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Autore: Tenar80    11/09/2019    4 recensioni
Se è negli occhi di chi ci ama che troviamo una versione migliore di noi stessi, cosa succede se smettiamo di guardarci negli occhi?
Manca una settimana ai mondiali del 2022, l'ultima gara di Yuuri dopo il secondo oro olimpico. Tutto dovrebbe essere perfetto. Dovrebbe.
Di Victor che non sa più chi è.
Di Yuuri che non sa chi vuole essere.
Di Otabek che sa troppo bene chi dovrebbe essere.
Di Yurio che si è perso
Questa storia fa parte della serie "Stagioni"
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Stagioni'
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   – Eccovi, vi sto cercando da mezz’ora!

    Otabek e Yuri si girarono all’unisono. 

    Erano ancora seduti al tavolo del bar, dove il kazako era rimasto per un tempo indefinito ad ammirare lo spettacolo di Yuri che mangiava una coppa di gelato.

    Adesso, però, Minami, l’altro pattinatore giapponese in gara al mondiale, un amico di Yuuri, reclamava la loro attenzione.

    – Cosa succede? – chiese Yuri.

    – Sono io che lo voglio sapere da voi. Yuuri parla alla stampa tra un quarto d’ora.

    – Yuuri parla alla stampa? – domandò il russo, perplesso.

    Era un ossimoro. Bisognava trascinarlo a forza, Yuuri, davanti ai giornalisti. Alla lunga il suo modo di fare impacciato era diventato quasi un marchio di fabbrica che tutto il Giappone adorava, alcuni credevano perfino che fosse studiato. Per lui, però, era una sofferenza autentica e costante. L’unica volta che aveva chiesto di parlare alla stampa era stato in Corea, dopo che li avevano quasi ammazzati.

    – Suicidio rituale in pubblica piazza? – mormorò Yuri.

    Minami scosse il capo.

    – Speravo che voi aveste notizie. Non sono riuscito ad avvicinarlo, questa mattina, e non ha risposto ai miei messaggi.

    – Non ha fatto l’allenamento e in realtà è da giorni che non si allena a dovere – ragionò Otabek. – Potrebbe riguardare la gara.

    Yuri scosse il capo.

    – È abbastanza abituale per lui sembrare più morto che vivo nei giorni precedenti a una competizione e poi fare una meraviglia.

    – Andiamo.

 

    Yuuri era già nell’area stampa fuori dal palazzetto, una sorta di palco sotto il quale si stavano già accalcando i giornalisti e stava parlando con Tamura. C’era anche Victor. Otabek non se l’era aspettato. Anche se era comunque il suo allenatore. Se ne stava in un angolo, serio, e non c’era modo di capire cosa gli passasse per la testa.

    – Hanno fatto pace – gli sussurrò Yuri all’orecchio.

    – Dici? 

    Otabek non ne era affatto convinto.

    – Guarda cos’ha in mano Yuuri.

    Mentre parlava al tecnico della nazionale, il pattinatore giapponese stava torturando un portafazzoletti di peluche a forma di cagnolino.

    Suo malgrado, Otabek sentì che il suo viso si apriva in uno di quei sorrisi idioti. 

    – Sì, devono aver fatto pace.

    I giornalisti erano arrivati. Si erano posizionati proprio ai piedi del palco, ostruendo in parte la visuale di Otabek. Scorse comunque Yuuri annuire, prima di avvicinarsi ai microfoni, e la mano di Victor posarsi sulla sua spalla. Qualsiasi cosa stesse accadendo, la stavano affrontando insieme.

    Yuuri era più pallido e teso che prima di una gara. Non c’era da stupirsene. Si era radunata una folla enorme e c’erano rappresentanti di tutti i principali media giapponesi e moltissimi giornalisti internazionali. Con quei due ori olimpici era diventato tra gli atleti più popolari dell’Asia.

    – Vi ringrazio di essere qui – esordì Yuuri. – So che moltissimi di voi, sia a Osaka, che in tutto il Giappone e perfino all’estero, sono pronti a fare il tifo per me. Non c’è una gara a cui io abbia desiderato maggiormente partecipare e fare bene. Nessun atleta ha sogno più grande di vincere il Campionato del Mondo nella propria patria. Rendere orgogliose di lui tutte le persone che lo hanno sostenuto. Purtroppo è una gara che non posso disputare. Ho tre vertebre lesionate e un impatto col ghiaccio potrebbe avere degli esiti irreversibili.

    Un mormorio percorse la folla.

    – Lo sapevi? – sussurrò Otabek.

    Yuri scosse il capo.

    – Non lo sapeva neppure Victor – mormorò, aveva il volto improvvisamente terreo. – Siamo stati tutti talmente impegnati a stare male da non renderci conto del dolore degli altri.

    – Ho pensato molto a cosa fare e a quale fosse il mio dovere – continuò Yuuri. – Ho un dovere nei confronti delle aspettative che ci sono su di me e nei confronti dei sogni per cui ho lottato. Ma ho anche pensato a tutte le promesse che ho fatto e che è mio dovere mantenere. A tutte le persone che mi hanno sostenuto e che in futuro dovrò ripagare, dovrò essere io a sostenerle, al meglio delle mie possibilità. Ho pensato a tutti i bambini che ho incontrato in questi anni. Ho promesso di tornare e di pattinare con loro. Ho un dovere nei confronti del futuro. Quello che io posso dare al mio paese non si esaurisce nei prossimi due giorni. Ho sempre detto a quei bambini che bisogna lottare per i propri sogni, nonostante le lacrime, il dolore e i sacrifici. Ma i sogni servono a costruire il futuro. Se invece bisogna sacrificare il proprio futuro a una realizzazione immediata, allora è solo egoismo.

    Di fianco a Otabek, Minami iniziò ad applaudire. D’istinto il kazako lo imitò e in un istante il rumore degli applausi avvolse tutti, come un abbraccio.

    – La mia carriera termina qui – concluse Yuuri. – E mai avrei pensato, quando ho messo i pattini la prima volta, che mi avrebbe dato così tanto. So che domani ci sarà una competizione meravigliosa e invito tutti coloro che avrebbero tifato per me di rivolgere il proprio sostegno agli altri atleti, ognuno di loro se lo merita. So che le parole non bastano, ma voglio cogliere l’occasione per ringraziare tutte le persone che mi sono state vicine, la mia famiglia, i miei amici, il mio compagno di allenamento, tutto lo staff della mia squadra e  quello della nazionale. E Victor, il mio compagno.

    Bastardo, pensò Otabek.

    Era riuscito a farlo piangere.

    Tutte le donne mentono e tutti gli uomini tradiscono. Forse c’è del vero. Ma c’è anche qualcos’altro, che ci mette in gioco e ci fa diventare persone migliori.

    – Vieni con me – disse, prendendo Yuri per il polso.

    – Eh?

    – C’è troppa gente qui.

 

    Un vicoletto di Osaka non era davvero il posto che Otabek avrebbe scelto. Persino la prima volta in assoluto che avevano parlato davvero aveva scelto il più bel punto panoramico di Barcellona e il tramonto. Ma quello era il Giappone, che non gli dava alcuna libertà di movimento.

    – Che cosa succede? – chiese Yuri.

    Il kazako prese un respiro.

    – Noi non possiamo essere come loro – iniziò. – Non posso portarti a casa mia e presentarti come il mio ragazzo per gli stessi motivi per cui tu non puoi farlo con tuo nonno. Abbiamo dei doveri nei loro confronti. Ma abbiamo dei doveri anche nei confronti di noi stessi. Io ti amo e non posso più far finta che non sia così. Che sia solo sesso. E quindi, se ti va, sono tuo, in modo esclusivo, per tutto il tempo che mi vorrai.

    Yuri sembrava del tutto paralizzato.

    – E questo cosa vuol dire, in concreto? – chiese.

    – Che smetto di farmi mezzo Kazakistan per concentrami solo sull’unica persona che mi interessa. Che è un bel po’ più importante di un fazzoletto, per me. E che tra un anno, due al massimo mi ritirerò. E se mio padre starà meglio e se riuscirò a portare avanti la collaborazione con l’università inglese a un certo punto potrò lavorare virtualmente ovunque. Anche in posti abbastanza lontani da casa e dove a nessuno importa, che so io, se sto con un ragazzo russo. Neppure se per ipotesi ci dovessi vivere insieme.

    Otabek aveva iniziato a parlare in fretta, ma poi aveva iniziato a rallentare per non perdersi il cambio di espressione di Yuri. Il distendersi dei muscoli, gli occhi farsi tondi, più grandi, l’espressione infantile e sognante. Come sempre quando accadeva, era durato un istante. Poi Yuri si era richiuso nel suo broncio ringhioso e lo aveva guardato fisso.

    – Quindi adesso stiamo insieme? – aveva soffiato.

    – Se ti va. Se ti può interessare la prospettiva.

    Da gran bastardo che era, Yuri finse di considerare l’opzione. O forse non fingeva. C’erano delle difficoltà intrinseche. Ad esempio quel “virtualmente ovunque” tendeva a escludere il Giappone. Al netto della lingua e del sistema universitario, Otabek sapeva che non sarebbe mai riuscito a vivere stabilmente in quel paese di matti fissati con gli inchini e le alghe.

    – Penso che mi vada. Che mi possa interessare la prospettiva, ammesso che sia fattibile – disse infine. – Senza smancerie in pubblico – aggiunse, in fretta.

    – Senza smancerie in pubblico.

    – Senza dichiarazioni davanti ai giornalisti.

    – Manco morto.

    – Però penso che mi piacerebbe dirlo, a qualcuno, che stiamo insieme – sorrise Yuri. – Quando esco con della gente, qua, che non siano Yuuko o i due pazzi, continuano a presentarmi persone…

    Otabek finse una faccia allarmata. Che poi era una finzione solo parziale. Yuri usciva? Con chi? Perché non glielo raccontava mai?

    – Devono smettere subito! Io lo dirò a mia sorella, credo, magari anche al mio allenatore, così la smette di essere geloso di Victor, quando vengo qui “a perfezionarmi”.

    – Bene.

    – Bene… Pensi che questo vicolo sia abbastanza privato per qualche smanceria?

    Yuri si guardò intorno.

    – Sì, direi di sì.

*

    Victor aveva la mano che tremava leggermente, mentre schiacciava il comando per far partire la videchiamata dal proprio portatile.

    Yuuri se ne accorse e gli strinse con più forza l’altra mano.

    Per un istante lo schermo rimase nero, poi apparve il viso del ragazzo che aveva visto in foto. 

    Per l’occasione si era sbarbato e sembrava più giovane che in quello scatto. Aveva occhi spauriti quanto i suoi e una mano femminile posata sulla spalla.

    – Ciao – disse Nikita, in russo.

    Sembrava sul punto di sentirsi male. Victor era sicuro di avere più o meno la stessa espressione.

    – Ciao – rispose.

    E adesso?

    – Io… Non ti ho cercato per chiederti qualcosa – si affrettò a dire Nikita.

    – Lo so.

    – E comunque non lo siamo, fratelli.

    – Legalmente lo siamo – disse Victor.

    Non era un affare da poco. Erano stati riconosciuti dallo stesso uomo, quindi per la legge erano fratelli. Se gli fosse successo qualcosa, sarebbe stato quel ragazzo, non Yuuri, a ereditare tutti i suoi averi. Un motivo in più per sposarsi, sperando che la legislazione cambiasse anche in Giappone. Non che Yuuri avesse bisogno dei suoi soldi, ormai…

    – Mi sono informato, è una cosa che si può risolvere – disse Nikita.

    Anche questo era vero, e forse quel ragazzo non voleva alcun legame imbarazzante con quello che agli occhi della maggior parte dei russi era un traditore.

    – Vuoi farlo? – chiese Victor.

    Nikita scosse il capo.

    – Pensavo che avrebbe potuto interessare a te.

    – Smettere di essere Victor Nikiforov sarebbe piuttosto strano, a questo punto… E poi è stato comunque mio padre, a modo suo.

    Nikita annuì.

    – Era una persona di cuore, a modo suo… Sai qual è uno degli ultimi ricordi che ho di lui? Abbiamo guardato insieme il primo mondiale che hai vinto. Io avevo sette anni. Quando sei salito su podio mi ha detto: «vedi? Devi sempre essere orgoglioso di chiamarti Nikiforov». Era quasi commosso e io non capivo il perché.

    E un mese dopo si faceva ammazzare…

    – Dev’essere stata dura, per te.

    Nikita scosse il capo.

    – No. Mia mamma è una bravissima persona. E lui… Si era tirato fuori dai brutti giri, più o meno. Di certo ha fatto del suo meglio con me.

    – Anche con me – ammise Victor.

    Adesso, molte cose erano più chiare. Di sicuro, Victor per quell’uomo era stato un’opportunità, un’arma da usare per ottenere qualcosa ogni volta che finiva sotto processo. Nessuno, tuttavia, lo obbligava ad andarlo a trovare ogni volta che usciva di galera o a mandargli un pensiero per il compleanno. Ora lo capiva di più, l’imbarazzo di quelle visite, quei “non mi somigli”, qui maldestri consigli su come farsi valere. Igor Nikiforov aveva recitato un parte, forse senza troppa convinzione e di malavoglia, eppure abbastanza bene da impedire a Victor di essere classificato come figlio di nessuno. Nella gerarchia dell’istituto, questo lo metteva al di sopra dei ragazzi di padre ignoto e di quelli il cui padre non si era mai visto. Era una cosa che lo aveva protetto, perché nessuno si sognava di maltrattare il figlio di uno che di professione spaccava le ossa agli altri. Quando era nato, il regime comunista stava cadendo, nessuno si occupava degli orfani, l’occidente non aveva idea delle condizioni di certi istituti e in Russia c’era troppa povertà perché ce ne si occupasse davvero. Adesso, i figli di nessuno venivano adottati, allora potevano essere lasciati morire senza cattiveria, solo per mancanza di risorse. Ma per il figlio di un uomo pericoloso le risorse si trovano, nei limiti della disponibilità del posto in cui era cresciuto, a Victor non era mai mancato niente e nessuno si era mai sognato di mettergli le mani addosso. 

    L’ultimo ricordo che Victor aveva di lui risaliva a quando aveva tredici anni e mezzo. Lo aveva dovuto accompagnare lui, insieme al suo vecchio dirigente, a San Pietroburgo, da Yakov, perché c’erano delle carte da firmare. Victor ricordava in modo confuso una contrattazione, nel salotto di Yakov, con tanto di avvocati. Alla fine Yakov aveva avuto la delega per la tutela e suo padre e quel porco del dirigente dei soldi. Victor aveva desiderato tantissimo quel trasferimento e aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per renderlo possibile, tuttavia la sua impressione in quel momento era stata quella di essere venduto, come uno schiavo antico, a un uomo brusco di cui non sapeva nulla.

    «Fai quello che devi fare e prenditi la tua vita», gli aveva detto Igor Nikiforov, prima di andarsene per sempre.

    Lui non lo aveva degnato di risposta. In quel momento lo odiava con tutto se stesso. Ma in realtà quell’uomo che sapeva di non essere nessuno gli aveva appena regalato un futuro. Ed è quello che fanno i padri.

    – Mi sarebbe piaciuto conoscerti prima, quando vivevo in Russia – aggiunse Victor.

    – Sì, sarebbe piaciuto anche a me.

    – E non lo conoscevi neppure adesso, se non era per me – si introdusse una voce femminile.

    Sullo schermo apparve un viso femminile, una bella ragazza castana, con due lucenti occhi azzurri e un sorriso smagliante.

    – A proposito, sono Klara, la sua fidanzata e una tua grande ammiratrice! – disse.

    – Ecco, sì, ti presento Klara – aggiunse Nikita, imbarazzato.

    Victor stava per dire qualcosa, ma la testa di Yuuri si infilò a sorpresa davanti alla sua.

    – Io sono Yuuri, il fidanzato! – disse, in inglese.

    Victor trattenne il fiato, in attesa della loro reazione, ma sorrisero entrambi di cuore.

    – Naturalmente! – esclamò Klara. – Non riesco a crederci che sto parlando con voi!

    – È una patita del pattinaggio – spiegò Nikita.

    In qualche modo erano passati tutti a un inglese traballante, ma più o meno comprensibile.

    – Appena ho saputo il cognome di Nikita ho chiesto se eravate parenti – spiegò Klara. – Per un po’ è stata solo una battuta, ma poi abbiamo iniziato a porci davvero il problema.

    – Ecco, sì, è colpa sua… – sorrise Nikita. – Ma la verità è che non farei un sacco di cose se non fosse per lei.

    – Siete una bella coppia – disse Victor.

    Lo pensava davvero. Si era immaginato… Beh, le cose peggiori su quel ragazzo. Che fosse alcolizzato o drogato o delinquente come suo padre. Invece sembravano, per quel poco che poteva trasparire, proprio due cari ragazzi. 

    – Ci sposeremo… Appena possibile – disse Nikita.

    – Appena lui si sarà diplomato – aggiunse Klara.

    Nikita sospirò.

    – Lei è maestra e ha insistito perché riprendessi gli studi, alle serali… Ha fatto bene, eh, mi piace, ma io non mi vergognavo di quello che sono.

    – E perché avresti dovuto? – disse Victor, poi si passò una mano nei capelli. – Io non ci sono riuscito a diplomarmi. Potresti essere il primo Nikiforov a farlo.

    Questo regalò un sorriso d’orgoglio al ragazzo.

    – Anche noi ci sposeremo – si intromise Yuuri.

    – Davvero? Quando? – chiese Klara.

    – Siete le prime persone a cui lo diciamo, non… – iniziò Victor.

    – L’ultima settimana di agosto – disse Yuuri, come se fosse un fatto assodato.

    – Davvero? – Victor era sicuro di dover essere informato.

    – Certo. La prima settimana di agosto ci sono già sette juniores prenotati per il campus. Fino al venti si ferma Otabek e viene qui anche per pattinare, ogni tanto. Mio nipote nasce a fine giugno e dobbiamo vedere come vanno le cose. Prima ci sarà la riabilitazione dopo il mio intervento… L’ultima di agosto è il momento migliore, tanto avevamo già stabilito che sarebbe stata Yuko ad accompagnare gli juniores alle tappe del JGP, così la prima di settembre andiamo in Russia, come dicevi tu. Poi potremmo andare direttamente a Mosca per accompagnare Yuri alla presentazione dei programmi. Prima o poi devi tornare sul bordo di una pista in Russia.

    Yuuri ci aveva pensato. Ci aveva pensato sul serio. Non voleva farlo solo per accontentarlo, in modo passivo, come Victor aveva temuto. 

    – L’ultima settimana di agosto, quindi – disse. Iniziava a sentirsi un po’ sopraffatto. 

    – E poi verrete in Russia.

    – Sì. È tantissimo tempo che non torno a Salechard. Vorrei far vedere a Yuuri dove sono cresciuto… Potremmo vederci di persona.

    – Sarebbe bellissimo – disse Nikita.

    – Le mie amiche moriranno di invidia – approvò Klara. – Non credere a quello che si legge in giro. Qui un sacco di gente ti adora ancora.

    – Bene allora. È deciso – disse Victor.

    Si accorse di star stringendo la mano di Yuuri con troppa forza. Allentò la presa, trasformandola in una carezza.

    Ci sono cose che bisogna fare in prima persona. Ci sono fantasmi che non puoi chiedere ad altri di affrontare per te. Ma essere in due rende le cose diverse. Nessuna conquista ha senso davvero se non viene condivisa.

 



Eccoci qua. Questo è il penultimo capitolo. Quindi il penultimo capitolo per Yuuri e Victor e, dal momento che non ho nel cassetto altre storie su di loro, ho già il magone, dato che ormai è un anno e mezzo che abitano stabilmente nella mia testa. Rimando al prossimo capitolo i ringraziamenti più seri e i saluti. Già adesso, però, ci tengo a ringraziare tutti, ma proprio tutti i lettori, quelli che non si sono persi neppure un capitoletto, quelli che si sono aggiunti dopo, quelli che leggono ogni tanto. Tutti voi avete regalato a me e ai miei personaggi una frazione  unica e irripetibile della vostra vita. È una cosa estremamente preziosa di cui sono immensamente grata.

PS: non perdetevi il gran finale settimana prossima e poi il piccolo extra Otayuri che seguirà.
    

   
 
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