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Autore: Galatea delle Sfere    07/09/2019    2 recensioni
Questa fic partecipa alla "Sonnensystem challenge" indetta da carachiel.
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E in tutta onestà avrebbe potuto descriverla così, Cathy, una giornata all'aperto.
[Cathy/Shark ♥]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cathy, Ryoga/Shark
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Campagna

 
Grigio. Era tutto così grigio. Le vie intasate di led di Heartland – quei led così ipocriti, così freddi –, sua madre sfinita contro la sedia di una cucina che puzzava di fatica e lacrime, di sudore acre, di vergogna, di rimorso, di dita avide incastrate nei capelli stopposi e corpi schiacciati contro la parete gelida. Era tutto grigio. Il suo petto, la strada che dava alla scuola, i negozi rigurgitanti di finta vita, di storia arida e di veli aderenti ai volti. Cathy no. Cathy era senza veli. Cathy non era grigia. I suoi capelli sì, sì, lo erano, lo erano eccome, ma un grigio diverso, un grigio perla, quasi, un grigio che si lasciava osservare senza remore, come se sapesse bene di non essere sbagliato lì, in mezzo in tutte quelle cromie pazze e diseguali, sconclusionate e aggressive nel loro voler essere accoglienti.
Cathy e Reginald si incontrarono così, per caso, come in fondo succede tutto. Si incontrarono all’entrata di un supermercato vasto e bianco come gli ospedali. Si incontrarono e si separarono. Durò un secondo, il tempo che Cathy si spostasse per concedere a entrambi il lusso di tornare alle proprie esistenze. Durò solo un secondo, sì, ma in quel secondo il grigio si spezzò.  
Si incontrarono di nuovo, e poi ancora una volta, e un’altra volta di nuovo si separarono esattamente come si erano incontrati. Allo scadere di ogni secondo il grigio si ricompattava, ma sempre un po’ più debole. Si incontrarono e si trovarono in continuazione, in incastri di vite e spasmi di tempo, si incontrarono ogni volta, e ad ogni angolo della strada si imbattevano l’uno in un frammento dell'altra, in uno sguardo troppo indiscreto, curioso, dagli occhi chiari come i diademi in vetrina, o in un nasino all'insù, in un guanto dalle unghie bordeaux o in un modo intrigante e singolare di voltare il collo verso un suono, di tenere la lunga chioma tutta in una spalla sola; si incontrarono come se vi fosse un percorso già tracciato per loro, come se fossero nati per questo, per trovarsi, per trovarsi e salvarsi insieme da tutto quel male che si protendeva testardo da ogni angolo per catturarli. Si incontrarono e si separarono al punto che Reginald si chiese se non fosse più il caso, in effetti, e che ci fosse qualcuno, lassù o intorno, che si divertisse ad intrecciare le loro traiettorie – e così decise finalmente di fermare entrambi.
Quando la vide da vicino, Reginald non poté non notare il come Cathy avesse la bocca umida e chiara dei gigli appena nati; era ancora bambina, lei, una bambina scossa dall’insistente ricerca di un lembo di giaccone, di borsa, di sguardo a cui aggrapparsi per non smarrirsi in mezzo alla folla, perché ogni bimbo lo cerca prima di imparare a camminare da solo. Di qualcuno che lo scorti un po', che gli indichi quale strada percorrere per arrivare a destinazione. A Cathy quel lembo era stato negato. Cathy fingeva di saper camminare da sola, per questo incespicava e traballava fra i pavimenti lastricati di brio di Heartland e i vicoli inghiottiti dal buio, nascosti, luridi, unti, rattrappiti su loro stessi come se tentassero di scomparire, come se quello consentisse loro di non essere rintracciabili, perché lo sapevano anche loro che era un torto esistere in un luogo scoppiettante e ottimista come Heartland.
Reginald prese a notare prima e ad amare poi il modo spensierato che Cathy aveva di interrompere il passo a qualche centimetro da lui, frenando quasi di colpo, con quelle ballerine bombate e lucide, e quel modo che aveva di osservare i gatti quando ne scorgeva uno, quasi sognante, ammirato, riconoscente, neanche fossero delle divinità – e glielo aveva pure chiesto, un giorno, se per lei arrivassero a rappresentare tanto, e al suono della sua risata si era sentito ridicolo e stolto.
«Sono gli unici che mi sono venuti incontro quando tutti mi voltavano le spalle, Reginald. Sono i miei migliori amici.»
Iniziò ad essere assuefatto alle sue occhiate e ai suoi tocchi, poiché ad ogni loro minimo accenno un tornado di coriandoli prendeva ad agitarglisi a ridosso del cuore e il petto grigio si animava di colori nuovi – sempre nuovi, sempre, perché ogni volta era la prima –, al suo essere sorridente e bellissima come una giornata all'aperto, col sole a un palmo di mano e le palpebre socchiuse per non farsi trafiggere da quella luce orgogliosa e incontrollata. E in tutta onestà avrebbe potuto descriverla così, Cathy, una giornata all'aperto. Fuori. Lontani da aree rinchiuse in un perimetro ben delineato. Cathy era fuori, vissuta nella strada al punto da essersi assorbite a vicenda, al punto che la strada le respirava in ogni angolo di pelle e dietro, lì dietro, sotto a quegli indumenti saturi di gas di scarico e di grida, di clacson suonati con impeto, di saluti di cortesia, di cenni col capo, di occhiali spessi, cicche buttate dove non si possono raggiungere con lo sguardo, di coscienza pulita – lucidata – solo in superficie di una luce opaca e vigliacca, lì dietro, lì dietro Reginald scopriva strati di campagna, vedeva pennellate di giallo e di rosso, di arancione tiepido e smorzato dal rosa tenue, vedeva il grano, vedeva oceani di verde intenso, di respiri a pieni polmoni, di aria azzurra e sconfinata come solo il cielo era in grado di essere, il profumo di pane appena sfornato gli trafiggeva il naso come spilli e le risate sommesse degli alberi gli sollecitavano capo e orecchie fino a riempirlo di fischi.
Sotto quegli indumenti Cathy gli narrava di terreni mai calcati prima e quiete mai trovata, ma che lì, solo lì, era pulsante e libera come una farfalla che ha appena imparato a volare, sotto quegli indumenti la carne tenera e inerme – di un bianco che riusciva ad essere caldo – chiedeva di stringersela contro e di guardare con attenzione, perché era l’unico modo consentito a Reginald di calcare quell’erba rigogliosa e di affogare il viso nel cielo più esteso che avesse mai visto. Perché non c’erano grattacieli ad ostacolarlo, le manie di grandezza e di controllo dell’uomo non potevano sfiorarlo, lì, e allora Reginald serrava le palpebre e se la stringeva così da entrarci un po', in quel mondo, così da solcare le distese di grano e di verde e di azzurro sincero, così da accedervi, così da tenere la porta che dava a quel mondo il più aperta possibile, così da poter vedere lei, Cathy, imprimersi in quel verde e in quell'azzurro con i suoi piedini piccoli e insicuri nella stessa maniera in cui aveva cercato di imprimersi dentro di lui, la gonna enorme che le svolazzava attorno alle ginocchia ossute, la gioia che si perdeva nella bocca e tutt’intorno a lei.
Allora Reginald provava a distendere le dita e a sfiorare un po' di quella gioia, solo un po', lo stretto necessario per sbiadire appena il grigio rimasto. Grigio.
Grigio e ruvido come quella lapide spenta che non svettava affatto fra le sue gemelle stanche ed erose dai pianti. Quel grigio che non aveva niente di rosso, no, e di giallo, e di azzurro incontaminato e di luce, e di calore, e di coriandoli che si agitavano in mezzo al petto e che vivevano per ognuno di quei sorrisi che emergevano in modo così naturale, spontaneo, fra i led freddi e ipocriti della città, nella calca irruente di Heartland. Non aveva i rintocchi agitati del cuore, non aveva quel modo intrigante e singolare di voltare il collo verso un suono, di tenere la lunga chioma tutta in una spalla sola, di traballare fra le vie e le anime degli altri, di guardare i gatti come si guarda una divinità.
Quel grigio non sapeva di quiete, sapeva di silenzio.









 
Note
 
Questa challenge richiedeva di scegliere uno fra i pianeti ed i satelliti presenti in lista (il quale non aveva l'obbligo di comparire per forza nello scritto), utilizzando uno o più prompt ad esso legati. Io ho scelto il satellite Luna e i prompt: ricordo, immaginazionefemminile
 
   
 
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