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Autore: Sakata_CMC    29/08/2019    0 recensioni
Sono passati solo pochi minuti da quando Shining Armor e Cadence hanno epurato Canterlot dalla minaccia dei changelings: la Regina Chrysalis è stata esiliata ai confini di Equestria, e finalmente il vero matrimonio può essere celebrato. Eppure non tutti i mutaforma hanno lasciato il paese…
Chigger 640, dopo essersi risvegliato ai confini di Equestria, intraprenderà un lungo e pericoloso viaggio alla ricerca dei compagni da cui è stato separato.
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Gender Bender, Violenza
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GLI ESULI DI CANTERLOT

-Capitolo Secondo-


Giunsi al limitare del deserto a mattino inoltrato. Ero ben felice di essermi finalmente lasciato alle spalle quel posto...

Mentre la luce del sole aveva iniziato a rischiarare di rosa e di arancione le nuvole del posto, ero riuscito a fare una colazione a dir poco ristoratrice, nonostante avessi usato la tecnica indiretta: approfittai di una caracal, una sorta di lince dal manto marroncino e le orecchie nere, che stava difendendo i suoi piccoli da un esemplare maschile, animato da intenzioni tutt’altro che benevole. L’obiettivo del felino era quello di uccidere i cuccioli per far tornare la madre in calore, ed ottenere una progenie tutta sua.   

In un primo momento, mi ero imposto di assorbire dalla distanza una quantità di energia tale da soddisfare la mia fame, senza debilitare eccessivamente mamma caracal, consentendole la difesa della cucciolata. Per comodità e sicurezza, assunsi le sembianze di un leone, e mi distesi su una grande pietra non troppo lontana dal luogo dello scontro, potendo così tenere d’occhio la scena senza correre il rischio di diventare a mia volta preda.

Tuttavia, i risultati non furono soddisfacenti; lo scontro durò a lungo, prolungato dalle repentine ritirate del maschio, il cui obiettivo non era quello di ferire la madre, e balzi intercettatori di quest'ultima. I ruggiti si sprecavano, e ben presto dovetti rinunciare a banchettare: parteggiavo apertamente per mamma caracal, in quanto ritenevo che annientare un’intera cucciolata al fine di iniziarne una nuova fosse un vero e proprio spreco di energie. 

Dall’educazione che avevo ricevuto, ritenevo che ben altri eventi avrebbero dovuto sancire l’eventuale fine di quelle vite appena iniziate.

Il sole era adesso abbastanza in alto da far perdere gran parte degli effetti dell’alba, ed entrambi i contendenti mostravano i segni di un notevole affaticamento. Iniziai a temere la sconfitta della madre, la quale stava avendo a che fare con un caracal molto determinato, e venni presto messo di fronte a un bivio: la vittoria del maschio avrebbe significato la perdita del pasto, e forse mi sarebbe convento davvero approfittare dell’ultima spinta emotiva della madre. Ma il successo di quest’ultima mi avrebbe fatto ottenere un pasto ancora più succulento, rafforzato da quel rassicurante sentimento di cessato pericolo.

La stessa educazione ricevuta, che mi aveva portato a disprezzare i comportamenti del maschio, mi imponeva allo stesso tempo di non agire, per evitare di influenzare con le mie azioni l’equilibrio naturale delle cose.

 

Ma d’altro canto adesso ero un singolo mutaforma, e l’ecosistema di quel luogo non avrebbe risentito più di tanto della mia influenza… giusto un piccolo aiutino.

E che dire allora dell’attacco a Canterlot?

 

Mio dissidio tuttavia venne risolto poco dopo l’aver preso una decisione, e l’esitazione premiata: con un ultimo ruggito, che mi parve aver i connotati di un insulto, il maschio di caracal si ritirò, lasciando in vita le sue prede, il cui miagolio era finalmente diventato udibile. Accarezzati i cuccioli uno ad uno con il muso, la mamma caracal iniziò il cammino per far ritorno alla tana, voltando lo sguardo in ogni direzione per buona parte del tempo.  Osservai il gruppo di felidi da una distanza di sicurezza, sotto forma di avvoltoio, per poi tramutarmi in una vipera dopo aver perso quota. Non ero del tutto sicuro dell’efficacia del mio attuale travestimento, ma entrai a mia volta nella tana nella quale la famigliola era scomparsa, e facendo il minor rumore possibile mi avvicinai ai caracal; in quel momento la madre era distesa e si stava leccando le ferite, mentre i cuccioli stavano facendo a gara per poppare il latte.

Quel felice quadretto familiare non poteva che rappresentare l’occasione migliore: la buca venne immersa di un flash verdognolo, e l’intera famiglia perse i sensi prima che chiunque potesse accorgersi della mia presenza.

Assorbita tutta quella energia in un sol colpo, eruttai dalla tana avvolto in una potente vampata verde, e sotto le sembianze di un grosso caracal avvolto dalle medesime fiamme, sfrecciai a tutta velocità, tramutandomi in un condor dopo aver compiuto un sorprendente balzo, e presi il volo.

 

Di fronte a me si ergevano adesso due dirupi tanto alti quanto imponenti.

Ricongiuntomi al fiume, mi ritrovati all’ingresso di una gola, dal cui letto proveniva l’acqua che avevo seguito per così tanto tempo da quando mi ero ritrovato da solo.

Lanciato l’ennesimo richiamo, questa volta sorrisi! Il mio aspetto di rapace probabilmente diede alla mia gioia le sembianze di un ghigno sinistro, ma non aveva alcuna importanza: finalmente avevo trovato qualcuno!

Felice di aver trovato un mio simile, ripresi il mio aspetto originale e ronzai a rotta di collo sul letto del limaccioso fiume, e dovetti sorvolare un cumulo di roveti dalle spine poco invitanti, nonché qualche isolotto popolato da un abete o due.

Superata l’ennesima curva del tracciato, lanciai nuovamente il richiamo, ma non ottenni più alcun riscontro. Fui colto da un’opprimente ansia, ed atterrai sulla sponda che si trovava alla mia destra. Incespicando nella fanghiglia, mi avvicinai al muro di roccia, e sporsi la testa. Nell’ansa successiva, ad ostacolare la gola, c’era una vera e propria barriera di quei rovi, e riconobbi all’istante il corpo esamine di un changeling rimasto intrappolato tra le spine. Rabbrividii; doveva essere stata una morte orrenda… e concentrato su quel particolare, mi accorsi solo all’ultimo che c’era qualcun altro in quel posto: un altro quadrupede mi stava dando le spalle. Istintivamente, mi riparai dietro la scarpata prima che la creatura non identificata si voltasse, ma la mia presenza venne comunque rilevata.

≪Mostrati!≫ disse una voce imperiosa, leggermente distorta dall’acustica del posto.

Mi avvolsi in una debole fiammella.


≪E quello da dove salta fuori!?≫ si lasciò scappare il grifone, quando mi sporsi dal costone. Mi ero tramutato in un pony dal manto azzurro, senza né ali né corno. I miei crini, di un arancione acceso, cadevano lunghi e lisci dal lato destro. Due occhi verde smeraldo tradivano la mia preoccupazione e paura.

Con passo altezzoso, il grifone mi venne incontro. Alla mia domanda su cosa fosse successo in questo posto, il mezzo uccello e mezzo leone mi ignorò, guardando tra le mie zampe posteriori. Lo sentii imprecare sottovoce qualcosa del tipo “Ma perché il sesso di questi “pony” può essere identificato principalmente dalla lunghezza delle ciglia!?”

Dopodiché decise di darmi una risposta, limitandosi ad un accenno dell becco verso l’alto, mantenendo lo sguardo fisso su di me.

≪Sono piovuti dal cielo. Ce n’erano un po’ovunque, e andavano in direzioni differenti. Mai visto un evento simile. Piuttosto… Che cosa ci fa un pony tutto solo nella Gastly Gorge, detta anche la Gola degli Orrori… Non è certo un posto sicuro, specialmente per voi piccoli e teneri equini.≫. Il grifone sottolineò l’ultimo aggettivo con un tono che non mi piacque.

Ero impreparato a rapportarmi con i grifoni; in realtà non ne avevo mai visto uno… metà uccello e metà leone… cose da pazzi!

≪Beh ecco… In realtà…≫ dissi, cercando di trovare qualcosa da dire, ≪… Mi sono perso.≫, Conclusi, grattando il litorale con una delle zampe anteriori.

Nella Gola scese un imponente silenzio. Il grifone fece un altro giro intorno a me, senza dire nulla. L’unico rumore udibile era quello del fango smosso dai suoi artigli.

Dopo aver sbuffato, borbottando un qualche commento sui colori sgargianti, si limitò, con sguardo diffidente a dire ≪Perso? A giudicare dalla direzione da cui sei arrivato immagino che tu provenga da Appleloosa, e magari sia alla ricerca del tuo disegnino... Per un… com’era già quella parola… Ah, si! Fiancobianco! Per un fianco bianco della tua età la vita dev’essere difficile.≫.

Fiancobianco? pensai. Mi ero scordato di fare il cutie mark.

Resistetti alla tentazione di darmi uno zoccolo in faccia. ≪Err… Già! C’erano alcuni pony in particolare sempre pronti a sfottermi ogni volta che gli capitavo sotto tiro...≫, dissi con tono mesto, cercando di riacquistare credibilità. Mi decisi a muovermi verso il colossale rovo, oltre il quale non si riusciva a intravedere il resto della Gola.

≪Fossi in te non guarderei. Non è uno spettacolo per pony impressionabili., mi ammonì il grifone dal manto beige, il cui piumaggio era di un giallo scuro screziato di nero, ad eccezione di quello attorno agli occhi arancioni, che era azzurro.


Ebbi un sussulto e ritrassi la testa prima di poter scorgere altri dettagli; dietro a un tronco d’albero, spiaggiato in parte sulla riva fangosa e in parte nell’acqua bassa, c’erano i resti di un altro cangeling!

≪Ti avevo avvisato.≫.

Si trattava di Beetle2657.

Non ci avevo avuto molto a che fare, ma comunque mi tornarono in mente alcuni pettegolezzi sulla vita del changeling esamine che si trovava di fronte a me. A quanto pare, durante una delle tante migrazioni in una metropoli esotica, per una scommessa perduta passò la notte sotto al letto della Regina Chrysalis, scattandosi una foto come prova, mentre la sovrana stava dormendo con la criniera raccolta nei bigodini. Sfortuna volle che il flash dell'apparecchio fosse attivo, e secondo le malelingue il changeling trasgressore fu punito con l’assegnazione alla una ditta di spurgo dei pozzi neri della città fino alla migrazione successiva.

Quando volevano, i Changelings sapevano essere molto pettegoli e, per quanto fossero simili tra di loro, era un evento più unico che raro che quando si riferissero ad un altro changeling sbagliassero il nome del malcapitato di turno.


Il grifone, il cui nome era Nevio, mi si affiancò, ed iniziò ad osservare il cadavere. ≪Mai visto creature simili a queste! Sembrano dei pony, eppure hanno caratteristiche da insetto! E quelle zampe forate poi… Non riesco davvero a spiegarmele!≫

Se avessi avuto uno stomaco, avrei vomitato.

Senza ombra di dubbio doveva essere stato assassinato dal grifone.

≪E, cosa ancora più incredibile, quella cosa era stata avvolta da fiamme verdi e subito dopo era divenuto un cane, anzi, no! Era più un lupo! E quando l’ho colpito è tornato come prima con un’altra fiammata verde, priva di calore! Cumulonembi! questa scoperta mi farà vincere il GrandPrix per la biologia! Chi l’avrebbe detto... un semplice cartografo che scopre una specie mai vista prim…≫.

Il monologo dell’estasiato grifone fu interrotto dal gorgoglio del suo stomaco.

Lo sguardo febbricitante di Nevio, rivolto verso il cielo, e perso nei sogni di un futuro ormai prossimo, tornò alla realtà, focalizzandosi nuovamente su di me.

≪Sai…≫, disse Nevio. Feci per voltarmi verso il mio interlocutore, ma due possenti strette sul collo mi impedirono di completare il movimento, strappandomi un nitrito di dolore che riecheggiò nella gola. ≪Grazie a te dopo tanto tempo finalmente mangerò carne rossa!≫.

Mi ritrovai a terra, schiacciato dalla possente mole del grifone. Il mio muso era sprofondato nel fango, e un liquido caldo e viscoso aveva iniziato a colare dalle mie ferite. Fu proprio la fuoriuscita del fluido verdognolo, trasparente e dalla consistenza di caramello a salvarmi la vita: l’assenza di emoglobina, e quella densa consistenza fecero indugiare il becco di Nevio un istante in più del dovuto.

 

Trafitto da una moltitudine di spine, il metà uccello e metà leone spalancò le ali e strinse di riflesso gli artigli, in un ultimo disperato tentativo di attacco, ma ben presto la sua presa iniziò a farsi debole, e le ali si afflosciarono a terra, senza richiudersi. 

Lasciata la forma dell’istrice, tornai al mio aspetto normale. ≪Tu… Tu sei uno di loro…≫ disse il grifone Nevio, esalando il suo ultimo respiro.


Erano ormai passate diverse ore da quando avevo esaminato la tenda del grifone, distante una ventina di falcate da dove il suo proprietario era stato tramutato in un puntaspilli.    Controllando in una delle bisacce, aveva trovato tutto l’occorrente per medicarmi, ma mi limitai a lavare le ferite con un liquido che a Manehattan chiamavano “Acquaossigenata”; al resto avrebbe provveduto il mio fluido.

Nella tenda c’era un acre odore di pollaio misto a felino, e un numero indefinito di piume era sparso qua e là, quasi fosse stato fatto esplodere un cuscino. Per non parlare dei peli... che si trovavano pressoché ovunque.


Iniziai a sentirmi tremendamente stanco, e decisi di prolungare la mia presenza nella tenda.

In quanto changeling l’atto di riposare non mi avrebbe consentito di rimettermi in sesto; ≪Tutt’al più limita il dispendio di energie, quindi fatene buon uso!≫ dissi sovrapensiero,  ripetendo nella mia mente la lezione imparata tanti anni fa da uno dei changeling addetti alla cura delle larve. Ma dato che avevo necessità di rimarginare le ferite prima di rimettermi in viaggio, questa mi parve una buona scelta… fermo restando che avevo comunque bisogno di nutrirmi, e al più presto.

Fu proprio da quest’ultimo pensiero che iniziai a riesaminare in maniera lucida quanto era accaduto poco fa.

Avevo reagito d’istinto, e il mio predatore era morto. Mi ero difeso, certo, ma avevo anche provato desiderio di vendetta per Beetle2657. E che dire di quell’altro changeling intrappolato nel rovo? Non ero riuscito a identificarlo, ma in fin dei conti non era importante. Erano già morti. Era vero, ma come metterla con la Solidarietà tra changelings”? ≪Se sarete così a corto di energie, al punto da non riuscire più a muovervi, potrete sempre contare sull’aiuto di un nostro simile. Ricordate, la Solidarietà e la fedeltà alla Regina sono ciò che ci ha garantito la sopravvivenza fin dall’alba dei tempi!≫.

Già che ero in tema di rievocare le lezioni per piccoli mutaforma, ripensai anche agli insegnamenti inerenti l’uccisione di un altro essere vivente.

Per il popolo Changeling, togliere la vita era sempre stato mal considerato, dal momento che una preda morta non può sfamare (e il lutto delle altre prede per la scomparsa del loro simile oltre ad essere difficile da assimilare, aveva anche un cattivo gusto. Salvo nei casi di ricchi ereditieri, ma quella era un’altro caso...). La difesa da un predatore era accettata, ma nel mio caso… Era davvero l’unica soluzione disponibile? Avrei anche potuto sedarlo con un incantesimo.

Osservai l’ambiente che mi circondava: nonostante nella mia forma originale possedessi una mole assai più piccola di quella del grifone, la tenda rimaneva uno spazio angusto. C’era un giaciglio, sul quale mi ero disteso, ed un ciocco di legno sopra cui si trovavano uno specchietto ed un diario, scritto tuttavia in una lingua che non conoscevo.

Ripresi a pensare, e convenni con me stesso che tutto sommato avevo dovuto agire da solo, e in condizione di svantaggio. La solitudine tornò ad invadere il mio animo; questa volta avevo trovato due miei simili, ma erano morti prima che potessi riuscire a far qualcosa per salvarli.

Non solo ero preda dell’impotenza, ma anche dei sensi di colpa... poiché i Changelings non avevano la tendenza a vendicare i propri compagni, in quanto ciò avrebbe comportato una faida. Però ero conscio di aver nutrito quel sentimento.

 

Tornai a pensare all’aggressione. Quel grifone mi voleva mangiare.

Ispezionai un sacco che si trovava vicino a me e ne estrassi una mela un po’appassita, tenendola incastrata in uno dei buchi delle mie zampe.

Per avere avuto una reazione simile di fronte ad un pony, doveva essere andato avanti a mele ed altri espedienti per giorni… se non mesi.

Già. Il cibo. Una cosa a cui tutti gli esseri viventi pensano. A differenza di lui e dei suoi fratelli, tutte le altre creature potevano contare sul fatto di potersi nutrire con i più svariati alimenti, traendone energie grazie ai loro organi.

I miei pensieri presero una nuova, inaspettata direzione; realizzai che durante la mia ricerca per le terre di Equestria mi sarei di certo imbattuto nella necessità dover mangiare e bere in presenza di altri... quantomeno per non destar sospetti.

Ripensai all’episodio dell’antilope.


Rimasi immobile per chissà quanto tempo, e all’improvviso scossi ripetutamente la testa, al punto da stordirmi per alcuni, lunghi istanti.

≪No, ma che vado a pensare.≫, riflettei tra me e me. ≪Non posso mica fare una cosa simile... Il solo fatto di averlo pensato è assurdo! Nah, evidentemente sto già dando i primi segni di follia a causa della solitudine…≫.

 

Sospirai.

Ma se avesse funzionato… Forse avrei addirittura potuto integrare la mia dieta con lo stesso cibo di cui si nutrono le mie prede.

Nella tenda calò il silenzio. Non che ci volesse molto, ma l’aria stessa sembrava essersi fatta molto più pesante, anche se probabilmente era tutto nella mia testa. Guardai di nuovo la mela. La ripresi in zoccolo, e la portai davanti al mio viso.

≪E se fossi in grado di trarre energia da questa... potrei guadagnare il tempo necessario per trovare una creatura da cui attingere nuove forze…≫.

Sospirai nuovamente.

Mangiare, esser mangiati, morire di fame.

Avevo un compito da portare a termine, e avrei avuto bisogno di ogni tipo di aiuto per sopravvivere.

 

Mi alzai dal giaciglio ed uscii dalla tenda.

Libratomi a mezz’aria, giunsi a circa metà della gola e lanciai un nuovo richiamo in direzione della matassa di rovi. Come di consueto, nessuno rispose.

Ripetei l’operazione nell’altra direzione. Niente.

 

Era tempo d’agire.


Sotto forma di condor, atterrai goffamente su un ponte ferroviario. E sputai sulle traverse dei binari un grosso foglio arrotolato su sé stesso. Tornato ad essere un changeling, srotolai la pergamena: una mappa di Equestria, probabilmente disegnata dal grifone stesso. La prospettiva tendeva ad essere “a volo d’uccello”, ed il regno era stato raffigurato utilizzando un solo colore: un blu talmente scuro da sembrare a volte nero, a seconda di come veniva esposto alla luce. Un immenso spazio bianco suggeriva che mancasse la parte nord ovest del continente, e infatti, dopo la Smokey Mountain mancavano sia Tall Tale che Vanhoover.

In basso a sinistra, preceduta da una serie di simboli, era stata scritta la parola EQUESTRIA, e al di sotto era presente una linea composta da una serie alternata di tratteggi, alcuni più marcati e altri più lievi, della stessa lunghezza. Ogni tratteggio era inoltre separato da una linea perpendicolare, sopra la quale era riportato qualcosa scritto con dei segni simili a quelli che avevo visto nel diario, ma che non ero in grado di comprendere.

I nomi delle località presenti invece, erano stati riportati sia con quei caratteri alieni, che con quelli tradizionali di Equestria, a me già più noti. Iniziai a cercare di capire dove mi trovassi. La luce del sole si era fatta calda ed accecante.

Constatando che i miei compagni dovevano essere stati spazzati lontano, decisi di seguire la ferrovia nella direzione opposta a quella di “Ponyville”, che sulla mappa era stata segnata nelle immediate vicinanze di Canterlot, scegliendo di avventurarmi in un nuovo deserto.

Procedevo lentamente, continuando a seguire i binari della ferrovia, e facendo qualche sosta durante le quali lanciare il richiamo, e rimanere in attesa di un (vano) riscontro.

Dal momento che i Changelings si nutrivano esclusivamente delle emozioni altrui, non possedevano alcuna capacità di sudorazione, ma per contrastare il problema dell’eccessiva calura, fin dai tempi più remoti era stato elaborato un incantesimo al cento per cento di fattura changeling, o almeno era questo che gli avevano insegnato, per rinfrescare l’aria attorno a sé.

Sfortunatamente, l’impiego della magia si traduceva in un maggior consumo di energie, e nonostante avessi saggiamente deciso di applicarlo a fasi alterne, ben presto mi sentii sempre più debole.

Forse sarebbe stato più adatto trasformarsi in un rettile, ma mi sarei mosso con maggior lentezza. E con quei condor che disegnavano ampi cerchi sulla mia testa, la scelta di un volatile era da escludersi.

Se fossi andato nella direzione opposta… sicuramente avrei trovato ombra e nutrimento.


Ma che si trattasse di sentimenti o cibo materiale adesso non aveva più importanza... forse.

Analizzando gli organi del grifone, ero riuscito a intuire come fosse fatto un apparato digerente E adesso pure io ne possedevo uno.

≪Che caldo…≫ mi ritrovai a dire con un filo di voce senza nemmeno accorgermene. La gola era secca, e il muovere la laringe faceva un male cane.

Il paesaggio era sempre lo stesso: sullo sfondo si ergevano, isolate tra loro, delle montagne rossicce che parevano messe in quel posto come un tentativo per interrompere quella distesa di polvere dalla quale spuntava qualche sterpaglia qua e là, con una pianta grassa ogni tanto. E poi c’erano i binari; un rettilineo che non pareva mai aver fine, e che sembrava sparire oltre la deformazione dell’orizzonte.

 

Attivato un’ultima volta l’incantesimo per rinfrescarmi, stavolta concentrandolo esclusivamente sulla testa, iniziai a pensare se non fosse davvero giunto il momento di tramutarmi in un rettile, ma d’un tratto, mi sentii andare giù. Le zampe posteriori avevano improvvisamente ceduto, e perso l’equilibrio mi ritrovai ansimante e disteso su un fianco. Era decisamente giunto il momento, ma forse era già troppo tardi. Mi sentivo troppo stanco per pensare ad una cosa simile. Faceva caldo. Ero caldo e un po’ ovunque mi sentivo prudere, ad eccezione del carapace e delle ali, e mi pareva tutto troppo luminoso. Mi sentivo strano… Come se fossi stordito… E il mio ultimo ricordo fu un fischio, poi il nulla.





 
   
 
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