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Autore: Ghil    10/09/2019    1 recensioni
Raccolta di storie autoconclusive aventi per protagonisti personaggi del gioco Dolce Flirt.
Non hanno temi o caratteristiche comuni, prima di ciascuna ne saranno specificati i dettagli.
'Invincibili' verrà usata come scatola utile per l'ordine.
-Ghil
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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rating: verde

genere: Slice of Life

personaggi: Dake, Candy

coppie: het

avvertimenti: /

prompt: mare, ansia

conteggio: 787

data di scrittura: 28.08.2019

note: grazie Fujiko91

Figli di Nettuno

Uno dei vantaggi della città in cui vivevamo era il mare.

Era sempre nero, la spiaggia era corta, faceva freddo nove mesi all’anno e gli altri tre avevi comunque i brividi... eppure c’era il mare e la maggior parte delle attività cittadine si svolgeva attorno a quella distesa arrabbiata d’acqua salata.

Le onde erano costantemente turbolente, dispotiche e irascibili: erano perfette per essere cavalcate, non domate, ma stuzzicate, per l’ebbrezza del precario equilibrio e della sensazione inebriante dello sfiorare e tagliare un gigante immortale.

Nonostante tutto questo, non avevo mai imparato a nuotare, avevo vissuto poco da piccola in quella città, e una volta tornata, da più grande, era ormai troppo tardi e mi ero rassegnata ad abbandonarmi ammollo solo per mezzo di un galleggiante.

Era piacevole stare su quella piccola, umida, ventosa spiaggia. Sembrava quasi ironico, eppure quel clima da naso gocciolante era il mio preferito: avevo le punta delle dita che lentamente si infreddolivano, mentre, con abitudine, giravano le pagine del libro che stavo leggendo.

Un sorriso era sulle mie labbra e, frequentemente, i miei occhi ardivano di guardare il mare, seguendo una figura familiare che avrei preferito non veder rischiare così spesso avventatezze. E ogni volta sentivo una morsa al petto.

« Sciocco, incosciente, impulsivo, ottimista! Saresti potuto morire! »

« Eppure sono vivo, no? »

Lui si divertiva, lui era un semidio, lui era bellissimo e lui era il mio ragazzo. La preoccupazione che mi faceva provare mi avrebbe accorciato la vita.

Eppure si divertiva, si emozionava così tanto – ed era bellissimo. Sembrava creato solo per fare quello, per tutta la sua vita. Aveva un corpo abbronzato, bello, scolpito, coperto solo dalla muta attillata a mezze maniche. Non un filo di grasso o gonfiore sui muscoli grazie alla dieta vegana, alla scelta astemia e ai fermenti lattici che giornalmente prendeva. I capelli biondi bagnati, tirati indietro con una mano noncurante, cadevano a ciocche sulla fronte. Gli occhi chiari, ridenti, orgogliosi mi guardavano e la bocca sorrideva raccontando un sogno invincibile.

Come poteva, quell’immagine di vita e potenza e forza, essere davvero in pericolo di fronte al mare che era casa sua?

« Ricorda però che non sei immortale, e nemmeno figlio di Nettuno, e che se cadessi e ti facessi davvero male, io non saprei come aiutarti, come salvarti: non so nuotare! »

I suoi occhi si addolcirono subito, si avvicinò e mi baciò la fronte, stringendomi con un braccio al petto. Mi sentivo così al sicuro tra le sue braccia, annusando l’odore salmastro direttamente dalla sua pelle.

Con l’altra mano teneva ancora la tavola con la quale aveva rischiato di ammazzarsi su un’onda che si era infranta troppo presto.

La gara regionale si sarebbe tenuta nel giro di poche settimane e ormai passavamo tutte le mattine in spiaggia: io a leggere, lui a cavalcare le onde. Non era la prima volta che mi prendevo uno spavento del genere, lui cercava di rassicurarmi, ma per me era istintivo, naturale, preoccuparmi per lui, come per lui era altrettanto istintivo e naturale eccitarsi dal senso di pericolo che surfare gli presentava.

Eravamo noi due, così: io avevo ancora il cuore accelerato dallo spavento e lui ancora la frenesia della vittoria nelle vene.

« Dovremmo proprio far qualcosa per la tua incapacità di nuotare » e mi baciò il naso con un’aria di sfida.

Sapevo – sapevo – che l’aveva detto solo per distrarmi, ma la mia reazione fu immediata e incontrollata – mi conosceva troppo bene quel semidio ottimista.

« Solo se vuoi passare in bianco il resto dell’estate! » Mi mandava in panico l’idea di essere in acqua – soprattutto in quell’acqua burrascosa – senza salvagente o perlomeno galleggiante.

La sua fu una risata piena e profonda, mi guardò con quegli occhi di Nettuno e prese le mie labbra sulle sue. Avrei dovuto tenergli il muso tutto il giorno – lo sapevo e avevo tutte le intenzioni di farlo – per quanto sapessi che, immancabilmente, la mia protesta silenziosa non avrebbe riscontrato alcun effetto: certe cose non possono essere cambiate, ci si deve convivere.

« Su, forza. Ti porto in libreria. »

Lo guardai male: non poteva pensare di potermi comprare così; mi avvicinai e gli morsi il labbro con l’intenzione di fargli male. La sua reazione fu stoica e mi imbronciai. Poi sbuffai – ridacchiai – e raccolsi le mie cose.

Arrivava il mio momento preferito della giornata: quello dove eravamo al sicuro e io mi perdevo nei labirinti delle biblioteche e lui rimaneva stravaccato su una poltrona ad aspettarmi – spesso appisolandosi, altre volte con un fortuito libro che aveva colto il suo interesse.

Il mio ragazzo era proprio incosciente, imprevedibile ed eccessivamente ottimista. Era solo un mancato figlio di Nettuno.

  
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