Serie TV > Dr. House - Medical Division
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Autore: SissiCuddles    28/07/2009    2 recensioni
Contiene spoiler della 5 stagione, su episodi che andranno in onda da settembre su Canale 5.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lisa Cuddy
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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“No. Non è tutto ok” Quelle parole risuonavano nella sua testa freneticamente. La sua voce. Era raro che perdesse la concentrazione sul lavoro, ma gli avvenimenti della settimana precedente erano rimasti impressi nella sua memoria fino a quel giorno. Qualcuno bussò alla porta e riportò in lei un briciolo di concentrazione. “Dottoressa Cuddy? C’è un problema” “Entra pure Brenda…Dimmi” “Dal pronto soccorso è arrivato un caso per il reparto di diagnostica, ma il Dottor House e il team non ci sono. E io non so cosa fare” “Il Dottor House non lavora più in questo ospedale. Ha deciso di prendersi un anno sabbatico” La sua voce era dura, tesa. La voce di una persona che conosce un segreto. Quel segreto che lei e Wilson stavano nascondendo a tutti. Uno sguardo preoccupato e, allo stesso modo, interessato si dipinse sul volto dell’infermiera-capo. “Quindi cosa dobbiamo fare?” “Passami la cartella…Grazie” Cuddy lesse la cartella brevemente. “Grazie ancora Brenda, il caso lo prendo in mano io” “Ne è sicura? Sembra un po’ scossa…possiamo sempre lasciare il paziente al pronto soccorso per altri accertamenti” “No…Grazie Brenda. Non ci sono problemi. Ci posso pensare io.” Brenda uscì dallo studio, lasciando Cuddy da sola. Prese il telefono e iniziò a chiamare. *** Erano le 11.30 e nell’ufficio di House erano riuniti alcuni medici: Wilson era in piedi in parte alla porta; Tredici e Foreman erano seduti al tavolo intenti a discutere con Taub; anche Cameron e Chase erano presenti. Cuddy si fermò davanti alla porta. Fece un respiro profondo ed entro nell’ufficio. Era la prima volta che entrava lì dentro dopo la partenza del diagnosta. Tutti la osservavano. Respirò profondamente e si appoggiò alla scrivania delicatamente. “Dal Pronto Soccorso è arrivato un caso. Come voi sapete House non lavora più qui, ma noi…” “Che cosa? House? Dov’è finito?” La voce di Cameron era un misto di preoccupazione e irritazione. Solo in quel momento Cuddy si accorse della presenza dei due sposini. “Voi due che ci fate qui? Non dovreste essere in viaggio di nozze? Io non vi ho nemmeno chiamato!” “Eravamo venuti a prendere una cosa in ospedale prima di partire, quando abbiamo incontrato Remy e ci ha detto della tua chiamata e abbiamo deciso di venire a vedere cosa stava succedendo.” “Ok…ma potete partire. Non c’è bisogno che stiate qui.” “Beh…sembra quasi che tu non ci voglia qui!” “Non è questo. Voi due vi siete sposati pochi giorni fa e siete già qui in ospedale a lavorare.” “Grazie, ma non cambiamo discorso. House dov’è?” Cuddy sapeva che avrebbe dovuto mentire, ma non ce la faceva. Stava per parlare, ma Wilson la precedette. “House non verrà. Ha deciso di lasciare per un po’ il lavoro. una sorta di anno sabbatico.” Uno sguardo d’intesa passo tra i due medici. “Abbiamo un caso. Sono la prima persona a dire che non sarà semplice, ma dobbiamo almeno provarci. Io e Wilson saremo a vostra completa disposizione e cercheremo di essere più partecipativi. Grazie ragazzi. Buon lavoro. Chiamatemi se avete bisogno” Cuddy girò sui tacchi ed uscii dallo studio seguita da Wilson, lasciando nello studio un’aria cupa e tesa. Altri passi li seguivano. Cameron stava camminando velocemente verso di loro. “Lisa…dobbiamo parlare” “Va bene. Qual è il problema?” “House” “Per favore…non chiedermi niente” “Ma…” “Non farmi più domande su di lui…” Cameron la guardò inclinando la testa di lato e annui in risposta. “Grazie” Cuddy le diede le spalle e si diresse verso il suo ufficio. Cuddy entrò nel suo ufficio, scendendo dagli alti tacchi che quel giorno le distruggevano i piedi. Aspetto che Wilson entrasse per poi chiudere la porta a chiave e tirare le tende. L’oncologo si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania e aspettò che lei parlasse. “Dobbiamo provare anche senza di lui” Il tono della sua voce era teso e smorzato dai deboli singhiozzi e dalle lacrime che scendevano dagli occhi lucidi e arrossati. “Non credo che…che noi ne siamo in grado, ma dobbiamo provarci. Per lui” “Lisa?” Wilson richiamò la sua attenzione su di lui. Cuddy non si era accorta di avergli rivolto le spalle per tutto il tempo. Si girò verso di lui, cercando di trattenere le lacrime. “Lisa…mi…mi dispiace” “James, non è coppa tua…la colpa è solo mia!” “No!” Wilson si alzò e andò davanti a lei. La guardava negli occhi. “La colpa non è né tua… né mia… né di House” La abbracciò. Lei ricambiò. “Ma James… lui è chiuso in quell’ospedale psichiatrico da giorni. Non so come sta, non so cosa sta facendo…Sono tre giorni che non riesco a mangiare, che non dormo. Non riesco a non pensare a lui, a quello che è successo, alle ultime parole che mi ha detto. Chiudo gli occhi e mi ritrovo nel mio ufficio con lui…vedo i suoi occhi che non guardano me, ma fissano il pavimento. Sento la sua voce che mi dice che non è tutto ok. E io…non posso intervenire” Wilson la guardava con una smorfia di tristezza sul suo volto. “Prenditi un po’ di tempo libero. Vai a casa e passa un po’ di tempo con la piccola… purtroppo è successo quello che nessuno aveva mai voluto accadesse, ma è stato il destino. Crudele. Sì, ma noi non possiamo farci niente. Lo so che sei dispiaciuta, perché lo sono anch’io” “Non posso…non posso lasciare l’ospedale. La clinica e la squadra ha bisogno di me...io non…” “Lisa, ci penso io. Non è la prima volta che ti sostituisco” “Grazie James, ma io non posso, proprio. Non posso!” “Perché?” Silenzio. Lacrime scendevano silenziosamente sulle guance arrossate percorrendo le occhiaie coperte dal leggero strato di fondotinta. “Stare in ospedale mi ha sempre calmato. Stare chiusa nel mio ufficio tra scartoffie e cartelle mi ha sempre calmato. Persino litigare con lui, impedirgli di fare cavolate…mi calmava. Tutto mi rendeva tranquilla. Ed ora lui non c’è. Non so quando tornerà, se tornerà. E se sarà di nuovo chi, sarà il solito House. Il nostro House? Io…” Cuddy si lasciò cadere sul divanetto. Ricordi tornarono alla mente. *Lei e House. Seduti su quel divanetto. Discutevano su una paziente mentre osservavano annoiati un video su un gatto. Un gatto che prediceva la morte delle persone vicino alle quali si addormentava. House che voleva accettare il caso. House che curava la paziente e scopriva il segreto del gatto.* Cuddy si riprese dai quei ricordi. Stava piangendo ancora. Gli occhi erano sempre più gonfi e arrossati. “Lisa…io devo andare” “Ok…” “Ehm…vai a casa. Se ci dovessero essere problemi ti chiamo.” Wilson aspettò qualche secondo in attesa di una risposta che non ottenne. Si chiuse la porta alle spalle facendo tremare leggermente i vetri delle finestre. Ricordi presero il sopravvento nella sua mente. *Lei che chiudeva le finestre e tirava le tende. House che la guardava curioso appoggiato al suo fedele bastone. Gli stava spiegando delle iniezioni per la fertilità. La mano di House che indugiava sul suo sedere, mentre lo osservava divertito.* Il suo sguardo cadde sulla scrivania coperta di documenti. *Il suo ufficio era stato distrutto da un pazzo omicida. Appena dopo la fine dei lavori aveva trovato la sua scrivania. La Scrivania. Quella scrivania che la aveva accompagnata nei lunghi anni di studio. Era stato lui. Lo sapeva, ma non lo aveva mai ringraziato e lui non aveva mai trovato il coraggio di confessare di essere stato lui. Ma questo lo sapevano entrambi. Non c’era stato bisogno di parole.* Guardò la sedia. Tutti i giorni lei si sedeva dietro alla scrivania e dava ordini a tutti. Quella sedia che poteva essere paragonata al trono. *House seduto dietro al sua scrivania che dialogava con un uomo sulla trentina. Quell’uomo dalla risata nervosa ed estremamente odiosa. quell’uomo che sarebbe stato con tutte le probabilità il padre del suo bambino. Lei che apriva il cassetto e sussurrava ad House di sbatterlo fuori* Il suo sguardo si spostò verso il bagno. L’unico posto in cui House non si era avventurato se non un'unica volta. *House che entrava di soppiatto nel suo bagno e rompeva i sanitari con una mazza. lo aveva fatto per ripicca* Sorrise inconsciamente a quel ricordo. House ne aveva combinate di tutti i colori. Lo aveva sempre sgridato. Si era arrabbiata per ogni cavolata che aveva fatto, ma adesso rideva. E mentre rideva, piangeva. Ora non sapeva cosa provava. Non sapeva dire se era triste o se quelle erano lacrime di felicità. E le lacrime scendevano fino a bagnare il colletto della maglietta rossa, che ad House piaceva. Altre risate. Altre lacrime. Ogni singola immagine, ogni singolo oggetto le faceva tornare in mente lui. Doveva uscire di lì. Non doveva pensare a lui. Ma era quello che voleva. Pensare a lui e immaginarselo li accanto, la rendeva felice, ma allo stesso tempo triste. Voleva disperatamente mantenere costante il suo ricordo. Voleva vederlo, ma sapeva che per un paio di mesi non era possibile. Sapeva di dover soffrire. Doveva sopportare tutto questo per lei. Per lui. Sorrise ancora una volta a quei suoi pensieri complicati. Stava diventando contorta come lui. Si chiuse la porta dell’ufficio alle spalle. Le sue gambe cominciarono a seguire un loro percorso. Un percorso che avevano stabilito per conto loro. Cuddy percorse i corridoi della clinica e insonsciamente i ricordi presero ancora possesso della sua mente. *Sala 3. House visitava una paziente in compagnia del marito. Lei entrava e chiedeva spiegazioni sulla presenza di Cameron nella nuova squadra. House la accusava di essere gelosa e lei se ne andava senza dire una parola. Lui che girandosi non la trovava alle sue spalle e la cercava nel corridoio* Proseguì. *Sala 4. House si nascondeva per l’ennesima volta. Cercava di sfuggire dalle ore di ambulatorio, nascondendosi in una delle sale visita. Lei entrava e lo svegliava* Continui ricordi. valanghe di ricordi. Ora era diretta verso l’ascensore. Un altro sorriso. Non sapeva dire quante volte si erano incontrati lì dentro. Si ricordava ogni loro conversazione. *House scherzava sulle dimensioni del suo sedere. Gli sguardi di tutti gli altri presenti fissi su di lei, che arrossiva lentamente.* *Lei che lo aspettava davanti all’ascensore con una cartella in mano. Gli assegnava un altro caso e mentre scherzavano sui loro difetti lei gli diceva che avrebbero condiviso per un po’ lo stesso ufficio.* Cuddy prese l’ascensore diretta verso pediatria. Aveva sempre desiderato di diventare madre. Aveva provato in molti modi, ma invano. Aveva perso ogni speranza, anche dopo gli aiuti di House. Ora però aveva una splendida bambina, che cresceva ogni giorno e diventata sempre più bella. *Aiutava in un caso, non per sua volontà. Era stata nominata tutore della bambina dal giudice. La bambina stava male. Febbre alta. Troppo alte. Lei al prese in braccio e corse fuori dalla sala operatoria, verso le docce. Si sedette sul pavimento con la bambina. Il getto ghiacciato le urticava la pelle. I vestiti erano completamente inzuppati. House la raggiungeva e le gridava contro. Le diceva con non diventare una madre era stata una fortuna. E dopo averle detto questo, se ne andava zoppicando* *House entrava nel negozio e osservava stupito lei e Wilson davanti ad una culla. La faccia scioccata di House alla notizia che sarebbe diventata madre. Che avrebbe adottato un bambino* *Joy. Lei che teneva tra le sue braccia quella bambina. La teneva in braccio per la prima, l’unica volta. Becca voleva tenerla, negandole la possibilità dia adottarla. Ci era andata così vicino quella volta. Lei seduta sul pavimento della cameretta. Distrutta. House che suonava alla sua porta. Il loro bacio.* Erano ferite che avevano fatto fatica a rimarginarsi. Avevano lasciato piccole e grandi cicatrici nella sua vita. Situazioni che non avrebbe augurato a nessuno. E il loro bacio. Quel bacio che non avrebbe smesso. Che avrebbe continuato per ore ed ore. Ora saliva le scale con un sorriso. *Lei saliva le scale con facilità mentre House le gridava contro che prima c’era più rispetto per gli handicappati* Ora percorreva a passo deciso il corridoio di oncologia. aumentò il passo, mentre la rabbia le saliva nel petto a quel ricordo. *House aveva fatto credere di stare per morire. Diceva di essere allo stato terminale. Lei che gli apriva la porta di casa sua nel bel mezzo della morte. Loro due che si abbracciavano nel corridoi di casa. Il giorno seguente, quando la bugia era stata svelata.* Rabbia. Rabbia. Rabbia. Aveva odiato House per quello scherzo. Per quella bugia ben architettata, ma troppo grande. Si fermò di colpo. Non sapeva bene in che modo fosse arrivata fino a lì. Il suo inconscio la aveva portata in vari posti. Nei posti in cui erano avvenute cose importanti, felici, tristi… Ora era di fronte al suo ufficio per la seconda volta in quel giorno. E per la seconda volta entrò nel suo ufficio. Trattenne ancora il fiato. Non c’era nessuno. Immaginò che la squadra fosse scesa a fare qualche esame al paziente e ringraziò per questo. Non voleva farsi vedere in quello stato. I suoi piedi tastarono la moquette. Quella moquette ancora macchiata di sangue. *Aveva deciso di far cambiare la moquette dopo che questa era stata macchiata di sangue. Lui piombava nel suo ufficio e come un bambino chiedeva la sua moquette indietro. Rivoleva la moquette macchiata di sangue. Puntava il bastone e piagnucolava come un bambino. Lei accavallava le gambe sulla scrivania in segno di supremazia e non gliela voleva ridare. Giochi di potere.* Alzò lo sguardo sui mobili. *I mobili erano scomparsi dopo il loro ennesimo scambio di scherzi. Lei seduta sul pavimento tra i documenti sparsi sulla moquette. House nella stanza accanto che parlava con il tea. I solito esami idioti che voleva fare sulla paziente. La loro discussione. Loro due soli nell’ufficio. Il loro quasi-bacio. Un’altra volta.* Il suo sguardò si spostò sulla scrivania. Prese a guardare gli oggetti appoggiati. C’era di tutto: le sue palle di gomma, gli occhiali da sole, la scorta d’emergenza di Vicodin. La sua mano scivolò sui cassetti. Cominciò a cercare. Non sapeva cosa, ma voleva trovare qualsiasi cosa. Frugò tra i documenti, le cartelle, gli scontrini fino a quando non trovo una foto. Lesse la dedica. Era la sua calligrafia. Lettere molto grandi. “Guardarti studiare è la cosa più bella” Greg H. Guardò la foto con più attenzione. Un sorriso. Un’altra lacrima. Era lei nella foto. Non si era accorta di quel fotografo segreto. Di quello scatto. Seduta su una panchina. China su un libro dall’aspetto noioso. Gli occhiali da sole, appoggiati sulla testa. Facevano da cerchietto ai lunghi ricci castani che ricadevano a grandi ciocche sulle spalle. Rilesse la dedica. Pensò a quando House gliela aveva scattata. A quando House aveva scritto a dedica. A quando House aveva progettato di dargliela, ma non aveva trovato il coraggio di consegnarla. Prese la foto e se ne andò. Uscì dall’ospedale. Ora poteva tornare a casa. Aveva quello che voleva. *** (House) “Signor House. C’è una lettera per lei.” Lo sguardo di House era sorpreso. Prese la busta dalle mani del fattorino. Era la prima volta che riceveva qualcosa all’interno dell’ospedale psichiatrico. La lettera era anonima. Non era stata firmata e l’indirizzo non era presente. La busta era spessa, tanto da non poter intravedere il contenuto. House la aprì cautamente. Era una foto. Era lui. Seduto alla sua scrivania, intento a fissare i sintomi scritti sulla lavagnetta bianca. Gli occhiali da vista appoggiati sul naso e la pallina di gomma in mano. Girò la foto e lesse la dedica. La sua calligrafia. Scrittura femminile e molto arricciata. “Guardarti pensare è sempre stata la cosa più bella” Lisa C. Il primo sorriso dopo tanto tempo. Un girono sarebbe tornato. Sarebbe tornato al più presto.
   
 
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