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Autore: rocchi68    25/08/2019    2 recensioni
Dawn era convinta, anche a distanza di anni e con una situazione non proprio rosea, che la sua fosse stata una scelta ben ponderata.
Aveva riflettuto a lungo prima di scegliere la sua futura meta scolastica. Aveva girato almeno una dozzina di licei se per questo e con un po’ di fatica i suoi desideri e le sue speranze si raccolsero tutte nello stesso liceo.
Il facile era stato cancellare quegli ambienti, classico e linguistico, che non rientravano nelle sue corde e di cui aveva un’immagine piuttosto negativa. D’artistico o tecnico non aveva nulla tra le mani e pertanto, affascinata dalle sue materie e dalle immense possibilità future, aveva virato sullo scientifico.
Come se la scelta della scuola fosse così importante, vero?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dawn, Mike, Scott, Zoey
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Ci avevano messo ben tre ore per finire quel cartellone. Avevano avuto quella genialata, ma ognuno voleva aggiungerci qualcosa di suo.
Quello doveva essere un ricordo piacevole per Lightning e dopo aver collezionato le varie idee, aver disposto le foto in un senso preciso e aver riempito il tutto con le loro firme, uscirono dalla Biblioteca.
Erano le due passate e nessuno sarebbe riuscito a chiudere occhio.
E se il loro lavoro fosse stato inutile?
E se Lightning avesse già deciso di andarsene?
E se i professori gli avessero proibito di attaccare quel pensiero innocente?
Le loro giovani menti erano ancora piene di questi pensieri, quando rientrarono nelle rispettive abitazioni, scontrandosi con i genitori per quelle fughe improvvise e i coprifuochi non rispettati.
Prima di salutarsi, avevano deciso che si sarebbero ritrovati fuori dal cancello verso le 7.
Dovevano abbellire l’aula, riempirla di palloncini e convincere il prof della prima ora, uno abbastanza pacato e che sarebbe stato capace di perdonare anche il peggior delinquente della città, a ritardare il suo ingresso.
Avevano provato a parlare ancora con Scott, ma quest’ultimo aveva eretto un muro invalicabile e sembrava irraggiungibile.
 
Lightning non si aspettava nulla per quel venerdì.
Doveva soltanto dare una risposta a suo padre che l’aveva convinto, senza pressione ovviamente, di pensarci a lungo.
Preso lo zaino mezzo vuoto, sistematosi la maglietta rossa della sua squadra di basket, uscì di casa, non prima d’aver sgraffignato alcuni biscotti al cioccolato. Strada facendo si sarebbe fermato nel bar della vecchia Blaineley, avrebbe ordinato un cappuccino con tanto di crostata al lampone e avrebbe spulciato il classico quotidiano sportivo, elargendo poco dopo i canonici due dollari e cinquanta cent.
Almeno di prima mattina quella era la sua classica routine: un qualcosa di cui avrebbe avuto rimpianto non appena fosse stato a 300 miglia da casa.
Raramente si trovava sballottolato e quel giorno non era l’eccezione alla classica monotonia degli ultimi mesi. I suoi genitori erano troppo presi col lavoro per dargli uno strappo e lui, essenzialmente, era troppo affamato per salire sulla carriola di famiglia.
Per quel venerdì andava così con un piccolo appunto sul finire. Poteva essere l’ultimo della sua vecchia vita perchè con l’entrata in una nuova scuola, ecco che sua madre l’avrebbe scorrazzato in giro per non fare tardi al suo primo giorno.
Ci sarebbe stato davvero un primo giorno?
Gli sarebbe mancata quella città e quei compagni che aveva appena imparato a conoscere.
Di Brick e Jo avrebbe conservato un piacevole ricordo, di Anne Marie le friendzone in cui piombava puntualmente, di Cody i tentativi di depistare Sierra, di Dawn il tentativo di farlo riabilitare e di Dakota l’immensa superficialità.
Nel salire la lieve salita che l’avrebbe riportato a varcare per la penultima volta il cancello, si chiese se era il caso di menzionare il suo addio o se era meglio allontanarsi in punta di piedi, versando magari, quando era ormai lontano, qualche lacrima poco virile.
Non voleva lasciare al vento quell’incombenza.
“Scusate, ma sono un codardo e da lunedì cambierò scuola.”
Suonava maledettamente male.
E urlarlo al vento avrebbe solo distorto quel messaggio.
Per un attimo aveva pensato di fare manca e di visitare gli ultimi posti di quella città. Gli sarebbe mancato il vecchio cinema, dove i popcorn erano immangiabili. Non avrebbe più guardato i magnifici cigni del parco, gettando loro qualche tozzo di pane. La palestra con i suoi attrezzi sarebbe stata al sicuro. E il negozio di videogames si sarebbe chiesto dov’era finito quel ragazzo palestrato che entrava una volta al mese e che se ne usciva con due borse cariche di roba e con una tessera VIP stracolma di punti bonus.
“Posso andarci domani.” Rifletté amaro, consapevole che per svuotare la sua stanza non ci avrebbe messo chissà quanto tempo.
Gli bastavano cinque scatoloni in tutto per svuotare la libreria e per cacciare i pochi vestiti che dormicchiavano nel suo armadio.
Quella mattina, poi, era in perfetto orario. Era davvero inconsueto che la sveglia fosse stata capace di fargli mettere il piede destro sul gelido pavimento. Di solito ci voleva la banda cittadina o qualche colpo di Gong per farlo scattare.
Una cosa che i suoi compagni avevano fortuna di non patire, anche se quella mattina gli sembravano in incolpevole ritardo.
Non aveva ancora visto Cameron e Cody sfrecciare in sella alle loro bici con alle calcagna Sierra che investiva chiunque si mettesse tra lei e il suo tesoruccio.
Non c’era la macchina rossa del padre di Zoey che salutava la sua bambina e che fissava con gelosia Mike.
Non c’erano Dakota, Anne Marie e Courtney che scendevano dall’autobus linea 5 e nemmeno Dawn, Gwen e Jo che salutavano l’autista della linea 14.
Brick non aveva ancora mandato suo padre a quel paese e la limousine nera di Scott non era davanti al cancello, costringendo gli altri genitori a manovre improbabili per superarla.
Sentendo la prima campanella e, convinto che non fosse il caso di ritardare, varcò il grande cancello, guardandosi intorno e aspettandosi d’incrociare lo sguardo di qualche compagno. Si sarebbe accontentato anche di una delle solite pacche micidiali di Jo per sentirsi tranquillo e per affrontare quelle ultime ore con serenità.
Niente di tutto questo: sembrava che la sua classe fosse stata inghiottita dalla terra stessa e che lui fosse l’unico superstite.
Salutati alcuni prof, salì le scale e cacciò un profondo respiro, arrestandosi davanti alla porta della sua sezione.
“Ancora sei ore, Lightning.” Si disse, non avendo la forza di entrare.
“Sembra che siamo i primi di oggi.” Borbottò una voce che lo fece sussultare e che lo costrinse a girarsi meccanicamente.
“Tu?” Domandò sorpreso, riappoggiando la mano sulla maniglia e inspirando profondamente.
“Gli altri sono veramente pigri.”
“E tu no?”
“Io sono solo impegnato e mi stanco facilmente.” Nicchiò, scrollando le spalle.
“Probabilmente dovevamo entrare un’ora dopo.”
“Tanto meglio: dormirò di gusto.”
“Potresti fare i compiti.” Gli consigliò, quasi sentisse che non aveva portato a termine nessuno degli esercizi assegnati.
“Quali compiti?” Chiese il rosso, tremando all’idea di ritrovarsi con qualche altro richiamo.
“Quelli di matematica.”
“Da quando sei diventato così diligente da rispettare le consegne dei prof, eh Lightning?”
“E poi c’era anche l’elaborato di Chef.” Mugugnò Lightning.
“Non mi hai ancora risposto.”
“Da quando ho capito quanto sia ingiusto sabotarmi solo perché nessuno riesce a capirmi.”
“Ma sentilo: mi sembra di riconoscere questi bei discorsi.” Borbottò intimidatorio, sghignazzando poco dopo.
“Io…”
“Tanto è solo questione di tempo prima che Chef convinca gli altri prof a bocciarmi. Non che la cosa mi dispiaccia, ovviamente.”
“Hai un’ora di tempo per fare tutto e puoi contare su diverse settimane prima di arrenderti.” Gli consigliò, facendolo annuire.
“Ma se rimaniamo fuori, non riuscirò mai a farcela.” Mugugnò il rosso, invitandolo ad aprire.
“Io...”
“Hai paura Lightning? È solo un altro giorno di scuola.” Lo esortò, mentre il ragazzone abbassava la maniglia.
“Va bene.” Soffiò, entrando e notando come tutto fosse avvolto dall’oscurità.
“Odio quando i bidelli non fanno il loro lavoro.” Mugugnò Scott, accendendo la luce e ghignando per quello che sarebbe successo poi.
“Dovresti smetterla di…” Mormorò, bloccandosi per la sorpresa di quello che aveva davanti.
Tutti i suoi compagni erano davanti a lui, i banchi erano nel fondo dell’aula, sulla lavagna era appiccicato il cartellone fatto in serata e tanti palloncini volteggiavano liberamente.
Sembrava una comuna festa di compleanno, anche se nessuno aveva intenzione di aprire regali o di mangiare la torta.
Inutile soffermarsi sulla reazione di Lightning che, dinanzi a quella scena, si era come paralizzato e finalmente aveva ricevuto una risposta degna. Aveva ormai capito quanto tutti gli volessero bene e quanto sarebbe stato difficile spezzare il legame che aveva costruito con alcuni di loro.
“Pensa solo che sia una giornata speciale.” Soffiò Scott, dandogli una lieve spinta e allontanandosi dall’aula, sghignazzando come al suo solito.
Lightning, per un attimo, si voltò indietro, chiedendogli di entrare in sua compagnia, ma presto Brick e Jo, afferrando le sue mani, lo costrinsero a riunirsi al resto della classe.
Per la prima volta da quando era entrato alle superiori, iniziò a piangere.
I suoi amici volevano che restasse e che non li dimenticasse una volta passati i confini.
Tirando su con il naso, lesse il cartellone multicolore che avevano realizzato con tanta fatica e abbassò la testa.
“Sei stato cattivo con noi, Lightning.” Mugugnò Jo.
“Perché non ci hai detto nulla?”
“Non volevo…eravate troppo impegnati, Brick.”
“Sei uno stupido.” Ringhiò l’amico, abbracciandolo, mentre gli altri accompagnavano quella stretta con un lieve applauso.
“Ma come…” Tentò, staccandosi di volta in volta dai suoi compagni e asciugandosi il volto.
“È stato Scott a dircelo.” Sibilò Gwen.
“Lui è sempre stato…dalla nostra parte.” Mormorò Lightning, cercandolo con lo sguardo e notando la sua assenza.
“Ci penso io, Lightning.” Si offrì Dawn, uscendo dall’aula e notando come il compagno fosse poco lontano a fissare il panorama dalla finestra.
Avvicinatasi lentamente, il rosso si girò di scatto e le rivolse un sorriso.
“Scott…”
“Ora sarai soddisfatta e non dovrai più sforzarti.” Mugugnò il rosso.
“Perché non entri anche tu?” Chiese, porgendogli una mano che lui studiò per qualche secondo, salvo allontanarla bruscamente.
“Non sforzarti in qualcosa in cui non credi.”
“Ma…”
“Impegnarsi, tanto per avere la coscienza pulita, non ne vale la pena.” Le spiegò, avviandosi verso le scale.
“Io riuscirò a cambiarti. Questa è una promessa.” Replicò, alzando la voce, mentre il compagno negava sconsolato per quella decisione che poteva essere la rovina della sua vita.
 
Scese le scale e salutato il Preside che lo fissava con lo stesso sguardo di uno che ha appena subito un torto orribile, si scontrò con Duncan.
Non riusciva proprio a raddrizzare quegli ultimi giorni orribili che lo spingevano a credere d’aver sprecato fin troppe assenze e che quei periodi sfigati fosse meglio passarli a letto, fissando il soffitto privo di vita e scendendo in salotto quando mezzogiorno era praticamente dietro l’angolo.
Eppure sentiva che doveva assistere a quello spettacolo. Dopotutto era stato tutto frutto di un suo piano prestabilito.
A chi dava merito a Dawn di aver sistemato da sola l’intera classe, di aver superato ogni contrasto, lui, dal suo angolino oscuro, dissentiva.
Chi era stato a spronarla quando credeva che la strada fosse in discesa?
Chi era stato a convincerla che nessuno era come Mike o Gwen o Courtney che si accontentavano di una parola gentile per essere felici?
Chi aveva sbrogliato per una buona metà la matassa del gruppo di Brick?
Chi era quello che aveva risollevato Lightning e che aveva alimentato i suoi molteplici dubbi, facendo guadagnare tempo al resto della classe?
E a chi si chiedesse perché aveva fatto tutto questo, lui non avrebbe risposto come al solito.
Non si stava annoiando.
Si era mosso solo per sdebitarsi con quella ragazza cui aveva minato ogni certezza. Se Dawn fosse stata gentile e sicura come alle medie, non avrebbe avuto la minima difficoltà a integrarsi fin dal primo giorno del primo anno, ma dato che era artefice di un cambiamento così drastico, si sentiva in dovere di spiegarle l’ultima lezione.
Solo perché aveva sofferto fino all’altro ieri, ciò non significava che nessuno era più in grado di farla sorridere.
“Dunky.” Lo salutò, facendolo sbuffare.
“Sei tu Scott?”
“Non fare lo scemo: mi conosci da tanto e ancora mi confondi?”
“I tuoi occhi sono diversi.”
“Credo che il tuo amichetto nerd, sai quello che gira con gli occhiali e con la donna cannone, dovrebbe consigliarti un buon oculista.” Replicò il rosso, picchiettando sulla sua testa e resistendo alla tentazione di tirargli quella piccola crestina verde.
“Ho sentito da Courtney quello che stai facendo.”
“La vecchia Courtney dovrebbe pensare a tenerti in riga.”
“L’ha già fatto.”
“E come?”
“Sere fa si è presentata al nostro appuntamento con un bastone da kendo e me l’ha puntato contro, giurando che era pronta a spaccarmelo sulla testa, se non la smettevo di seguire i moto teppisti.” Rabbrividì il punk, sentendo ancora quell’arma contro la sua schiena.
“Convincente.”
“E da quel che so, la tua classe riuscirà a salvare anche Lightning.”
“Sono bravi, vero?” Domandò Scott, facendolo sorridere.
“E il prossimo sei tu.”
“Non per frenare il tuo entusiasmo Duncan, ma non ci riusciranno mai.”
“Lightning e gli altri si sono buttati e sono riusciti a riemergere. Perché non ti tuffi anche tu e non provi ad afferrare la loro mano?”
“Perché i bastardi vanno dritti a fondo.”
“Su questo non ci piove.”
“E poi non sono solo le mele marce a rovinare una classe, ma anche le prime donne.” Mugugnò Scott.
“Non mi pare che da voi ci siano chissà quali bellezze.”
“Intendo quelli che si atteggiano, idiota.” Replicò il rosso, facendo ghignare l’amico.
“Secondo me sei geloso.”
“E di chi?”
“Del mio charme: io ho trovato l’oro e ho conquistato Courtney, mentre tu sei solo come un cane.” Lo sbeffeggiò.
“Dovresti aggiornare le tue battute, Dunky.”
“Dimmi una persona che è disposta ad ascoltarti.”
“Senza di me, Lightning se ne sarebbe già andato.”
“Attento Scott…qualcuno potrebbe inseguirti e farti cambiare idea.”
“Parli di Dawn?” Chiese il rosso.
“Se hai fatto il suo nome, è perché speri sia lei a tirarti fuori dai guai.” Replicò Duncan, notando un tentennamento nell’amico.
“Per sta volta hai vinto tu.” Ammise, salutandolo e tornandosene a casa.
“Io credo che lei possa piacerti.” Brontolò il punk, urlando quelle poche parole e salendo le scale che l’avrebbe condotto in aula.
 
Le piaceva sul serio?
Credeva di essere immune a quella porcheria che molti chiamavano amore.
Non si era mai chiesto se i suoi problemi fossero da ricercare nel desiderio di essere amato. Aveva fatto una lista, tempo addietro, dove aveva elencato tutti suoi problemi e non aveva trovato l’artefice di quel maledetto isolamento.
E si ripeteva nuovamente.
Se non era colpa dei suoi genitori, dei compagni e della scuola chi ne era responsabile?
Sperava che quella mezzoretta di passeggiata fino alla sua villa fosse sufficiente a schiarirgli un po’ le idee.
Da ex superbo qual era, avrebbe rinnegato a chiunque che era lui stesso l’artefice delle sue sconfitte.
Se fosse rimasto il ragazzino spensierato delle medie probabilmente non sarebbe stato il solitario della classe, avrebbe avuto una ragazza cui riversare le sue attenzioni e non si sarebbe complicato eccessivamente la vita.
Ma se tutto fosse filato in questo modo, lui come avrebbe aiutato la classe?
Ammettendo che nascessero i canonici gruppi di Brick e Gwen, che Dawn non fosse in grado di porvi rimedio e che lui non la sospingesse a tentare, non sarebbe sbagliato supporre che la classe si sarebbe trascinata fino alla Maturità senza un pizzico di pace e di armonia?
Era divertente supporre che fosse lui il vero collante della classe e che li avesse mossi come burattini per rimetterli insieme.
Ma allora perché non aveva agito fin dall’inizio? Perché aveva aspettato tutti quegli anni?
Una persona intelligente si sarebbe mossa fin dal principio, mentre lui era rimasto come un ragno a fissarli lungamente. Trovava divertenti quelle ripicche e quei tentativi patetici di sabotare gli altri. Poi c’erano stati i primi fraintendimenti e anche i suoi oggetti erano finiti vittima della loro furia cieca.
E, raccattando i suoi oggetti usciti malconci dalla furia dei due gruppi, non voleva alzarsi in piedi, minacciare qualcuno e mescolarsi agli altri.
Aveva bisogno di una persona umile, che non si facesse troppe domande e che poteva manovrare liberamente.
E qui Dawn era stata perfetta e fin troppo convincente per i suoi personalissimi gusti.
Ma ora che non c’erano più contrasti, sarebbe cambiato?






Angolo autore:

Ryuk: Ho i miei dubbi che Scott cambierà solo perchè non ci sono più contrasti.

Ne hai la certezza?

Ryuk: No, anche se dopo venti capitoli la classe ne esce bene.

Chi l'ha detto?
Non ho mica finito.
Potrebbero esserci altre sorprese...

Ryuk: Sei fin troppo lineare con i tuoi ragionamenti.

Non questa volta.
Ti stupirò Ryuk e mi porterai rispetto.

Ryuk: Nel 2090, forse.

Intanto saluto i cari lettori e poi filo a vedere quanti giorni mancano al 2090.
Sia mai che perda con uno shinigami bacato.
Alla prossima!

 
   
 
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