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Autore: Hermes    19/08/2019    0 recensioni
Diciassette anni di giorni da spiegare e mettere a fuoco.
Un’autopsia al tempo fra la nebbia di San Francisco e la polvere del deserto, per arrivare nel presente che potrebbe essere solo una possibilità nel futuro.
Il mondo è costruito sulle nostre scelte.
[Questa storia fa parte della serie 'Steps']
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Steps'
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The cold white flamingo wins at black market bingo
That we used to play, but we don't play no more
We used to travel playing hotel games
Eating truck stop dinners with Christian names
Pointing out porn in payphones pinned into the core
Now I just count mile markers between your door and my door
The dead weather ~ Mile markers

Alla fine Linds aveva sganciato duemila e passa dollari in multa per eccesso di velocità ed era ripartito sgommando di proposito.
Temevo che qualche officer me lo sarei ritrovato davanti la porta di casa a breve ma non avevo osato aprire bocca con Linds, troppo codarda e conscia di aver fatto la mia serie di idiozie.
La Jag aveva ringhiato come un demone fino a casa e prima che il tramonto si fosse spento del tutto era stata parcheggiata davanti lo stabile del loft e Linds aveva chiuso l’auto per poi indirizzarmi un “Mangio fuori, buona cena.” ed allontanarsi, incastrando lo smartphone con un numero in speed dial fra la spalla e l’orecchio mentre si infilava una giacca.
Non lo biasimavo ma avrei voluto mostrargli il mio punto di vista.
È un’esponente del sesso opposto.
Il proprietario di ventitré cromosomi che non deve fare altro che eiaculare ed il suo lavoro è finito.
I restanti nove mesi per lui passano normalmente senza nausea, caviglie gonfie od improvvisi attacchi di panico.

Scuoto forte la testa cercando di dissipare quei pensieri di stampo prettamente misandrico.
Sapevo di avere sbagliato e che avrei dovuto dirglielo ma in quell’esatto momento della mia vita non lo vedevo da mesi ed al quarto mese il mio ventre aveva iniziato a gonfiarsi come un piccolo palloncino.
Avevo una paura cieca che una notte mi sarei trovata in un lago di sangue come la volta precedente.
Era stato quasi un caso l’aver trovato quel pettine e non ci avevo pensato due volte.
Sentivo già Kurt muoversi piano, una sensazione nuova che mi alleggeriva e mi pesava.
Dovevo sapere.

Avevo fatto passare quel test nel più completo anonimato e personalmente, arrivando perfino a fare una sortita fino a San Diego dove le attrezzature mi avrebbero permesso una maggiore precisione.
Quando avevo letto i risultati, mano a mano che si palesavano sui monitor, ero riuscita finalmente a esalare un sospiro di sollievo perché tutto a quel punto era nelle mani di Dio se caso mai avesse deciso di attuare il Miracolo che portavo in grembo.

~ Circa diciassette anni prima, Febbraio-Marzo, San Francisco
Erano passati quasi sette mesi e mezzo.
Linds non telefonava regolarmente e non era più riuscito a tornare ad SF a causa di una trasferta in una base in Texas.
Da cosa avevo capito non era nemmeno più di stanza fissa a Rachel ed – considerando il fatto che non avevo disturbi – non lo cercavo nemmeno, non quando arrivava e per tutto il tempo che era qui non mi guardava negli occhi.
Nelle ultime settimane avevo dovuto prendere la maternità parziale dal lavoro ed assumere una donna ad ore perché m’aiutasse con i lavori di casa. Faccio fatica ad allacciarmi le scarpe, figurati se riesco a chinarmi per caricare la lavastoglie…uffa!
Per fortuna, dopo un paio di fiaschi, avevo trovato Alice ed ci eravamo subito capite alla lettera.
La donna era un po’ al di là’ dei quaranta e ci incontrammo per l’intervista in un piccolo locale vicino al laboratorio durante la pausa pranzo.
Gli occhi verdi della donna avevano guardato prima il mio camice - che non avevo avuto voglia o tempo di togliermi, poi avevano lanciato un’occhiata al mio pancione che fuoriusciva di un buon quindici centimetri, tendendo la stoffa colorata di un vestito pre-maman che avevo infilato quel mattino, non volendo osare di provare con i jeans.
“È quasi ora di pranzo, cosa ne dice se continuiamo a parlare da qualche parte dove posso prepararle qualcosa? Ha bisogno di far riposare quelle caviglie, signora.”
Non ha tutti i torti, Hervas.
Il mio addome si era gonfiato ed arrotondato tanto che non riuscivo più a vedermi i piedi da un po’ ed avevo preso a portare le ballerine per comodità ma ogni sera le gambe mi facevano male a causa della mia mania di stare in piedi tutto il tempo.
Dopo una pasta saltata con verdure ed una macedonia fatta con banane, mango e avocado (le voglie erano quelle, ahimè) eravamo passate a fare la lista delle spese e dei lavori casalinghi più impellenti che non mi ero più sentita di fare;
Il momento in cui tornavo a casa la sera era già tanto se passavo del Mac&Cheese nel microonde e poi mi trascinavo di sopra a letto.
A fine pausa ormai la routine si era assodata ed Alice mi salutò prima di andare a fare la spesa ed iniziarmi le pulizie.
[…]
I giorni passavano ed erano già due settimane che Alice era entrata nella mia vita; il menage familiare era notevolmente migliorato grazie a lei.
La donna aveva passato una buona parte della prima settimana a fare le pulizie di primavera ed aiutarmi con gli ultimi preparativi per la cameretta.
Il loft era tornato immacolato, Alice poi si era rivelata una bomba in cucina: preparava degli smoothie di frutta per cui avrei ucciso.
Linds, dal canto suo, non si era fatto più sentire ma non ci davo molto peso.
Avrà trovato qualcosa di talmente interessante che il tempo non ha più importanza.
[…]
Il calendario contava otto mesi e sei giorni quel mattino e mi ero alzata inusualmente presto, la creatura dentro il pancione m’aveva svegliata a suon di calci nemmeno tanto delicati che però all’alzarsi dal letto si erano quietati.
Meglio di una sveglia, peggio di suo padre.
Per colazione mi ero sbafata un intero tubo di yogurt al mango corredato da una tazza di decaffeinato ed un paio di biscotti ai cereali.
Poi ero passata nel bagno ed avevo deciso per una passeggiata dato che l’irrequietezza non mi passava.
Ahimè, lontani i tempi delle corsette liberatorie!
Scelto un paio di leggings invernali ed un vestito di lana per proteggersi dall’umidità di marzo, avevo infilato dalla testa il parka - l’unica cosa che almeno mi copriva interamente - ed ero scesa in strada.
Avevo camminato un bel pezzo di strada sotto alberi coperti di gemme di un verde tenero, comprato il giornale e quindi mi ero avviata senza nemmeno accorgermi verso il laboratorio.
I miei colleghi non si stupirono di vedermi lì nonostante sia poco meno di un dirigibile e passo sopra ai loro borbottii sul fatto che non mi fa bene stare troppo in piedi and on it.
Per un’ora o due mi ero dimenticata dell’irrequietezza, seduta alla mia scrivania davanti al monitor del pc.
Poi ero andata in sortita per una tazza di caffè e all hell broke loose.
Mi ero alzata con una lieve fitta, un piccolo crampo allo stomaco quasi subito sparito facendo due passi: c’erano venti metri dalla saletta relax alla mia postazione quindi non mi ero accorta di nulla fino a che non mi ero fermata davanti alla macchinetta in attesa.
Un altro crampo ed un calcio deciso dal bambino nella mia pancia, per poco non cacciai un urlo.
Da quel momento le mie acque si ruppero e la mia vita non sarebbe stata mai più la stessa.

~ present time
Quella sera la passai in solitaria, Linds tornò al loft solo dopo che mi ero messa a letto e addormentata.
La mattina seguente era chiaro che – se avesse potuto – non mi avrebbe rivolto la parola.
Non aveva atteggiamenti arrabbiati ma rilassati, educati e gelidi.
Colazione con una banana ed caffè quindi si era piazzato sul tavolino davanti al divano con il suo notebook, un paio di auricolari con microfono e un faldone sulle ginocchia passando il tempo a lavorare.
A quel punto l’avevo lasciato a svernare come meglio gli piaceva ed ero uscita per il laboratorio.
Avevo ricominciato a fumare, rapace e controvoglia dopo uno stop di quasi vent’anni dall’ultima volta.
Sbagliato hai sbagliato, Hervas.
Ma che tu sia dannata se ti prostrerai davanti a lui in cerca di espiazione!

No, non avrei mai cercato o chiesto perdono per ciò che avevo fatto.
Punto ed a capo.

Alcuni giorni dopo la situazione era bene o male la stessa ed era arrivato il weekend.
Il silenzio fra me e Linds si era rotto appena quel poco per vivere in maniera civile sotto lo stesso tetto, ma eravamo come due estranei costretti nello stesso ambiente.
So much per una amicizia!
Linds era poco meno di un ghiacciolo, chiuso nel suo mondo di relazioni scientifiche ed esperimenti a distanza.
Io invece ero innervosita all’ennesima potenza.
Era più di due settimane che avevo scoperto della fuga di Kurt.
Quasi quattro se contavo la settimana che avevo atteso prima di iniziare a cercarlo e la sera che Kurt aveva effettivamente abbandonato Rachel e non avevo ancora ricevuto un segnale od una risposta.
Ormai la preoccupazione mi stava rodendo da dentro, ero un fascio di nervi pronto solo a collassare.
Intanto era di nuovo sera, il sole basso ed invisibile dietro le facciate degli edifici che circondavano il loft.
Ero appena tornata da una corsa e morivo di fame.
Dopo la doccia ero ridiscesa di sotto per iniziare la cena mentre Linds si trastullava con il suo portatile-giocattolino, non si era nemmeno voltato a guardarmi quando mezz’ora prima avevo preso la scala a chiocciola.
Negli ultimi giorni aveva intrattenuto più di una videochiamata serale con lo staff del suo dipartimento ma aveva sempre negato il suo ritorno, dicendo che la ‘situazione’ non glielo permetteva ancora.
La situazione… la situazione!
Io avevo continuato a presentarmi al lavoro nella filiale Venter Institute Research di San Francisco ma a livello produttivo stavo dando molto meno del mio solito abituale, tendevo ad uscire alcune ore prima. Mi era impossibile concentrarmi totalmente su qualcosa o qualcuno.
Fu per quello che ebbi un tuffo al cuore quando sentii il buzzer della porta d’ingresso trillare di punto in bianco e saltai su, speranzosa.
Ti prego, fa che sia Kurt. Non sarei nemmeno arrabbiata, ti prego.
“Vado io.”
“’Kay.” rispose Linds, lanciandomi un’occhiata incuriosita da sopra gli occhiali ma senza spostare il portatile dalle ginocchia.
Corro quasi verso l’ingresso ed apro di scatto la porta mentre risuona un secondo trillo.
Oh...
La bolla di speranza si sgonfia letteralmente quando vedo Hugo sulla soglia con il dito ancora alzato per il campanello e l’espressione sorpresa, tiene delicatamente un piccolo mazzo di fiori con l’altra mano – garofani - appoggiati sull’avambraccio.
Fiori?
“Ehm, ciao…” esclamo, improvvisamente molto molto tesa “Cosa…?”
“Forse sono arrivato in un brutto momento?” domanda a voce bassa, con un tatto che è la sua immagine quasi.
“Ehm sì…voglio dire no…!” scuoto una mano poi il mezzo sorriso mi si congela “Oh cielo…dimmi che non avevamo un appuntamento stasera…”
“In effetti…” ammette lui, con un sorrisetto “Avevo mandato un messaggio ma a quanto pare non l’hai letto o non ti è arrivato. Sono tornato ieri sera e pensavo che potevamo recuperare un po’.”
“Oh...scusa. Sono mortificata io non-”
“Non c’è alcun problema, davvero, può capitare a chiunque Michelle. Forse avrei dovuto telefonare-”
“No, non è questo, la verità-”
Non riesco a finire la frase.
“Michelle…chi c’è alla porta?” per poco non salto sul posto quando sento Linds quasi dietro di me.
Oh cavolo cavolo cavolo cavolo…
Devo essere sbiancata e gli occhi nocciola di Hugo si sono stretti a fessura incuriositi ed un pelo sospettosi.
Sono obbligata ad allargare l’angolo della porta in modo che i due si vedano.
Tengo gli occhi fissi su un punto indefinito del corridoio mentre li presento a denti stretti.
“Hugo ti presento Linds Lagden. Linds, Hugo Balesi.”
Il topo non si fa problemi e tende la mano, sorridendo “Mister Balesi, great meeting you.”
“Piacere mio. Mister Lagden, il padre di Kurt?”
“Esatto.” replica asciutto il topo, non ha ancora smesso di sorridere sinistro.
Hugo invece non dimostra alcun sentimento oltre un pacato garbo...il garbo dell’avvocato che sta per infilarti con tutta la dovuta delicatezza immaginabile una lama in mezzo alle costole.
“Una sorpresa conoscerla. Non l’avevo mai vista da queste parti. In visita immagino?” Hugo sorride compiacente e mi volto per guardare un muscolo che guizza sul viso di Linds. Oh cavolo!
“Ehm Hugo, a proposito di questo volevo- ti dispiace se parliamo un momento. Linds torni di là?”
“Non vedo perché dovrei.” replica il topo con un cenno del capo, prima di tornare verso il divano ed il suo portatile in sospensione “Invita Mister Balesi dentro, può sempre cenare qui se lo desidera e puoi spiegargli tutto quello che si è perso mentre perorava a Sacramento la situazione rifiuti deplorevole di San Francisco.”
Peggio di una doccia gelata! Accidenti Linds!
Hugo è rimasto sorpreso quanto me dalle conoscenze di Linds a riguardo su una città in cui non vive ma si riprende e sorride, lanciando comunque un’occhiata curiosa alla schiena di Linds.
“Sarei felice di rimanere se lo desideri Michelle...”
“Ecco...” Al diavolo, Linds! “Entra dai, sono sicura che intanto ho fatto da mangiare per un reggimento!”
[…]
Mezz’ora dopo siamo ancora seduti alla penisola, Hugo a suo agio in maniche di camicia, Linds con la sua maglietta stinta del Rocky Horror Picture Show ed io che nascondo il mio nervosismo occupandomi dei piatti per il dessert: una deplorevole vaschetta di gelato ai gusti tropicali.
“Non ho visto Kurt, ma immagino che sia fuori.” commenta leggero.
“Ecco sì, è a proposito di Kurt…” inizio, senza guardare nessuno dei due uomini di fronte a me “Ha litigato con Linds ed è sparito. Non risponde al telefono, non è a Los Angeles da Raphael o da mia madre in Reno.”
Hugo ha lanciato più di un’occhiata a Linds durante ma il topo aveva ignorato il discorso tipo sordità selettiva ed l’ultima mezz’ora era passata a piluccare appena dal suo piatto. Quindi aveva ignorato il gelato per recuperare un bicchiere, del ghiaccio dal frigo ed un dito scarso di whisky, il tremore dell sue mani che faceva suonare il ghiaccio sul vetro.
Afferra il portatile con l’altro braccio, il filo dell’alimentatore che batte contro ogni scalino della scala a chiocciola e subito dopo la porta dello studio/stanza degli ospiti che scatta chiusa.
“Non gli vado molto a genio…” commenta Hugo, cercando di alleggerire l’atmosfera ed alzandosi dallo sgabello.
“Mi è passato completamente di mente che saresti tornato…mi dispiace davvero.” cambio argomento sperando che mi segua quel poco che basta perché si dimentichi del topo scimunito mentre lavo i piatti.
“Michelle, non scusarti. Sei preoccupata, lo sarei anch’io se succedesse qualcosa a Giulia.” ha la fronte aggrottata ed alcune linee agli angoli della bocca “Se vuoi posso provare io a contattarlo? Vedere se mi risponde?”
“Non so…penso che possa avercela anche con me…non so veramente cosa fare.” gli ero grata del pensiero, aveva sempre avuto un rapporto più che amichevole con Kurt ma mai oltre o vicino ad un rapporto padre-figlio.
“Kurt ti adora, Michelle. Non avete provato ad allertare la polizia?”
“No. Linds è contro l’idea. Dice che Kurt tornerà…”
“Bella faccia tosta se è lui il fautore del scisma!” borbotta, poggiando una salvietta sulla spalla in attesa di asciugare i piatti.
Scuoto la testa con un sospiro, concentrata su quello che sto facendo e meno arrabbiata di quello che sembro “È una persona particolare, Hugo. Il più delle volte parla senza fare le addizioni necessarie per stimare l’emotività dietro ciò che pensa. Se Linds ha detto la verità a Kurt non lo ha fatto per ferirlo, lo ha fatto perché gli è stato chiesto.”
“Come fai a esserne così sicura?”
“…” vorrei avere una risposta, in realtà non ce l’ho e la fronte di Hugo si corruga, afferrando il primo piatto.
“Rimarrà molto?” domanda un po’ brusco, poi fa marcia indietro “Intendo…la situazione è difficile ma…” Gli mando un sorriso, è sempre così gentile ed attento
La tensione dentro questo appartamento si taglia con un coltello, non mi stupisce che l’idea di me e Linds lo irriti.
“Dorme nella stanza degli ospiti. Ti assicuro che non c’è pericolo.”
“Mi fido di te, Michelle.”
“Sono desolata per la serata, cercherò di farmi perdonare appena-”
Scuote la testa “Prima Kurt, poi tutto il resto. Domani proverò a chiamarlo.”
“Grazie, Hugo.” riesco a rispondere un po’ soffocata mentre si china appena per lasciarmi un buffetto sulla nuca breve ma sentito e pieno di calore.
Parliamo ancora per una manciata di minuti prima che Hugo decida di tornare a casa ed il loft ripiombi nel silenzio.
Ed improvvisamente il grande open-space mi sembra una gabbia, una trappola alla Tomb Raider dove le pareti iniziano a muoversi fino a schiacciarti.
Erano solo le nove e mezza, tirai fuori una birra dal frigo e salii sul tetto in solitudine mentre poche deboli stelle brillavano appena contrastate da una luna tonda come una moneta.
Non sapevo più cosa pensare ed avrei ucciso per una sigaretta, peccato che le avessi lasciate di sotto.
Quindi mi accontento per la birra ed una mezz’ora qui ad ascoltare i suoni provenienti dalla strada ed una sirena lontana in effetto doppler amplificato dalle facciate dei palazzi.
È davvero patetica…la situazione fra me e il topo…
Ogni passo tentato sembrava sbalzarci in direzioni diverse, complicando ancora di più le cose di quanto già non lo fossero.
Avrei voluto chiarire ma ero quasi certa che con l’arrivo di Hugo questa sera se avevo delle chance quelle si erano dissolte. Gli occhi di Linds mi avevano detto tutto a proposito.
Parla di amicizia ma si vede ad un miglio che è geloso…e di cosa non è lecito saperlo…
Sorrido appena, esalando mentre la bottiglietta si vuota e rimango ancora seduta un po’ contro il muretto.
Il panorama da qui non è quel granchè ma San Francisco è ormai la mia casa da più di vent’anni e i suoi suoni ed odori hanno un effetto calmante su di me.
Questa città così vitale e colorata, con i suoi dislivelli e negozietti, la nebbia che sale dal mare ed il vento che spira giù dalle montagne e fa vibrare i tiranti del Golden Gate Bridge.
È con un sorriso che faccio un brindisi alla city e mi rialzo per tornare di sotto, con una lieve idea di bussare alla porta del topo e rattoppare non tutto ma almeno qualcosa se possibile.
Scopro però che Linds è uscito dalla sua tana e sta divorando un sandwich imbottito all’isola della cucina con solo il pannello led della cappa acceso come fonte di luce.
Davanti a lui sta un’agenda aperta con una biro a fermare la pagina.
“Pensavo fossi andato a dormire.” mormoro, buttando la bottiglia nel bidone del vetro ed appoggiandomi al bancone.
“Io invece pensavo che fossi uscita con l’avvocato.” arriva la sua replica asciutta tra un boccone e l’altro.
“Linds-”
“È un bell’uomo, da cosa ho letto anche intelligente.”
“…” oh, topo no…
Linds mi lancia un’occhiata, quindi continua “Kurt mi ha messo al corrente di Hugo quando eravamo a Rachel, non è stata una conversazione amichevole.”
“Cosa gli hai risposto, Linds?”
Alza le spalle “Niente. In fondo non è affar mio cosa fai o non fai, Michelle.”
Faccio fatica a collegare le sue parole con il loro significato.
Come se avessi dimenticato come leggerlo…
L’ho afferrato per il braccio, istintivamente.
“Linds, Hugo ed io…” osserva la mia mano con educata curiosità e la ritraggo di scatto, come scottata “Siamo amici.”
“Peccato.” una scintilla di cupa derisione negli occhi neri.
“Smettila di prendermi in giro.”
Beg your pardon?
“Non nasconderti dietro una maschera, Linds. Non ti fa onore.”
Ed è qui che finalmente il teatrino crolla almeno parzialmente e tutta la sua espressione passa da sardonica a non divertita.
“Non sei di mia proprietà, Michelle. Non lo sei mai stata. Sì, la tua relazione mi infastidisce ma non sono nella posizione di rimproverarti qualcosa.”
“Li-”
“Smettila di camminarmi intorno in punta di piedi.” sbotta scocciato, afferrando il piatto e buttandolo nel lavandino.
È un momento al rallentatore mentre il piatto si rompe e Linds si taglia con il coltello che avevo usato quella sera ed avevo riposto nel porta mestoli perché scolasse.
Il topo impreca e ritrae la mano dove un lungo taglio rosso si è materializzato dalla punta alla prima nocca del suo indice.
“Oddio, Linds!”
Sta stringendo alla base del dito mentre ha iniziato a perdere sangue.
Afferro uno degli strofinacci puliti appeso allo sportello del forno e corro ad avvolgergli il dito, comprimendolo.
La mia idea però non sembra avere effetto e la macchia sul cotone si espande.
“Non ti spaventare, Michelle.” mi rassicura il topo “Sto bene, sono solo…”
Non finisce la frase perché lo sto spingendo per di sopra con l’altra mano sperando che non ci vogliano dei punti di sutura.
Dieci minuti dopo, Linds è seduto sul bordo della vasca smaltata paziente mentre cerco di arrangiarmi con la compressa di garza sterile che ho trovato ed una benda semi-elastica.
Linds ha perso un mucchio di sangue, la prova sta nel lavandino dove ho immerso lo strofinaccio in acqua fredda ormai rosata.
“Fatto.”
“Grazie.”
Evitiamo di guardarci.
“Linds stai prendendo degli anti-coagulanti?”
“Sì.”
“Perché?”
“Non è una cosa grave-” tergiversa debolmente ma si zittisce quando gli stringo il polso e ripeto la mia domanda “Diciamo…supponiamo che la mia overdose abbia avuto delle conseguenze.”
Sono immobile, inginocchiata sul pavimento.
Non ho sentito, no ho sicuramente capito male.
Linds non mi osserva e gioca nervosamente con un filo della garza.
“Quali…conseguenze?” mi esce a voce bassa.
Linds rabbrividisce rassegnato e visibilmente restio, muove la mano sana nella mia direzione “Il mio sistema cardiovascolare è andato in tilt per più di un minuto.”
“Hai avuto un infarto…”
“Un infarto, sì.”
“Cos’altro?”
Vedo il suo pomo d’Adamo salire e scendere “Davvero Michelle non c’è bisogno di-”
Cos’altro, Linds?
“Mi hanno inserito un paio di bypass.”
“Non può essere l’unica cosa.”
“Ha importanza, Michelle?”
Lo fisso stralunata, ha uno sguardo esasperato e stanco.
Linds non è mai stanco, non così.
“Sai topo.” inizio con un sorrisetto debole “Per quanto il caratteraccio sia migliorato hai tanta strada da fare riguardo la tua autostima!”
“Proprio vero.” ammette, ricambiando il sorriso “Le mani mi tremano dal trauma…qualcosa dovuto alla mancanza di ossigeno nel cerebello o qualcosa del genere.”
“Non c’è cura?”
“Il più del tempo non è così visibile…” fa con tono leggero “Aumenta e diminuisce a seconda di quanto dormo e dai miei livelli di stress. Non è davvero un grosso problema.”
Sta cercando di rassicurarmi ma sono sul punto di mettermi a singhiozzare.
Perché se è lui che si è infilato l’ago nelle vene anch’io ho la mia parte di colpa.
Finiamo a parlare per buona parte di quella notte, seduti a gambe incrociate sul letto di camera mia come se fossimo tornati indietro di venti anni.
Se c’è una cosa che voglio, oltre il ritorno di Kurt, è recuperare il salvabile con Linds.
In qualsiasi forma o maniera sia...

Lost but now I am found
I can see but once I was blind
I was so confused as a little child
Tried to take what I could get
Scared that I couldn't find
All the answers, honey

Don't make me sad, don't make me cry
Sometimes love is not enough and the road gets though
I don't know why
Keep making me laugh,
Let's go get high
The road is long, we carry on
Try to have fun in the meantime
Lana del Rey ~ Born to die

~~~

Canzoni del capitolo:
- The dead weather ~ Mile markers;
- Lana del Rey ~ Born to die.

Note del capitolo:
- La Misandria per definizione è un totale e completo odio per gli uomini, perfetto parallelo della misoginia.

  
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