Eccoci
al secondo capitolo, spero che il primo vi sia piaciuto. Il prossimo, e
conclusivo, capitolo sarà più lungo. Spero che
questi piccoli missing moments vi piacciano, mi rendo conto di avere
uno stile di scrittura molto, diciamo, punteggiato in alcuni punti. Mi
auguro, tuttavia, che questo non vi sia d'ostacolo nella lettura. Come
avrete modo di notare i punti di vista cambiano tra questi primi due
capitoli e, come vedrete, cercaranno di fondersi nell'ultimo. Se vi
piace quello che leggete lasciatemi un feedback, mi farebbe davvero
molto piacere.
2. Perdonami, per favore (missing moment
1x18)
«Brava.
Ora fuori dal mio ufficio.»
Fa
male. Fa dannatamente male, più del Bahrein, più
della rabbia riportata a galla
dal bastone del Berserkr, più di qualsiasi altra ferita che
abbia mai riportato
in missione.
Fa
male e Melinda May non è la “guerriera dal cuore
di ghiaccio”, come l’ha
definita Lorelai, che tutti credono.
Fa
male e quando esce da quella stanza, su quell’areo ridotto in
pezzi,
consapevole che probabilmente non riavrà mai la fiducia,
né tanto meno il
perdono, di Phil Coulson, Melinda May si rinchiude nella cabina di
pilotaggio e
non può dire di non aver visto gli sguardi perplessi dei
suoi compagni di
squadra al vederla passare di corsa e a testa bassa.
Si
chiude alle spalle la porta, si siede, toglie i comandi manuali e
riprende il
controllo dell’aereo. Spera che questo possa distrarla.
Cinque,
dieci, quindici minuti. Non arriva a venti che deve reinserire il
pilota
automatico perché le lacrime le offuscano la vista. Non
è poi così insensibile
come tutti credono, così poco “Calore
Umano”, come l’ha definita Skye, una
volta.
Lei
vorrebbe tanto riavere la fiducia che non ha più, vorrebbe
davvero tornare ad
avere un rapporto con Phil, pensa, guardando le nuvole davanti a
sé.
Continua
a pensare, Melinda May, continua a farlo mentre le nuvole scorrono
sotto
l’aereo e può solo sperare che riusciranno in
qualche modo a cavarsela
nuovamente perché lei avrebbe
un’infinità di cose da dire a Phil, da
confessargli, ma sa che non ne avrà mai il coraggio se i
suoi occhi continueranno
a guardarla in quel modo. Osserva il cielo azzurro fuori
dall’aereo e non si
accorge di scivolare lentamente nel sonno del dolore con un altro tipo
di
azzurro in mente.
Vorrebbe
non essere così tanto stanca in modo tale da riuscire ad aprire gli occhi quando
sente qualcuno entrare
in cabina di pilotaggio, vorrebbe avere il coraggio di mostrarsi per
quello che
è, una donna che ama un uomo da tanti anni, quando Phil,
riconoscerebbe quel
passo leggero anche in mezzo a uno scontro a fuoco e il suo profumo
anche in un
campo di lavanda, le toglie gli occhiali scuri da volto e le slaccia la
cintura. Vorrebbe essere meno May e più Melinda quando lo
sente sospirare e
sussurrare, a bassa voce, “Scusa, avrei dovuto crederti.
Avrei dovuto capire
che non eri tu il nemico, ero troppo accecato dalla rabbia per rendermi
conto
che in realtà mi hai sempre protetto. Scusa, Melinda, per
tutto quello che ti
ho detto, per averti puntato una pistola carica contro e averti
sparato. Scusa,
se non sono l’uomo che vorresti che fossi. Scusa, se sono un
codardo che dice
tutto questo a una donna addormentata perché non ha il
coraggio di dirglielo
quando è sveglia.”
Vorrebbe
avere il coraggio di mostrarsi sveglia quando sente una goccia caderle
sulla
guancia e la mano di Phil regalarle una carezza per asciugare la sua
stessa
lacrima.
Vorrebbe
non essere così ingenua da muoversi per assecondare quel
tocco, perché almeno
non farebbe scappare Phil, sicuramente timoroso di doverla affrontare
da
sveglia.