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Autore: lightvmischief    13/09/2019    0 recensioni
Una ragazza.
Un gruppo.
La sopravvivenza e la libertà.
Le minacce e i pericoli della città, delle persone vive e dei morti.
Prova a sopravvivere.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO 20

 

CALUM

Fisso la figura di Kayla allontanarsi, preso alla sprovvista quando la vedo voltarsi un’ultima volta per sorridere ad Ebony. La guardo preoccupato con le sopracciglia aggrottate; lei sa che non sono d’accordo. Poi, la vedo scomparire dietro alla porta.

Dopo l’ultima notte passata insieme, due giorni fa - precisamente la notte di Natale -, non ci siamo parlati. Ci siamo avvicinati più del solito quella sera e forse anche più del dovuto. Entrambi dovevamo rivedere ciò che stavamo facendo e il miglior modo per farlo era quello di evitarci completamente. 

Le prime volte era davvero sola e pura attrazione fisica verso il suo corpo e anche un bisogno fisico che entrambi avevamo. Poi con l’aumentare delle volte, ho cominciato a scherzare con lei, prenderla in giro per suoi atteggiamenti futili ma senza cattiveria. Ho cominciato a ricercare la sua presenza sempre di più, trovandomi sorprendentemente bene quando ero in sua compagnia. 

Dobbiamo ancora conoscerci bene, non so ancora niente di lei e viceversa, ma mi sono accorto che  i pregiudizi nei suoi confronti sono completamente infondati. All’inizio pensavo fosse stata una spina nel fianco del gruppo: troppo indipendente, troppo autoritaria per far parte di uno. Poi, ho scoperto che aveva le sue ragioni di comportarsi in quel modo e ho scoperto la storia della sua famiglia.

Insieme abbiamo ritrovato sua sorella. Ho vissuto assieme a lei momenti di completa vulnerabilità che pensavo non avrei mai visto da parte sua. Aveva una muraglia costruita davanti a sè, apparentemente così solida, ma in realtà piena di crepe, che ha distrutto completamente una volta essersi abituata all’idea di avere di nuovo sua sorella con sè.

Da quel momento in poi è completamente cambiata. È aperta, disponibile, cerca sempre di dare una mano, ascolta le persone accanto a lei… È come vedere e vivere una persona completamente differente. Stava finalmente vivendo la sua vita, per quanto ciò fosse possibile nelle circostanze.

Quella notte avevo bisogno di sentirla vicina a me più dei soliti minuti di rito, prima che ognuno tornasse a rivestirsi e uscire veloce dalla stanza di fortuna senza una parola. Volevo tenerla stretta a me, riprovare ciò che non sentivo più da tanto tempo.

Forse era davvero oltrepassare quell’accordo taciturno che avevamo fatto o era un oltrepassare una linea invisibile, piazzata quando l’apocalisse iniziò; avere una qualsiasi relazione - affettiva o d’amore - può mettere a rischio la propria vita. Kayla la chiamerebbe debolezza.

Forse ci eravamo avvicinati troppo. Forse quel “troppo” io lo sentivo ancora come poco.

Quel che sapevo - e che so - è che entrambi abbiamo bisogno di tempo e che affrettare le cose rovinerebbe il rapporto che abbiamo creato. Non è perfetto, anzi: entrambi siamo testardi e determinati, ognuno con le sue idee e valori, solo ultimamente abbiamo iniziato a non scontrarci per ogni singola questione.

Kayla sa che non sono d’accordo con le sue uscite e probabilmente sa anche della sfuriata che ho fatto contro Travis quando ho scoperto che era diventata ufficialmente parte del “gruppo spedizioni”. 

Questa volta è diverso, però: sebbene le altre volte che usciva ero in pensiero per lei, questa volta sono completamente teso.

Ho scoperto proprio due giorni fa che la meta sarebbe stata più lontana del solito e che avrebbero esplorato una zona del tutto nuova. Ci sono mille variabili che potrebbero definire il risultato della loro uscita e gran parte di queste sono negative. Forse è anche per questo che l’ho evitata fino a poco fa: sapevo che se avessi provato a farle cambiare idea, avremmo solo finito con il litigare.

«Andiamo, ti faccio vedere come bollire l’acqua» dico ad Ebony, aprendo il palmo per prendere la sua mano tra la mia. 

Farei qualsiasi cosa per tenere la mente occupata in questo momento e l’unico modo per farlo è tenere le mani occupate.

Arrivati nella stanza apposita, troviamo Pauline - una donna alta di trentacinque anni, non ci frequentiamo molto - che si sta occupando di imbottigliare l’acqua già bollita. Le dico che può andare, l’avrei sostituita io adesso. Mi saluta con un cenno del capo e rivolge un sorriso dolce ad Ebony, lasciandoci poi soli nella stanza.

All’interno ci sono tutti i contenitori con la neve che si scioglie in fretta a causa del piccolo fuoco in mezzo alla stanza. Per far uscire il fumo - che comincia a farmi pizzicare gli occhi - c’è aperta una finestrella rettangolare posta vicino al soffitto. 

«Fa caldo» dice Ebony, aprendo la cerniera della felpa troppo grande per il suo piccolo corpo.

«Dopo un po’ ti ci abitui» le rispondo, finendo di versare l’acqua rimasta nella pentola sopra al fuoco, facendo attenzione a non scottarmi con il metallo rovente. Passo la bottiglia alla bimba, facendole segno con l’indice verso l’armadio in cui deve posarla.

«Ti mostro come si fa, poi lo fai tu, d’accordo?»

«Sono pronta!» risponde Ebony entusiasta, dandomi la sua totale attenzione.

Immergo la pentola in un contenitore quasi vuoto, chinandomi per raggiungere il fondo e riempiendo l’utensile di acqua. Lo tiro su verso il mio petto, lo appoggio su un tavolino da lavoro, asciugando le gocce sulle pareti esterne dell’attrezzo, così che non cadano sul fuoco acceso. Poi sposto la pentola sul fuoco, aggiungendone qualche pezzo di cartone per una fiammata iniziale.

«Ora dobbiamo aspettare che bolla» le spiego, sedendomi sullo sgabello di legno vicino al tavolo. «Deve bollire per almeno un minuto e poi la travasiamo nelle bottiglie.»

«E noi cosa facciamo nel frattempo?» mi chiede, facendo uscire il suo labbro inferiore e appoggiando le mani sui fianchi. Proprio come sua sorella ha sempre bisogno di fare qualcosa.

«Hai qualche idea?»

Ebony si prende del tempo per pensare, sedendosi a gambe incrociate per terra. «Mi puoi fare le trecce!» esclama poi, voltandosi sorridente verso di me.

«Non so come si fanno le trecce...» 

«Te lo insegno io. Prendi una ciocca di capelli e la dividi in tre e poi le intrecci tra di loro.»

«Rallenta, rallenta, mi sono già perso.» Ebony si gira, fingendosi scocciata, sbuffando rumorosamente dalla bocca. 

Mi fa cenno di arrivare al suo livello, allora scendo dallo sgabello, inginocchiandomi dietro di lei. Prende una ciocca dei suoi capelli neri e me la appoggia sul palmo della mano. Mi ripete che devo dividerla in tre ulteriori ciocche, quindi eseguo. 

«Adesso le tieni tra le dita, ne prendi due e le intrecci.» Seguo attentamente le sue istruzioni, cercando di evitare di creare nodi tra i suoi capelli morbidi e lunghi. «Hai fatto?» mi chiede frettolosa, se non la conoscessi abbastanza bene mi aspetterei anche un’alzata di occhi.

Svolgo l’azione, facendo attenzione a non far scivolare le ciocche tra le mie dita e senza tirare troppo allo stesso tempo. «Aggiungi la terza ciocca e vai avanti così fino alla fine dei capelli.»

«Lo dici come se fosse una cosa semplice» mi lamento scherzoso ma concentrato. Faccio un po’ di tentativi, arrivando ad intrecciare la terza ciocca nel modo giusto dopo qualche minuto.

Infilo la lingua tra le labbra, probabilmente il mio solito cipiglio tra le sopracciglia ha fatto la sua apparizione, come ogni volta che sono concentrato nel fare qualcosa. Continuo il mio lavoro, tornando indietro un paio di volte perchè intreccio nel modo sbagliato o non stringo troppo l’intreccio.

«Con cosa la chiudo?» le chiedo una volta riuscito ad arrivare alla fine. Mi mostra gli elastici colorati ma sbiaditi al suo polso, passandomene poi uno.

«L’acqua sta bollendo da un po’» mi fa notare, ridacchiando sotti i baffi. 

«Ci ho messo davvero così tanto?» chiedo incredulo, facendo un ultimo giro all’elastico, così che restasse esattamente lì. «Beh, non giudicare.» Ispeziona la treccia per qualche istante prima di alzare i pollici sorridente. Lascio un sospiro di sollievo ironico, passando una mano sulla fronte, enfatizzando l’azione.

«Passami le bottiglie, quelle le so fare più veloce.»

«A te piace Kayla, vero?» Blocco le mie azioni, voltandomi verso Ebony con le sopracciglia alzate.

«Come persona, sì, mi piace» rispondo con un’alzata di spalle. Evito lo sguardo della bambina di quasi nove anni proprio come un bimbo della sua stessa età.

«Intendo come “fidanzata”, cretino» replica pronta, facendo le virgolette con le dita.

«Sei troppo piccola per chiedere certe cose» dico, sviando completamente la domanda e tornando a concentrarmi sull’incanalare l’acqua correttamente nelle bottiglie.

«Quindi ti piace» appura entusiasta, spuntando al mio fianco con un sorriso a trentadue denti.

«Non mi sembra di averlo mai detto» replico ridendo nervosamente. «Ora tocca a te» le ricordo, sperando di cambiare argomento della conversazione.

È davvero troppo presto per poter dire che mi piace Kayla, perchè non è così; come persona? Sì, mi piace per quel poco che sono riuscito a carpire dai suoi gesti, che prendono il posto delle parole, sempre o quasi spicciole tra di noi. 

Sì, mi piace anche fisicamente, altrimenti non ci andrei a letto così frequentemente. Sì, mi è piaciuto avere un momento più intimo con lei quattro notti fa e sì, vorrei che capitasse ancora, il più presto possibile. Ma non posso andare oltre a questo: conosco ancora così poco di lei, solo quei pochi ma drammaticamente importanti avvenimenti che le sono accaduti da quando tutto è iniziato. Vorrei poter conoscere la vera Kayla, quella che è sotterrata dentro di lei, quella che era prima e, una volta scoperta, vorrei essere proprio io quello in grado di farla tornare come era. Non so se me lo permetterebbe, però.

«Secondo me, piaci a Kayla» riprende Ebony, una volta finito di ripetere tutta l’operazione da me mostratagli precedentemente. Quasi mi soffoco con il sorso d’acqua che avevo appena preso. Tossisco un paio di volte prima di ricompormi e incrociare le braccia al petto.

«Io non ne sarei così sicuro» rispondo dopo qualche istante. «Ma non è questo il punto. Forza, vieni qui, devo ancora farti l’altra treccia.»

***
«Fratellino!» Mi volto per vedere Mali avvicinarsi verso di me con una corsetta. «Che combini?» mi chiede curiosa, dandomi un pugno giocoso sulla spalla.

«Non molto al momento» le rispondo, alzando le spalle con nonchalance.

«Sei noioso» ribatte, la sua espressione si trasforma presto in un broncio. «Questa sera sei di turno in mensa con Joey e mamma, comunque.» Annuisco, facendomi un memo mentale per ricordarmi della cosa più tardi. 

Mi gratto la nuca, guardandomi intorno, osservando le persone presenti sulle scalinate e sul campo della palestra andare da una parte all’altra, ognuno verso il suo compito assegnato o per riposarsi.

«Penso di avere capito dove sparisci sempre ultimamente...» inizia dopo qualche istante di silenzio, con aria indagatrice, prendendosi il labbro superiore tra il pollice e l’indice, gesto solito che dimostrava la sua concentrazione.

La guardo con le sopracciglia alzate, pronto a sentire una possibile stupidata che avrebbe detto, magari solo per farmi ridere. 

Essendo la sorella maggiore, in qualche modo si era sempre presa cura di me prima, quando le vite erano ancora normali. Ora, invece, si preoccupa sempre di vedermi sereno, leggero perchè in pensiero per la mia salute mentale; non che avessi mai avuto problemi, ma la situazione contingente poteva essere causa scatenante di molte problematiche a livello mentale. È molto più facile ora perdersi nella propria mente, nei propri pensieri, paure e paranoie, rischiando di cascare rovinosamente in un pozzo di oscurità da quale è quasi impossibile uscire se non si hanno accanto le persone giuste. Nonostante ogni volta mi facesse ridere e alzare gli occhi al cielo allo stesso tempo con le sue battute troppo pessime, sono grato di averla ancora con me e veramente fortunato.

«Sentiamo la tua teoria.»

«La mia non è una teoria, è un dato di fatto» anticipa, facendomi un occhiolino tutto il contrario di impercettibile. «Tu sparisci insieme a Kayla.»

Per poco non mi strozzo con la mia stessa saliva, tossendo troppe volte prima di tornare a riprendere il controllo del mio respiro normalmente.

«Ha! Lo sapevo!» esulta felice, dopo avermi dato qualche pacca sulla schiena per farmi riprendere.

«Veramente non ho nè negato nè appurato.»

«Ci ha già pensato il tuo linguaggio del corpo» ribatte con aria saccente, alzando un paio di volte le sue sopracciglia. «E poi, non credere che non abbia visto i succhiotti sulle sue clavicole. Kayla crede di coprirli bene con la maglietta, ma in realtà fa proprio un pessimo lavoro» confessa ridacchiando e scuotendo la testa, pensando alla ragazza.

«Scusa, ma potrebbe benissimo andare a letto con qualcun altro, non sono l’unico uomo qui dentro-»

«Come se non avessi visto la tensione sessuale che c’è tra di voi ultimamente» risponde con le sopracciglia alzate e le labbra unite e all’infuori. 

«Ti lascerò con il beneficio del dubbio.» Le sorrido perfidamente, alzando le mani con i palmi verso l’alto e alzando le spalle.

***    

Mi sciacquo velocemente il viso con l’acqua, cercando di cancellare magicamente ogni traccia di stanchezza da esso, nonostante tra poco sarei andato a dormire. Prendo l’asciugamano e sfrego sulla pelle, sentendo il materiale ruvido di esso sulla fronte e sulle guance. 

La giornata era arrivata alla fine, il cielo si è già oscurato da un paio di ore, facendo piombare l’intera palestra nel buio della sera invernale, se non per la luce del falò al centro del campo, che riesce ad infiltrarsi anche nei suoi corridoi, non riuscendo ad arrivare a tutte le stanze però.

Questo pomeriggio mi ero occupato dei bambini, prendendo praticamente il posto di Kayla, visto che di solito stavano con lei, così che potesse passare un po’ di tempo con sua sorella finchè poteva. Insieme abbiamo letto un libro di storie, ormai già letto e riletto, ma i bambini non si stancano in fretta delle cose come lo fanno gli adulti.

Dopodichè ho svolto il turno in mensa assieme a mia mamma e a Joey - un uomo di trentadue anni -, abbiamo mangiato tutti e tre prima di cominciare a servire tutti gli altri e poi io e Joey abbiamo pulito la sala, dopo aver obbligato mia madre ad andare a riposarsi, con non poche sue proteste. È sempre stata una donna forte e piena di energie, ma che lo accettasse o meno, anche lei aveva bisogno di un attimo di pausa.

«Oh, proprio te stavo cercando.» Alzo la testa una volta uscito dal bagno, trovandomi davanti il corpo di Wayne con un’espressione preoccupata, pensierosa.

«Va tutto bene, Wayne?» gli chiedo, percependo una brutta sensazione alla bocca del mio stomaco. 

«Non dovrebbero già essere tornati?» chiede, lasciando trasparire tutto il suo timore, incrociando le braccia strette al petto, probabilmente per fermare il movimento nervoso delle sue mani.

Mi prendo il mento tra le dita con una mano e l’altra la passo tra i capelli, l’angoscia che comincia a farsi strada dentro di me.

«Non so, è buio ormai, magari preferiscono tornare domani con la luce del giorno e con qualche ora di riposo addosso» provo titubante, cercando di convincere anche me. 

Avrei mentito se avessi detto che non mi era balenato per la mente che Elyse, Blaine, Tracey e Kayla avrebbero già dovuto far ritorno questo tardo pomeriggio, ma ho cercato di mettere a tacere quella fastidiosa vocina dentro il mio cervello, sapendo che molte volte i piani potevano cambiare. Non era la prima volta che succedeva che un gruppo tornasse un giorno dopo tutto integro, per questo cercavo di non preoccuparmene troppo, nonostante ho sentito il mio stomaco contorcersi più del dovuto ogni volta che pensavo a loro.

«Lo hai già detto a Travis?»

«Sì, sì. Vuole aspettare ancora prima di mandare un gruppo di ricerca.» Annuisco all’informazione ricevuta, trovandomi d’accordo e in disaccordo allo stesso tempo.

D’accordo perchè siamo senza un’auto e la loro destinazione era già lontana con un mezzo, a piedi ci impiegheremmo il doppio del tempo, senza contare che le strade erano completamente innevate. Inoltre, con già quattro persone fuori, bisognava agire con cautela prima di inviare fuori qualcun altro.

In disaccordo perchè se era successo qualcosa, il prima ci muovevamo meglio era; anche se da una parte saremmo potuti cadere nel loro stesso problema, dall’altra forse potevamo aiutarli o, nella peggiore delle ipotesi, riuscire a salvar loro la vita.

«Sì, è meglio così. Vedrai che domani torneranno.» dico infine, dandogli una pacca sulla spalla, cercando di confortarlo.

In silenzio andiamo insieme sulle scalinate. Non ci salutiamo neanche prima di prendere il nostro posto sui diversi gradoni.

Mi sdraio, chiudendo gli occhi non appena la mia testa tocca terra, provando a silenziare i pensieri che fanno a botte nella mia testa e a calmare il mio battito cardiaco e respiro inutilmente.

   
 
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