Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Ricorda la storia  |      
Autore: Fauna96    14/09/2019    7 recensioni
Pre-canon manga/Fullmetal Alchemist Brotherhood ~ Roy e Riza dopo Ishval, prima degli Elric.
Ora, se Fuery fa cadere la tazza di caffè o Havoc sbatte la porta un po’ troppo forte, Riza trasalisce, e basta; il Tenente-Colonnello fa una battuta sulle tasse dei cittadini che servono a pagare stoviglie e infissi; entrambi si lanciano un’occhiata e, stabilito che va tutto bene, l’angolo della bocca di Roy si solleva appena.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
I brought you my trembling fingertips



 NdA: con dieci anni di ritardo, mi sono unita anche io alla festa di Fullmetal Alchemist, e ovviamente mi sono innamorata di questi due, completamente. Mi fanno perfino provare a scrivere smut (vagamente eh, non sono capace). La storia è ambientata prima che Roy e Riza vadano a Resembool, qualche mese dopo aver cominciato a lavorare assieme.
Il titolo è ispirato all’album dei My Chemical Romance I Brought You My Bullets You Brought Me Your Love perché non avevo idee.
Dedicata a Alsha perché gliela devo e perché so quanto ami FMA <3.




Riabituarsi alla vita normale, civile è un’operazione lunga, fatta di un passo avanti e tre indietro. Sta tutto nelle piccole cose, quelle che non si notano nemmeno. Riza pensa che lei dovrebbe essere brava in questo, ha passato buona parte della vita a rendersi piccola e invisibile. Evidentemente, non funziona proprio così.
Una mattina, però, si guarda allo specchio del bagno, con il viso ancora umido, vede gli occhi gonfi di sonno, ma non le occhiaie. Niente cerchi scuri, solo la pelle un po’ arrossata dal cuscino.
Riza sbatte le palpebre; in quel momento la giovane donna che la fissa non è così distante dalla ragazza di campagna che non esiste più da anni, quella che solitamente riusciva a dormire tutta la notte senza svegliarsi sudando freddo e soffocando le grida nel cuscino. In effetti, non ha avuto incubi negli ultimi tre giorni; forse nemmeno nell’ultima settimana. Ora, Riza non è (più) così ingenua da ritenere che sia finita, sa che gli incubi torneranno, che ci saranno ricadute e giorni in cui guardando fuori dalla finestra non vedrà gli edifici di East City, ma sabbia bianca e cielo blu e sangue rosso. Ma in questo momento, questa mattina, sente di potersi concedere un sorrisetto forse soddisfatto.
Una sera, sì e no quattro giorni dopo aver cominciato a lavorare per Roy, dal corridoio era arrivato un rumore troppo simile a uno scoppio nel silenzio quasi assoluto. Riza era in piedi accanto alla scrivania di Roy e non ricorda chi abbia afferrato l’altro, ma si era ritrovata sotto il tavolo, il cuore che batteva all’impazzata, una mano sulla pistola, l’altra scattata a tenere giù il Tenente-Colonnello.
Poi, aveva alzato lo sguardo per incrociare quello di Roy. Lui aveva già su entrambi i guanti, un braccio davanti a lei per proteggerla. Si erano fissati.
Per fortuna, gli altri non erano ancora stati reclutati. Per fortuna, nessuno era entrato in quel momento per assistere allo spettacolo dell’Eroe di Ishval e dell’Occhio di Falco stretti l’uno all’altra per proteggersi da un pericolo inesistente, tremanti come bambini.
Ora, se Fuery fa cadere la tazza di caffè o Havoc sbatte la porta un po’ troppo forte, Riza trasalisce, e basta; il Tenente-Colonnello fa una battuta sulle tasse dei cittadini che servono a pagare stoviglie e infissi; entrambi si lanciano un’occhiata e, stabilito che va tutto bene, l’angolo della bocca di Roy si solleva appena.
 
Roy ha ricominciato a mangiare come si deve; questo è un bene, innanzitutto per ovvie ragioni, e poi perché se mangia vuol dire che non cerca di ubriacarsi.
Riza se ne accorge perché la mattina, quando porta alla sua scrivania documenti da firmare, nota che le sue guance non sono più scavate, ma tonde come mele, tonde come quelle del ragazzo prima della guerra.
«Tenente, sparami: preferisco una morte rapida e dignitosa all’agonia della burocrazia» dice Roy, portandosi una mano teatrale al petto e sbirciando la sua reazione da sotto le ciglia.
Riza mantiene un’espressione neutra. «Le suggerisco di tentare con i tagli da carta, signore: sembrerà un vero e proprio incidente sul lavoro».
Roy le sorride, sfacciato e sincero, e Riza gli vede le fossette, quella destra più pronunciata, la sinistra quasi invisibile se non si sa dove guardare. Le guance sembrano morbide come le bucce delle albicocche che divoravano d’estate, e le dita di Riza scattano quasi a pizzicargliele, come quando erano bambini e Roy si distraeva invece di studiare. Esattamente quel che fa ora, ed è con una sensazione morbida nello stomaco che Riza torna a sedersi.
La sera, lei e il Tenente-Colonnello escono insieme dall’ufficio, le spalle che si sfiorano, parlando di cose senza importanza («Pensi che mi diano così tante scartoffie da sbrigare perché sono l’ultimo arrivato?» «No, signore, credo che semplicemente lei stia antipatico a gran parte dei suoi superiori) e i piedi di Riza la portano automaticamente verso casa. Roy la segue apparentemente senza pensarci troppo e anche Riza quasi (quasi) non se ne accorge finché si ritrovano davanti al portone del suo condominio.
Roy si schiarisce la gola e inclina il capo di lato. Riza cerca di scacciare la sensazione di essere una ragazzina alla fine del primo appuntamento. È una cosa ridicola, perché loro due hanno condiviso di tutto, ma mai un vero appuntamento: non quando erano poco più che bambini; non quando le dita di Roy le sfioravano tremanti la schiena; e poi c’era stata la guerra.
E poi c’era stata la guerra.
Però, il fatto che il sorriso di Roy sia lo stesso di dieci anni fa non aiuta.
Riza sa benissimo che essere accompagnata a casa dal proprio ufficiale superiore non è affatto una cosa ortodossa; non infrangono nessuna legge, certo, ma sono sull’orlo di farlo, basta una spintarella. Forse, anche solo stare lì, indecisi, col cuore sulle labbra va contro la legge, potrebbe compromettere le ambizioni di Roy, i loro piani.
«Ho del pasticcio di carne da scaldare» dice Riza nello stesso istante in cui Roy mormora: «Credo di dover andare…»
Si fissano, poi Roy fa un sorriso, così ampio che gli devono far male le guance, e dentro c’è sorpresa e speranza e anche un po’ di paura, e Riza non riesce a sentire nemmeno un’ombra di rimorso mentre lo fa entrare nel suo appartamento.
Mangiano sul divano coi piatti in grembo, le giacche appese e dimenticate e Riza è sorpresa di stare così bene, così bene che quando Roy allunga i piedi sul tavolino, gli dà un calcio, e lui assume una faccia ferita, ma i suoi occhi ridono.
Parlano finché non c’è più niente da dire, ma tra loro il silenzio è sempre stato confortante, avvolgente come una coperta. Riza ricorda notti infinite nel deserto, in cui a malapena si scambiavano due parole; eppure, erano rari momenti di calma dentro l’inferno, la schiena solida di Roy contro la sua, le dita ruvide che le sfioravano la pelle quasi per sbaglio. Anche in ufficio i loro tocchi sono casuali, le mani che si sfiorano tra un documento e l’altro, Riza che si piega sulla spalla di Roy per controllare il suo lavoro, Roy che le posa brevemente una mano sulla schiena quando la fa passare davanti a lui. Per un osservatore distratto non sono niente, niente, ma Riza ha imparato da tempo a leggere i codici degli alchimisti (be’, un alchimista) e a decifrare sussurri inaudibili, e quei flebili tocchi sono abbastanza.
Ma sul suo divano, nel suo appartamento spoglio non c’è nessuno che potrebbe commentare il braccio di Roy pericolosamente vicino alle sue spalle. Quando la bacia, è una cosa morbida, così dolce che Riza vorrebbe piangere, quasi, perché tutta questa tenerezza non è fatta per persone come loro, non se la meritano. Ma le mani di Roy sono calde contro la sua gola e quando la guarda i suoi occhi sono impossibilmente scuri.
«Va bene?» le sussurra e Riza non pensa di riuscire a parlare, quindi lo bacia e basta, e dovrebbe essere abbastanza come risposta.
I movimenti di Roy mentre la spoglia sono impacciati, reverenziali, oserebbe dire Riza, come se fosse la prima volta. Non è la prima volta, ma è passato così tanto tempo e loro sono due persone diverse ormai, quindi è anche giusto così.
La luce è gialla, forte; la ragazza di campagna la spegnerebbe o porterebbe Roy direttamente in camera, nella penombra, dove si vede ma non troppo; ora invece a Riza Hawkeye non importa che il divano sia decisamente troppo piccolo, e vuole la luce, vuole vedere i muscoli delle braccia di Roy tendersi, il pomo d’Adamo andare su e giù, le sue ciglia fluttuare contro gli zigomi. Vuole vederlo tutto, vuole averlo tutto, e non le importa che anche lei sia vista completamente, perché questo è Roy, e Roy sa, Roy la vede sempre per com’è.
La Riza Hawkeye di oggi è molto più avida di quanto non ci si aspetterebbe, forse perché sa che non merita tutto questo, eppure lo vuole, oh se lo vuole. Vuole i sussurri incoerenti, le membra che si intrecciano, il respiro di Roy contro la bocca; vuole sentirlo fremere sotto la sua mano, i denti che le affondano nella spalla, il morso subito ammorbidito da un bacio.
Riza vuole anche la calma del dopo, quando si ritrova incastrata tra il corpo di Roy e il bracciolo del divano e non potrebbe muoversi neppure se lo volesse: Roy preme la fronte sul suo seno e sembra non abbia intenzione di alzarsi in un prossimo futuro. Il sudore si raffredda sulla pelle.
«Per un po’ ho pensato che mi odiassi».
Riza abbassa gli occhi sulla nuca arruffata e passa le dita tra le ciocche nere e umide. «Non credo sia una cosa da dire a chi è appena stato a letto con te».
Roy sbuffa; la sua schiena trema sotto i polpastrelli di Riza.
«Tecnicamente siamo su un divano» pausa. «Dicevo dopo Ishval, prima di chiamarti. Dopo…» un’altra pausa. «Sapevo che me l’avevi chiesto tu, ma avevi lo stesso un altro migliaio di ragioni per odiarmi. Non ero sicuro che accettassi di lavorare con me. O forse, devo aver pensato che… per te era un’occasione per farla finita con me. Non credo ti avrei fermato, anzi».
«Non ti ho mai odiato» dice Riza piano. «Non potrei mai farlo… e ci ho provato. Ma non dopo Ishval. Non dopo».
«Mi sembrava impossibile che avessi ancora fiducia in me, che volessi ancora…» alza la testa, la guarda «questo. E io mi vergognavo perché volevo ancora… te, nonostante tutto. Nonostante quello che ti avevo fatto».
Riza si raddrizza leggermente. «Non mi hai obbligato tu ad arruolarmi. Non mi hai resa un cecchino: ho scelto io. Così come ho scelto di farmi bruciare quel tatuaggio da te. Queste sono scelte mie, Roy. Non portare anche un peso che non è mai stato tuo».
Si guardano negli occhi e a Riza viene quasi da ridere, perché Roy è ancora caldo tra le sue cosce e lei si sente la frangia appiccicata alla fronte; eppure è quello il momento e il luogo per parlare di colpe e promesse fatte e mantenute nel dolore.
Roy non risponde, ma si piega in avanti e le bacia la fronte. Riza chiude gli occhi e lo sente sospirare. «Posso restare qui da te? Solo per un po’».
Senza aprire gli occhi, Riza cerca a tentoni il plaid sullo schienale del divano; lo stende su entrambi e si sdraia, portando la testa scura di Roy giù con lei. Roy schiaccia il naso contro il suo collo e lei lo sente sorridere, gli cerca con le dita le fossette.
«Solo per un po’».
 
 
 
  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Fauna96