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Autore: SkyDream    02/09/2019    0 recensioni
«Ho bisogno di un anello, un anello bellissimo ma non troppo grosso. E’ per Elie!».
«Sì, mi sarei preoccupato se non fosse stato per lei. Ma come mai questa decisione improvvisa?» chiese lui ora meno preoccupato, anzi, intenzionato a darle di santa ragione al suo amico.
«Elie ha bisogno di un cognome, per noi è sempre stata solo e soltanto Elie ma non è giusto che non abbia un cognome! Voglio chiederle di prendere il mio».
Musica rimase con la bocca spalancata per alcuni minuti, fissando il suo amico come se fosse un pazzo.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elie, Haru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il simbolo di una promessa
[HaruxElie]

Pioveva a dirotto, tutte le strade di Garage Island erano sommerse da infiniti fiumi d’acqua che scorrevano dritti verso il mare. Alcuni fulmini cominciarono a scaricarsi a terra, ed uno più forte degli altri finì per svegliare qualcuno.
Elie aprì gli occhi di soprassalto, non si era nemmeno resa conto di essersi nascosta sotto le braccia di Haru mentre dormiva. Lui non si era svegliato, anzi, sembrava dormire come un sasso.
La ragazza si passò una mano tra i capelli, era passato così tanto tempo dall’ultima battaglia contro Endless, che sognare ancora la sua vecchia vita la metteva in estremo disagio.
Lei non era più Resha Valentine da tanto tempo, ormai era semplicemente Elie. Eppure sentiva di aver lasciato con sofferenza quella vecchia identità, il nome e la vita che le erano stati assegnati alla nascita.
«Ehi? Ti senti male?» chiese una vocina assonnata. Haru si era seduto sul letto sfregando i pugni sugli occhi come un bambino, i raggi della lanterna che avevano appeso fuori dalla porta lo illuminavano a tratti.
«Sto bene, un fulmine mi ha svegliata e non riesco a riprendere sonno.» Elie avrebbe voluto invitarlo a tornare nel mondo dei sogni, ma in realtà sperava restasse sveglio a farle compagnia.
«Sei sicura? Di solito ti basta infilarti sotto la mia schiena per addormentarti!» Haru rise appena, ricordando le miriadi di volte in cui si era ritrovato Elie praticamente sotto di sé. Si era sempre chiesto come facesse a respirare.
Elie rise di rimando, non potendo negare l’evidenza. Decise così di vuotare il sacco.
«Ho fatto un sogno. C’era Shiba in una villa di Symphonia e batteva le mani a ritmo di musica mentre ballavo sul bordo di una fontana. Mi sorrideva e quando ho smesso di ballare ha cominciato a inseguirmi e rideva, rideva e tentava di prendermi, di abbracciarmi. Poi ha cominciato a piovere e da lì sono cominciati a venirmi in mente i ricordi sulla mia presunta morte e non…».
Haru l’aveva accolta tra le sue braccia, aveva la schiena di Elie contro il suo petto e la stringeva con forza quasi volesse tenerla lì con sé per sempre.
«Non avrei voluto chiedertelo, sai, ma ormai il pensiero mi balena per la mente sempre più spesso» le confidò Haru senza smettere di abbracciarla.
«Cosa?»
«Se tu avessi avuto la possibilità di scegliere. Se il mondo avessi potuto proteggerlo da solo, saresti rimasta nel 0015 o saresti tornata qui?» Il ragazzo si rese conto dell’enormità della sua domanda ma, si disse, non era per niente scontata.
Era così poco scontata che anche Elie impiegò qualche minuto prima di rispondere.
«Se tu avessi potuto salvare il mondo da solo, io non avrei avuto motivo per partire e io e te non ci saremmo mai conosciuti. Ma, ad essere sincera, quello che ho perso nel 0015 è la mia infanzia, Shiba, l’amore degli abitanti di Symphonia che si radunavano per guardarmi ballare e che mi regalavano vestiti e cibo. Ero la loro vagabonda nonostante il Re mi avesse dato un posto dove dormire. Ma tu, ecco…»
«Io? Cosa ho fatto di più?» chiese il ragazzo sentendo una morsa stringergli il petto.
«Tu mi hai dato una casa, Haru, e non mi riferisco a questa casa. Mi hai dato un posto dove vivere nel momento in cui mi hai preso per mano e mi hai tirata dentro al tuo mondo. Trovo casa ogni volta che mi abbracci, ogni volta che mi chiami per nome. Questa è la casa a cui io appartengo».
Elie non si voltò mentre parlava, sapeva che ad Haru non piaceva mostrarle le sue lacrime. E lei era quasi sicura di averlo fatto commuovere.
«Non provi alcun rimorso per aver lasciato il nome di Resha Valentine?» chiese lui cercando di respirare profondamente.
«E’ il nome che mi hanno dato i miei genitori e ci sono affezionata, ma Elie è il mio nome da combattente, il tatuaggio che ha segnato il nostro percorso e voglio ricordarlo ogni giorno così.»
Haru ci pensò un momento. Resha Valentine era semplicemente Elie adesso.
I due rimasero accoccolati ancora un po’, prima di scivolare nuovamente in un dolce sonno.
 
Elie si stiracchiò nel letto come se fosse un gatto, cercò il corpo di Haru a tastoni ma finì per scivolare sul pavimento ancora arrotolata alle lenzuola.
«Puun!» le diede il buongiorno Plue offrendole un lecca lecca come colazione.
«Grazie Plue, prima di mangiare vorrei capire che fine ha fatto quella testa dura!».
 
«Musica! Ho assolutamente bisogno del tuo aiuto!» urlò Haru spalancando la porta d’ingresso del suo amico ed entrando dentro come se lo stessero inseguendo.
«Mi spieghi che problemi hai?» chiese Musica con un sopracciglio tremolante mentre continuava a versare del latte nella ciotola di Niebel. Il bimbo alzò lo sguardo verso il suo amico cercando di fermarlo.
«Ho bisogno di te, solo tu puoi aiutarmi e se non puoi aiutarmi tu nessun altro lo può fare!» Haru sembrava stravolto, come se una nuova minaccia stesse per incombere sulla terra.
«Solo io posso aiutarti?! Stai dando i numeri? Spiega che è successo!» si innervosì Musica senza smettere di versare il latte, che finì sul tavolo, sul pavimento … sulle sue scarpe.
Niebel, deglutendo per l’imbarazzo, evitò di far notare ai due combattenti il disastro che si stava combinando in quella cucina. Unì l’indice e il medio e cominciò a recitare una formula per far ritornare il latte dentro il cartone.
Haru, nel frangente, aveva cominciato a spiegare.
«Ho bisogno di un anello, un anello bellissimo ma non troppo grosso. E’ per Elie!».
«Sì, mi sarei preoccupato se non fosse stato per lei. Ma come mai questa decisione improvvisa?» chiese lui ora meno preoccupato, anzi, intenzionato a darle di santa ragione al suo amico.
«Elie ha bisogno di un cognome, per noi è sempre stata solo e soltanto Elie ma non è giusto che non abbia un cognome! Voglio chiederle di prendere il mio».
Musica rimase con la bocca spalancata per alcuni minuti, fissando il suo amico come se fosse un pazzo.
Poi si riprese ed urlando alzò le braccia al cielo:«Julia ne sarà felicissima!».
Nell’alzare le braccia, però, fece spaventare Niebel che a sua volta sollevò le mani dirigendo l’intera busta di latte contro la faccia di Musica.
Il suo amico gli rivolse uno sguardo torvo e lui, per tutta risposta, riprese a mangiare in silenzio trattenendo le risate.
 
Musica rigirava una matita su un foglio, scribacchiava e abbozzava mentre lanciava occhiatine al suo amico che era stato rapito da Julia per un interrogatorio.
«Cos’è successo esattamente?» chiedeva lei con voce squillante.
«Niente, è solo che abbiamo parlato e ho notato che non ha un cognome e non mi sembra giusto». Haru era rosso in volto ed in evidente difficoltà, sapeva che Julia lo avrebbe menato se non avesse risposto a tutto.
«E quindi vuoi chiederle di sposarla solo per questo? Per uno stupido cognome? Non accetterà mai!» Julia si avvicinava ogni parola di più al volto di Haru che si ritrovò presto con la sedia in bilico e lo sguardo di Let alle calcagna.
«No! Non hai capito, non è solo questo. E’ che ci siamo fatti una promessa e lei mi ha detto delle cose.» Haru abbassò lo sguardo, non gli andava proprio di rivelare tutto così ad alta voce.
«Smettetela di tartassarlo di domande, ci sono delle cose che vanno tenute strette al cuore e non raccontate così facilmente. Il nostro Haru avrà i suoi motivi, ed io sono qui per lui. Allora, romanticone, come lo facciamo questo anello?» chiese Musica portando avanti alcune bozze.
Da quando si era trasferito a Garage Island aveva creato parecchi gioielli con il suo argento, ormai aveva dell’esperienza a riguardo.
«Deve essere con una bella pietra luccicante sopra!» asserì Julia con gli occhi splendenti.
«Macchè! Elie è più il tipo da anello piccolo, magari con un torciglione» rispose Let fulminandola.
I due cominciarono a battibeccare, ignorando totalmente Haru che nel frattempo si era avvicinato al suo amico.
«Ehi Musica, potresti creare un anello semplice con una scritta dentro?».
Il suo amico annuì ritirandosi nella stanza vicino per mettersi all’opera.
«Haru!» Il piccolo Niebel era rimasto seduto in silenzio per tutto il tempo, ma ora era sceso dal tavolo per avvicinarsi a lui «Posso lanciare un incantesimo sui vostri anelli?»
«Un incantesimo?» chiese Haru grattandosi la nuca.
«Sì, posso lanciarlo sia su questi che sulle fedi che utilizzerete al matrimonio. Posso fare in modo che i due anelli siano collegati e che, nel caso in cui Elie si allontani da te, tu possa trovarla sempre. E viceversa!».
Il Rave Master non potè fare a meno di intenerirsi e accettare di buon cuore quella proposta.
«Ragazzi!» disse Haru ad alta voce per richiamare l’attenzione di tutti «Voi comunque state correndo troppo, non è detto che Elie accetti la mia proposta».
«Cosa? Perché non dovrebbe accettarla? Fate già la vita da sposini.» fece notare Julia con un sorriso.
Musica entrò in stanza poco dopo con un cofanetto blu, lo lanciò ad Haru con un sorriso sornione.
«Muoviti e poi corri a farci sapere com’è andata!» gli disse sorridendo.
«A meno che dopo la proposta non finiate con lo sperimentare “l’amore adulto”» rise Julia beccandosi una gomitata da parte di Let, che era arrossito.
«Cos’è l’amore adulto?» chiese Niebel piegando la testa in modo interrogativo.
Prima di sentire la risposta, Haru corse via.
 
«Quella testa dura! Mai a lasciarmi un biglietto o a svegliarmi per dirmi dove scappa, no mi lascia qui col pensiero! Oh, meglio per lui che torni con qualche ferita di guerra o gliela faccio vedere io questa volta.»
Haru ascoltò quelle parole con un groppo in gola. Pensò per un momento di sporcarsi il viso di terra e di buttarsi al suolo simulando un malessere.
Optò per la strada più difficile ed entrò in casa.
Elie stava preparando il borsone per la lezione pomeridiana, lì a Garage Island aveva trovato tanti piccoli lavori soprattutto nelle scuole. I bimbi la adoravano e lei ne aveva approfittato per aprire un corso di danza.
Era lì, china sul borsone con i capelli che le sfioravano le guance candide. Haru non potè che trovarla bellissima.
Plue si accorse per primo del suo arrivo e ne approfittò per scappare dalla stanza e rifugiarsi a casa dei vicini Cattleya e Shuda.
«Ehi, eccoti qui! Dove sei stato?!» Prima che Elie potesse colpirlo in testa, lui le prese il viso tra le mani e la baciò.
Ogni bacio era emozionante come il primo, si lasciavano trasportare dalla sensazione di calore e dalle scosse eccitanti che quel contatto provocava in entrambi.
Finirono sulle lenzuola appena stirate, Haru non potè fare a meno di immergere le mani tra i suoi capelli morbidi. Con due calci si liberò delle scarpe, tra un bacio e l’altro cominciò a togliere anche i vestiti.
In pochi minuti entrambi erano rimasti nudi, incollati l’uno all’altra.
«Ehi, hai qualcosa da farti perdonare?» chiese Elie sorridendo e carezzandogli il viso.
«E’ colpa tua, ogni volta che mi baci sono sicuro che fai qualche magia» rispose Haru tornando a baciarle le labbra, stavolta più delicatamente.
«Sono uscito presto questa mattina, la discussione di ieri sera mi aveva lasciato l’amaro in bocca. Poi ho capito che la soluzione era più semplice del previsto».
Elie si sedette con la schiena contro il muro, un lembo del lenzuolo alzato fino a coprirle il corpo nudo.
Haru si era avvolto l’altro lembo attorno alla vita e rovistava nelle tasche dei pantaloni alla ricerca di qualcosa.
«Haru, non volevo angosciarti questa notte. Non è un problema, lo sai, non ho mai vissuto questa esperienza come qualcosa di negativo, anzi!, sono felice di essere qui e-» Elie si bloccò.
Haru teneva qualcosa tra le mani ed era così concentrato su cosa dirle da farle capire che non la stava nemmeno ascoltando.
«Haru?» lo chiamò lei, un po’ preoccupata.
«Ci ho pensato bene, anzi, mi sono chiesto perché non ci ho pensato prima. Forse perché per me, per tutti i nostri amici, tu sei sempre stata solo e soltanto Elie. Ma io voglio che tu … No, non voglio. Io ti chiedo di diventare Elie Glory.» Haru alzò gli occhi sperando di non averla spaventata o colta di sorpresa. Elie era bianca come un cencio e lo fissava con gli occhi spalancati.
«Elie, vuoi sposarmi e diventare Elie Glory?» Haru arrossì ancora una volta, gli sembrava così strano mettere il suo cognome accanto al nome della ragazza che amava, eppure suonava davvero bene.
«Tu mi stai offrendo il tuo cognome?» chiese lei d’un tratto, quasi avesse paura di capire bene.
«No, cioè sì. Io voglio chiederti di diventare mia moglie, di scambiarci davanti a tutti la promessa di rimanere per sempre insieme e voglio regalarti questo anello come simbolo della nostra promessa. Non so in futuro se ci capiteranno altre avventure, né se avrai dubbi sui miei sentimenti. Con questo anello non ti dimenticherai mai né di me né delle mie promesse.»
Il piccolo filo d’argento che teneva tra le dita sembrava risplendere di luce propria, al suo interno vi erano incisi i loro nomi. Non avrebbe mai più dimenticato Haru, non vi era alcun rischio di rimanere nuovamente senza ricordi.
«Haru?» Elie aveva la voce tremolante d’emozione. Non aveva mai pensato ad un simbolo delle loro promesse, né al matrimonio. Non le era mai balenata nemmeno l’idea di essere rimasta orfana di un cognome.
Haru sì, teneva così tanto a lei da non volerla priva nemmeno di una cosa che sembrava così banale.
«Vuoi diventare mia moglie?» Il ragazzo si era accorto di aver formulato la stessa domanda per tre volte nell’arco di quindici minuti ma, per tutte le Rave!, non aveva ricevuto risposta e stava cominciando a sudare freddo.
«Certo che voglio diventare tua moglie!» Elie lo aveva sussurrato con le lacrime agli occhi, aveva allungato la mano sinistra verso di lui, mentre la destra teneva ancora il lenzuolo ancorato al seno.
Haru le infilò l’anello al dito, porgendole poi l’altro da mettere alla sua mano.
Quando entrambi si ritrovarono quella piccola fede all’anulare, sentirono il bisogno di stringersi forte le mani e di baciarsi e scivolare nuovamente l’uno tra le braccia dell’altro.
 

 
   
 
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