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Autore: MackenziePhoenix94    12/09/2019    0 recensioni
SECONDO LIBRO.
“Un sogno non può durare per sempre. Arriva per tutti il momento di svegliarsi e di fare i conti con la realtà.
E quel momento, purtroppo, è arrivato anche per me”.
Dopo due sole settimane, Nicole ritorna a Chicago portando con sé i segni, sia mentali che fisici, della sua relazione con Theodore Bagwell.
Ciò che ha in mente è chiaro e ben delineato: lasciarsi alle spalle l’uomo che l’ha presa in giro e ricominciare una nuova vita, questa volta sul serio; ma i suoi piani vengono nuovamente sconvolti quando riceve una chiamata proprio dal suo ex compagno.
L’uomo, in lacrime, la supplica di raggiungerlo e, così facendo, costringe Nickie ad affrontare l’ennesimo bivio: rifiutare o accettare?
Ancora una volta, Nicole decide di seguire il proprio cuore: senza esitare, parte per Panama, per raggiungere Bagwell, del tutto ignara delle conseguenze che la sua decisione avrà.
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, T-Bag
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Conquistare la fiducia del proprio Capo costituisce un buon punto di partenza per sopravvivere all’interno di un posto come Sona, ma non è sufficiente: essere utili non porta mai a risultati a lungo termine, per essere sicuri che ciò accada, e di avere il culo parato, bisogna diventare indispensabili.

Per mia enorme fortuna, non tutto il gruppo dei fedelissimi di Lechero mi odia: c’è una piccola eccezione costituita da un giovane, poco più grande di un ragazzo, che si chiama Juan Nieves.

Nieves è l’unico che mi rivolge la parola con gentilezza, senza sbeffeggiarmi o prendersi gioco di me, e che mi dà continui consigli su come comportarmi con il mio Patròn: Lechero è un uomo dal carattere piuttosto volubile, ed è molto sensibile alle entrate di denaro; il mio nuovo amico messicano lo sa molto bene, perché in qualità di spacciatore ufficiale di Sona è costretto a subire molto spesso le sfuriate del suo Capo quando fa ritorno con una busta molto più sottile di quello che lui si aspetta.

Un giorno, addirittura, assisto in prima persona ad una di queste fantomatiche sfuriate da brividi in seguito all’ennesima busta sottilissima di denaro frusciante: il mio Patròn lo aggredisce quasi fisicamente, accusandolo di essersi sparato tutta la droga in vena anziché averla venduta ai detenuti, e Juan è costretto a difendersi mostrandogli le braccia immacolate, su cui non c’è neppure l’ombra della puntura di un ago, ribadendo che lui non c’entra nulla e che i guadagni sono scarsi a causa del poco tempo che viene lasciato ai clienti per procurarsi i soldi.

Un’altra volta, invece, assisto ad un’altra scena altrettanto interessante: vedo Nieves parlare con Mahone, l’agente americano, in preda ad una vera e propria crisi di astinenza, e così per puro caso, senza lasciarmi sfuggire una sola parola del loro dialogo, apprendo che l’uomo è solito ad assumere un farmaco che il mio amico messicano non può procurargli, visto che Sona non è una farmacia; e quando gli viene offerta una bustina di eroina, Alexander la rifiuta in modo violento, sia perché non ne vuole sapere di iniettarsela in vena e sia perché, in assenza di denaro contante, non è assolutamente intenzionato a fare marchette.

Per un’intera giornata, nei momenti in cui non sono impegnato a soddisfare le richieste del mio Capo, rifletto a lungo su questi due eventi completamente distaccati, che ad una prima occhiata non hanno nulla a che fare l’uno con l’altro, finché non trovo il giusto modo per incastrare le due cose insieme, come i pezzi di un puzzle.

E l’occasione perfetta per mettere in atto il mio piano si presenta una mattina, mentre aiuto il mio amico a preparare le nuove dosi di eroina per i suoi clienti abituali.

“Non ti ho ancora ringraziato per quello che hai fatto qualche giorno fa, sai… Quando mi hai aiutato a raccogliere tutta la roba che Lechero aveva sparpagliato sul pavimento” commenta lui, facendo riferimento all’ultima sfuriata “a volte lavorare per lui non è affatto semplice, comprendi?”

“Ohh, si, comprendo benissimo” mormoro, sedendomi sul bordo di una brandina “ma io e te siamo amici, Nieves, giusto?”.

Allungo la mano destra e lui me la stringe, tornando poi ad occuparsi delle ultime bustine; non c’è nessun altro del gruppo all’interno dell’appartamento di Lechero, ad eccezione di noi due, neppure il padrone di Sona in persona perché questo è il momento della giornata in cui è solito recarsi dal barbiere per darsi una sistemata.

Cosa che ha vivamente consigliato di fare anche a me, dato che con i capelli scompigliati e la camicia sempre chiazzata di sudore gli ricordo un barbone.

“Appena Lechero cambierà umore, metterò una buona parola su di te, Blancho, così potrai fare carriera”

“Apprezzo molto il tuo gesto, Nieves, dico davvero” commento a mia volta, svuotando il contenuto di una busta di plastica sul materasso, alzandomi poi in piedi “ma se c’è una cosa che ho imparato dalla vita, è che le occasioni vanno create, non si possono aspettare”.

Senza indugiare, con un gesto fulmineo, gl’infilo la busta di plastica sulla testa, stringendogli il braccio sinistro attorno alla gola, per impedirgli di respirare; lui prova a divincolarsi, annaspando con le braccia alla ricerca di aria, ed entrambi cadiamo a terra, ma ha ben poche possibilità di farcela contro una persona come me, abituata ormai ad uccidere in diversi modi.

E poco dopo, infatti, sento il suo corpo rilassarsi e vedo le sue braccia ricadere lungo i fianchi; stringo la busta ancora per qualche istante, per essere sicuro che nei polmoni non ci sia più aria, e poi la tolgo, preparandomi per la seconda parte del piano: frugo all’interno della borsa a tracolla del defunto spacciatore, riempio una siringa di morfina e gl’inietto l’intera dose nell’incavo del braccio sinistro, preoccupandomi di non estrarre l’ago, in modo da simulare un’overdose.

Un po’ mi dispiace essere stato costretto a compiere un’azione così drastica, come nel caso di Denise.

Non ho più avuto un amico, un vero amico, da quando ho perso David davanti ai miei occhi; forse Juan avrebbe potuto ricoprire un ruolo simile, avrebbe potuto rivelarsi molto utile in diverse occasioni, ma la verità è che non avrebbe mai potuto sostituire David.

A volte ripenso ancora a lui.

A volte penso a come sarebbe andata, se non si fosse beccato il proiettile al posto mio, se fossimo riusciti a scappare ed a raggiungere il Messico; o come sarebbe andata, se entrambi fossimo stati rinchiusi a Fox River e poi fossimo riusciti ad evadere insieme a Michael ed agli altri.

A volte ci penso, e quando me ne rendo conto sposto l’attenzione altrove, scuotendo la testa con forza per scacciare le immagini dalla mente.

Perché ricordare è terribilmente doloroso.



 
Trascorre appena un’ora prima che venga intercettato da Sammy e dal resto del gruppo di fedelissimi: mentre sto percorrendo uno dei tanti corridoi di Sona, si posizionano davanti a me, impedendomi di proseguire.

“Lechero ti vuole vedere. Ha detto che vuole parlare con te immediatamente” mi avvisa Sammy e, contemporaneamente, due dei suoi uomini mi afferrano per le braccia.
“No, non posso venire adesso!” protesto, tentando di divincolarmi “Lechero dice che con questi capelli gli sembro un barbone, devo andare dal barbiere a tagliarli subito!”.

Le mie suppliche non servono a nulla.

Vengo letteralmente trascinato di peso fino all’appartamento di Lechero: quest’ultimo è appoggiato allo stipite di una porta ed osserva in silenzio il cadavere di Nieves, ancora abbandonato sul pavimento, nell’esatto punto in cui l’ho lasciato un’ora prima; sbatto le palpebre più volte, boccheggiando senza parole, mostrandomi sconvolto, calandomi perfettamente nel ruolo dell’amico incredulo e distrutto.

“Tu lo sapevi?” domanda in tono secco il mio Capo, senza neppure voltarsi “sapevi qualcosa riguardo a questa storia?”

“No… Io… Io non sapevo assolutamente nulla…” balbetto, distogliendo lo sguardo dal corpo “io e Nieves eravamo amici e…”.

Non riesco a completare la frase perché mi ritrovo letteralmente inchiodato contro una parete, con la mano destra del mio Patròn attorno alla mia gola: una reazione che non avevo neppure lontanamente calcolato.

“Appunto. Tu e lui eravate amici, di conseguenza se sapevi qualcosa riguardo al fatto che aveva ripreso a bucarsi, e me lo hai taciuto, lo avrai sulla tua coscienza”

“Ma… Ma… Patròn, io non ci capisco nulla di droghe” inizio a piagnucolare, versando qualche lacrima, in modo d’apparire ancora più convincente “ho solo fumato un po’ d’erba quando avevo dodici anni, e da quanto ho tossito ho quasi rischiato di sputare un polmone. Te lo giuro!”.

Lechero non risponde, continua a fissarmi negli occhi ed io, di rimando, gli lancio un’occhiata carica di disperazione.

“D’accordo… D’accordo… Così va bene… Così va bene…” mormora, poi, lasciandomi andare e dandomi una sonora pacca sulla spalla sinistra “nella mia squadra si è appena liberato un posto”.



 
“Buone notizie, Agente Mahone!” esclamo, quando finalmente riesco a scovare Alex all’interno di una delle numerose celle di Sona: la porta a sbarre di ogni piccola abitazione è sprovvista di chiave, di conseguenza sono sempre spalancate, ed ogni detenuto può entrare ed uscire a proprio piacimento; sorrido compiaciuto ed indico al mio connazionale, rannicchiato in un angolo, la borsa a tracolla che è passata in eredità a me “in seguito alla prematura ed improvvisa scomparsa del signor Juan Nieves, sono stato promosso responsabile delle vendite e mi devo anche occupare dei rapporti con la clientela”

“Vattene via” sibila lui, battendo i denti a causa dell’astinenza “non voglio nulla da te”

“Ascoltami bene, Alex, io non sono tua madre e di certo non vado in giro a dire alla gente quello che deve o non deve fare, ma ti ho visto in condizioni migliori”

“Non ho bisogno di niente”

“Sicuro? Eppure a me sembra che tu abbia proprio bisogno di qualcosa” commento; frugo all’interno della borsa in pelle e tiro fuori una siringa con una dose già pronta di eroina, sistemandola sopra un davanzale di pietra, a pochi centimetri di distanza dal suo viso “a proposito… Il laccio non è incluso”.

E con quest’ultima stoccata, esco dalla cella e mi allontano per andare a soddisfare altri clienti impazienti di farsi la loro pera quotidiana.

Forse dovrei sentirmi uno stronzo, visto che non c’è nulla di peggio che alimentare la dipendenza di una persona, soprattutto se la persona in questione è un tossico, ma qui si tratta di sopravvivenza, ed io non ho fatto altro che mettere in atto un vecchio detto: il nemico del tuo nemico è tuo amico.

E se riesci a legare a te, a doppio filo, il nemico del tuo nemico, ancora meglio, perché avrà un debito nei tuoi confronti  che prima o poi sarà costretto a ripagare.
   
 
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