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Autore: Retsuko    05/09/2019    1 recensioni
Il futuro è inevitabile e riserva cambiamenti che non sempre si possono affrontare da soli.
A Kaede Rukawa la parola “insieme” fa paura, ma quando la sua perfetta routine fatta di solitudine, basket e pisolini si spezza, è costretto a ricercare un nuovo equilibrio e a fare i conti con ciò che prova per Hanamichi Sakuragi.
Un anno di vita di un gruppo di ragazzi.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Ayako, Hanamichi Sakuragi, Hiroaki Koshino, Kaede Rukawa
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ma tu che vai, ma tu rimani 

Vedrai la neve se ne andrà domani 

Rifioriranno le gioie passate 

Col vento caldo di un'altra estate

Inverno, Fabrizio de Andrè

 

Se settembre si era assestato in modalità slow-motion ottobre e novembre trascorsero ad una velocità pazzesca. L’autunno passò davanti a loro senza nemmeno salutare e dicembre si presentò allo Shohoku portando con sé i campionati invernali.

In quei mesi Hanamichi Sakuragi, concentrato sulla terapia di riabilitazione, si era fatto vedere raramente in palestra e a Kaede stava bene così perché l’idea di vederlo bighellonare ai lati del campo sbavando dietro alla Akagi non gli piaceva per niente. Comunque, secondo voci di corridoio giunte alle orecchie di Kaede assolutamente per caso, Sakuragi sembrava essersi dato una regolata: andava dal fisioterapista tre volte a settimana, s’impegnava a svolgere gli esercizi prescrittigli e aveva quasi del tutto rinunciato ad uscire con la sua banda.

«Dall’inizio del trimestre non ha preso nemmeno un’insufficienza» rivelò Mito a Miyagi un pomeriggio di inizio dicembre.

Tutti temettero di vedere il capitano restarci secco, ma, passato lo stordimento, Miyagi riuscì a recuperare un minimo di compostezza e riprendere l’allenamento.

 

70 - 64

 

Avevano perso ai gironi. Erano stati buttati fuori dal desiderio di rivincita dello Shoyo e dall’esperta tecnica di Fujima, rimasto in squadra per i campionati invernali. Dopo la partita Anzai li aveva lodati per i loro sforzi, incoraggiandoli a non lasciarsi sopraffare perché: «la vera vittoria risiede nella capacità di perseverare». Mentre ascoltava le parole dell’allenatore Rukawa si rese conto, con una certa sorpresa, che la sconfitta bruciava meno del solito e aveva la netta impressione che anche gli altri provassero una sensazione simile. Si guardavano in silenzio, non c’era nessun bisogno di parlare perché ognuno leggeva nello sguardo dell’altro la stessa scomoda verità: Sakuragi era un’elemento fondamentale per la squadra e la sua assenza aveva pesato fortemente sull’andamento della gara. Nessuno era abbastanza preparato per dirlo ad alta voce e si limitarono ad avviarsi mestamente verso le docce, tutti tranne Mitsui, che si era rannicchiato in un angolo dello spogliatoio con la testa nascosta fra le braccia. 

Alcuni compagni esitarono, preoccupati, e addirittura Shiozaki cercò di avvicinarglisi, ma venne fermato da Miyagi e Rukawa, che contemporaneamente gli posarono la mano destra sulle spalle. 

«Lascialo stare» ordinò perentorio Rukawa 

«E’ meglio così, fidati» precisò Miyagi, un pò più morbido.

Vagamente sorpresi per quel gesto d’intesa, il playmaker e l’ala piccola si scrutarono a vicenda prima di mollare la presa su Shiozaki e prendere la via delle docce. Rukawa si concesse più tempo del solito sotto il getto, godendosi l’acqua calda che scorreva lungo il corpo e quando tornò nella stanza attigua trovò Akagi intento a rincuorare Miyagi. Mitsui era ancora nel suo angolo con il viso nascosto, non più fra le braccia, ma nell’incavo fra la spalla e il collo di Kogure, che gli si era seduto vicino, sussurrandogli parole che nessuno poteva sentire mentre gli accarezzava la schiena. Kaede diede subito le spalle ai due; c’era qualcosa di sfacciatamente intimo nella loro stretta, una profondità che lo faceva sentire a disagio. 

«Rukawa» lo chiamò Miyagi quando tutti si furono cambiati «noi andiamo a mangiare qualcosa insieme, ci saranno anche…»
«No» lo interruppe seccamente «ho una cosa da fare coi miei genitori»

«Ah ok, allora ci vediamo a scuola» rispose, ma Rukawa era già sparito. 

 

Kaede camminava verso l’uscita sul retro quando Hanamichi lo raggiunse.

 

«Kitsune!»

 

Sorrise interiormente, non aveva potuto far a meno di notare che quello era tutto fuorché un incontro casuale, lo aveva visto benissimo mollare gli amici e venirgli dietro. 

«Cosa vuoi Do’hao?» incalzò Rukawa siccome Sakuragi non dava accenno di voler parlare.

 

«E’ un peccato aver perso, mi dispiace» disse infine, fissandosi la punta delle scarpe, poi si riscosse, rialzò la testa mostrando un ghigno imbecille e Rukawa seppe in anticipo cosa stava per succedere

«Del resto era prevedibile!» cominciò a declamare il rosso «poveretti, senza di me sottocanestro potevate fare ben poco! Lo sai  questo, vero volpe?!?»

«Si lo so» rispose semplicemente la volpe, e senza aggiungere altro riprese la strada verso la porta, lasciando Sakuragi esterrefatto, congelato nella sua miglior posa da Tensai. 

 

 

 

*******

 

 

Si svegliò di soprassalto, scosso da un lieve senso di ansia e impiegò qualche secondo prima di riuscire a connettere, poi quando fu abbastanza cosciente da assemblare insieme tutti i pezzi del puzzle, quel timore leggero si tramutò in panico totale.

Feste. Capodanno. Compleanno. Parenti.

Kaede Rukawa tirò il piumone fin sopra la testa, purtroppo nel corso dei suoi sedici anni appena compiti aveva raggiunto un’altezza ragguardevole e il risultato che riuscì ad ottenere fu soltanto quello di scalzare le coperte dal letto, trovandosi alla fine coi piedi esposti al freddo. Si rannicchiò in posizione fetale alla ricerca del sonno, ma la prospettiva delle zie Rukawa pronte ad invadere la sua confort zone lo tormentava troppo. Vide galleggiare nella sua testa l’immancabile regalo di zia Mineko, un maglione di lana misto a carta vetrata, ogni anno della stessa tonalità di blu “color dei suoi occhi”.

Kaede sperò intensamente che avesse almeno abbandonato il vezzo della decorazione, non era certo di poter sopportare un’altro capo d’abbigliamento “abbellito” dal disegno a maglia di un pallone da basket che sembrava terribilmente un melone. Per di più quell’orribile ornamento era diventato motivo di discussione sullo sport praticato dal nipote perché era venuto fuori che zia Midori riteneva la pallacanestro un passatempo infantile e il giovanotto, ormai in vista del liceo, avrebbe dovuto cominciare a pensare al tipo di donna da sposare in futuro. E fu così, che al compleanno precedente, scoprì con orrore di essere cresciuto abbastanza per sentirsi chiedere: «Allora, ce l’hai la fidanzatina?». 

Di fronte all’ingombrante personalità di zia Midori le richieste di riserbo della sorella minore Sumiko erano valse poco o nulla.

Zia Sumiko era un concentrato di gentilezza e discrezione e Kaede la tollerava abbastanza bene, non tanto per le sue doti quanto perché aveva avuto il buon gusto di sposare Daisuke, un’unione che aveva permesso alla famiglia di acquisire una presenza gioiosa e a lui di conoscere il basket; senza la passione dello zio per quello sport americano probabilmente i suoi genitori non lo avrebbero mai iscritto al club delle scuole elementari e lui avrebbe dovuto continuare a starnazzare in piscina fino alla maggiore età. Odiava il nuoto, lui era un’elemento di terra che aspirava all’aria e in acqua non si sentiva pienamente padrone del suo corpo.

Purtroppo Daisuke e Sumiko avevano rovinato tutto circa 6 anni prima, quando l’insano desiderio di genitorialità li aveva colpiti all’improvviso, finendo per aggiungere un’ulteriore elemento di tedio a quegli incontri familiari già piuttosto strazianti.

Ad onor del vero inizialmente aveva preso bene la lieta novella, appena il marmocchio sarebbe stato in grado di correre avrebbe potuto insegnargli a giocare e la prospettiva stranamente lo stimolava. Presto però si rese conto che questa visione si basava su presupposti del tutto errati, anzitutto perché un bambino cominci a camminare decentemente bisognava aspettare un sacco di tempo, in secondo luogo bisognava fare i conti col temperamento del bambino stesso e terza cosa, la più importante, il bambino era una bambina: Keiko, un terremoto di cinque anni che disgraziatamente si era affezionata a lui in maniera spropositata. La bambina si ostinava a chiamarlo “Dede” nonostante ormai sapesse pronunciare benissimo il suo nome - purtroppo sapeva anche un sacco di altre parole che usava continuamente - e ad ogni incontro in famiglia inventava nuovi modi per torturarlo. Dal banale avvinghiarsi ad una gamba passando per le scalate al suo corpo con l’obbiettivo di sbaciucchiarlo “perché sei tanto bello”, fino all’ agghiacciante tentativo di pettinarlo con una spazzola rosa glitterata. Preoccupato dalla prospettiva di arrivare in palestra coi capelli pieni di brillantini, quella volta ‘Dede’ aveva reagito acchiappando la cuginetta e, tenendola per le caviglie, l’aveva fatta dondolare in aria a testa in giù a mo di pendolo. Keiko aveva riso a crepapelle e richiesto un secondo giro.

Dopo Mineko, Midori, suo padre Tadashi e Sumiko i nonni avevano opportunamente deciso di darci un taglio coi figli.

Nonna Akemi era l’anima delle feste, invecchiando aveva acquisito una serie di idiosincrasie climatiche, ad esempio si rifiutava categoricamente di uscire di casa nelle giornate troppo ventose per paura che gli alberi volassero via e la colpissero, ma in compenso aveva abbandonato certe timidezze e filtri comunicativi finendo con l’esprimere ad alta voce più o meno tutto ciò che le passava per la testa. Metà dei suoi interventi risultavano fuori contesto e l’altra metà mortalmente imbarazzanti. Sebbene Akemi avesse rinunciato ad alcune convenzioni sociali, non aveva fatto altrettanto con le tradizioni nipponiche, perciò a Capodanno si andava al tempio e si mangiavano i mochi (*). L’assaggio dei mochi era diventato un momento critico per la famiglia perché sua nonna si ostinava a volerli mangiare nonostante la consistenza viscosa di quei dolci la mettessero seriamente a rischio soffocamento. Stremato dalla testardaggine della madre Tadashi Rukawa si era rassegnato e aveva imparato a padroneggiare alla perfezione la manovra di Heimlich.

Ogni primo gennaio Kaede ringraziava per la decisone di due zie su tre di “rimanere signorine” perché gli dei solo sanno cosa sarebbe successo se si fossero unite altre persone alla famiglia.

 

«Dovresti tagliarti i capelli, a momenti ti scambiavo per tua madre»

Ecco una delle opinioni assolutamente non richieste della vecchia.

«Nonna, sono almeno 30 centimetri più alto di lei. E sono un maschio»

«Appunto hai i capelli troppo lunghi per essere un ragazzo»

Kaede evitò di replicare, rincuorato nel vedere finalmente il torii (**) svettare davanti a loro. La nonna aveva deciso che l’ultimo tratto della camminata fino al tempio quell’anno lo avrebbe compiuto soltanto col nipote, il quale si era rassegnato al destino avverso senza batter ciglio, ben consapevole che nemmeno l’Imperatore sarebbe stato capace di farle cambiare idea.

«Davvero è un peccato nascondere il tuo viso sotto quella frangia» continuò lei imperterrita.

Tieni duro, mancano solo una decina di metri, valutò silenziosamente. All’improvviso sua nonna si fermò e lo costrinse con uno strattone a voltarsi verso di lei, dimostrando una forza non comune per una signora della sua età.

«Avvicinati» ordinò secca. 

Obbedì, piegandosi in avanti verso l’anziana signora, guardò oltre le rughe, oltre le macchie sulla pelle e si rese conto che i loro occhi avevano la stessa identica forma.

«Non nasconderti Kaede, non farlo mai» disse piano prima di accarezzargli una guance con la mano nodosa. Lui non ebbe tempo di comprendere la reale portata di quelle parole perché nello stesso istante il mondo gli crollò addosso.

 

«Rukawa?!?»

 

Maledetto idiota. Sottospecie di babbuino. Razza di cretino patentato.

Che bisogno aveva di strillare così forte? Come gli era saltato in mente di usare il suo vero nome? 

Ovviamente sarebbe stato impossibile far finta di niente, ovviamente sua nonna avrebbe sentito e ovviamente si sarebbe sentita chiamata in causa. 

«Siamo noi, chi ci cerca?» chiese infatti, raddrizzandosi di scatto, quasi volesse mettersi sull’attenti. Kaede invece si voltò con innaturale lentezza, cercando di rimandare l’inevitabile momento in cui avrebbe visto Hanamichi Sakuragi immobile e imbambolato nel bel mezzo della via.

«Conosci quel ragazzo dai capelli rossi?»

Lui rispose con un piccolo cenno d’assenso che bastò a peggiorare ulteriormente la situazione. 

«Allora bisogna andare a salutarlo e augurargli buon anno! Muoviti!» disse in tono militare avviandosi verso Sakuragi e trascinandolo a braccetto. Fu come se un’enorme catapulta lo rispedisse indietro nel tempo, aveva sei anni e sua madre lo stava portando di peso al piano di sotto per accogliere i compagni di classe venuti appositamente per festeggiare il suo compleanno, mentre lui si aggrappava al passamano delle scale opponendo una strenua resistenza. 

Immerso in quella sensazione di deja-vu quasi si perse il momento in cui sua nonna si piazzò davanti al rosso e disse:

«Salve figliolo, mio nipote dice di conoscerti»

Hanamichi sembrava si stesse risvegliando da un lungo sonno, sbatté le palpebre diverse volte prima di concentrarsi sulla vecchina appesa al braccio del moro.

«Ehm, si, ecco, sono un suo compagno di scuola» replicò titubante

«Mi chiamo Hanamichi Sakuragi, è un piacere conoscerla Rukawa-san. Buon anno a voi» concluse con un inchino perfetto e un tono di voce cortese del tutto inaspettato. 

«Buon anno a te Hanamichi Sakuragi. E’ un piacere anche per me conoscerti, anzi sono convinta sia un piacere maggiore del tuo, da anni non incontravo un giovanotto così affascinante»

Toh guarda, lui e sua nonna oltre a condividere lo stesso taglio di occhi condividevano anche lo stesso gusto in fatto di uomini. Akemi Rukawa e i suoi commenti inadeguati eppure mai mendaci, Sakuragi con addosso quei pantaloni marroni in tinta col cappotto aperto su un maglione bianco attillato, era da far girar la testa. 

«Grazie Rukawa-san ma non credo di meritare questo complimento»
Perché sei un idiota, pensò Rukawa guardando il gradevole rossore che imporporava il viso di Hanamichi. Dolce scimmietta imbarazzata. 

«Sono vecchia Hanamichi Sakuragi, non rimbambita, so ancora riconoscere la bellezza quando la vedo»

Se Kaede Rukawa fosse stato un pò meno Kaede Rukawa si sarebbe girato verso sua nonna e le avrebbe dato un cinque.

«Sarei felice se tu facessi la strada con noi fino al tempio»

Era un ordine, non una richiesta, perciò quando Sakuragi lo guardò di soppiatto come a chiedere conferma, lui annuì impercettibilmente, ogni elemento dell’universo era tenuto a piegarsi al valore di Akemi Rukawa, i do’aho compresi. 

 

Ripartirono alla volta del tempio, fra il via vai di persone, e chissà se qualcuno fra la folla li aveva notati. Magari qualcuno li stava guardando e aveva capito che non erano i ragazzi ad accompagnare la vecchietta, ma esattamente l’opposto.

Era Akemi, con la sua prorompente determinazione, che li stava guidando verso il nuovo anno.

 

 

 

 

 

 

(*) I Mochi sono dei dolci tipici giapponesi a base di riso, molto gommosi e, secondo l’opinione della scrivente, disgustosamente zuccherini. Sono i dolci di Capodanno e pare alzino il tasso di rischio soffocamento della Nazione. Su questo non sono certa, ma vi assicuro che li ho mangiati  e ho rischiato di strozzarmici. 

 

(**) il Torii è la tradizionale porta d’accesso ai templi o un’area sacra.

 

I maglioni di zia Mineko sono un omaggio alla signora Weasley, mentre nonna Akemi è un pò prozia Muriel Weasley, ma soprattuto è ispirata a mia nonna che un giorno al mercato mi fece fare una figura di merda simile con un ragazzo che mi piaceva tantissimo. Avevo più o meno la stessa età di Kaede.

E niente, manco quest’anno è arrivata la lettera da Hogwarts, quindi mi sfogo cosi.

 

A presto  

  
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