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Autore: _astronaut_    18/08/2019    0 recensioni
Due persone logorate dal dolore, due anime sole, due menti geniali, due cuori che cercano pace.
Un solo gesto per dare inizio a qualcosa di nuovo, desiderato, inaspettato.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Doctor Stephen Strange, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Just me, him and the rain
 
C’era qualcosa di incredibilmente rilassante nell’ascoltare il ticchettio frenetico della pioggia sui vetri del Santuario, qualcosa di indubbiamente famigliare nel cielo plumbeo sopra di lui.
Era come se un pezzo di Londra in quel momento avesse deciso di andare a salutarlo, dopo un distacco tanto forzato quanto necessario.
C’era tranquillità, alle sei di mattina, nel caos di una città che, per definizione, non dormiva mai.
La Grande Mela pullulava di vita a ogni ora del dì e della notte: le luci dei cartelloni pubblicitari illuminavano a giorno le strade grandi e trafficate anche quando calava il buio, ma era bella, New York, anche per questo.
A Stephen però mancavano le stelle, gli mancavano quei piccoli puntini luminosi che dal Kamartaje riusciva a vedere con estrema facilità. Le stelle… Be’, le stelle si potevano vedere solo dall’alto della Stark Tower.
Andare lì, ogni sera, per qualche ora, era diventata un’abitudine, e da qualcosa di occasionale e sporadico, l’appuntamento con Tony era diventato qualcosa di fisso, sicuro, piacevole.
Wong un po’ temeva il legame che si era instaurato tra i due: secondo la sua opinione, Tony rappresentava il mondo da cui Stephen avrebbe dovuto staccarsi il più possibile, ma ben presto si era reso conto che Stephen e Tony erano diventati l’uno il sostegno dell’altro, e quindi aveva smesso di guardare Stephen con cipiglio severo quando si toglieva l’abito da stregone per indossare una semplice felpa, un paio di vecchi jeans e scarpe da tennis per andare a trovare il suo amico e trascorrere un po’ di ore in compagnia.
Stephen e Tony si erano trovati in un momento difficile per entrambi: soli, avevano cominciato a condividere la loro solitudine su quel tetto, e guardare le stelle dal terrazzo della Stark Tower non era più così male, se si aveva accanto qualcuno che capiva tutto senza bisogno di chiedere nulla.
Capitava che i due si sedessero, semplicemente, sulle due comode sdraio poste lì sopra appositamente per i loro incontri, e che stessero in silenzio tutta sera, ascoltando soltanto il lontano rumore del via vai notturno di auto e ambulanze. Da lì, tutto sembrava piccolo e insignificante, i suoni della città giungevano ovattati e sembrava di essere seduti all’interno di una campana di vetro fonoassorbente. Era, quello, un piedistallo da cui guardare il mondo con distacco e compassione, un luogo dove congiungersi col cielo pur sentendosi ancora parte della moltitudine terrestre. Un piccolo paradiso urbano in cui perdere la concezione di se stessi e divenire grandi aquile in un mondo di formiche.
Non c’era bisogno di parlare, in quelle occasioni, quando i ricordi di ciò che era stato riaffioravano alla mente dei due, rendendo i loro occhi tristi e vacui. Spesso, quelle volte, le loro mani si erano sfiorate, quando si allungavano per prendere il bicchiere di vino pregiato che i due sorseggiavano per mandare giù il boccone amaro del ricordo dei dolori sofferti, in un muto tentativo di fare sentire la propria vicinanza l’uno all’altro.
Un tacito “Non sei solo”, che non riceveva risposta orale, ma solo un sospiro più leggero degli altri. E a entrambi bastava così, avevano imparato a capirsi anche al buio, anche senza parole, anche senza guardarsi.
Quella sera tuttavia qualcosa era andato diversamente: Tony gli aveva preso la mano, cogliendolo totalmente alla sprovvista e mandando in tilt il suo geniale cervello. Il tocco dell’inventore lo aveva fatto rabbrividire, ma non era spiacevole, e men che meno sbagliato. Era rassicurante, in qualche modo giusto, e Stephen non si era sottratto, ma anzi aveva ricambiato la stretta, e per tutta sera si erano tenuti per mano, quasi come se stessero per spiccare il volo da un momento all’altro, lasciandosi leggere carezze ogni volta che volevano.
Le mani di Tony erano callose, piene di piccole cicatrici dovute a tagli e micro-scottature, ma erano calde, gentili, e piccole, rispetto alle sue affilate, fredde e perennemente scosse da piccoli tremolii.
Quando era stato il momento di tornare al Sancta Santorum, Stephen lo aveva tirato a sé, e le loro labbra si erano scontrate con estrema grazia e passione al contempo.
Nel momento in cui si staccarono, le incertezze di Tony riguardo a ciò che Stephen provasse per lui erano diventate fumo, e non aveva opposto la minima resistenza a entrare con lo stregone nel portale che quest’ultimo aveva aperto direttamente davanti alla porta della sua camera da letto. Alla luce delle lampade, si erano guardati, e il desiderio negli occhi color ghiaccio di Stephen era secondo solo a quello che ardeva in quelli scuri del moro: pieni di parole non dette e sentimenti taciuti per la paura di non essere ricambiati, finalmente si erano lasciati andare al dominio del loro cuore, e quella notte, insieme, si erano sentiti completi.
Ora Stephen ascoltava la pioggia, una mano sulle scapole di Tony, l’altra abbandonata sul proprio ventre, il corpo caldo del miliardario avvinghiato al suo con un ché di possessivo, il profumo dell’uomo di latta a riempirgli le narici.
Tony era fuoco vivo e scoppiettante nel camino di una baita di montagna, calore sotto il riparo di una coperta di lana, sorriso in una vita di dolore, pace in un’esistenza di guerra; Stephen era un porto sicuro in un mare in tempesta, brezza fresca dopo la fatica di una corsa, certezza in un mondo pullulante di variabili, magia in una realtà fin troppo cruda.
“Doc, avrei bisogno di un caffè e di un massaggio alla schiena” mugugnò Tony strusciando il viso sul suo petto.
“Per entrambi dovresti rinunciare al mio petto come cuscino, sei disposto a questo sacrificio?” scherzò il dottore rabbrividendo al tocco delle labbra di Tony sulla pelle diafana e sensibile.
“Magari dopo” il miliardario si accomodò meglio, accoccolandosi come un gatto e stringendolo gelosamente - anche se non lo avrebbe mai ammesso – a sé.
Stephen prese ad accarezzargli i capelli arruffati, sorridendo al sospiro soddisfatto che Tony si lasciò scappare, riaddormentandosi poco dopo.
Non sapeva se ci sarebbero stati altri momenti come quello, e non sapeva se una volta usciti da quella trance idilliaca le cose tra loro sarebbero tornate come prima, o se invece avrebbero preso una piega diversa (negativa o positiva che fosse).
Il tempo era una cosa che Stephen aveva imparato a tenere da conto più di ogni altra persona al mondo: la gemma verde del medaglione splendeva di luce smeraldina, illuminando appena i contorni dei loro corpi stretti l’uno all’altro. Il tempo era fuggevole, un gran bastardo, a dirla tutta, ma quel momento, quel preciso momento che stava vivendo, Stephen se lo sarebbe impresso a vita nel cuore e nella mente: il mondo, con i suoi problemi, i suoi pericoli, le sue disgrazie, lo aveva chiuso fuori, per qualche ora, dalla loro vita di supereroi. Quel mattino, c’erano solo tre elementi che contavano: lui, Tony, e la pioggia.

 
 
 


Angolino disagiato
Io non so da dove caspita sia saltata fuori un’idea del genere. E non so nemmeno dove, temporalmente, collocarla; probabilmente poco dopo Civil War senza tenere conto di tutti gli altri film successivi. E’ un po’ a sé stante, ups, infatti non sapevo nemmeno se postarla o meno, ma si parla di Tony e Stephen, i miei due cocchi, non ho resistito alla tentazione... “Colpa” delle FanArt su di loro che mi hanno fatto partire la ship (tra l’altro, una ship nemmeno troppo popolare). Scusate, il mio cervello a volte parte, fa un giro ad Ovunque e torna indietro con qualche idea strampalata. Spero almeno di aver scritto in maniera accettabile.
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va, e grazie a chiunque abbia letto questo piccolo (grande) disastroso delirio.
Un abbraccio e buon proseguimento di vacanze a tutti
 
_astronaut_
   
 
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