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Autore: Doux_Ange    23/08/2019    0 recensioni
Partendo dal titolo con una citazione del nostro Capitano in 'Scegli me!', una serie di one-shot per raccontare come, in molte puntate, la storia tra Anna e Marco sarebbe potuta andare diversamente.
I capitoli saranno in parte presi dall'altra fanfiction che ho scritto, 'Life-changing frenzy' relativamente alle parti immutate.
*Grazie alle mie brainstormers, Federica, Clarissa e Martina!*
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Olivieri, Marco Nardi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le favole del maresciallo C. - Le mille e una fonte

 

C’era una volta, nella valle del fiume Naia, tra le fonti dell’Amerino e di Furapane, un re che non sapeva più amare. Egli era stato tradito dalla sua sposa e, da allora, il suo cuore si era ammalato. Un giorno, una fanciulla raccolse dell’acqua da una fonte nascosta: lei non lo sapeva, ma quell’acqua aveva dentro lacrime d’amor perduto. Lungo la via di casa, la fanciulla incontrò il re assetato, e gli porse la sua acqua. E senza nemmeno rendersene conto, grazie a quell’acqua miracolosa, il re guarì dal mal d’amore, e il suo cuore fu pronto ad amare di nuovo.

 

Marco’s pov

 

È una splendida giornata di inizio giugno.

E non solo per il sole e il cielo azzurro senza traccia di nuvole, ma soprattutto perché in questa mattina così bella, Anna cammina al mio fianco per le strade di Acquasparta.

In realtà siamo qui per un motivo banale: mi ha detto di aver visto delle immagini storiche di questo paesino che, come moltissimi altri borghi umbri, nasconde delle vere perle, e che le sarebbe piaciuto molto visitarlo, aggiungendo una non molto velata richiesta di accompagnarla.

Inutile dire che non c’è stato bisogno che lo ripetesse due volte.

Così abbiamo scelto il primo sabato libero disponibile per entrambi, e stamattina ci siamo messi in macchina di buon ora, per avere più tempo a disposizione.

Non solo per fare ‘i turisti’, ma anche da passare insieme.

Ultimamente lo facciamo sempre più spesso, anche per via delle lezioni di cucina, e ammetto che adoro spendere le ore fuori dal lavoro in sua compagnia. Non che avessi dubbi al riguardo, ma ho avuto una ulteriore conferma su quanto lei sia... speciale.

Sì, perché anche se quel bacio l’abbiamo etichettato come ‘errore’, per me non lo è stato. Inaspettato, certo, ma incredibile. Un errore che mi ha lasciato addosso il desiderio di ripeterlo.

Forse abbiamo solo bisogno di tempo, di capire, e in fondo credo proprio che non disdegni nemmeno lei la mia compagnia, se mi ha perfino chiesto di accompagnarla qui, no?

Per questo voglio godermi ogni istante che mi concede, e lascerò il destino fare il suo corso.

La osservo di sottecchi per qualche istante, sperando che non se ne accorga. Indossa quella camicetta blu che le dona un sacco, un paio di semplici jeans e un soprabito leggero, vista la frescura inusuale per il mese di giugno, con i capelli ramati sciolti sulle spalle. Il viso pulito, acqua e sapone come sempre, un sorriso baluginante sulle labbra, gli occhi spalancati e curiosi, le iridi chiare di sole. In questa sua semplicità, è bella oltre ogni dire.

Mi impongo di non andare troppo in là con i pensieri, perché siamo amici, niente di più, e non voglio rischiare di rovinare la giornata.

Intanto siamo finalmente arrivati a una delle tappe previste per oggi, Palazzo Cesi.

Con un gesto della mano, la invito a entrare per prima.

Decido di fare la ‘guida’ della situazione, raccontandole un po’ la storia di questo posto.

“È Palazzo Cesi, fu la prima sede dell’Accademia dei Lincei, e fu fondata da Federico Cesi agli inizi del Seicento,” spiego.

Anna mi ascolta attentamente, con un’espressione quasi scioccata. “Non ti facevo un esperto di storia!” ridacchia, lanciandomi uno sguardo divertito.

Sento un vago calore arrampicarsi sul mio volto.

“No, beh, è che... era una delle materie che preferivo, a scuola, soprattutto il periodo medievale, e l’Umbria è ricca di borghi, e...” biascico, senza rendermi conto del perché io sia tanto in difficoltà.

“Guarda che non devi giustificarti, anzi... è una cosa bella,” mi viene incontro lei, con un sorriso. “Si capisce dal modo che hai usato, che ti piace molto. E poi, il tono da professore ti si addice, sai?”

Le lancio un’occhiata a metà tra l’incerto e il lusingato. “Ah, sì?”

“Mh-mh,” annuisce. “Spero non vorrai lasciare la spiegazione a metà, adesso! Ora sono curiosa.”

“Hai intenzione di tartassarmi con le domande?” Chiedo, divertito, conoscendola.

“Mi sembra ovvio... vuoi che non approfitti di avere una guida tutta per me?”

Scuoto la testa con un sorriso, prima di riprendere con il racconto.

Anna non si perde una parola, mostrando quasi più entusiasmo di me.

Ed è una cosa che mi piace da morire.

 

Una volta concluso il giro all’interno, ci apprestiamo a riprendere il percorso. Siamo appena usciti dal grande portone del Palazzo, quando ci viene incontro un venditore di rose, rigorosamente rosse, che tiene fra le braccia.

Oh-oh.

Si avvicina a noi, tendendone una.

“Una rosa per la sua splendida fidanzata?”

Lancio uno sguardo di traverso ad Anna: non so chi dei due sia più in imbarazzo. Con un pizzico di stupore, però, mi rendo conto che nemmeno lei sta correggendo l’uomo, quindi non vedo perché debba farlo io.

Comunque sia, la situazione in corso è ambigua, e non vorrei rischiare, o correre, o creare malintesi, oltre al fatto che lei non ama particolarmente le rose rosse, quindi rifiuto con quanta più gentilezza riesco a mettere insieme.

“Ehm... no, no, grazie...”

Noto Anna fare un piccolo sospiro di sollievo.

Meno male, per un attimo ho avuto paura di stare sbagliando tutto.

Cerco di dissimulare al meglio l’imbarazzo che ancora persiste e, gettando uno sguardo più avanti, intravedo dei tavolini - un’ancora di salvezza.

“Ci prendiamo una cosa al bar?” biascico, indicandolo.

Lei fa una piccola risata.

“Sì...” risponde soltanto, lanciandomi uno sguardo divertito - di nuovo - facendomi rendere conto che il rossore sul mio volto è ancora lì.

Benissimo... ti sei fatto beccare.

 

Ci accomodiamo, ordinando due caffè, insieme ai quali ci portano anche due bicchieri d’acqua. Ne prendo un sorso, e mi torna in mente un accenno che aveva fatto Anna proprio riguardo alle fonti che dovrebbero esserci in questa zona. E infatti...

“Che buona!” Esclama lei, dopo aver bevuto a sua volta. Osserva il bicchiere per un secondo, prima di riprendere a parlare. “Siamo circondati da fonti di acque curative: Massa Martana, Avigliano Umbro e Acquasparta... C’è tutto l’itinerario delle acque minerali di cui ti parlavo.”

Le rivolgo un’occhiata indagatrice, corrugando le sopracciglia, mentre un’idea mi balena in mente. “Ah, quindi tu mi hai trascinato qui... solo per bere dell’acqua?”

Anna si lascia sfuggire un’espressione leggermente colpevole che tradisce le sue intenzioni. Trattengo un sorrisetto. “No! È che... ci tengo alla tua salute!”

Alla sua battuta non resisto, mettendomi a ridacchiare. Stavolta è il suo turno, di arrossire un pochino.

Sto per rispondere per le rime, quando un suono melodioso distrae entrambi: un giovane violinista ha iniziato ad aggirarsi tra i tavolini del bar, raggiungendo in fretta il nostro - l’unico con una ‘coppia’, per cui non è un caso che sia venuto quasi direttamente qui.

Ci scambiamo uno sguardo lievemente imbarazzato - l’ennesimo, oggi - in attesa che il ragazzo si allontani.

Poi è Anna a prendere la parola, con un’espressione maliziosa che non promette niente di buono.

“Prima le rose, poi il violino...” Elenca, inarcando le sopracciglia. “Non è che trovo un anello sotto il piattino?”

Io ricambio a mala pena l’occhiata, senza riuscire a reprimere un sorrisetto per l’assurdità delle coincidenze che si sono venute a creare.

Per un istante sono tentato di rispondere diversamente, ma poi mi torna in mente l’errore e la paura ha il sopravvento. Opto per una battuta, che comunque non è così lontana dalla realtà, almeno al momento. “Ah, se c’è, ti giuro che non è il mio, sicuro proprio...” Replico, con un gesto eloquente della mano, a cui lei risponde con una breve risata.

Decido di stemperare la tensione che, per qualche strano motivo, sembra persistere.

“Brindiamo?” Propongo, sollevando il bicchiere d’acqua.

Anna fa lo stesso col suo, tornando a guardarmi. “A cosa brindiamo?”

Metto le mani avanti, perché temo di averla messa in difficoltà, o forse non è colpa mia ma solo delle rose, del violino e l’atmosfera da proposta di matrimonio che pesa come un macigno su entrambi.

“All’amicizia.”

La sua replica non si fa attendere. “Assolutamente d’accordo.”

Ricaccio indietro la delusione.

Avviciniamo i bicchieri, facendoli tintinnare quando entrano in contatto.

Prima di portare il suo alle labbra, Anna mi rivolge uno sguardo talmente intenso da farmi mancare il fiato e, probabilmente, qualche battito.

Spalanco gli occhi, cercando in tutti i modi di capire cosa mi stia succedendo, lanciandole poi un’occhiata incerta, come a chiederle se abbia gettato su di me qualche strano incantesimo, ma lei sembra non farci nemmeno caso, impegnata a bere, la sua attenzione rivolta ad altro.

Approfitto del temporaneo silenzio tra noi per calmarmi.

Non so nemmeno il perché di questa mia reazione.

Non è successo niente di particolare, mi ha solo guardato... eppure...

Eppure hai avuto l’impressione di perderti, in quel suo sguardo di smeraldo. Avrebbe potuto chiederti qualsiasi cosa in quegli istanti, e non saresti mai stato capace di dirle di no.

Quegli occhi verdi che si ritrova saranno il tuo paradiso e il tuo inferno.

 

Anna’s pov

 

Ingoio, insieme all’acqua, la delusione.

Non so darmi nemmeno un buon motivo per sentirmi così, però...

Non sarei dovuta rimanerci male, eppure il sentimento che è risalito su per la mia gola è quello, senza ombra di dubbio.

Sono stata io stessa a dirgli che quel bacio tra noi, settimane fa, è stato un errore, e Marco mi ha dato ragione, quindi adesso perché mi sento come se mi fossi ritrovata davanti a una strada sbarrata?

Non stiamo insieme, e niente potrebbe averlo messo nero su bianco meglio della sua reazione davanti alle rose, al violino e alla mia battuta sciocca sull’anello.

L’ho detta senza nessun fine, davvero, mi è venuta spontanea, mi aspettavo solo che ridesse, chiudendo il discorso... insomma, non quella risposta.

Non è nemmeno stata una risposta così improbabile, a dire la verità, vista la batosta che entrambi abbiamo ricevuto in ambito ‘matrimonio’, ed era prevedibile, la sua ritrosia perfino a contemplare l’idea.

Solo che non pensavo mi avrebbe fatto così male.

Per le rose, non ci ho minimamente fatto caso, anzi... Marco sa benissimo che non mi piacciono molto, soprattutto non quelle rosse, quindi non me la sarei mai presa per quel motivo. Anche perché, ero rimasta ferma al fatto che il venditore avesse fatto riferimento a me come alla fidanzata di Marco, e lui non aveva nemmeno tentato di correggerlo, limitandosi a declinare gentilmente l’offerta.

Certo, quell’uomo probabilmente non lo rivedremo mai più, e non avrebbe fatto molta differenza, nel suo caso, sapere che non stessimo insieme, ma quel termine, associato a me, mi aveva provocato le farfalle allo stomaco come non le sentivo più da un sacco di tempo, soprattutto perché Marco non aveva obiettato.

Forse nemmeno a lui quel malinteso dispiaceva, in fondo.

 

Per fortuna ha pensato lui a salvarci dall’imbarazzo del momento, senza sospettare che saremmo presto incappati in un altro.

Forse non è stato il commento per l’anello quello che mi ha più ferita, in realtà, ma il suo brindisi all’amicizia.

Un riferimento più che palese alla nostra relazione.

Amici.

Siamo colleghi, no? Colleghi, al massimo amici...’

Sì, giusto... Sono contento che pensiamo la stessa cosa.’

Ho accettato il tentativo di stemperare la tensione, e mi sono mostrata d’accordo anche se ho dovuto lottare con me stessa per non ribattere che non avrebbe potuto scegliere brindisi più sbagliato.

Un errore l’ho commesso, però: quando i bicchieri si sono incrociati, ho sollevato lo sguardo per incontrare il suo, e ci ho messo dentro più di quanto avrei voluto. Ho abbassato gli occhi il più in fretta possibile, pregando che Marco non si fosse accorto di nulla.

È già capitato più di una volta, che riuscisse a leggerci dentro più di quanto avrei voluto, o intendessi lasciargli vedere, e non era il caso che succedesse la stessa cosa, poco fa.

Sono contento che pensiamo la stessa cosa.’

Amici. Siamo amici. L’ha messo bene in chiaro, ancor di più con quel brindisi.

Mettiti l’anima in pace.

E smettila di pensare troppo, limitati a goderti la giornata con lui.

 

Marco’s pov

 

Continuiamo la nostra esplorazione cercando di lasciarci alle spalle quanto accaduto in mattinata. Proprio mentre siamo a pranzo in una locanda in cui ci siamo imbattuti sulla strada, veniamo a sapere che in questo periodo è in corso la Festa del Rinascimento, e che anche stasera è previsto un evento.

“C’è il ‘Grande Corteo delle Contrade’, a quanto pare...” mormora Anna, leggendo sul libretto del programma che abbiamo recuperato all’ingresso. Solleva lo sguardo su di me, accennando un sorriso. “Scommetto che a te piacerebbe vederlo.”

Ricambio il sorriso, leggermente in imbarazzo. “Sono così prevedibile?”

“No, ma hai detto che ti piace la storia, e questo è un corteo storico...”

“Davvero non ti dispiacerebbe se ci fermassimo fino a un po’ più tardi del previsto, stasera?”

“Se a te fa piacere, perché no? E poi, sarà interessante. Non ho mai assistito a un evento del genere, e dopo i tuoi racconti di oggi, calzerebbe a pennello.”

“Allora affare fatto: restiamo!” Esclamo con entusiasmo, provocandole una risata.

Chiunque abbia ascoltato le mie preghiere... grazie.

Anche solo per avermi concesso di sentirla ridere così.

 

La scelta si rivela azzeccata. Il corteo è meraviglioso, e ne è assolutamente valsa la pena, trattenerci più a lungo.

L’unica pecca è che la serata è parecchio fresca, la temperatura è scesa di qualche grado, e noi non siamo partiti preparati, visto che in teoria saremmo già dovuti essere a casa. Io non ho molto freddo, Anna invece ogni tanto rabbrividisce.

Si sente anche qualche tuono in lontananza.

Al suo ennesimo tremito, mando al diavolo il timore e le passo un braccio attorno alle spalle, avvicinandola un po’ a me.

“Ecco,” mormoro, stringendola appena, “magari così sentirai meno freddo.”

Noto le sue guance tingersi di rosso, e un flebile ‘grazie’ sussurrato mentre si rilassa tra le mie braccia.

Vale davvero la pena rischiare, per un momento così.

Quando ci avviamo verso il punto in cui abbiamo parcheggiato la sua auto, inizia a piovigginare.

Io ho optato per una giacca di pelle*, oggi, quindi sono a posto.

“La manifestazione è finita appena in tempo,” commenta Anna, stringendosi nel soprabito leggero e, sfortunatamente, non impermeabile.

Quando raggiungiamo la macchina, siamo quasi zuppi: il temporale ha acquistato forza.

Una volta nell’abitacolo, all’asciutto, faccio per mettere in moto, ma il motore non parte. Zoppica diverse volte, per poi non dare più segni di vita; attorno a noi, il diluvio.

“Stiamo scherzando...” mormoro, provando di nuovo a girare la chiave. Niente.

“Ma non è possibile... ho fatto la revisione un paio di settimane fa! Proprio adesso deve dare problemi?”

“Provo a chiamare un carroattrezzi.”

Ma, alla risposta, mi trattengo dal mandare il tipo a quel paese.

A detta sua, ‘con questo tempaccio, non è il caso di farne partire uno’.

“Quindi loro non possono darci una mano, ma noi possiamo restare qui?” Borbotta Anna, infastidita quanto me.

Cerco mentalmente una soluzione.

“Nella strada parallela a questa, siamo passati davanti a un b&b. Possiamo provare a vedere se hanno stanze disponibili. Anche perché tu stai morendo di freddo.”

Blocco le sue proteste sul nascere, intimandole di restare all’interno dell’abitacolo mentre io vado a chiedere alla reception. Si arrende con un sospiro.

Torno dopo pochi minuti.

“Vuoi prima la notizia positiva o quella negativa?”

Anna corruga le sopracciglia.

“Vai con la positiva, così forse l’altra migliora un po’.”

Accenno un sorriso storto.

“Beh, la notizia positiva è che il posto c’è.”

“Oh, bene... E quella negativa?”

“Ehm... c’è solo una stanza disponibile. Matrimoniale.”

Perfino con questa luce fioca proveniente dalla strada sarebbe impossibile non notare il rossore sul viso di Anna.

“Ah.”

“Quindi? Andiamo? Giuro che farò il bravo.”

Lei mi rifila un colpetto sul braccio, facendomi ridere.

“Scemo.”

Vista la mancanza di reali alternative, ci affrettiamo a raggiungere l’hotel.

La pioggia continua a imperversare.

Non avevo capito che c’era un pegno da pagare, per il momento romantico.

Inutile dire che siamo più inzaccherati di prima.

Dopo esserci registrati alla reception, facciamo le scale a due a due, affrettandoci a entrare in stanza, gli arti che pizzicando per il cambio drastico di temperatura.

Non vedo l’ora di togliermi questi vestiti zuppi di dosso.

Anche se, tutto sommato, la mia camicia è pressoché asciutta, protetta dal giubbotto di pelle: basterà al massimo un colpetto di phon caldo.

Ad Anna è andata molto peggio perché il suo soprabito, non essendo impermeabile, non ha tenuto.

Lei se lo sfila velocemente di dosso, appoggiandolo a una sedia vicino a un calorifero.

Faccio del mio meglio per distogliere lo sguardo quando noto che, per via della pioggia, la camicetta le si è praticamente incollata addosso.

“Ehm... puoi... puoi andare tu per prima,” balbetto, facendo cenno al bagno.

“Sicuro?” Chiede, incerta, con un altro brivido.

“Sicurissimo. Una doccia calda ti farà bene.”

Mi rivolge un piccolo sorriso di ringraziamento, prima di chiudersi la porta alle spalle. Poco dopo sento l’acqua scorrere.

Nel frattempo, constato che avevo ragione: la mia camicia ha resistito, così come la maglia a maniche corte che per mia fortuna ho messo sotto.

Io sono a posto.

Poggio le mani sul termosifone, alla ricerca di un po’ di calore, mentre attendo che Anna esca.

Dopo qualche minuto, sento la serratura del bagno scattare, e il suo viso fare capolino dallo spiraglio di porta aperto.

“Tutto bene?” Le chiedo, con un pizzico di preoccupazione.

“Sì, sì, è solo che... i miei vestiti sono fradici e... non ho niente da mettermi. Non ci avevo pensato...” mormora con un filo di voce, le guance rosse, non so se per effetto dell’acqua calda o per l’imbarazzo.

Cerco di farmi venire in mente una soluzione.

“A questo posso rimediare io...” suggerisco, sfilandomi la camicia per poi porgergliela. “I miei vestiti sono asciutti, e ho la maglietta. Puoi prenderla tu, questa. Anche se credo che ti farà un po’ da vestito...” Provo a sdrammatizzare.

Per fortuna, la mia battuta funziona, e lei accetta la proposta.

“Grazie.”

Quando esce, pochi minuti dopo, a piedi nudi e con solo la mia camicia addosso, per qualche attimo mi dimentico come si fa a respirare. Ricordo di aver provato una sensazione simile quella volta, quando l’ho invitata a cena che ci conoscevamo appena, e lei si presentò con quel vestitino da far girare la testa. Anche allora la mia mandibola finì a terra.

Stavolta però siamo reduci da molte più cose successe tra noi, quindi c’è molto di più dietro alla mia reazione.

Anna, che ha ovviamente notato tutto, abbassa gli occhi a terra, mordendosi le labbra in un evidente segno di imbarazzo.

Non fare così, che non rispondo di me...

Cerco di darmi una svegliata senza molto successo, quando il suo cellulare squilla, facendoci sussultare per la sorpresa.

Torno a respirare mentre lei risponde dopo essersi schiarita la voce.

“Sì, maresciallo...”

Cecchini. E ti pareva.

O forse dovrei ringraziarlo?

“No, non si preoccupi... ci ha beccati il temporale e siamo rimasti qui... sì...” mormora.

Io le faccio cenno verso la porta del bagno, visto che lei ha terminato.

Annuisce, continuando la conversazione con un preoccupatissimo Cecchini.

Ho bisogno decisamente di una doccia.

Fredda.

 

Quando esco, Anna è seduta su un lato del letto.

“Ehi... che ci fai ancora lì? Pensavo che ti avrei trovata già sotto le coperte,” scherzo.

Lei accenna un sorriso.

“Non sarebbe stato carino da parte mia, addormentarmi prima.”

Faccio un cenno per minimizzare la cosa.

“Cecchini?”

“Si è tranquillizzato, più o meno. Mi ha detto di salutarti.”

Corrugo le sopracciglia, dubbioso.

“Nient’altro?”

“Non gli ho detto della stanza matrimoniale.”

“Ah, ecco,” rido. Se lo avesse saputo, penso che ce lo saremmo ritrovati qui nel giro di mezz’ora, altro che diluvio. “A proposito, dormo io sul divano.”

“Ma no, posso dor-”

“Non era una domanda e non accetto proteste. Dormo io sul divano.”

Dopo aver tentato uno sguardo da cucciolo che ignoro deliberatamente, Anna alza le mani in segno di resa.

“Starai scomodissimo, sei troppo alto per entrarci,” prova comunque a dissuadermi.

“Per una notte va più che bene. Non riuscirai a convincermi a far cambio.”

 

Restiamo a chiacchierare un altro po’, ma non posso fare a meno di notare che, nonostante la doccia calda e le coperte, Anna continua ad avere brividi.

“Hai freddo?” Le chiedo, preoccupato. La temperatura della stanza è decisamente alta, non è normale che stia così.

“Un pochino,” ammette con riluttanza dopo qualche istante, al che mi sorge un dubbio.

Mi alzo in fretta dal divano, raggiungendo il letto in poche falcate.

Così vicino a lei, mi rendo conto subito che ha gli occhi lucidi.

Mi basta appoggiare appena la mano sulla sua fronte per capire che ha la febbre. Anche abbastanza alta, credo.

“Anna, ma tu scotti!”

“Non è niente...”

“Come, no? Non va bene così, perché non me l’hai detto prima?”

“Sto bene, davvero, sarà solo qualche linea...”

Scuoto la testa.

“Adesso chiamo la reception, vediamo se hanno qualche medicina che puoi prendere. O, almeno, qualcosa di caldo da farti bere.”

Ignoro ancora una volta i suoi tentativi di protesta, sollevando il ricevitore del telefono della stanza.

Sfortunatamente non hanno nulla per abbassare la febbre, ma dopo pochi minuti portano su un tè caldo per lei.

Ringrazio la ragazza, richiudendo piano la porta.

Mi siedo sul letto accanto ad Anna, porgendole la tazza.

“Ecco qui... attenta che scotta.”

Giuro, farei qualsiasi cosa per quel sorriso.

Resto con lei assicurandomi che beva tutto, prima di sfilarle la tazza ormai vuota dalle mani e posarla sulla scrivania in un angolo della stanza.

Faccio per tornare sul divano, quando Anna mi blocca.

“Aspetta... Puoi... potresti stare un altro po’ qui con me?”

Dire che sono sorpreso è poco, ma non mi passa neanche per la mente, di rifiutare.

Mi siedo accanto a lei, con la schiena contro i cuscini appoggiati alla testata del letto.

Il mio cuore salta un battito quando Anna appoggia la testa sulla mia spalla, gli occhi chiusi.

Per quanto questa situazione sia surreale, lascio che l’istinto prenda per il momento il sopravvento, circondandole la vita con un braccio.

Passano alcuni minuti in cui nessuno dei due dice nulla.

Poi è Anna a prendere la parola.

“Sai, nessuno, da un sacco di tempo, si era più preso cura di me come stai facendo tu...” mormora.

Io le rivolgo uno sguardo incerto, senza fiatare.

“Ma non solo stasera... hai fatto tantissimo per me in questo ultimo periodo, e non so come ringraziarti... Avevo dimenticato cosa volesse dire, sentirsi così... accettata...”

Rimango per qualche istante senza parole, spiazzato. Tutto mi sarei immaginato, meno questo.

Non capisco nemmeno se è davvero lei a parlare oppure la febbre, che le fa dire più di quanto voglia, o intenda.

Dopo averci riflettuto un attimo, mi decido a rispondere.

“Non devi ringraziarmi, non ce n’è bisogno, davvero...” dico, sincero, prendendo ad accarezzarle distrattamente i capelli mentre lei alza gli occhi per incrociare i miei. “Anche perché, come ti ho già detto quella volta al poligono, non devi dimostrare niente a nessuno, non devi essere sempre la più forte, davanti a qualsiasi cosa... Chiedere aiuto è umano, e di certo non è un segno di debolezza.” Inspiro a fondo prima di continuare. “Ci sono momenti in cui si ha bisogno di qualcuno accanto...”

Anna abbassa per un istante lo sguardo. “Io non ho bisogno di qualcuno...” Sussurra.

Sto per obiettare, quando lei riprende a parlare.

“Io ho bisogno di te.”

Il tempo sembra fermarsi all’improvviso, mentre i nostri occhi restano incatenati.

Mi manca il fiato.

Non so chi dei due si sia avvicinato per primo, ma so per certo che la sto baciando, dopo mesi passati a desiderare di risentire le sue labbra sulle mie.

Ho la certezza che non sia tutto frutto della mia immaginazione quando sento la sua guancia calda sotto i polpastrelli, l’altro braccio che scende a circondarle la vita esile, mentre le sue mani si aggrappano alla mia maglietta.

Non so con quale forza interrompo il contatto.

So solo che a un certo punto mi rendo conto che quello che sto facendo è sbagliato: Anna ha la febbre, non è completamente in sé, e forse non voleva nemmeno dire quelle cose, figuriamoci baciarmi. Continuare avrebbe significato approfittarmi del suo stato vulnerabile, e l’ultima cosa che voglio è che si penta per qualcosa che io avrei dovuto impedire.

“Io... scusami... no-non so cosa mi è preso...” biascica lei, il viso in fiamme, scostandosi da me.

Questa improvvisa distanza tra noi mi procura quasi un male fisico che mi sforzo di reprimere.

“Sta’ tranquilla, non... non è successo niente...”

Mi do mentalmente dello stupido, pensando a un modo per stemperare la tensione.

Dobbiamo condividere queste quattro mura per il resto della notte, vedi di fare qualcosa.

“Che ne dici, accendiamo la tv?” Propongo esitante, e lei si limita ad annuire.

Passano diversi minuti, nei quali Anna torna ad appoggiare la testa contro la mia spalla, il respiro leggermente affannato.

Dopo un po’ mi rendo conto che si è addormentata.

Spengo la televisione, che nemmeno stavo guardando, in realtà, perché non vorrei inavvertitamente svegliarla. Ha bisogno di riposare.

 

Ripenso a tutto quello che è successo nelle ultime ore.

A come una giornata in apparenza normalissima abbia preso una rotta completamente inaspettata.

Abbasso lo sguardo su di lei, che dorme tranquilla tra le mie braccia, come se fosse la cosa più naturale del mondo essere qui, in questa situazione, così, insieme.

Mi chiedo se, quelle cose che mi ha detto poco fa, le pensasse veramente, oppure fosse solo la febbre a parlare.

Però... se non le avesse pensate davvero, forse non le avrebbe dette. Può darsi che se le sia lasciate sfuggire e abbia detto più di quanto intendesse rivelarmi, ma che le sue parole corrispondessero a verità.

Quel bacio... avrei tanto voluto non interromperlo mai, ho sperato in un istante infinito.

Perché nonostante la febbre e tutto il resto, è stato perfetto.

Come il primo.

Dolce, senza pretese, voluto... non solo da me, forse.

Non mi avrebbe risposto in quel modo, se così non fosse.

Non con quella passione e quel desiderio malcelati.

Ho riconosciuto nei suoi gesti i miei stessi sentimenti.

La verità è che ho avuto paura. Non so, che lei se ne pentisse, che mi dicesse che non era in sé, che era stato tutto un fraintendimento.

Però... mentirei, se dicessi che non vorrei baciarla ancora, che se fosse per me, resterei qui con lei per sempre.

Mi incanto di nuovo a osservarla, e riesco solo a pensare a quanto vorrei che situazioni come questa, con lei addormentata abbracciata a me, fossero scene di vita quotidiana.

Anna sospira appena nel sonno, serrando istintivamente di più le braccia attorno al mio busto.

Ricambio la sua stretta con un piccolo sorriso, lasciandole un bacio leggero sui capelli.

Comunque stiano le cose, non posso non intenerirmi di fronte alla fiducia assoluta che sta dimostrando nei miei confronti, anche in questa circostanza.

Conoscendola, so bene che non è una cosa da dare per scontata. Tutt’altro.

Se ha lasciato che mi prendessi cura di lei, soprattutto stasera, significa che si fida davvero di me, e non posso che sentirmi onorato di questo.

So che in genere vuole risolvere sempre tutto da sola per dimostrare che può farcela e per non dare disturbo agli altri, ma a me non dispiace starle accanto.

Mi si stringe il cuore ripensando a quando mi ha detto che non era più abituata a sentirsi accettata.

Conosco la sensazione, e nel suo caso è ancora peggio per un sacco di motivi diversi, perché so da cosa deriva la sua insicurezza, ed è davvero ingiusto.

Sua madre, il suo carattere, l’essere donna, la divisa...

Sono aspetti che non dovrebbero mai condizionare la vita di una persona, eppure nel suo caso è successo, e nonostante Anna cerchi sempre di non darlo a vedere, so che ci soffre molto.

Davvero, io vorrei solo che fosse felice.

Senza nemmeno rendermene conto, mi addormento, stringendola ancor di più tra le mie braccia.

Stanotte non avrò bisogno di sognare di svegliarmi con lei al mio fianco.

 

Anna’s pov

 

Quando mi sveglio, l’orologio indica che sono passate da poco le 7 del mattino.

Il mio cuore fa un balzo quando mi rendo conto di non essere a casa mia, ma di trovarmi in una stanza d’albergo abbracciata a Marco.

Sbatto più volte le ciglia, ricordandomi gli eventi della notte scorsa.

E l’unica cosa che riesco a pensare è che sono una stupida.

Solo io potevo cacciarmi in un casino del genere.

La febbre, soprattutto se alta, tende a sciogliere la lingua, ed è esattamente quello che è successo a me ieri sera.

Se mi fossi fermata a ringraziarlo per la sua gentilezza, la scusa avrebbe anche potuto reggere, ma non sono riuscita a trattenermi quando mi ha detto che a volte si ha bisogno di qualcuno accanto.

Le parole mi sono uscite di bocca prima che potessi fermarle.

Non ho avuto nemmeno il tempo di rendermi conto di averle effettivamente pronunciate, perché mi sono ritrovata a baciare Marco senza sapere esattamente come.

Non che mi importasse granché.

Il solo aspetto che meritasse la mia attenzione erano le sue labbra sulle mie.

In quel momento, abbracciata a lui, non ho avuto dubbi di amare Marco con ogni fibra del mio essere.

Ho sentito il cuore incrinarsi quando lui si è allontanato di colpo.

Ho biascicato una scusa perché non sapevo che fare, sperando che attribuisse i miei gesti alla febbre, con il terrore di aver rovinato tutto, di nuovo.

Perché era ovvio che si sarebbe tirato indietro.

Siamo amici, ed è colpa mia se siamo ‘solo’ questo.

Sono stata io a dirgli che quel bacio a casa mia è stato un errore, io a mettere le mani avanti, io a etichettare tutto e minimizzare le cose.

Perché ho avuto paura che fosse lui a dirmi di aver frainteso.

Non ho voluto rischiare, e lui mi ha dato ragione.

Sono felice di sapere che, comunque sia, in Marco ho trovato un vero amico, ma non mi basta. Ne ho avuto la certezza passando sempre più tempo con lui.

È così facile immaginarci insieme ogni giorno, immaginarlo al mio fianco sul serio, durante le lezioni di cucina.

E invece no, tutto perché io devo avere sempre le cose sotto controllo, e la consapevolezza improvvisa di aver iniziato a provare dei sentimenti per lui mi ha destabilizzata a tal punto da farmi battere in ritirata senza darmi altre possibilità.

Se c’è qualcuno da rimproverare in questa situazione, sono solo io.

 

Con estrema riluttanza, sciolgo delicatamente l’abbraccio in cui sono ancora stretta, facendo attenzione a non svegliare Marco.

Mi concedo un attimo in più per osservarlo: ha un’espressione serena sul volto, i riccioli in disordine.

Sorrido di fronte a questa scena così tenera, poi mi alzo con cautela dal letto, mettendomi in piedi. Noto con piacere che la febbre sembra essere solo un ricordo.

Mi sistemo meglio la camicia di Marco, che si è stropicciata sul bordo, tirandola più giù possibile sulle gambe.

Se penso che ho dormito solo con questa addosso abbracciata a lui...

Scuoto la testa, tentando di darmi una regolata, e mi avvio verso il bagno per recuperare i miei vestiti, che ormai si saranno asciugati.

Una voce mi distrae dall’intento.

“Dove vai?”

Mi volto, per trovare Marco che si raddrizza a sedere sul letto stropicciandosi gli occhi, la voce impastata di sonno.

“A vestirmi...” mormoro, con ovvietà, senza sapere bene come comportarmi.

“Come ti senti?” Continua lui con lo stesso tono sonnecchiante di prima.

“Molto meglio,” rispondo allora con un sorriso. “Grazie per essere stato così premuroso con me, a proposito.”

Faccio per riprendere il mio tragitto, ma quello che mi dice mi blocca sui miei passi.

“Farei qualsiasi cosa per farti stare bene.”

Mi volto di scatto verso di lui con gli occhi spalancati per lo stupore.

A giudicare dalla sua espressione, si è reso conto solo adesso di aver pronunciato quelle parole ad alta voce.

Non so se per i residui della febbre o per un momento di coraggio improvviso, ma ho bisogno di sapere.

“Perché hai interrotto quel bacio, ieri sera, allora?” Mormoro mio malgrado, piantando gli occhi a terra.

Quello sì che mi stava facendo stare bene.

Benissimo. Meravigliosamente.

Marco esita un istante, in cui io torno a guardarlo, temendo di aver chiesto troppo, poi lui inspira a fondo prima di prendere la parola.

“Mi sono innamorato di te,” ammette, gli occhi nei miei, e io mi ritrovo a trattenere il fiato. “E avrei voluto dirtelo, quella sera in ufficio, ma... Poi tu mi hai detto che quel bacio era stato un errore, e pensavo di aver frainteso tutto... anche se in quel momento, uno schiaffo avrebbe fatto meno male. Ma ho ingoiato il rifiuto lo stesso, ho cercato di non forzare nulla tra noi... Se tu non volevi, non potevo mica costringerti ad amarmi...”

Il mio cuore, al sentire le sue parole, inizia a battere furioso, sembra quasi volermi uscire dal petto.

Il suo tono, così intriso di dolore, mi lacera dentro.

Mi ama, e io l’ho fatto soffrire per paura.

... mi ama.

Avrei solo voglia di buttarmi tra le sue braccia e baciarlo e non lasciarlo più andare, ma merita prima una spiegazione.

“Non è mai stato un errore,” sussurro, raccogliendo nuovamente il coraggio. “Temevo che lo fosse stato per te, e ho giocato d’anticipo. Avevo il terrore che mi dicessi che era stato tutto uno sbaglio, che era dovuto al momento, e di lasciarci tutto alle spalle... Ma io per prima sapevo benissimo che non eravamo più semplici amici da un pezzo, e che mi stavo innamorando di te, e-”

Non riesco nemmeno a continuare perché Marco si è alzato dal letto, venendomi incontro.

Di nuovo, mi ritrovo a baciarlo senza riuscire a capire come, le sue braccia che si stringono intorno alla mia vita, mentre le mie salgono a cingergli il collo. Sono costretta a stare sulle punte, ma è l’ultimo dei miei pensieri.

Mi sento leggera, felice, quasi mi stessi librando nell’aria.

Mi abbandono completamente ai suoi baci, senza curarmi di nient’altro.

In questi istanti, non esiste nient’altro, solo noi due in questa stanza d’albergo.

Se sto sognando, che nessuno osi svegliarmi.

 

Torniamo a Spoleto solo la domenica sul tardi.

Il lunedì mattina, ho un’idea di cosa mi aspetta in caserma. Sono riuscita a evitare Cecchini ieri sera, e stamattina ho atteso di proposito che uscisse di casa prima di me. So che al telefono, l’altra sera, non l’ho convinto molto, a prescindere dal fatto che lui è sempre sospettoso di suo, ma so che non potrò protrarre la bugia all’infinito. Se ne accorgerebbe a tempo di record.

Il mio campanello suona, per cui mi affretto a scendere le scale: davanti al portone d’ingresso del palazzo, c’è Marco ad aspettarmi, un sorriso stampato in volto.

Non esito un istante a ricambiare il suo bacio.

Perché ho aspettato? Avrei potuto avere un buongiorno così da un sacco di tempo.

I cinque minuti di strada che ci separano dalla caserma li facciamo a piedi, mano nella mano.

Quando giungiamo in piazza, reprimo a stento una risata: Cecchini è piazzato fuori dalla caserma, le mani dietro la schiena, con lo sguardo puntato alla stradina da cui siamo appena venuti noi. Inutile domandarsi perché sia lì, è chiaro che sta aspettando noi.

Marco non ci prova nemmeno a trattenersi dal ridere, e ammetto che davanti all’espressione del maresciallo, è veramente difficile restare seri.

Boccheggia un paio di volte, incapace di articolare alcun suono per diversi secondi.

“Ma... voi... che, state...?” Balbetta.

“Buongiorno anche a Lei, maresciallo,” ridacchia Marco, mentre io scuoto la testa fingendomi esasperata. “E sì, ‘stiamo’, maresciallo.”

Cecchini mi rivolge un’occhiata sconcertata, alla quale rispondo con un sorriso imbarazzato.

“Aveva ragione al telefono l’altra sera, siamo tornati con qualcosa di cambiato,” scherzo, prendendolo bonariamente in giro. Lui si riferiva chiaramente ad altro, visto che la storia dell’hotel non se l’era bevuta nonostante fosse vera - a parte quell’innocente omissione - ma decisamente qualcosa di diverso c’è, tra noi due, ora.

Adesso sappiamo di amarci, e non abbiamo più bisogno di nasconderci dietro qualche scusa banale.

Cecchini si riprende abbastanza in fretta, rivolgendoci poi un sorriso affettuoso.

“Beh, che vi devo dire? ‘Non osi l’uomo separare ciò che Lucio Dalla ha unito, come la canzone!”

A questa sua battuta, scoppiamo entrambi a ridere.

Chi ci aveva fatto caso? In effetti è vero, c’è quella canzone che per titolo porta i nostri nomi... e l’ultimo verso recita ‘qualcuno li ha visti tornare tenendosi per mano’.

Calza a pennello.

Ci scambiamo uno sguardo, e il suo rispecchia perfettamente il mio - perdutamente, irrimediabilmente, meravigliosamente innamorato - prima di apprestarci ad entrare in caserma.

Anche oggi è una splendida giornata di sole.

Oggi, però, splende un po’ di più.

 

 

* In realtà Marco indossava una normale giacca, e la cravatta. Per ragioni funzionali alla storia, ho apportato questa variazione.

 

 

Ciao a tutti!

Per chi non l’avesse vista o non se la ricordasse, questa versione alternativa fa rifermento a una delle ‘pillole’ dell’undicesima stagione, quella di Acquasparta, che vedeva per protagonisti proprio Anna e Marco. Era stata mandata in onda prima del tredicesimo episodio, ‘Pena d’amore’, ma per ovvi motivi in questo caso si posiziona un po’ più avanti, più o meno dopo il diciassettesimo episodio, ‘Genitori e figli’.

Come sempre, grazie mille a Martina per le idee geniali: l’ispirazione ha fatto centro, stavolta! La storia è venuta fuori in un attimo!

Alla prossima,

 

Doux_Ange

 

 
   
 
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