrava più lunga che mai.

Il cuore le batteva all’impazzata nel petto, ed ogni battito era doloroso come una coltellata.

“Non può essere lui....oh Dio, ti prego, fa che non sia lui....”

Le rivelazioni di Hortense l’avevano devastata: l’Opera Populaire, Christine, la maschera......tutto coincideva: l’uomo che aveva raccolto febbricitante nella barca, che aveva curato con tanto amore, e del quale si era innamorata perdutamente era il Fantasma dell’Opera: un pazzo, un assassino. Un mostro.

Ed ora quell’uomo era in casa sua, e con lui c’era Colette.....

“Oh Maria Vergine, ti prego, non farmi questo.....”

Aveva lasciato sua figlia nelle mani di un mostro. Si sentì morire all’idea di ciò che avrebbe potuto farle. La sua mente cominciò a girare, sopraffatta dall’orrore e dalla paura.

Ma poi....un barlume di ragione l’illuminò: come poteva un uomo capace di amare con tanta passione e devozione essere un mostro? Estelle ripensò alla gentilezza di Erik nei confronti di Coco, alla bellissima musica che aveva tratto dalle corde del violino, al dolore nei suoi occhi quando si era sfogato con lei......ma soprattutto ripensò alla notte d’amore che avevano trascorso insieme: non poteva dimenticare quelle labbra infuocate che la sfioravano tutta, ed accendevano il suo corpo con una passione così bruciante e totale....ed il bacio disperato con cui l’aveva lasciata quella mattina, e le parole che aveva pronunciato.....no, Erik non poteva essere il Fantasma dell’Opera, non DOVEVA esserlo.

Estelle raggiunse finalmente la veranda, l’animo sconvolto: aprì la porta, e prima ancora di vedere ciò che accadeva all’interno, udì: erano le note di un valzer.......il carrillon di Jacques! Ma com’era possibile? Coco l’aveva rotto....

“Maman! Sei già tornata? Guarda, Erik a riparato il carillon! Adesso funziona di nuovo! Sei contenta?”

Estelle dovette aprire e chiudere gli occhi più volte per mettere a fuoco. Poi, finalmente, vide Coco che le sorrideva tenendo in mano il suo prezioso carillon, che diffondeva nell’aria le sue dolci note.

“Maman?”

Estelle cercò di sorridere a Coco.

“Sono molto felice, piccola......ma ora devo chiederti di lasciarci soli. Maman ed Erik devono parlare di cose molto importanti. Cose da grandi”.

“Ma io....”

“Per favore, Coco.” La voce di Estelle era incrinata. Erik lo notò, e la osservò preoccupato. Annuì a Coco che lo guardava con aria interrogativa, e la bambina uscì, lasciandoli soli.

Estelle trasse un lungo sospiro, e finalmente lo guardò negli occhi. Bastò un solo sguardo, e lui capì: Estelle sapeva.

Improvvisamente, Erik sentì il mondo intero crollargli addosso, tutte le sue speranze sgretolarsi come un castello di sabbia. Un dolore sordo ed intensissimo gli squassò il petto, e dovette appoggiarsi al tavolo per non cadere.

“Estelle....” il nome gli uscì dalla bocca in un rantolo disperato.

Ma prima che potesse formulare un solo pensiero, Estelle corse verso di lui e gli gettò le braccia al collo, piangendo disperatamente sul suo petto.

“Oh Erik, perdonami......perdonami se ho dubitato di te......” senza smettere di singhiozzare gli raccontò tutto ciò che aveva udito a casa di Madame DeGuy, mentre lui la stringeva dolcemente posandole piccoli baci sui capelli.

“Ho creduto che fossi tu....che il Fantasma dell’Opera fossi tu.....ma non è possibile! Tu sei troppo buono, troppo gentile, non puoi essere tu.....”

Erik chiuse gli occhi. Respirò profondamente il profumo dei suoi capelli come se fosse l’ultima volta.

Poi la staccò delicatamente dal suo petto ed i loro sguardi si incontrarono.

“Erik......”

“Estelle, tutto ciò che hai udito è vero. Io sono il Fantasma dell’Opera.”

Estelle sgranò gli occhi con orrore, ma non tremò, nè si mosse.

Erik si avvicinò alla finestra, volgendo lo sguardo alla campagna in fiore. Poi iniziò a raccontarle tutta la verità. Di come, ancora bambino, avesse strangolato il suo aguzzino e fosse fuggito aiutato dalla giovane Madame Giry. Di come si fosse nascosto nei sotterranei dell’Opera e ne avesse fatto il suo regno, un regno di arte sublime e di disperazione profonda. Le parlò di Christine, e di quando l’aveva iniziata all’opera facendole credere di essere l’Angelo della Musica. Mentre parlava, nella sua mente iniziò a risuonare una musica: era una melodia di requiem, ed era per lui. Gli angeli stavano cantando la sua triste fine.

Tuba mirum spargens sonum

per sepulchra regionum,

coget omnes ante thronum.

Le disse ogni cosa: anche di come avesse strangolato con freddezza Buquet, l’assassino di suo padre, e del senso di onnipotenza che aveva provato nel vedere il suo sguardo terrorizzato mentre lo privava della vita con la stretta del suo Punjab lasso. Infine, le raccontò gli avvenimenti della sera della prima del Don Juan Trionfante, la sua opera, senza omettere nulla.

Mors stupebit et natura,

cum resurget creatura,

judicanti responsura.

Estelle rimase in silenzio per tutto il racconto, lo sguardo fisso a terra. Emise un solo singhiozzo quando Erik nominò Buquet, ma non si mosse.

Erik si girò verso di lei: la melodia del requiem continuava a farsi più impetuosa e triste nella sua mente.....

Liber scriptus proferetur,

in quo totum continetur,

unde mundus judicetur.

“Ora conosci tutta la verità. Avrei voluto che la sapessi direttamente dalla mia bocca, e non che la scoprissi da altri.....ma ora è finita. Adesso sai ciò che sono veramente: un mostro, un assassino.” Continuò a guardarla intensamente, per imprimere in modo indelebile nella sua mente ogni particolare del suo viso.....sapeva che non l’avrebbe più rivista......

Judex ergo cum sedebit,

quidquid latet apparebit,

nil inultum remanebit.

“Tuttavia voglio che tu sappia una cosa, e non dimenticarla mai: questa notte ti ho amata con tutto me stesso. Non ti ho mentito quando ti ho detto che la mia anima ora ti appartiene.” Il suo tono era calmo, la sua voce dolce e resa sicura dalla consapevolezza che, anche se ormai la sua vita era finita, non aveva vissuto invano.

“Nonostante l’orrore del mio passato, tu mi hai fatto capire che nel mondo ci possono essere speranza e amore anche per un dannato come me. Tu e Coco, col vostro amore, avete tratto la mia anima dagli abissi della disperazione......voi mi avete salvato dalla dannazione eterna, miei angeli, e vi ringrazio con tutto il mio cuore. Vi ho amate, vi amo e vi amerò sempre......anche se la mia vita su questa Terra è finita senza di voi. Ma almeno, ora, potrò morire felice.”

Quid sum miser tunc dicturus,

quem patronum rogaturus,

cum vix justus sit securus?

Il requiem finì, le voci degli angeli si spensero.

Tra loro cadde il silenzio, interrotto sol dal canto degli usignoli e dal ronzio delle api.

“La vita continua.....” pensò Erik, e sorrise tristemente tra sè.

Poi Estelle, finalmente, parlò:

“Tu non morirai, Erik.”

Erik la guardò, stupito.

“No, tu non morirai. Non mi lascerai. Perchè io ti amo troppo.”

Il cuore di Erik fece un balzo.

Estelle alzò lo sguardo: i suoi occhi erano pieni di lacrime, ma erano lacrime di speranza e d’amore.

“Non m’importa ciò che sei stato prima entrare nella mia vita. Non mi importa se hai ucciso ed ingannato. Io posso vedere nel tuo cuore, e so che non vi è orrore, ma una bellezza così grande ed intensa che potrebbe illuminare il mondo intero. Hai fatto ciò che hai fatto perchè sei stato privato dell’Amore, la forza più grande e potente che c’è. Ma io ti darò tutto l’Amore di cui hai bisogno, e anche di più. Non chiedermi perchè, ma non posso fare a meno di amarti. Dio ha voluto che ti incontrassi per darti tutta me stessa. E così ho fatto. E così farò, da ora e per sempre.”

Erik si sentì come se un angelo gli avesse donato le sue ali, e gli parve di innalzarsi verso il cielo dove una schiera di cherubini iniziò a cantare di nuovo: ma stavolta non era un requiem, ma un canto d’amore e di felicità.

Cadde in ginocchio e tutto il dolore abbandonò il suo animo sotto forma di un pianto liberatorio. Estelle si inginocchiò accanto a lui. Gli prese il viso tra le mani e baciò via ogni singola lacrima. Erik la strinse a sè, e le loro labbra si incontrarono in un lungo ad appassionato bacio che aveva il sapore salato delle loro lacrime e quello dolce del loro amore.

Si guardarono intensamente. Il sorriso sulla bocca di Erik era quanto di più bello Estelle avesse mai visto.

“Oh, Estelle, amore mio......”

Estelle gli sfregò affettuosamente il naso con il suo e sospirò contro le sue labbra:

“Credo che Coco sarà molto contenta di avere un nuovo padre...”

“Oh sì!” la vocetta di Coco risuonò allegra e radiosa.

Estelle ed Erik si girarono verso la porta e videro il piccolo angelo biondo lanciarsi su di loro ridendo, facendoli rovinare sul pavimento.

Coco abbracciò Erik e gli coprì il viso di baci.

“Il Principe Erik adesso è il mio papà. Ma allora io sono una Principessa!”

Erik rise: “Ma certo! Non te lo dico sempre?” e la strinse a sè, affondando il viso nei suoi capelli d’oro.

Poi guardò Estelle, e nel suo dolce sorriso vide tutta la felicità del mondo. E quella felicità era anche sua. Abbracciò entrambe le sue salvatrici e chiuse gli occhi.

Gli angeli tacquero.

La musica nella sua mente era terminata.

Finalmente, iniziava la musica nel suo cuore.

”Guess now who holds thee?”

“Death” I said.

But, there, the silver answer rang:

“Not Death, but Love”.

Elisabeth Barrett Browning.

THE END.

  
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